domenica 28 gennaio 2018

Mio marito ha perso la fede

Mio marito ha perso la fede.
No, non la fede religiosa, quella credo che non ce l'abbia proprio mai avuta. 
Sto parlando della fede nuziale, quella che ci siamo scambiati neanche otto mesi fa e che, di fatto, era una delle due cose -marito a parte- a cui tenevamo di più quando ci siamo sposati.
L'altra cosa era la torta. Per dire, eh.


Ma facciamo un passo indietro: giovedì mi è arrivato un messaggio vocale su Whatsapp del marito che diceva "Amore, sono disperato".
Io ero a Milano (qui per saperne di più), stavo lavorando ed ero anche abbastanza oberata.
Cioè, se vogliamo essere sinceri quando ho sentito il messaggio ero in bagno, ma questo è solo un dettaglio.
La mia mente ha iniziato a viaggiare e già immaginavo il cane spappolato sotto ad una macchina, la casa allagata o qualche altra tragedia simile.
"Ho perso la fede" mi ha detto.
"Ma come hai perso la fede?"
Mi ha spiegato che era sicuro di averla messa, la notte prima appena rientrato di lavoro, sul piatto svuota tasche che abbiamo in salotto; lo stesso piatto in cui entrambi da ormai quasi otto mesi mettiamo ognuno la propria fede quando ce la togliamo la sera, insieme agli orologi.
É partita, a quel punto, la ricerca folle della fede con me che, da Milano, davo suggerimenti su dove cercare.
Dopo che il Marito ha spostato tutti i mobili di casa -per fortuna che abitiamo in una casa che è un buco- a me sono iniziate a venire le ideone con la i maiuscola.
"Ma non è che l'ha mangiata il cane? Prova ad esaminare la sua cacca che se l'ha mangiata l'avrà anche buttata fuori in qualche modo".
"Ma non è che per sbaglio è finita nell'immondizia? Prova a cercare nel sacchetto".
"Fai una cosa, magari è finita sul pavimento, passa l'aspirapolvere e dopo prova a cercare dentro al sacchetto".
"Ma non è che finita dentro il gabinetto? Prova a metterci una mano dentro".
Tutte soluzioni pulite e soprattutto igieniche, insomma.
Com'è che si dice? Che siamo tutti finocchi col sedere degli altri? Che io non lo so mica se avrei cercato tra la cacca del cane, eh. E non so neanche se avrei anche solo lontanamente pensato di infilare la mia mano santa dentro il gabinetto, ma tant'è.
Dopo aver smontato tutta casa per cercare sta benedetta fede e cercato ovunque, sono partiti i piani B, C e D.
Ha cercato in macchina, ha percorso a piedi tutta la strada fatta con il cane (tanto è sempre la stessa da anni), poi ha cercato al lavoro e ha anche interrogato i colleghi che magari potevano fornire indizi utili al ritrovamento della fede scomparsa.
"Ma voi avete fatto caso se avevo la fede?"
Perché ecco, lì la sua certezza di averla messa dentro il famoso piatto svuota tasche cominciava a vacillare.
Una collega però gli ha detto di avergliela vista al dito mentre era al pc, quindi è stata smontata anche la messa in onda (qui per saperne di più) dove lavora, ma della fede ancora nessuna traccia.

Le ricerche sono proseguite anche il giorno dopo, a quel punto le sue certezze non vacillavano più, ma erano proprio sparite.
"Ma se per caso quando sono andato a cena, qualcuno me l'ha rubata togliendomela dal dito?"
"Ehm, amore, credo che te ne saresti accorto"
"E se qualcuno è entrato in casa e l'ha presa mentre dormivo?"
"Ehm, ma la porta è chiusa dall'interno e poi, dai, quale ladro entrerebbe solo per una fede?"

Io nel frattempo ho anche avuto un paio di crisi di pianto pensando alla fede perduta.
Cercate di capirmi: io ero lontana, non potevo aiutarlo in nessun modo se non facendo da supporto morale al telefono (oltre a dare suggerimenti su dove cercare che forse avrebbe preferito non ricevere) e mi disperavo. Le mie amiche e le mie colleghe ringraziano intanto davano supporto morale a me.
Poi ho scritto al gioielliere per dirgli quello che era successo e comunicargli che avremmo dovuto rifare la fede perduta.
"Certo, non sarà mai la stessa cosa" ho detto al Marito.
Quando ho smesso di piangere, mi è partita la demenza e ho iniziato a mandare messaggi al Marito da parte del cane (si lo so, non mi fa onore): "Ehi papà ho trovato un tondino d'oro sul pavimento, posso mangiarlo?"
Insomma, nella vita bisogna anche prendersi in giro quando succedono queste cose, no?

Della fede comunque nessuna traccia (l'ho già detto, vero?), quindi ci siamo rassegnati, anche se dentro di me io pensavo che una volta tornata a Roma  avrei cercato io e magari sarebbe saltata fuori.
La prima cosa che ho fatto una volta arrivata a casa nostra infatti ho cominciato a spostare mobili, a guardare nei posti più impensabili, a chiedere al cane se per caso non l'avesse presa lui.
Dopo ore di ricerca mi sono completamente arresa anche io: la fede è sparita, il marito ha perso la fede e tocca ricomprarla.
Ad un certo punto sono anche partita con un discorso molto lungo e profondo sul fatto che se effettivamente l'avesse persa fuori casa se ne sarebbe accorto la sera, appena rientrato dal lavoro, perché lui di fatto ogni sera fa lo stesso gesto automatico e se facendolo non si fosse ritrovato la fede al dito si sarebbe allarmato subito, quindi -secondo me- l'aveva poggiata in un posto diverso dal solito e non si ricordava dove, ma la fede era sicuramente dentro casa.
É seguito trattato orale della sottoscritta sulla psicologia umana  -non so neanche da dove mi sia uscito- incentrato sul fatto che tutti noi facciamo dei gesti automatici di cui in realtà non ci rendiamo neanche conto e che, se per caso, facciamo qualcosa di diverso per una volta non ce lo ricordiamo neanche.
Comunque, a quel punto avevamo davvero cercato ovunque e quando dico ovunque intendo ovunque.
E ci siamo rassegnati davvero perché va bene che la speranza è l'ultima a morire, ma ecco più di quello che abbiamo fatto non potevamo fare. E lo dico davvero.

Mi sono alzata dal divano, con le lacrime agli occhi, ripensando alle parole di mio cugino che mi ha detto che in fondo è solo un oggetto, che si ricompra, che l'importante è il nostro amore.
Mi sono avvicinata alla scrivania dove il Marito tiene il suo pc, ho passato la mano sotto il coperchio del vassoio della carta della stampante e ho trovato la fede.
No, davvero, ho trovato la fede.
La stampante l'avevamo spostata dieci volte per cercarla, eh.
E lì, al Marito è partita la risata isterica, a me invece è partito l'insulto facile verso di lui.
"Amore, sai cosa? Effettivamente io quando sono rientrato dal lavoro, ho portato fuori il cane e poi ho messo il guinzaglio dietro la stampante perché mi sono messo al pc a fare delle cose".
"Ah".
Quindi possiamo affermare che abbiamo spostato mobili, rovistato nei rifiuti, analizzato la cacca del cane e la fede è sempre stata sotto il nostro naso. 


Cosa ci ha insegnato questa storia? Ovviamente che io ho sempre ragione, che sono una psicologa mancata e che dovrei passare il mio tempo ad analizzare la psiche umana.
No dai, facciamo la persone serie: ci ha insegnato che è proprio vero che la soluzione spesso ce l'abbiamo davanti agli occhi e non la vediamo, ma tant'è.
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lunedì 22 gennaio 2018

Curiosità e aneddoti sul (mio) matrimonio

Dal giorno del nostro matrimonio sono passati quasi otto mesi.
A ricordarmi quel giorno ci sono due foto giganti, una scelta da me e l'altra dal Marito, appese in salotto.
Il Marito si è mangiato la bomboniera, a cui io sono allergica e che comunque volevo conservare, ma la fede è ancora come nuova.
Mi sono abituata a dire marito e lui si è abituato a dire moglie.
Tutto bellissimo, meraviglioso, non che sia cambiato chissà cosa, però ecco, mi è piaciuto sposarmi.
Mi è piaciuto talmente tanto che ho fatto una super proposta al Marito: "Amore, ci risposiamo?"
"Eh no piccolina, non si può"
"In che senso?"
"Nel senso che siamo già sposati, non possiamo risposarci"
"Ma io voglio farlo di nuovo, mi è piaciuto un sacco"
Questa cosa che non ci si può risposare con la stessa persona a distanza di qualche mese non l'ho presa molto bene.
"Amore scusa, posso fare un'altra domanda?"
"Si, dimmi"
"Ma adesso festeggiamo l'anniversario di matrimonio o quello in cui ci siamo messi insieme?"
"Quello di matrimonio, l'altro non lo festeggiamo più"
Panico, paura, disperazione.
"Ma io non voglio barattare sette anni con uno, non vale, non lo trovo giusto"
"E allora festeggiamo entrambi"
"Ma ci risposiamo?"
"Non si può"

A distanza di mesi, quando penso al nostro matrimonio, sorrido sempre.
Non c'è una sola cosa che è andata storta, un solo momento che non mi sia piaciuto.
Quando ci siamo detti, seduti sul divano di casa che forse era arrivato il momento di sposarsi, io avevo un gesso che partiva dalla caviglia e arrivava all'inguine (qui per saperne di più) e l'unica cosa che sognavo era di farmi una doccia.
Dieci giorni prima, il Marito mi era venuto a recuperare a Milano, dopo che gli avevo telefonato dicendogli qualcosa tipo: "Ho un problema, mi hanno ingessata perché mi sono rotta un ginocchio"
"In che senso? Avevi detto che ti faceva solo un po' male e che andavi al pronto soccorso giusto per scrupolo"
"Eh si lo so, ma dicono che è rotto, mi vieni a prendere?"
"Fammi sistemare Fuffi e arrivo".
Ci eravamo fermati a dormire a Casal Pusterlengo e avevamo mangiato gnocco fritto in quantità. 
Io non avevo mai smesso di ridere, saltellando qua e là con le mie stampelle.
A fare le pubblicazioni di matrimonio ci ero andata con le stampelle, quattro giorni prima che ci sposassimo  ero finita in ospedale in anafilassi da lenticchie -che per la cronaca avevo sempre mangiato fino a quel momento- e lui, come sempre, era corso in ospedale (qui per saperne di più).
Nonostante tutto, mi ha sposata lo stesso. É stato coraggioso, credo.
Io invece, quando riguardo le foto del matrimonio, che sono bellissime, vedo la mia faccia gonfia come una zampogna, ma tant'è.

La sera prima di sposarci, quando ormai era tutto pronto, eravamo andati in stazione a prendere la mia testimone e, prima di tornare a casa, ci eravamo fermati ad un bar davanti il laghetto dell'Eur che a me sta cordialmente sulle palle (no, non il laghetto, il bar). Eravamo io, il quasi Marito, mia madre e mio padre.
Io avevo preso la Sprite. Io prendo sempre la Sprite, bevo solo quella praticamente. Ho una fissazione per la Sprite.

Tutte le spose normali soffrono d'insonnia la notte prima del matrimonio, io invece volevo dormire.
Credo che mia madre mi abbia chiamata almeno dieci volte prima di riuscire a convincermi ad alzarmi. Svegliare il Marito è stata un'impresa ancora più ardua, ma tra i cento motivi su cui abbiamo basato la nostra storia c'è quello che ci piace dormire, ci piace proprio tanto, quindi ci sta.
Mio padre, quando mi ha visto truccata e pettinata mi ha detto che sembravo una prostituta giapponese.

Ho pianto il giorno del mio matrimonio, non riuscivo a smettere, il Marito rideva, gli ho lasciato tinta per labbra ovunque.
Non credo di essere mai stata così felice come il giorno in cui ho sposato Alessandro (si, il Marito ha un nome, lo so, sembra incredibile) ed è per questo che lo risposerei altre cento, mille volte.

Abbiamo avuto il matrimonio che volevamo, rifarei tutto uguale, anzi no, qualcosa cambierei: meno cibo e una torta più grande che io l'ho fatta fare per circa ottanta persone, eravamo poco più di trenta e non ne è avanzato neanche un pezzettino. E io che volevo farci colazione la mattina dopo con la mia amata torta.
Anche a scegliere la torta c'ero andata in stampelle, ho fatto tutto con le stampelle, le ho tolte due giorni prima del matrimonio, non si sa neanche come ho fatto a toglierle, praticamente un miracolo dei fisioterapisti.
Per scegliere il ripieno della torta, mi sono presa dieci giorni di tempo, dei venti totali che ci abbiamo messo per organizzare un intero matrimonio (qui per saperne di più)

Abbiamo detto a tutti gli invitati -pochi, ma buoni- che non volevamo nessun regalo perché abbiamo tutto, cosa che in realtà, a conti fatti, è vera. 
Alla fine, abbiamo ricevuto una quantità di regali spropositata, persino da gente che non avevamo invitato, nonché da gente che non so neppure che faccia abbia.
Mia suocera mi ha fatto ringraziare gente di cui mi sono dovuta segnare il nome su un foglietto perché non avevo idea di chi fosse.

La lista degli invitati l'avevo scritta su un foglio di carta, poi quando era stata ora di contare per comunicare il numero esatto al catering, mi ero scordata di includere due persone, ovvero gli sposi.
Avevo voluto giallo ovunque, era tutto giallo limone, non credo di aver mai visto così tanto giallo in vita mia.
E avevo voluto un bouquet bellissimo che non ho lanciato perché sia mai che se le tenga qualcuno che non sono io. Mia madre, in effetti, dice sempre che sono molto altruista.


Ogni volta che ci penso, a questo matrimonio, mi scappa un sorriso, anche due, anche tre.
Perché ecco, è una delle cose più belle che io e il Marito abbiamo fatto insieme.
Per le prossime due cose belle, invece, dovrete aspettare ancora un pochino.

Qui trovate il resoconto a caldo del nostro matrimonio.
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giovedì 18 gennaio 2018

Storia di un plagio

Qualche settimana fa ho trovato un blog identico al mio.
O meglio, quasi del tutto identico: stessa grafica, stesse foto, stessi post. Identici, parola per parola, ma solo fino al mese di Novembre. 
Sono entrata nel panico e ho chiesto aiuto, con le lacrime agli occhi.
Il Marito, quel saggio uomo, ha osservato attentamente il blog clone del mio e si è accorto che era davvero tutto identico, fatta eccezione per il nome dell'autore dei post. Non NonPuòEssereVero, ma un nome e un cognome che, ovviamente, non erano i miei.
Nel frattempo, anche delle ragazze a cui avevo chiesto aiuto per capire cosa stesse succedendo, si erano accorti dello stessa cosa (qui trovate qualcosa sulla sera che ho scoperto tutto).
Ho respirato e ho iniziato a fare degli screen di tutto, pagina per pagina. Ci ho messo un bel po', lo ammetto.


Facciamo un passo indietro.
Un paio di mesi fa mi ero resa conto che i dati del mio blog non erano miei.
Cioè, teoricamente si, lo erano e lo sono, ma praticamente non ero l'unica ad avere accesso a quei dati, cosa di cui non ero al corrente.
I dati di questo blog -e non solo di questo- vengono monitorati attraverso due strumenti: Google Analytics e Google Search Console
In soldoni, il primo strumento, ovvero Analytics, serve per vedere quante persone visualizzano i contenuti del blog, come queste persone si muovono all'interno del blog, chi sono, cosa fanno e da dove vengono.
No, giuro, non rubo segreti industriali all'insaputa degli ignari lettori, ci mancherebbe. 
Sono dati generici, attraverso i quali io posso sapere -che ne so- che mi leggono più persone tra i trentacinque e i quarantaquattro anni, dall'Italia, di sesso femminile.
C'è anche una funzione che amo e che ho ribattezzato pallini: ogni volta che qualcuno apre una pagina del blog, si accende un pallino sul mappamondo, in tempo reale. In questo modo, sto imparando la geografia, oltre a gasarmi come un'idiota quando si accendono tanti pallini in contemporanea. Ognuno ha i propri problemi, me ne rendo conto.
Il secondo strumento, la Search Console, serve per capire con che parole chiave la gente arriva sul blog ed è altrettanto divertente, considerato che alcune ricerche sono -oserei dire- curiose (qui per farvi un'idea).
Insomma, un bel giorno, curiosando qua e là, avevo notato che il sito proprietario dei dati di NonPuòEssereVero non era NonPuòEssereVero, ma un sito mai sentito prima.
Studiando, chiedendo, informandomi mi ero accorta che non ero l'unica a poter accedere a quei dati.
Sulla Search Console questo fantomatico proprietario -che non ero io- era stato verificato, a mia insaputa, attraverso il pannello di gestione DNS del dominio del blog. 
Non entro nel merito di cosa sia un DNS, anche perché dubito davvero che sarei in grado di spiegarlo, ma ecco: io dovrei essere l'unica ad usare come proprietaria queste cose, anche perché ho poche cose mie e NonPuòEssereVero è una di queste.
Per riappropriami in toto di ciò che era mio, quindi dei dati del mio blog, ci ho messo un paio di giorni, aiutata e supportata da amici e conoscenti perché, ecco, una cosa che posso dire è che io non sono davvero mai sola e di questo ringrazio chiunque mi abbia dato una mano.
La storia era finita lì, ma non l'avevo presa benissimo.

In tutto questo, il Marito era lì accanto a me quando cercavo di trovare una soluzione al furto di dati, soprattutto quando mi hanno detto -cosa che non sapevo- che esiste un mercato di questo tipo di dati che, a quanto pare, alcune persone rivendono a caro prezzo.
Non so se sia il caso dei miei dati, ma il tarlo mi è venuto.
Non so neanche cosa se ne possa fare qualcuno di dati del genere, ma tant'è.
Insomma, il Marito era lì con me sul divano quando mi sono accorta, per caso, dell'esistenza di questo blog clone ed è stato lui che di solito è un uomo pacifico e tollerante che mi ha guardata e mi ha detto: "Gilda, denuncia". Lo ha detto serio, serissimo perché ecco, lui sa quanto ci tengo e, in fondo, so che ci tiene anche lui.
E io ho iniziato a cercare di capire cosa fare, come denunciare, a chi rivolgermi. E a fare gli screen perché insomma, serviranno delle prove, no? In televisione servono sempre le prove, giusto? 
Ho poi scritto un post sul mio profilo Facebook personale per dire che il mio blog era stato clonato. Magicamente, la mattina dopo, il clone era stato rimosso che è già qualcosa, ma la mia sete di giustizia non si è mica calmata, anche perché mica mi piace essere presa in giro.
(Si, sete di giustizia l'ho scritto perché mi piace l'espressione, giuro che non intendo prendere a pistolettate nessuno).
Se vi state chiedendo se sappiamo chi è stato la risposta è si, abbiamo un nome e un cognome che altro non sono ciò che abbiamo trovato nel blog clonato come autore dei post.
Si, abbiamo verificato: il clone del blog e l'altra storia sono collegate tra loro.
Se i dati che abbiamo saranno sufficienti per far si che il plagio non resti impunito sinceramente, ad oggi, non lo so. Me lo auguro vivamente, lo spero, voglio crederci, ma non lo so.
Sono un sacco le cose che non so, ma ce n'è anche qualcuna che so.
Quello che so è che ci sono rimasta male, mi sono sentita derubata, Davvero, eh.
La maggior parte dei post di questo blog sono estremamente personali, ci sono dentro i miei sentimenti, le mie sensazioni, le mie emozioni.
Ci sono il mio matrimonio, i miei viaggi, le mie allergie, mio marito, i miei genitori, i miei cani, i miei amici. Tutta roba mia. Forse non sarà la vita più bella ed emozionante al mondo quella che racconto su queste pagine, ma è la mia, solo mia e di nessun altro.
Questo blog è un contenitore di cose, fatti e persone e non solo: è la mia creatura, tutta mia, solo mia. L'ho già detto che qui dentro è tutto mio?
Anzi, qualcosa di non mio c'è e sono i vostri commenti, diamo a Cesare quel che è di Cesare.

Un'altra cosa che dice sempre il Marito è che mi fido troppo di tutti, che non mi rendo conto che non tutti sono buoni. Credo abbia ragione, questa storia -al di là di tutto- mi è servita da lezione.
Abbiamo sempre da imparare, sempre.


Che poi, io avevo anche spiegato, con calma e gesso, perché non si copiano i post (qui), quindi mi è sembrato proprio il colmo trovare copiato il blog per intero.
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mercoledì 17 gennaio 2018

Perché la mamma è sempre la mamma

La mamma è sempre la mamma diceva qualcuno, non so chi.
Anche il papà, eh, ma la mamma ha quel qualcosa in più, non saprei neanche come spiegarlo.

Mia madre è una generalessa. É cattivissima, severissima ed è anche pesante da sopportare, eh.
Io ho frequentato il liceo dove insegnava mia mamma, mai scelta fu più sbagliata perché se solo avessi scelto una qualsiasi altra scuola sarei andata avanti senza subire le cose peggiori.
Praticamente per non fare pensare a nessuno che io venissi trattata meglio degli altri, ero trattata peggio. Il ragionamento non fa una piega, insomma.
La mia fortuna è stata solo una: studiavo e tanto anche, andavo bene in tutte le materie, tranne matematica (dove comunque avevo un sei perché facevo pena alla professoressa) e buonanotte al secchio.
In ogni caso, io mi sono beccata due sospensioni a scuola, una di tre giorni e una di cinque, tanto che ancora adesso mia madre si chiede se io non avessi ammazzato il preside.
La risposta comunque è no, non l'avevo ammazzato, il motivo era un altro (qui per saperne di più) però ecco lui non andava molto d'accordo con la mia amata madre, diciamo così.
Ho accettato, sopportato e odiato profondamente la scuola.
Tutta sta pappardella per dire che mia madre mi controllava a vista, a me non era concesso neanche un ritardo di cinque minuti (si, andavo a scuola per i fatti miei), non mi era concesso di prendere un cinque e non mi erano concesse neanche un sacco di altre cose.
Io, ad esempio, non potevo dormire dalle amiche. A diciassette anni, eh, non a dodici.
Il motorino me lo ha comprato mio padre, quel sant'uomo, di nascosto da mia madre (che ovviamente lo ha scoperto subito e che ha anche pagato il primo pieno di benzina), ma in ogni caso entro una certa ora -prima di cena ovviamente- io dovevo tornare a casa, sia mai che al calar del buio fossi fuori casa su due ruote.

Fatta questa doverosa premessa, immagino sia chiaro che mia madre non è stata una madre troppo permissiva, che mi ha viziata, che mi ha messo su un piedistallo e via dicendo.
Io da ragazzina dubitavo persino che mi volesse bene, eh. Ero abbastanza convinta che le stessi antipatica, cosa per altro plausibile visto che simpatica non lo sono mai stata.
Mia madre, in realtà, mi ama profondamente. E io amo lei, è una figura importantissima, forse la più importante, io non potrei vivere senza mia madre.
La mamma è sempre la mamma, ve l'ho detto.


Io ho più di trent'anni, sono donna e moglie, lavoro, ho una casa e un sacco di responsabilità, ma sono anche figlia. Una figlia che ama profondamente i suoi genitori, anche se non lo dice poi così spesso.Una figlia che ha bisogna della sua mamma. E anche del suo papà, eh.
Mia madre risponde al telefono H24, anche a notte fonda, che siano telefonate o messaggi.
A mia madre devo la forza e il coraggio che mi trasmette e devo la tranquillità con cui reagisce alle foto che le mando dal pronto soccorso in piena notte.
Lei ci prova a stare calma per me. E per mio padre.
Mia madre è quella che, quando mi hanno ricoverato per l'appendicite a Bologna, ha preso un treno di corsa, ha viaggiato tutta la notte e la mattina dopo era lì con me a tenermi la mano (e le flebo).
Mia madre è la persona che ho chiamato, pregandola e supplicandola di venire (insieme a mio padre, eh) a Roma e passare con me quello che credevo sarebbe stato il mio ultimo Natale (qui per saperne di più).
Mia madre mi compra ancora i vestiti, visto che io non sono in grado, né tanto meno ho voglia, di farlo (qui per saperne di più).
Mia madre mi fa i bonifici con causale contributo mamma a caso. Perché così non spendo i miei soldi oppure perché così mi compro un cappotto decente, basta che non sia corto.
Mia madre mi ordina su Aliexpress i vestiti anni '50.
Mia madre ha sempre la parola giusta, non si stanca mai, non sta mai male (e anche se sta male, fa finta di niente), mette me prima di qualsiasi altra cosa.
Mia madre mi rimprovera, mi chiede dove vado e a che ora torno (quello però è più mio padre, ad onor del vero), mi dice di mangiare.
Mia madre non mangia la Nutella da quasi vent'anni (qui per saperne di più).
Mia madre non ha ancora capito che lavoro faccio esattamente, ma è comunque molto orgogliosa di me.
Mia madre coccola me e anche il Marito. E io le dico sempre che sono io la figlia, deve dedicarsi a me e solo a me, mica al Marito. E lei gli dice che non deve darmi retta.
Mia madre e il Marito si coalizzano contro di me, lo hanno fatto anche due sere fa, io ovviamente li ho mandati a quel paese entrambi, ma so che come mi amano loro non mi ama nessuno.
Mia madre è la madre che un giorno vorrei essere se mai farò un figlio. Perché la mamma è sempre la mamma, ve l'ho detto.


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lunedì 15 gennaio 2018

Tre anni di fatti, persone e cose che non possono essere veri

Domenica saranno tre anni che esiste NonPuòEssereVero.
Sono settimane che penso a questo post, a come avrei celebrato la mia creatura, a quello che avrei scritto e, sarà che sono convinta che i compleanni non si festeggiano mai prima, avrei voluto scrivere  queste parole proprio domenica, ma invece arrivano stasera. Così, per caso.
Un anno fa -in occasione del secondo compleanno del blog- avevo scritto questo, elettrizzata come una bambina per i risultati raggiunti. Risultati che non mi sarei mai aspettata. 
Eppure la vita ci riserva sempre delle sorprese bellissime.


Ho aperto questo blog per me stessa, solo per me stessa, l'ho fatto perché volevo qualcosa di mio, qualcosa che mi aiutasse a superare un momento difficile.
Sarei però ipocrita se non mettessi nero su bianco che la cosa più bella che possa capitare quando scrivi qualcosa è vedere aumentare il contatore delle visite, vedere i numerini accanto ad ogni singolo post che aumentano.
E allora vi racconto una storia. Non una storia qualunque, ma la storia di quando ho scritto, senza volerlo, un post virale.
Quel giorno è il giorno in cui ho scritto questo post che ormai è diventato il post.
L'ho scritto, l'ho pubblicato e sono andata a fare una doccia, poi ho cenato. Ero seduta nel terrazzo di casa, al settimo piano, con Marito e genitori e continuavamo a parlare di quello che avevo raccontato nel post. Poi mio padre aveva detto che gli piace come racconto le cose, lo sottolinea sempre e ci tiene a sottolineare che non lo dice perché è mio padre, ma perché è vero.
Quella sera quando andata a letto qualcuno aveva letto le mie considerazioni sulla spiaggia incriminata, non erano in tanti, in fondo era piena estate. La mattina dopo, però, quando mi ero svegliata quel post era ovunque. 
Condiviso ovunque, da chiunque, copiato da chiunque, centinaia di commenti, messaggi, mail, telefonate. Tanto che non so come non mi è esploso il cellulare.
In Sicilia, dove eravamo in quel momento, il post era andato forte, ne parlavano tutti.
Non solo in Sicilia, ma soprattutto in Sicilia. Giustamente, eh.
Il giorno dopo, io e il Marito eravamo andati a fare lavare la macchina, io mi ero seduta su un gradino e accanto a me sentivo parlare delle mie parole dei perfetti sconosciuti.
Eravamo andati a 400 km da casa e in un bar disperso nel nulla, i nostri vicini di tavolo parlavano di me e del mio post.
Io e il Marito ci guardavamo e ridevamo.
I miei amici, quelli davvero tanto amici, avevano fatto presente che mi conoscevano quando avevano sentito parlare di questa tizia che aveva scritto quel post.
Posso dirlo che è stata una soddisfazione enorme? E che ho camminato dieci metri sopra il cielo per giorni?
Ho anche tentato di rifilare autografi a Marito e genitori che, inspiegabilmente, mi hanno mandato a quel paese.
L'anno di NonPuòEssereVero, il suo terzo anno, io vorrei riassumerlo così, ma non sarebbe abbastanza.
Da quel giorno, questo blog è diventato un po' più di quello che era prima: più letto, più considerato, più apprezzato. E anche più criticato, eh.

Ho continuato a scrivere della mia Sicilia, ho messo giù parole su parole, mi hanno chiesto consigli e pareri, proprio a me che non saprei consigliare neanche un gusto di gelato.
Mi hanno fatto tante proposte, alcune le ho accettate, altre le ho declinate.
Durante questo anno di blog, ho combattuto a colpi di ironia con chi non era d'accordo con quello che scrivevo e mi ha insultata.
Ho scritto  un post (questo) grazie al quale ho ricevuto qualche minaccia che ancora rido se ripenso a quel "io lo so dove abiti" e ne ho scritto uno (questo) per il quale mi hanno detto che mi avrebbero esposta al pubblico ludibrio. Anche in questo caso ho riso. E di gusto anche.
Ho scritto post che hanno fatto ridere e post che hanno fatto piangere, post che hanno emozionato e altri che hanno fatto girare le palle. O almeno questo è quello che mi avete detto.
Ho parlato di allergie, di shock anafilattici, vi ho raccontato cosa vuol dire vivere con la costante paura di morire, ma ho anche -o almeno ci ho provato- provato a convincervi che esistono milioni di motivi per essere felici, per non mollare mai, per sorridere sempre alla vita.
Vi ho raccontato tante di quelle cose che molte non me le ricordo neanche più.
Grazie a questo blog, nell'ultimo anno, ho conosciuto persone eccezionali, molte delle quali ormai sono una presenza costante nella mia vita.
Vorrei scrivere il nome di tutti perché in fondo quello che sto cercando di dirvi è grazie.
Mi viene da pensare a Irene e Roberto, a Maya, a Silvia, a Diletta, a Veronica, ma potrei aggiungere centinaia di nomi perché voi non lo sapete, ma io mi ricordo ogni singola storia che mi raccontate, ogni parola che mi dite perché mi piace raccontare, ma mi piace anche ascoltare.
Penso anche alle ragazze di Progetto Blog che in questi ultimi mesi sono state sempre al mio fianco, mi hanno ascoltata, consigliata, aiutata senza chiedere nulla in cambio, anche quando mi hanno clonato il blog per intero.

Ho imparato che NonPuòEssereVero è la cosa più mia che possa esistere al mondo, è una cosa a cui tengo, a cui voglio bene.
E allora: buon terzo compleanno NonPuòEssereVero, vorrei passare con te altri mille compleanni, forse di più.
Grazie a voi che che state leggendo queste parole, ci siete, che mi fate compagnia, che mi sopportate. Davvero.


I post più letti dell'ultimo anno sono:
Se volete leggere uno qualsiasi di questi post, basta cliccare sul titolo, eh. Lo so, lo so: magari è scontato, ma non si sa mai.
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domenica 14 gennaio 2018

Tutti abbiamo dei problemi (che agli altri non interessano)

Io sono una persona essenzialmente fatta molto male: mi aspetto che non ci sia bisogno di piangere, lagnarsi, lamentarsi per far si che gli altri sappiano che in fondo tutti abbiamo delle difficoltà e dei problemi.
Magari non è facile immaginarsi i problemi altrui se non ci vengono detti, ma ecco: i problemi li abbiamo tutti
Io, voi, chiunque. 
Qualcuno forse sarà più grave, qualcun altro meno, ma chi può dirlo?
A me basta sapere questo, ma sono fatta male io, ve l'ho detto.
Ed è il motivo per cui non passo, per scelta, la mia vita ad andare a raccontare a tutti i miei problemi sottolineando quando io stia peggio, quanto io sia l'unica ad avere problemi, mentre gli altri, beh, loro si che sono fortunati.
Che poi probabilmente agli altri i miei problemi manco interessano visto che hanno già i loro, no? Quindi perché dovrei raccontarglieli per farglieli sapere?

Sono fatta male anche perché non mi arrabbio praticamente mai, cerco sempre di essere disponibile, di capire, di essere comprensiva. Si, anche con chi si piange addosso.
Però se mi arrabbio sono cavoli perché significa che quello era il mio limite massimo e non ci sarà una seconda possibilità.
Ieri ho sbottato di brutto e in fondo mi spiace.
Una tizia non faceva altro che ripetere ad ogni cosa, ormai da tempo, l'elenco di patologie della sua famiglia. Così, a caso, con supponenza, evidenziando come gli altri siano degli scemi che non si curano bene, che non sanno cosa voglia dire stare male, che inventano le cose, mentre lei, oh lei si che sa tutto, lei sola al mondo sa cosa voglia dire stare male, conosce le cure, è seguita bene, si cura bene.
Alle centesima volta che lo faceva, mi sono incavolata e di brutto anche, ve l'ho detto.
Perché ecco, l'argomento salute è una delle cose che mi fa arrabbiare di più.
Mia madre si è stupita: "amore, ma tu rispondi con educazione anche a chi ti dice le cose peggiori".
Poi mi sono quasi pentita. No, non di essermi arrabbiata, ma di non aver tirato fuori la storia strappalacrime di quello che ha passato il Marito da bambino, di quello che abbiamo passato insieme quando si è operato l'ultima volta, di quando lui non abbia avuto un'infanzia normale e di quanto, se potessi, gli darei le mie gambe (anche se non so se farebbe un affare), il mio femore, le mie anche.

Voi lo sapete che ho sposato un invalido? Lo sapete che ho pianto tutte le mie lacrime fuori da una sala operatoria pensando che non lo avrei più rivisto? Lo sapete che ho sposato una delle persone più forti del mondo che non si è mai arresa? No, non lo sapete, a meno che non mi siate stati vicini quando abbiamo affrontato il peggio (qui per saperne di più). 

Io ero (o forse mi sentivo) una ragazzina, avevo ventisette anni, le Converse a quadretti rossi e bianchi e prendevo decisioni difficili da sola dall'alto di un divano di pelle nera della stanza della clinica. 
Tra le cose più brutte che io abbia mai dovuto fare c'è stata quella di decidere di autorizzare una trasfusione di sangue sapendo che il Marito avrebbe scelto diversamente. 
No, non l'ho mai detto, non credevo servisse a nessuno raccontare quanto sia stato complesso -e anche doloroso- decidere per qualcun altro.
Ne parliamo poco di quei mesi, non c'è molto da dire, e fortunatamente -da ormai qualche anno- per capire che c'è un problema dovreste vederlo nudo e ecco, direi che potrei uccidere per questo.
Non ho però mai smesso un solo giorno di litigare in vari uffici per fare rispettare i diritti di un invalido  e non ho smesso di preoccuparmi quando c'è una complicazione o un problema.
Non ho neanche mai smesso di riderci su. Quando il Marito è uscito dalla clinica e l'ho riportato a casa lo chiamavo storpicus, versione affettuosa di storpio. 
Forse non è politicamente corretto, ma noi ci facevamo delle grasse risate e ridere ci è servito per affrontare quelli che ad oggi ritengo siano stati i mesi più duri della mia vita.

Non sapete neanche che mio padre ha smesso di lavorare, andando in pensione anticipatamente, perché gli hanno riscontrato un brutto problema al cuore.
E non sapete neanche di tutte le altre patologie, della sua di invalidità, non dalla nascita come per il Marito, e della mia paura che gli succeda qualcosa, soprattutto perché sono lontana.
Mio padre, dovete sapere, mi prende in giro perché sono paranoica sui miei malanni.
Mia madre invece prende in giro mio padre perché dice che io ho preso da lui.
Alla fine, ci ridiamo su perché non sappiamo fare altro che affrontare le cose con il sorriso.

Non sapete neanche che mia madre ha avuto un tumore i cui strascichi sono presenti ancora oggi.
Io dico sempre che la vita mi ha riservato  un marito e una madre entrambi con problemi agli arti inferiori ed entrambi mancini, ma che il problema maggiore è ovviamente il secondo.
Siamo fatti così, ve l'ho detto? Si cerca, almeno quando si può, di sdrammatizzare.

Della mia condizione di salute pessima lo sapete, ma solo perché ho deciso che tutti devono sapere cosa sono le allergie e di quello a cui possono portare. 
Non sapete però che ho fatto due coma, che sono credo uno dei pochi casi ad avere avuto così tanti shock anafilattici (e ad essere arrabbiata perché non me li ricordo) e che ho paura di morire. Sono terrorizzata.
Ma so anche che i miei genitori prima e anche mio marito poi hanno sempre fatto in modo che io fossi seguita benissimo, anche fosse solo per un mal di testa. 
E non sapete neanche che ho un sacco di problemi legati alle pessime condizioni del mio sistema immunitario, alle troppe medicine che prendo, al fatto che sono anche abbastanza tonta e mi succedono cose assurde che aggiungono benzina sul fuoco (qui per saperne di più).

Non passo il tempo a raccontare a chiunque di quanti problemi di salute ci siano a casa mia, di quanto a volte sia dura e soprattutto non tiro mai in ballo problemi di salute non miei.

Oggi però l'ho fatto, ho cercato di ridurre la questione anche perché i bollettini medici mi annoiano. E non è cambiato nulla nella mia vita. Non mi sento superiore a nessuno solo perché qualcuno a cui voglio bene sta male, è stato male, starà male, anzi mi dispiace proprio questa cosa, preferirei che non ci fossero problemi di questo tipo a casa mia.

In ogni caso, se passassi il mio tempo a raccontare al prossimo quanti problemi di salute ci sono intorno a me non vivrei più. 
Non voglio farlo.
Io voglio riderci su, voglio essere felice, anche se ho paura.
Non voglio vivere sentendomi un gradino sopra agli altri perché io o una persona che amo abbiamo una patologia in più degli altri.
Non voglio vivere cercando di suscitare pena, di fare la vittima. 
Che poi, sono quasi certa che nel mondo c'è qualcuno che sta peggio di me. 
O che se non sta peggio, ha comunque dei problemi e che non ha voglia di sentirsi una che si piange addosso e fa presente quanto sta peggio, cosa che potrebbe essere vera, ma forse no, chi lo sa.
Non voglio neanche però che qualcuno venga a ripetermi ogni due minuti di quanto sia malato lui o qualcuno vicino a lui, di quanto io sia una cretina che non sa cosa voglia dire curarsi, che non so cosa voglia dire fare le pratiche per delle patologie.


Lo stesso ragionamento lo applico a qualsiasi cosa.
Non vado in giro a dire quanto sono più stanca degli altri perché ci sarà qualcuno più stanco di me. O comunque quanto me.
Non vado in giro a dire quanto la vita sia dura con me perché, ebbene si, la vita è dura con tutti, soprattutto dopo i sei anni (per qualcuno anche prima, ma spero sempre che questi ultimi siano pochi, pochissimi).
Non vado a dire in giro di quante difficoltà io abbia avuto nella mia vita perché ci sarà qualcun altro che di difficoltà ben peggiori ne ha avute e nonostante tutto non si è arreso, ha combattuto e ha vinto. O forse ha perso, ma è andato avanti lo stesso.
Che poi, la butto lì, magari chi ho di fronte non ha avuto coriandoli e petali lanciati dalla divina provvidenza ogni volta che faceva un passo per strada.
Non vado nemmeno a dire in giro a qualcuno che è tanto fortunato ad avere questo o quell'altro (con me lo fanno spesso) perché forse, la butto sempre lì, quel qualcuno non è fortunato, magari si fa il culo, magari  si è impegnato per raggiungere quell'obiettivo, chi lo sa.
Non vado a dire a nessuno di quanto io sia più stanca degli altri, di quanto io lavori più degli altri, di quanto io abbia meno cose degli altri, di quanto a me non vada di fare determinate cose quindi che le facessero gli altri al posto mio.
E non è che non lo dico perché sono migliore degli altri, eh.
Non lo dico perché, ve l'ho detto, sono una brutta persona e non voglio che lo facciate con me. 
Se però volete sfogarvi senza fare la gara, io vi ascolto volentieri, magari vi do anche qualche consiglio, ma non garantisco che sia un buon consiglio. Io, se fossi in voi, i miei consigli non li ascolterei. Per dire, eh.

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giovedì 11 gennaio 2018

Il sushi all you can eat è una cosa seria

Il sushi è una cosa seria
Io odio seguire le mode, odio andare dietro a quello che fanno tutti, ma il sushi rappresenta un'eccezione molto importante a questa regola che in realtà una regola non è.

Avevo diciannove anni o qualcosa del genere quando ho scoperto l'esistenza dei ristoranti giapponesi.
Ero a Roma e il mio compagno di viaggio voleva assolutamente andare a mangiare giapponese, ai tempi a Palermo mica ci stavano questi ristoranti, quindi l'unico modo per provarli era recarsi in continente.
Cioè, sia chiaro: non eravamo andati a Roma per il sushi o per il ramen, ma era una buona scusa per provarlo.
Non per me ovviamente che avevo mangiato un panino e poi non mi ero seduta al tavolo con il compagno di viaggio a guardarlo mangiare.
No davvero, avevo solo guardato, non avevo voluto assaggiare nulla.
La mia seconda volta con la cucina giapponese fu a Firenze e non la dimenticherò mai.
Avevo preparato una buonissima torta salata con prosciutto, mozzarella e spinaci, salvo poi scoprire che quella sera sarei andata a mangiare al ristorante giapponese. 
Di anni a quel punto ne avevo venti e a Palermo c'erano solo i ristoranti cinesi, quindi il giapponese restava un posto da vacanza. Quella sera, per la cronaca, restai digiuna dopo aver speso un milione di euro per due pezzetti di pesce, riso e brodini non meglio identificati, tant'è che rientrata a casa (non la mia, eh) avevo mangiato mezza torta salata.
Da lì si sono chiuse le mie esperienze con i ristoranti giapponesi, con il sushi, con le bacchette e con queste robe esotiche.

Poi sono arrivati gli all you can eat, la moda del sushi, un sacco di amiche e amici impazziti per questa storia e ho iniziato, non sempre volentieri, ad andare anche io
Nel frattempo, da quella volta a Firenze, erano passati ben sette anni o giù di lì.

E io piano piano ho capito una cosa molto profonda: il sushi è una cosa seria, ma la moda degli all you can eat lo è ancora di più.
Per andare a sfondarsi di qualsiasi cosa spiluccare qualcosa all'all you can eat serve un'amica fidata, qualcuno che condivida con te l'esigenza di ordinare, ordinare, ordinare e poi mangiare, mangiare, mangiare.
Diffidate sempre di chi, una volta seduto al tavolo, dice qualcosa tipo: "però ordiniamo qualcosina e poi vediamo se abbiamo ancora fame".
Io lo so già che avrò ancora fame, anche dopo aver divorato l'intera riserva mondiale di tonni e salmoni. E anche di gamberi se è il caso.

E qualora poi la roba ordinata si riveli troppa, l'amica (o amico, eh, è che io al sushi ci vado sempre con le amiche) fidata deve avere la faccia tosta di infilare in borsa gli uramaki avanzati e poi, con piglio deciso, recarsi in bagno e far finire in pasto ai pesci il tutto. 
Che poi forse dare pesce a dei pesci potrebbe essere cannibalismo, chi lo sa.
Quello che so è che, se venite a mangiare sushi con me, non avanza mai un tubo. Manco le bacchette, mangio anche quelle se è il caso. 
L'amica fidata non deve avere senso del pudore, e non deve quindi   vergognarsi ad ordinare come se si fosse in dieci anche se si è solo in due.

Bisogna sapersi adattare al sushi: il tavolo deve essere ricoperto interamente da piatti di cibo di tutti i tipi, non esiste mio e tuo, chiunque può attingere da ogni piatto in barba anche alle più elementari norme igienico sanitarie. Quello che arriva è di tutti, ma ecco: se tu vuoi ordinare una cosa che a me non piace, poi non tentare di rifilarmela nel momento in cui sto per ordinare il novantasettesimo piatto di sashimi di salmone di fila.

Mi è successo davvero, eh.
"Dai, mangia la tempura di verdure che ho ordinato invece di ordinare altro sashimi che se no poi dobbiamo pagare la multa?"
Io non mangio nessuna tempura di verdure avanzata, soprattutto se lo avevo detto prima che non la mangio. Io voglio il sashimi. E la tartare. E gli uramaki salmone e Philadelphia. E no, non me ne frega un tubo se in Giappone gli uramaki salmone e Philapelphia non esistono.
Quindi insomma: patti chiari e amicizia lunga. Tutti è di tutti, ma non contate su di me per mangiare cose che non mi piacciono che voi avete scartato.


Diffidate da chi vi dice che è a dieta e non può venire a mangiare sushi. Lo sanno tutti che il pesce e il riso sono alimenti dietetici.

E soprattutto -e questo lo dico a chi non ama il sushi o si crede più informato degli altri- sappiate che  mangiare l'intera riserva di salmoni della Norvegia e della Svezia all'all you can eat non significa non sapere che esistono ristoranti giapponesi alla carta molto, ma molto più validi. E non significa neanche non frequentarli. 
E che ve l'ho detto: il sushi all you can eat è una cosa seria da condividere con le persone giuste.
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martedì 9 gennaio 2018

Storia delle mie trasferte di lavoro a Milano

Scrivo in diretta dalla mia stanza d'hotel a Milano, ho un letto gigante a mia disposizione, la mia roba è sparsa ovunque come sempre in questi casi e ho appena scritto un messaggio al Marito per chiedergli di mandarmi una foto del cane. 
Mi ha mandato una delle foto più divertenti di sempre, appena scattata, precisando che il cane è offeso perché non gli ha dato il permesso di andare in camera da letto, ma fuori pioveva e le zampe, nonostante le abbia pulite, non erano ancora abbastanza asciutte.
Conosco il mio cane fin troppo bene e me lo sono immaginata davanti la porta della camera da letto, salvo poi andare vicino al divano per esprimere il suo disappunto per il torto subito.
Sono rientrata in hotel alle 21, dopo una giornata di lavoro massacrante in cui non mi sono mai fermata.
Ho cenato a letto, parlando al telefono con il Marito.
Mi piace cenare a letto, mi è sempre piaciuto tantissimo, più che mangiare seduta a tavola.
Anche se tra ieri e oggi ho avuto difficoltà a reperire una cena adatta a me (qui per saperne di più), con in testa le parole di quel santo dell'uomo che ho sposato che mi ha detto, prima che partissi, di stare attenta. "Mi raccomando a quello che mangi, le hai preparate le medicine, vero?".
A volte è dura, mi piacerebbe andare fuori e scegliere di mangiare quello che mi piace, che mi va, senza fare mille domande, senza dover sempre adattarmi -se non addirittura digiunare- e le trasferte mi mettono a dura prova.
Io ho fame, ho sempre fame, ho proprio una fissa con la fame e il Marito sostiene che sono così perché, di fatto, il cibo è la causa di tutti i miei problemi. E non poter mangiare serenamente è un sacrificio.
Questo sacrificio sarebbe indubbiamente più sopportabile se avessi almeno due taglie in meno, ma niente, non c'è verso, sarà il cortisone, che vi devo dire?

Mi mancano i miei due amori, sono tre anni (qui la mia prima volta a Milano per lavoro) che sono spesso via per lavoro, ma mi mancano sempre come se fosse la prima volta e sto sempre lì a pensare che non vedo l'ora di rivederli, riabbracciarli, averli vicino.
Piccola sentimentale che non sono altro.
E poi a me Milano non piace, ho sempre avuto sentimenti ambivalenti nei confronti di questa città, non è mai scattata la scintilla e non scorderò mai il giorno in cui, dopo sette lunghi mesi passati qui, sono scoppiata a piangere quando ho visto il Grande Raccordo Anulare, rischiando per altro di andarmi ad ammazzare (qui per saperne di più).

La verità è che questa vita, tutto sommato, l'abbiamo scelta, ma non senza fatica, non senza difficoltà, non senza il magone. 
Certi giorni è più difficile che altri.
Certi giorni mi viene voglia di mollare tutto, altri sono talmente soddisfatta che mi chiedo come potrei vivere in modo diverso.
Ma la verità, quella più profonda, è che ho sposato qualcuno che mi appoggia sempre e comunque, che ha sempre saputo che io al lavoro ci tengo -non quanto tengo a lui- e che voglio essere realizzata da questo punto di vista. E lui fa di tutto per vedermi felice, per vedermi sorridere.
Lui condivide con me ogni successo, ogni traguardo raggiunto e -ebbene si- anche le sconfitte perché ci sono anche quelle e, a volte, sono difficili da mandare giù (qui trovate il rospo più grande che io abbia dovuto ingoiare).
E condivide con me i miei disastri, tipo quella volta che è dovuto correre a Milano per recuperare un'allora fidanzata con un ginocchio rotto (qui per saperne di più) e un gesso che partiva dall'inguine e arrivava alla caviglia.
E mi ricorda le cose: ieri sera, senza lui a ricordarmelo prima di andare a letto, ho dimenticato di mettere l'apparecchio. E se non metto l'apparecchio la notte, il giorno dopo mi fanno male i denti.
Sono sentimenti ambivalenti quelli che mi vengono quando sono lontana da casa, da sola.
Ad esempio, a volte ho paura di morire che vi chiederete se non forse scema, ma io la sensazione che si prova quando stai soffocando dopo aver mangiato qualcosa la conosco troppo bene. E stare lontana da casa, a volte mi fa pensare a quello.
Ho paura di perdermi dei momenti belli.
Ho paura di perdermi anche quelli brutti.
Ho paura di fare soffrire qualcuno, so che i miei genitori sono più contenti di sapermi vicina al Marito perché, ecco, quando hai una figlia con una salute cagionevole, diciamo così, non stai mai tranquillo. E io non voglio che si preoccupino.
Ho paura di perdermi pezzi per strada.

Poi però mi passa. 
Mi passa quando vedo che tutti i sacrifici vengono ripagati, in un modo o nell'altro perché la vita in fondo è un dare e avere. E in realtà credo di avere più di quanto dia.
Mi passa quando mi incanto a guardare qualcosa che attira la mia attenzione.

Davanti al mio hotel, a Milano, c'è una rimessa di tram.
I tram di Milano mi piacciono da morire, quasi quanto il palazzo Unicredit di Piazza Gae Aulenti.
Mi sono bloccata a guardare i tram per qualche minuto, da fuori, e ne ero incantata.


Se qualcuno mi ha visto, avrà pensato "guarda questa quanto è scema". Alla fine, come sempre, ho cercato di trovare qualcosa di bello.

E poi stasera, mi sono anche procurata una lattina di Sprite, alla faccia del tipo dell'hotel che ieri, quando l'ho chiesta al bar, mi ha detto che non la tengono perché non piace a nessuno.
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sabato 6 gennaio 2018

Donne che insultano altre donne

Donne che insultano altre donne completamente a caso. Avete presente, no?
Donne che rivendicano la parità dei sessi o addirittura la superiorità del genere femminile e lo fanno insultando donne sconosciute. 
Donne che, quando un uomo le fa arrabbiare, se la prendono con una qualsiasi altra donna.


La premessa: io ho sposato uno scemo.
Simpatico, affettuoso, generoso, gentile, paziente, bello, ma scemo.
Il Marito si diverte a fare il troll. Ve l'ho detto che è scemo.
Non sempre, eh, ma a volte lo fa. A me fa ridere, lo ammetto.
Nella maggior parte dei casi, gli ignari lettori dei suoi commenti capiscono subito che non sta dicendo sul serio, ma si sta divertendo a prenderli in giro, ma questo non accade sempre.
A volte comunque lo faccio anche io. Si, di scrivere commenti da troll, esatto.
Oggi il Marito ha commentato una foto in cui si elencavano i doveri delle donne nel 1950 o giù di lì, lui era al lavoro, io a casa a fare cosa importantissime, tipo cercare qualcuno che mi facesse in fretta e furia il semi-permanente alle unghie. Si, sono problemi grossi, lo so.
Qualcuno ha capito subito che erano commenti da troll, ha cercato di farlo notare, ma l'accorato appello a rendersi conto che li stava prendendo in giro è passato inascoltato.
Che poi eh, magari a voi non fa ridere, per carità, ma non è questo il punto.

Ad un certo punto, mi arriva un messaggio di una signora -molto gentile a dire il vero- che mi avvisa che il Marito è una persona orribile. La rassicuro dicendo che al massimo è scemo, ma non orribile e chiamo il Marito.
"Amò, ma che stai facendo?"
E lui, giustamente, scoppia a ridere.
A quel punto, vado a leggermi tutte le risposte al suo commento, giusto per farmi una risata.
Alcuni, come dicevo, avevano compreso di avere davanti un troll scemo, altri no. E per carità, magari non conoscendolo ci sta anche il non capire e il pensare che sia un idiota brutto e cattivo, però -come sempre- c'è un però.
Il però in questione sono i commenti inferociti di diverse donne che avevano preso seriamente il suo commento e che  invece di insultare lui per quello che aveva scritto cosa fanno?
Insultano sua moglie, quindi la sottoscritta. Io ero a casa a pensare al mio semi-permanente e nella discussione non c'entravo assolutamente nulla, non avevo scritto nulla, non ero neanche particolarmente interessata alla cosa.
Donne che rivendicano la superiorità delle donne insultando una donna che non c'entra nulla e che non hanno mai visto neanche in foto.
"La moglie è una sfigata". Ah. 
Quindi sono una sfigata
Mettiamo che il Marito fosse stato serio, cosa c'entro io? Perché non dire a lui che uno sfigato, ma dirlo a me completamente a caso?
"Tua moglie se la gode alle tue spalle con altri uomini". Ah.
Quindi oltre che sfigata, sono anche mignotta e vado con altri uomini completamente a caso.
"Tua moglie fa pena". Ah.
Sfigata, mignotta e anche suscitatrice di pena. Senza avere fatto nulla.
"Le donne hanno fatto grandi cose, noi donne siamo belle, brave e buone, ma tua moglie fa schifo". Ah.
Sfigata, mignotta, suscitatrice di pena e faccio anche schifo.
Gli insulti venivano tutti da donne che, per rivendicare la superiorità del gentil sesso, hanno pensato bene di insultare una che, come unica colpa aveva quella di stare cercando qualcuno che le facesse le unghie (cosa che in realtà loro non sapevano, ma tant'è) che lo so, lo so, è una grande colpa, me ne rendo conto, ma addirittura darmi della mignotta e della sfigata?

E quindi, leggendo le parole gentili che mi sono state rivolte senza che io fossi intervenuta nella discussione, ho iniziato a farmi delle domande: perché non insultare il diretto interessato dicendogli, che ne so, che era uno sfigato, un puttaniere, che ha il pisello piccolo?  
Perché insultare la di lui consorte che ha, a quanto pare, come unica colpa quella di essere una donna? 
Gli uomini che non avevano colto l'ironia -pochi, pochissimi- a dire il vero hanno insultato lui, non hanno tirato in ballo la povera moglie. Le donne invece si sono scagliate tutte contro di me.

Io non sono una di quelle che sta lì a piangersi addosso perché le donne sono trattate male dalla società intera, dubito che farò mai una cosa del genere, mi sta anche un po' sulle palle chi urla continuamente al sessismo (qui per saperne di più), ma ammetto che questo accanirsi contro una donna sconosciuta da parte di altre donne mi ha lasciata un po' perplessa.
Un uomo mi fa arrabbiare e quindi io insulto una donna. Non fa una piega.
Poi però non vi lamentate se un uomo vi insulta a caso, eh. Siate coerenti almeno.

A questo punto visto che una risposta ai miei dubbi non ce l'ho, che volete che vi dica?
Voi insultate a caso, io sarò anche una sfigata, ma nel frattempo ho trovato qualcuno che mi ha fatto le unghie e posso morire mignotta e felice.



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giovedì 4 gennaio 2018

Mia nonna mi ha fatto il corredo

Mia nonna mi ha fatto il corredo.
Un tempo si usava fare il corredo, credo però che questa usanza fosse già un po' in disuso quando io ero ragazzina.
Mia nonna era nata nel 1932 e nonostante sia stata una delle donne più avanti che io abbia mai conosciuto in vita mia, aveva voluto fare questo regalo alla sua nipote preferita.
Non sono l'unica nipote di mia nonna materna, ma sono sempre stata la luce dei suoi occhi, il suo grande amore, la sua più grande ragione di vita. Non è un segreto, è sempre stato così.
So però che è morta con il grande rammarico di non avere mai vissuto l'altra nipote, figlia di mio zio che per una serie di motivi non abbiamo mai visto molto.
Credo che nella tomba si sia portata questo grande dolore, ma non ci sarà mai nessuno che potrà venirmi a dire se ho torto o ragione.
Quando mia nonna è morta avevo diciassette anni (qui per saperne di più) e il corredo era già lì, conservato in splendide scatole -alcune davvero enormi- riposte nello sgabuzzino di casa dei miei genitori.

Vivo da sola da più di dieci anni ormai, ho comprato lenzuola, asciugamani e pigiami come se piovesse, ma il corredo non l'ho mai toccato.
No, non perché stavo aspettando di sposarmi per poter utilizzare lenzuola di seta che costano quanto tutti i miei copripiumino Ikea messi insieme, ma perché io sono un disastro.
Odio pulire, lavare, sistemare, non parliamo poi di stirare (qui per saperne di più), quindi avevo paura di disintegrare il preziosissimo regalo di mia nonna al primo lavaggio sbagliato in lavatrice.
Già me le immagino le Barbie della figlia di qualche amica con la camicia da notte osé in seta purissima da me ristretta dopo un lavaggio a 90°. O forse quella che si restringe è la lana e non la seta, chissà.
Insomma, questo era un rischio che non potevo assumermi.

Un paio di anni fa, avevo controllato il contenuto delle scatole e avevo trovato davvero camicie da notte in seta purissima e pizzo che io mi vergognano solo a guardarle, figuriamoci ad indossarle.
Mia nonna non poteva prevedere che sarei cresciuta con la stessa femminilità di un orso bruno affamato. 
Io e il Marito avevamo adocchiato una coperta che ci piaceva, abbinata a delle lenzuola molto molto belle, ma poi era arrivato il cane a ricordarci che il letto è anche suo e avevamo rinunciato all'idea.
E poi ecco, magari il copripiumino Ikea a righe verdi e fucsia si offendeva, chi lo sa.

Durante le ultime vacanze mia madre mi ha minacciata con il cucchiaio di legno in mano: "O ti porti qualcosa o se ti becco a comprare lenzuola da due soldi a te ci penso io".
Voi non avete idea di come può incutere timore lo sguardo di disapprovazione di mia madre che, probabilmente, mentre tirava fuori un paio di scatole contenenti tovaglie da tavola con tovaglioli abbinati pensava che la sua unica figlia, nonché unica erede, era stata capace di comprarsi una tovaglia da tavola persino a Stoccolma e di riportarsela in una valigia già strabordante di cose (qui per saperne di più).
Lo so, mia madre meritava una figlia meno scema, ma non è colpa mia. E comunque la tovaglia di Ikea limited edition merita davvero, eh.
Insomma, abbiamo effettivamente deciso di portarci qualcosa, facendo un'accurata selezione che si sa che io sono una persona decisa: incapace di scegliere ho preso praticamente tutto. Ho poi dovuto fare i conti con la realtà: la macchina era piena di valigie e cibo e o abbandonavamo il cane (e non ci sembrava il caso) o lasciavamo qualcosa.
Alla fine abbiamo portato con noi la coperta che ci piaceva tanto e le lenzuola abbinante. Solo la coperta occupava più spazio delle nostre valigie.

Ieri abbiamo rifatto il letto con le nostre nuova lenzuola del famoso corredo, abbiamo sistemato la nostra nuova coperta e, quando abbiamo finito, a me è venuto da piangere.
Il Marito, che mi conosce fin troppo bene, mi ha abbracciata e mi ha detto: "Hai visto? Ora hai le cose di tua nonna".


Ho amato mia nonna come poche persone al mondo e ho il grande rimpianto di non averla avuta accanto in momenti importanti della mia vita.
Il giorno prima di sposarmi ho detto a mia madre: "Mamma, ma se nonna fosse stata viva, sarebbe stata qui, vero?"
E mia madre mi ha risposto:"Tua nonna avrebbe diretto i preparativi, sarebbe venuta a Roma e non ti avrebbe lasciata un attimo".
Di mia nonna mi restano alcuni gioielli, soprattutto anelli, compresa la sua fede nuziale e questo corredo che forse molti considereranno un'idea retrograda, chi lo sa.
Io so solo che adesso che ho trentuno anni, dopo quattordici anni che mia nonna non posso né abbracciarla né sentirla parlare, avere queste cose è un grande regalo.
Prometto di portare, all'occorrenza, tutto in tintoria per evitare di fare danni.

Grazie nonna, ovunque tu sia.

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mercoledì 3 gennaio 2018

Storia di un nuovo anno iniziato col botto

Questo nuovo anno mi sta già un po' antipatico.
Sarà che ho trovato una copia esatta di questo blog in rete e che mi sono arrabbiata tantissimo.
Si, mi hanno clonato il blog, roba che non può essere vero, ma invece lo è e io mi sarei quasi rotta le palle di tutte queste cose che non possono essere vere.
Me ne sono accorta due sere fa, mentre controllavo dei dati e non l'ho presa benissimo.
Dopo un post di denuncia su Facebook il clone è stato rimosso, ma ovviamente -visto che sono una persona pacifica- la questione non finisce qui.
Quindi insomma, questo 2018 è iniziato con una me arrabbiata per la scoperta di essere stata -ancora una volta- copiata. Solo che stavolta non mi avevano copiato un solo post (cosa che, per la cronaca, mi fa diventare una bestia comunque), ma tutto il blog. Persino la mia amata immagine copertina, realizzata su misura per me, era stata rubata.
Ammetto però che grazie al potere calmante del santo Marito e all'aiuto di un gruppo di blogger meraviglioso sono riuscita ad affrontare la questione nel modo giusto, prendendo tutti i provvedimenti del caso.


Soprassiedo su tutti gli inconvenienti casalinghi di questi primi tre giorni dell'anno, vi basta sapere che ho chiamato l'idraulico di mia suocera praticamente in lacrime disposta a pagare, per il suo intervento, qualsiasi cifra. 

E sono anche tornata dalle vacanze di Natale con la ciccia che ormai gode di vita propria perché, ecco, mia madre ci vede sempre troppo magri e quindi ci prepara da mangiare come se fossimo dodici invece che tre, cane compreso.
Il cane, per dire, ha una pancia spaventosa e giustamente ci odia perché noi gli diamo croccantini e non pesce fresco, carne e pollo cucinati apposta che "poverino, ha fame, si vede che non gli date abbastanza da mangiare".

Questo nuovo anno però inizia con un cambiamento importante che mi fa sentire gratificata come poche volte mi è successo. Ne avevo già parlato a dire il vero (qui per saperne di più), però ogni promessa è debito, almeno a casa mia.
Lunedì inizia una nuova avventura lavorativa.
No, non ho cambiato lavoro, continuerò a fare quello che faccio da sempre, solo in un contesto un po' diverso. 
Il giorno che mi hanno detto "Benvenuta tra noi", detto per altro da una persona che ha anche una pagina su Wikipedia (prima o poi anche io l'avrò, me lo sento) è stato bello, ho avuto la sensazione di avere finalmente messo un punto ad una situazione di stallo che durava dai tempi della chiusura del canale che ho amato di più in vita mia (qui per saperne di più).
Ne avrei di cose da raccontare su questo nuovo lavoro, potrei parlarne per ore.
Potrei descrivere il modo in cui mi hanno accolta, quello che mi hanno dato, quanto belle sono le sedi, ma finirei per diventare pesante.

Così insomma è iniziato questo nuovo anno che si, mi è già antipatico, ma sono fiduciosa all'idea che potrebbe essere un anno meraviglioso.
In fondo è un anno pari e gli anni pari sono sempre i più belli.

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