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martedì 27 febbraio 2024

Quando mia madre si è trasferita a Roma dalla Sicilia

Quando mia madre si è trasferita a Roma, la mia vita è cambiata. In meglio ovviamente.

Era poco più di un anno fa quando mia madre, al telefono, mi disse che stava pensando seriamente di trasferirsi a Roma. Era appena tornata da una crociera lunghissima (ma considerate che in navigazione non le prendeva il telefono, quindi percepivo ogni ora come tre giorni) ai Caraibi e le era balenata questa idea per la mente. 
"Aspetta Madre, fermi tutti, adesso vengo lì e ne parliamo".
Avevo chiesto qualche giorno di ferie ed ero corsa a Palermo. Mia madre sembrava convinta, avevamo iniziato a valutare svariate ipotesi e, una volta rientrata a Roma, avevo iniziato a cercare casa per lei.
L'impresa sembrava impossibile, non riuscivo a trovare niente di decente, finché un giorno mi si è presentata davanti una casa quasi perfetta, a soli seicento metri da casa mia.
Mia madre non l'ha nemmeno vista, se non attraverso un video che avevo fatto con il cellulare.
Io avevo rispettato -ovviamente- ogni sua richiesta e avevo valutato ogni singola cosa.
La casa sarebbe stata libera solo ad Agosto -era Aprile quando l'ho vista- e a quel punto bisognava capire cosa tenere e cosa lasciare di una vita intera trascorsa in una casa enorme, più grande il doppio di quella in cui sarebbe andata a vivere.
Sono tornata a Palermo e ho iniziato a fare scatoloni. Di libri, di piatti e bicchieri, di tutti i ricordi della mia adolescenza, delle coppe di mio padre, di un sacco di altre cose. 
Avevo parlato con il traslocatore insieme a mia madre, abbiamo organizzato ogni singola cosa.
Sarei dovuta tornare a Palermo a Giugno, per tutto il mese, rifinire con lei le ultime cose, partecipare al memorial che si è svolto all'ippodromo di Palermo in memoria di mio padre (qui se volete vedere il centrale), vivermi la mia città natale, le mie amiche (soprattutto lei che resta sempre e comunque il mio porto sicuro) e un sacco di altre cose, ma siccome la fortuna é cieca, ma la sfiga ci vede benissimo, a fine Maggio sono stata operata a menisco e crociato e, nonostante mi sia letteralemnte fatta il c**o per rimettermi in piedi, non sono riuscita ad andare. Ho però scelto le coppe per la premiazione del memorial, sobrie come piacciono a me.
Mia madre, arzilla settantaquatrenne (quando leggerà che l'ho chiamata così probabilmente mi farà torturare dal  gatto, ma tant'é), se l'é quindi dovuta cavare da sola nel rush finale di questo trasloco dalla Sicilia verso il continente.

Ha preso la nave da Termini Imerese a Civitavecchia la notte tra il 31 Luglio e il 1 Agosto con il gatto e poche altre cose (tra cui litri di olio, tantissimi litri di olio perché ad un siciliano puoi togliere quasi tutto, ma di sicuro non l'olio buono) ed è arrivata a casa mia nel pomeriggio.
Quella mattina, vista l'impossibilità di mettermi in contatto con Madre, avevo controllato con un mio collega lo stato di avanzamento della nave nel Mar Mediterraneo, dopo che lui aveva intercettato la nave tra quel mezzo milione di navi, barche, barchette che navigavano felici.
Ed é stato così che nel primo pomeriggio, la Madre é arrivata finalmente a casa mia.
Per festeggiare il suo arrivo, ho trascorso tutta la sera a cercare il gatto che sembrava sparito nel nulla. Mia madre ovviamente sosteneva che l'avevano mangiato i miei cani -che pesano meno di lui e comunque hanno paura dei gatti- mentre io sostenevo che si era suicidato buttandosi dal balcone. In realtà il gatto era solo andato nel balcone della vicina a farsi un giro e si è palesato solo dopo che avevo smontato tutta la casa, suonato a tutti i vicini, preso gli insulti di mia madre, ordinato ai cani di dirmi dove cavolo era finito quello str***o con coda e vibrisse. L'amata madre ha comunque asserito che il gatto era andato dalla vicina perché infastidito dalla presenza invadente dei due cani che avevano addirittura osato stare nelle loro cucce a casa loro. Sti maleducati a quattro zampe.

Agosto è stato un mese difficile, difficilissimo.
Quando finalmente la casa era pronta, non era comunque ancora arrivato il camion dei traslochi -che è poi arrivato dopo venticinque giorni- e, in ogni caso, a Roma era praticamente tutto chiuso, tutti in ferie e qualsiasi cosa ci servisse bisognava aspettare (banalmente, un elettricista o qualcuno per le pulizie, ma potrei fare un sacco di altri esempi). Quando é arrivato il camion, é stato necessario aprire gli scatoloni che erano talmente tanti che ancora adesso qualcuno giace lì, chiuso, in attesa che a qualcuno venga l'ispirazione per aprirli. Mia madre sostiene che dovrei farlo io, il che potenzialmente potrebbe essere vero, tuttavia al momento non ne ho intenzione.
Poi, piano piano, la strada é diventata in discesa.



Sono trascorsi sette mesi da quando mia madre vive a Roma
La vedo praticamente tutti i giorni, anche solo per cinque minuti.
Abita a seicento metri da casa mia, quindi posso passarci anche per un attimo quando porto fuori i cani. Dove non arrivo io che tra palestra, lavoro e commissioni sono fuori casa quattordici ore al giorno, arriva lei.
Quando a Dicembre ho avuto un malore, é stata lei a portarmi al pronto soccorso, nonostante io avessi detto che non era niente. Al pronto soccorso c'ero arrivata in codice rosso, mi avevano ricoverata d'urgenza, in molti -troppi- hanno pensato che o non ne sarei uscita o ne sarei uscita in malo modo. Mia madre é sempre stata lì, chissà come sarebbe andata se era a Palermo e non a Roma.
Per sedici anni sono stata a 1000 km di distanza da lei (e anche da mio padre, finché c'è stato), mi sono persa molte cose. ho invidiato -si, invidiato- chi aveva i genitori a pochi km di distanza, poteva vederli quando e come voleva, senza bisogno di prendere un aereo o comunque un qualsiasi altro mezzo di trasporto a lunga percorrenza.

Quello di mia madre é stato un salto nel buio, fatto solo ed esclusivamente per amore nei confronti della sua bambina. Oggi ha una vita ancora più piena di quella che aveva a Palermo, per pranzare con lei é necessario prendere appuntamento un mese prima e rispettare pedissequamente la fascia oraria dedicata perché prima ha sicuramente una colazione e dopo una merenda o un aperitivo. O la scuola di balli country. O una gita da qualche parte. O un museo da visitare. O uno spettacolo da andare a vedere a teatro. O qualsiasi altra cosa vi venga in mente. Ma lei è fatta così, fa mille cose e se avanza tempo ci aggiunge la milleunesima.
É bello, bellissimo.
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giovedì 9 febbraio 2023

Sono nata donna, ma non sono una fattrice

Perché non fai un figlio?
Quando fai un figlio?
Se non hai figli non vali niente.
Mia moglie/mia zia/mia sorella alla tua età avevano già tre figli.
Un figlio è la cosa più nella del mondo, non sai cosa ti perdi.
Devi fare un figlio.
Ormai sei vecchia, devi sbrigarti a fare un figlio.
Perché non fai un figlio?
Quindi? Perché?
Fai un figlio.
Perché  non lo fai? 
Non sei nulla senza un figlio.


Perché sono cazzi -o forse sarebbe meglio dire uteri- miei.
Perché non posso averne.
Perché il mio compagno non può averne.
Perché sia io che il mio compagno possiamo avere figli, ma non arrivano, nonostante ci stiamo provando da cinque anni.
Perché il mio compagno mi riempie di botte, non so come uscirne e un figlio è l'ultimo dei miei pensieri.
Perché non ho un compagno e non voglio riprodurmi con il primo che passa.
Perché sono ala quinta PMA e nessuna di queste ha avuto successo e, sia io che il mio compagno, siamo distrutti da questo percorso.
Perché ho avuto tre aborti spontanei alla quinta settimana di gravidanza.
Perché ho fatto un IVG e ne sono uscita traumatizzata.
Perché ho avuto un aborto, poco importa se spontaneo o meno, ci sono state delle complicazioni e non posso più avere figli.
Perché ho subito una isterectomia.
Perché mi hanno tolto le ovaie.
Perché ho una patologia che mi impedisce di portare e termine una gravidanza.
Perché ho una malattia ereditaria e l'idea che possa avercela anche mio figlio mi spaventa.
Perché ho un cancro al seno e mi sto curando.
Perché soffro di DCA  e le alterazioni dell'immagine corporea mi devasterebbero.
Perché ho una dipendenza e voglio prima curarmi, poi si vedrà.
Perché ho altre priorità.
Perché voglio laurearmi.
Perché voglio dedicarmi alla carriera.
Perché ho lo stesso istinto materno di Erode.
Perché sono stata violentata e ho difficoltà ad avere rapporti sessuali per lo shock.
Perché non ho un lavoro.
Perché non ho un lavoro stabile.
Perché non ho una stabilità economica tale da poter mantenere un figlio.
Perché ho molti debiti e non riesco neanche a mangiare tutti i giorni.
Perché voglio dedicarmi alla mia carriera sportiva.
Perché l'utero è mio e ne faccio quello che voglio.
Perché sono nata donna, ma non sono una fattrice che deve riprodursi per forza.
Perché non voglio figli.
Per un milione di ragioni che non sono tenuta a spiegarti, mentre tu sei tenuto a non molestarmi.
Si, sono molestie.
Molestie di cui dovreste solo vergognarvi.


Se siete vittime di un parente, un amico, un collega che vi tormenta con domande o affermazioni simili alzate la voce. Sempre. Non permettete a nessuno di dirvi chi dovete essere e cosa dovete fare.
Non vergognatevi. Deve vergognarsi chi vi molesta, non voi. Mai.

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domenica 11 aprile 2021

Le mamme pancine sono tra noi ovvero "se non sei mai mamma non puoi capire"

Qualche settimana fa mi sono imbattuta nella classica pancina convinta che aver portato in grembo un pargolo, averlo partorito e crescerlo, sia una cosa che renda un Dio sceso in terra, superiore a chiunque altro respiri, pesci rossi e opossum inclusi.
Sarà che le donne partoriscono da qualche migliaio di anni, da qualche tempo partoriscono persino alcuni uomini, quindi figuriamoci; sarà che di madri  è pieno il mondo; sarà che fortunatamente tutte le madri che conosco, inclusa la mia, sono madri normali che non sono convinte di avere salvato il mondo da una pandemia mondiale (ogni riferimento a pandemie in corso è puramente casuale), ma no, io non pensavo che avrei avuto così vicino a me una pancina. Pensavo fossero un'invenzione dei media o che comunque fossero relegate in gruppi Facebook in cui l'unico requisito per entrare fosse quello di avere un q.i. inferiore a 15 e invece sbagliavo: è un attimo che ci si trovi di fronte una pancina salvatrice del mondo.

Nel caso specifico, si parlava di tenersi in forma: l'articolo in se sosteneva fosse una questione di genetica, fortuna e molto tempo libero; chi -come me- tiene molto alla forma fisica, sosteneva che volere è potere, ma che -almeno secondo me- non bisogna volerlo per forza.
L'addome scolpito non salva vite e, credetemi, non serve a niente: se vi piace e lo volete potete averlo, ma se non ve ne frega nulla posso solo dirvi che fate bene. E ve lo dico pur avendo gli addominali in vista che manco Dio sa quanta fatica e costanza mi costano e quanto spesso io ripeta che forse sarebbe meglio avere la massa grassa al 92%, ma porre fine a tutta sta fatica.
Lo stesso vale per il culo sodo e per una serie di altre cose di cui, giuro, potete fare a meno e vivere ugualmente felici.
La mammina pancina sosteneva che no, le mamme non possono tenersi in forma: le mamme sono tutte -ma proprio tutte- grasse e sciatte perché non hanno tempo di prendersi cura di se, figuriamoci se lavorano (ma meglio che una mamma non lavori ovviamente, potrebbe essere considerato abbandono di minore). Tale mamma pancina, dall'alto della sua supremazia rispettoo ai comuni mortali, ha altresi affermato che chi non è mamma non può capire. Una non mamma non può capire che le mamme devono essere tutte grasse e sciatte e non tenersi in forma. Dopo qualche altro insulto su come le non madri siano praticamente degli esseri umani a metà, non meritevoli di respirare la stessa aria delle onniscienti pancine, le madri normali sono quasi insorte e, a quel punto, la sciatta pancina si è data, come si dice a Roma.
Al di là che io sono cresciuta con una madre che ha sempre fatto sport pur essendosi riprodotta e avendo un lavoro, ci sono moltissime madri -lavoratrici e non- che si tengono in forma, che fanno sport, che hanno fisici che io mi sognavo anche a vent'anni e che hanno -udite, udite- dei compagni che si prendono cura dei figli e che non vengono trattati come meri donatori di sperma che, una volta concepito il sacro pargolo che permetterà alla donna di fregiarsi del titolo di pancina, non servono più a niente, il problema non è questo. 

Il problema è che una frase che trovo pessima, ma davvero pessima, è dire a qualcuno "se non sei mamma non puoi capire", esattamente come troverei pessima la stessa frase anche se il sostantivo mamma fosse sostituito da un qualsiasi altro sostantivo.
Fermo restando che il problema non è essere in forma o meno: se una donna vuole essere grassa, sciatta, magra, curata, avere il bicipite possente, i capelli fucsia (che io desidero moltissimo, ma questa è un'altra storia), le braccia piene di tatuaggi o qualsiasi altra cosa va benissimo. Presumo che ognuno possa decidere di essere come vuole e come si sente felice, ma questo forse lo penso io e altri tre scemi idealisti come me e comunque chi se ne frega se vi allenate o no (ma quest'ultima frase forse non si dice).
Il problema è, appunto, la frase: bullizzare qualcuno perché non è madre o padre o qualsiasi altra cosa fa schifo
E fa schifo perché non sappiamo -e non sapremo mai- cosa si nasconde dietro la non maternità di una persona.
Ho un'amica che ha affrontato un lungo percorso di pma per riuscire ad avere il suo primo figlio e che ne ha sofferto molto.
Ho un'altra amica che è state vittime di poliabortività, idem la sorella di una mia compagna di scuola: entrambe ne hanno sofferto molto.
Ho una persona molto vicina che non è mai riuscita a coronare il desiderio di diventare madre a causa di problemi di salute e che, per questo, ha visto la sua vita sgretolarsi.
C'è poi un'amica che ha ricorso ad un aborto terapeutico, una scelta che l'ha segnata moltissimo e che l'ha fatta soffrire più di quanto lei stessa immaginasse.
Conosco donne che sono realizzate pur senza essere diventate madri e donne che non vogliono figli neanche dopo morte: alcune di queste donne hanno subito pressioni perché intorno a loro qualcuno riteneva che dovessero riprodursi e, se per qualcuna non è stato un problema, per altre lo è stato.
La maternità è un tema estremamente delicato e nessuna donna, ma neppure nessun uomo, dovrebbe permettersi di bullizzare chi madre non lo é, a maggior ragione se non si ha idea del motivo per cui non si hanno figli e quanto questo motivo abbia influito sulla psiche di chi si ha di fronte.



Che poi io non sono neanche troppo convinta che ad un figlio faccia bene avere una madre bulla, ma tant'è.


Di mamme pancine ne avevo parlato qui, trattandole come un fenomeno che aveva rotto le palle e affermando che non andavano prese in giro, ma semmai aiutate. Dopo essermi imbattuta nella bulla pancina, io non so mica più come è giusto rapportarsi a questa gente.

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lunedì 26 marzo 2018

Allergie alimentari: perché a volte ho paura di morire

Ieri pomeriggio ho avuto un'anafilassi.
Il punto non è questo però, se lo sto scrivendo vuol dire che sono viva e vegeta, come diceva mia nonna l'erba tinta non muore mai (dove tinta sta per cattiva, non colorata) e a me sta anche bene essere tinta, se serve a qualcosa.
Forse una contaminazione non dichiarata, sulla carta era tutto ok, non sono pazza e non corro rischio volontariamente.

Sono sola a Milano, non c'era nessuno a tenermi la mano.
Nessuno nel senso che marito e genitori sono lontani, mi hanno tenuto la mano attraverso le loro parole al telefono, ma io -soprattutto in questi casi- ho bisogno di loro.
Una sera, sette mesi fa, eravamo in pronto soccorso: mi ero addormentata sfinita con la testa sulle gambe di mia madre e il marito che mi accarezzava le gambe, mentre mio padre mi guardava, controllava che respirassi (qui per saperne di più).

Una cosa che faccio spesso, in questi casi, è mandare foto del primo piano delle mie labbra a chi di loro non è con me. Ho un repertorio infinito di foto delle labbra, mi servono per capire quanto si gonfia il labbro, in che tempi si sgonfia, se si sgonfia. E loro, genitori e marito, sono chiamati ad esprimere il proprio parere.

Quando avevo circa vent'anni, dopo un episodio molto brutto, la mia famiglia è stata affiancata in ospedale da una psicologa, niente di che, ma esiste il supporto psicologico per chi è gravemente allergico ed è -se vogliamo- una bella cosa. E questo dovrebbe fare riflettere sui risvolti che le allergie possono avere sulla psiche umana.
Io, di mio, ho sempre affrontato il problema prendendomi in giro, cercando di sdrammatizzare e con una forza, mi dicono, invidiabile.
Sulla forza avrei qualche dubbio, anche più di uno, semplicemente non ho grossa scelta. 

Ieri notte, intorno all'una, mi sono svegliata angosciata e ho chiamato mia madre piangendo disperata e chiedendole "perché proprio a me?".
"Mamma, sono stanca" ho detto.
"Amore mio, sei sempre stata forte"
"Mamma, non voglio morire"
A volte mi prende la paura di morire, credo sia fisiologico, il mio terrore più grande è morire da sola, lontana da casa, soffocando perché non sono riuscita a prendere in tempo l'adrenalina dalla borsa, a chiedere aiuto, a fare qualcosa. E poi penso al fatto che l'erba tinta non muore mai, quindi perché dovrei morire?
Insomma, ieri sera ho pianto un'ora al telefono con mia madre, disperata, stanca perché, a volte, non ne posso più.

Mi piacerebbe uscire di casa e andare a cena fuori senza dovere stare lì a chiedere, fare mille domande, seguire con lo sguardo i camerieri, cercare di non avere paura e, alla fine, rinunciare.
Mi piacerebbe che, quando qualcuno mi invita a cena, non debba stare a chiedermi per ore se questo va bene o no, se posso mandargli l'elenco di quello che non posso mangiare.
Mi piacerebbe molto non passare ore a leggere etichette dentro ad un supermercato che, alla fine, fare la spesa è uno dei più grandi stress della mia vita (qui per saperne di più).
Mi piacerebbe anche non condizionare inevitabilmente la vita di chi mi sta vicino perché, anche se nessuno me lo ha mai fatto pesare, so che è una rottura di coglioni incredibile (qui per saperne di più).
Mi piacerebbe non essere un peso per i colleghi che devono rinunciare a mangiare qualcosa nella stessa stanza in cui sono io, che devono andare da un'altra parte e che devono ricordarsi di lavarsi bene le mani e tutta una serie di altre piccole cose. Non me lo fanno pesare neanche loro, ma so che anche questa è un gran rottura di coglioni.
Mi piacerebbe non dover litigare con chi non capisce la gravità del problema, ultimamente lascio spesso perdere o meglio lo faccio da quando una tizia mi ha detto che i musulmani quando entrano in contatto con la carne di maiale non rompono mica le scatole come un allergico grave che entra in contatto con l'allergene. Lì mi sono davvero cadute le braccia e ho pensato, per l'ennesima volta, che la mia vita (e non solo la mia) sarebbe molto più semplice se alle persone non uscissero alla bocca queste cose che, immagino, siano anche frutto di un ragionamento.
Mi piacerebbe anche non aver rovinato momenti che potevano essere belli perché è stato necessario correre in ospedale.
Ho pensato che vorrei che i miei genitori e mio marito non avessero mai dovuto subire il dolore di vedermi intubata perché è una cosa che -anche se loro non lo dicono- non è semplice.
Vorrei che non vivessero con la preoccupazione che mi succeda qualcosa perché ho scelto di non chiudermi in casa. Ed è normale non averlo fatto, ho sempre cercato di vivere una vita normalissima, ma a volte, quando arriva l'anafilassi (o lo shock anafilattico) improvvisa nonostante tutte le accortezze prese, capisco che vivere in un mondo pieno di cibo per una persona il cui sistema immunitario è talmente imbecille da riconoscere come nemici acerrimi un sacco di alimenti non è sempre facile.
Ho paura di morire e, se dovessi scegliere una delle cose che mi fa più venire paura di morire, sceglierei la frutta a guscio. Che è ovunque.
Non dico mai niente di tutto ciò, ma a volte ci penso. E la scorsa notte ci ho pensato, mi ci sono arrovellata e ho iniziato a piangere.


E quindi pensando a tutte queste cose, mi sono sentita stanca, spossata e senza forze. 
Piangevo disperata parlando con mia mamma al telefono.
Alla fine anche mia madre piangeva perché io so che se potesse farebbe qualsiasi cosa per togliermi quello che in certi momenti considero un fardello e se lo prenderebbe lei.
Se potesse, si sarebbe fatta intubare al posto mio, si sarebbe riempita di adrenalina, cortisone, antistaminici e avrebbe guardato lei gli altri mangiare non potendo toccare assolutamente niente che adesso non mi pesa neanche più, ma quindici anni fa, dieci anni fa si, mi pesava.
Mia madre, e immagino anche mio padre, si prenderebbe tutto e toglierebbe qualsiasi problema alla sua unica figlia, come credo farebbe qualsiasi genitore. Perché la mamma è sempre la mamma.

Alla fine, mia madre mi ha fatto ridere, mi ha tranquillizzata, mi è venuto sonno e sono riuscita a dormire.
Stamattina era tutto dimenticato, sono tornata a ridere e sorridere.
Ho abituato chi mi sta intorno a vedermi sempre allegra, a riderci su, ad auto-definirmi gastrodeficiente e no, non voglio suscitare la pena di nessuno.
Sto cercando di spiegare perché a volte ho paura di morire. E quando succede non è facile. Tutto qui.
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mercoledì 17 gennaio 2018

Perché la mamma è sempre la mamma

La mamma è sempre la mamma diceva qualcuno, non so chi.
Anche il papà, eh, ma la mamma ha quel qualcosa in più, non saprei neanche come spiegarlo.

Mia madre è una generalessa. É cattivissima, severissima ed è anche pesante da sopportare, eh.
Io ho frequentato il liceo dove insegnava mia mamma, mai scelta fu più sbagliata perché se solo avessi scelto una qualsiasi altra scuola sarei andata avanti senza subire le cose peggiori.
Praticamente per non fare pensare a nessuno che io venissi trattata meglio degli altri, ero trattata peggio. Il ragionamento non fa una piega, insomma.
La mia fortuna è stata solo una: studiavo e tanto anche, andavo bene in tutte le materie, tranne matematica (dove comunque avevo un sei perché facevo pena alla professoressa) e buonanotte al secchio.
In ogni caso, io mi sono beccata due sospensioni a scuola, una di tre giorni e una di cinque, tanto che ancora adesso mia madre si chiede se io non avessi ammazzato il preside.
La risposta comunque è no, non l'avevo ammazzato, il motivo era un altro (qui per saperne di più) però ecco lui non andava molto d'accordo con la mia amata madre, diciamo così.
Ho accettato, sopportato e odiato profondamente la scuola.
Tutta sta pappardella per dire che mia madre mi controllava a vista, a me non era concesso neanche un ritardo di cinque minuti (si, andavo a scuola per i fatti miei), non mi era concesso di prendere un cinque e non mi erano concesse neanche un sacco di altre cose.
Io, ad esempio, non potevo dormire dalle amiche. A diciassette anni, eh, non a dodici.
Il motorino me lo ha comprato mio padre, quel sant'uomo, di nascosto da mia madre (che ovviamente lo ha scoperto subito e che ha anche pagato il primo pieno di benzina), ma in ogni caso entro una certa ora -prima di cena ovviamente- io dovevo tornare a casa, sia mai che al calar del buio fossi fuori casa su due ruote.

Fatta questa doverosa premessa, immagino sia chiaro che mia madre non è stata una madre troppo permissiva, che mi ha viziata, che mi ha messo su un piedistallo e via dicendo.
Io da ragazzina dubitavo persino che mi volesse bene, eh. Ero abbastanza convinta che le stessi antipatica, cosa per altro plausibile visto che simpatica non lo sono mai stata.
Mia madre, in realtà, mi ama profondamente. E io amo lei, è una figura importantissima, forse la più importante, io non potrei vivere senza mia madre.
La mamma è sempre la mamma, ve l'ho detto.


Io ho più di trent'anni, sono donna e moglie, lavoro, ho una casa e un sacco di responsabilità, ma sono anche figlia. Una figlia che ama profondamente i suoi genitori, anche se non lo dice poi così spesso.Una figlia che ha bisogna della sua mamma. E anche del suo papà, eh.
Mia madre risponde al telefono H24, anche a notte fonda, che siano telefonate o messaggi.
A mia madre devo la forza e il coraggio che mi trasmette e devo la tranquillità con cui reagisce alle foto che le mando dal pronto soccorso in piena notte.
Lei ci prova a stare calma per me. E per mio padre.
Mia madre è quella che, quando mi hanno ricoverato per l'appendicite a Bologna, ha preso un treno di corsa, ha viaggiato tutta la notte e la mattina dopo era lì con me a tenermi la mano (e le flebo).
Mia madre è la persona che ho chiamato, pregandola e supplicandola di venire (insieme a mio padre, eh) a Roma e passare con me quello che credevo sarebbe stato il mio ultimo Natale (qui per saperne di più).
Mia madre mi compra ancora i vestiti, visto che io non sono in grado, né tanto meno ho voglia, di farlo (qui per saperne di più).
Mia madre mi fa i bonifici con causale contributo mamma a caso. Perché così non spendo i miei soldi oppure perché così mi compro un cappotto decente, basta che non sia corto.
Mia madre mi ordina su Aliexpress i vestiti anni '50.
Mia madre ha sempre la parola giusta, non si stanca mai, non sta mai male (e anche se sta male, fa finta di niente), mette me prima di qualsiasi altra cosa.
Mia madre mi rimprovera, mi chiede dove vado e a che ora torno (quello però è più mio padre, ad onor del vero), mi dice di mangiare.
Mia madre non mangia la Nutella da quasi vent'anni (qui per saperne di più).
Mia madre non ha ancora capito che lavoro faccio esattamente, ma è comunque molto orgogliosa di me.
Mia madre coccola me e anche il Marito. E io le dico sempre che sono io la figlia, deve dedicarsi a me e solo a me, mica al Marito. E lei gli dice che non deve darmi retta.
Mia madre e il Marito si coalizzano contro di me, lo hanno fatto anche due sere fa, io ovviamente li ho mandati a quel paese entrambi, ma so che come mi amano loro non mi ama nessuno.
Mia madre è la madre che un giorno vorrei essere se mai farò un figlio. Perché la mamma è sempre la mamma, ve l'ho detto.


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mercoledì 1 novembre 2017

Perché le mamme pancine non mi divertono più

Questo è un post serio. O almeno io ci provo ad essere seria, magari non ci riuscirò.
Che poi eh, non che l'argomento si presti alla serietà.

Sapete tutti chi sono le mamme pancine, no?
Visto che presumo di si, andiamo subito al dunque: da qualche tempo -poco a dire il vero- le mamme pancine non mi divertono più. Cioè, non solo non mi divertono le cose che scrivono loro, ma iniziano a farmi antipatia i commenti cattivi ai loro post. O meglio, agli screen dei loro post.


Era qualche mese fa quando ho passato un'intera serata a leggere le perle pancinose al Marito, tra una sigaretta e l'altra (le sue sigarette e la mia sigaretta elettronica a dire il vero), ridendo come una disgraziata.
Si, sono stata una bulla che prende in giro le pancinose madri con il marito e con gli amici.
E se vi state chiedendo se esistono davvero queste donne, la risposta è si: qualche anno fa, ho conosciuto una mamma che allattava a richiesta il pargolo di 48 mesi.
E ricordo ancora il giorno in cui mi comunicò l'età del suo bambino e io pensai alla mia professoressa di matematica del liceo, quella santa donna che mi promuoveva sempre con 6 e addirittura mi ammise alla maturità con 7, nonostante avessi un evidente limite. Ci provavo eh, facevo ripetizioni, studiavo con le mie compagne, ma non c'era verso: non capivo un tubo.
Non sarebbe stata contenta la mia prof. di sapere che per scoprire a quanti anni corrispondo 48 mesi ho avuto bisogno di usare la calcolatrice.
Insomma, questa mamma allattava a richiesta un ragazzino quasi maggiorenne che al parco andava da lei e le tirava su la maglietta per mangiare. O bere. Quello che è.

Insomma, le mamme pancine mi hanno sempre divertita, poi mi sono stufata di leggere ovunque commenti a base di borse Livorno, no critiche solo complimenti, sofisticatine laureate al classico e giorni della rugiada.
Che all'inizio la presa in giro era anche divertente, poi è diventata stucchevole.
Praticamente se io pubblico una foto in cui si intravede una Louis Vuitton parte il commento "Oh, hai anche tu una borsa Livorno?". Battuta simpaticissima la prima volta, alla trecentesima voglio prendervi a testate.
Che poi, per dire, la sigla di Livorno non è manco LV, è più grave non sapere questo che non il non avere mai visto una Louis Vuitton. Che almeno la pancinosa madre, che magari la borsa LV non se la può comprare, non foraggia l'acquisto di falsi che non so se avete idea di quante Louis Vuitton false ci sono intorno a voi, ma tant'è.

Adesso passiamo alla parte seria: che nel 2017 esistano donne così ignoranti non fa ridere.
Cioè, magari un pochino si, ma quando uno ci pensa un secondo, non più. Fa piangere semmai.
È preoccupante, non divertente.
Qualcuno dice che la colpa è la loro che non si evolvono, che non usano lo smartphone per fare un corso accelerato di grammatica italiana, che non sanno che il sesso può essere bello anche per un donna, che conteggiano l'età dei figli come se fossero forme di parmigiano stagionato e che propinano torte fatte con latte materno e lasagne al sugo di placenta agli amici ignari che si siedono alla loro tavola, pensando che sia normale.
E magari avete anche ragione: la colpa è anche loro, ma non solo.

So che sembra incredibile, ma esistono contesti culturali in cui questa è la normalità.
Esistono famiglie, paeselli dove è normale pensare che le donne siano inferiori agli uomini e che debbano dedicarsi solo alla casa e ai figli, che gli specchi facciano esplodere bambini non battezzati, che il massimo della libidine sia un marito che ti tromba mentre dormi e roba così.
Se ci pensato un pochino, in realtà, non fa ridere. È inquietante, fa paura.
È gente che avrebbe bisogno di aiuto più che di essere presa per il culo.

Qualche anno fa, in una nota emittente televisiva per cui ho lavorato, abbiamo mandato in onda -in prima serata per altro- una ragazzina quindicenne al suo terzo figlio. Il fidanzatino aveva quattordici anni, la madre trentadue e il padre trentacinque. I genitori di lei erano incazzati neri perché il fidanzatino invece di pensare ad andare a lavorare -che a quattordici anni non credo sia neppure legale- pensava alla scuola. Sto stronzo.
Per la figlia avevano in mente un futuro brillante da casalinga: la madre era fiera del fatto che come lavava lei il pavimento nessuno mai. Ovviamente per lei la scuola non era neanche presa in considerazione, tanto c'era lui che doveva lavorare e mantenerla.
Che poi eh, scuola e lavoro a parte, che a quindici anni si abbiano tre figli a me fa venire i brividi, non so a voi.
La famigliola era munita di smartphone e anche di tv immagino, se conoscevano la nota emittente a cui avevano caldamente proposto la loro storia, però non avevano idea del fatto che quella non fosse una situazione normale.
In tre anni di quel programma, di situazioni così ne ho viste tantissime (questa era indubbiamente la più tragica) e prima che lo pensiate ve lo dico: venivano da ogni parte d'Italia, da nord a sud.
Molte erano famiglie da aiutare, noi invece le sbattevamo in prima serata (no, non avevo nessun potere decisionale al riguardo) per esporle al pubblico ludibrio. E lo share di quel programma era altissimo, eh.
Eppure forse una famiglia come quella andava aiutata in qualche modo, i ragazzini andavano mandati a scuola invece che a lavorare o a lavare i pavimenti. Forse, eh. La butto lì.

Non vi dico i commenti cattivi che ricevevano queste ragazzine, un po' come quelli che vengono fatte sulle mamme pancine.
Mamme pancine che, immagino, cresceranno figlie pancine che forse riusciranno a staccarsi da quel contesto, ma forse no. Propendo per il no.
Intanto partoriscono in mezzo al bosco, spediscono in giro latte materno per farsi fare ciondoli e orecchini, non tagliano il cordone ombelicale che non so mica se siano pratiche sane, igieniche e prive di pericoli.
Noi invece le prendiamo in giro facendo sempre le stesse battute tristissime. E no, non fa ridere, fa piangere. L'ho già detto che non fa (più) ridere?
Pensateci, eh.

Però eh, che sia chiaro che nessuno vi chiede di aiutare qualcuno, si può anche ignorare però, non per forza prendere in giro.
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giovedì 8 giugno 2017

Tutti potremmo dimenticare nostro figlio in macchina

Non ho figli. Al momento non ne voglio, non sono pronta e non so se lo sarò mai.
Mio marito, da un po' di tempo a questa parte, dice che, se mai avremo un figlio, sente che sarà una femmina. Dice anche lo stuzzica l'idea della femmina. Credo che sarebbe un buon padre, molto migliore di me come madre.
Sono spesso stanca. Altrettanto spesso vado di corsa, ci sono periodi che non mi fermo mai. A volte i pensieri mi tormentano. In quei momenti vorrei solo dormire, ma non posso.
Segno tutto sul calendario: le scadenze, gli appuntamenti, le visite mediche. Il calendario è davanti al frigorifero, quindi non posso non vederlo: ogni volta che bevo un po' d'acqua o preparo da mangiare, lui è lì a ricordarmi cosa devo fare.
Eppure mi dimentico tante cose: dimentico quello che mi dice il Marito, dimentico di comprare qualcosa, dimentico di chiamare qualcuno, perdo il burro cacao e la pinza per i capelli. Me ne ricordo improvvisamente dopo ore, ho come un'illuminazione. A volte mi sento in colpa per quello che dimentico, altre no.
Anche il Marito a volte è stanco e anche lui dimentica qualcosa.
Cerchiamo di ricordarci a vicenda le cose.
Una volta abbiamo dimenticato il cane: tornavamo da una passeggiata con i nostri due cani, siamo entrati in casa sia io che lui, uno dei due cani è entrato con noi e l'altro no. Dopo un po' ci siamo resi conto che mancava, ci guardavamo intorno, la chiamavamo, ma non arrivava. Abbiamo aperto la porta di casa e l'abbiamo trovata sul tappeto davanti la porta, sdraiata, che aspettava soltanto che qualcuno si ricordasse di lei. L'abbiamo coccolata, ci siamo sentiti in colpa, non siamo riusciti a capire come fosse stato possibile che noi tre fossimo entrati e lei fosse rimasta fuori e ancora oggi che lei non c'è più a volte ricordiamo quell'episodio e ci chiediamo come sia potuto succedere.
La verità è che può succedere di dimenticarsi qualcosa. Si, può succedere anche di dimenticarsi un figlio, così come noi ci siamo dimenticati il cane.
Voi direte che un cane non è figlio, io vi rispondo che lei era la mia vita e che il principio per le quali ci sono donne e uomini che dimenticano in auto i loro figli è lo stesso identico per cui io e Marito abbiamo dimenticato il cane fuori dalla porta.
Succede. Non dovrebbe succedere, ma succede.
Succede che la mente si offuschi. Li chiamano eventi dissociativi o disconnessioni mentali, io non ho idea di quale sia la corretta definizione medica per questo fenomeno, ma so che succede.
Ed è tremendo, è atroce, è una cosa pazzesca, ma succede.
E io non riesco a condannare questi genitori. Non riesco neppure lontanamente ad immaginare come ci si possa sentire quando ti dimentichi tuo figlio, il tuo bambino, che magari hai disperatamente voluto, cercato e quel fagottino muore. 


Non posso immaginare il dolore dei due genitori e i sensi di colpa di chi dei due ha avuto quella dimenticanza fatale.
Non voglio neppure immaginare quanto possa essere atroce morire di caldo dentro una macchina, magari sotto al sole rovente di Agosto, non lo voglio sapere, voglio tenere la testa sotto la sabbia. 
Non riesco a giudicare, non riesco a dire "Aame non succederebbe mai" e non solo perché non ho un figlio. Semplicemente non posso escludere che una cosa del genere, se avessi un frugoletto, possa capitare a me. O a mio marito che sono convinta sarebbe un padre meraviglioso.
So che non ho più vent'anni, che cerco di incastrare tutto, che corro, che ho tanti pensieri. E so anche che a volte dimentico qualcosa.
Ve lo ricordate com'era avere vent'anni? Io dormivo poco, facevo tante cose, lavoravo, studiavo, uscivo e non dimenticavo praticamente niente. Poi non so cosa sia successo.
So che ogni giorno faccio tantissimi gesti automatici, a cui non penso neppure. Li faccio e basta. E so che forse, se avessi un figlio, diventerebbe un gesto automatico anche metterlo in macchina la mattina, accompagnarlo all'asilo, andare a lavoro, poi andare a riprenderlo e così via in una successione automatica di gesti.
So che a volte uno di questi gesti automatici sfugge. E potrebbe essere una tragedia immensa.
A volte la tragedia viene evitata, altre volte no. E quando non viene evitata, credo che l'unica cosa da fare sia rimanere in silenzio e non dire mai: "A me non sarebbe successo", perché credetemi che è un attimo. E quell'attimo potrebbe bastare.
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venerdì 19 maggio 2017

Quell'amore di un genitore per i figli

I mobili della mia cameretta, quella in cui ho dormito ogni notte fino a vent'anni, sono bianchi e gialli. Il giallo è esattamente quel giallo limone che mi piace da morire.
Chiamarla cameretta è un po' riduttivo se consideriamo che è grande quasi quanto casa mia a Roma, ma fa tanto bambina e adolescente che non me la sento di chiamarla in modo diverso.
E' rimasta praticamente identica negli anni con sopra il letto una foto gigante di una me diecimesenne appena dimessa dall'ospedale dopo una combo micidiale di pertosse e gastroenterite, l'angolo destinato alla mia collezione di mucche provenienti da tutto il mondo, accrediti di festival cinematografici, le scatole contenenti le letterine che ricevevo da ragazzina dalle amiche di penna sparse per l'Italia e non solo. Armadi e cassetti sono vuoti, fatta eccezione per qualcosa che non metterei più neppure dopo morta, ma che mi ostino a voler conservare per motivi che francamente ignoro persino io.
La mia è la prima camera da letto che si incontra percorrendo il lungo corridoio, le altre sono in fondo e questa cosa non mi piace. Se per questo, non mi piace neppure che la mia sia l'unica camera da letto senza un balcone, c'è solo una finestra che prende tutta una parete e dalla quale, se ti affacci, vedi il mare e le montagne.
Mi addormento con la porta socchiusa, quando dormo nella mia cameretta, mi fa sentire più protetta, nonostante per anni, da brava figlia unica, io abbia dormito solo ed unicamente da sola. Non sono più abituata a farlo e non mi piace non sentire nessuno intorno.
Vado quasi sempre a letto prima dei miei genitori che rimangono a guardare la tv sulle loro poltrone, a volte sento i loro discorsi e intervengo strillando. Loro ridono, non si capacitano di come, nonostante la distanza tra una stanza e l'altra e la tv accesa io riesca a captare ogni singola parola. Non lo so neppure io, a dire il vero. 
Quando mia madre va a letto, passa dalla mia camera, mi sistema le coperte, mi da un bacio e mi dice buonanotte. A volte dormo già, a volte no, ma anche se non la sento sono sicura di questo suo gesto.
La sento che dice a mio padre di abbassare il volume della televisione altrimenti la piccolina non riesce a dormire. Se sono sveglia ripassare a chiedermi se mi da fastidio il volume delle chiacchiere, come chiamo io quei programmi in cui non fanno altro che chiacchierare del nulla e che a mio padre piacciono tanto.
Quando mio padre va a letto, passa anche lui, controlla che la piccolina stia dormendo. Se non dormo mi dice buonanotte, se dormo già lo dice lo stesso e a volte mi sveglio perché parla ad alta voce (d qualcuno avrò pur preso).
So che mia madre, se si sveglia durante la notte per un qualsiasi motivo, viene a controllare che sia tutto ok, che io stia dormendo, che non mi sia scoperta, che la gatta cattiva non mi abbia aggredito nel sonno, cosa di cui sarebbe assolutamente capace.
So anche che quando si alza definitivamente, la mattina dopo, chiude la mia porta per evitare che i rumori mi disturbino e la riapre solo per svegliarmi o se il gatto, quello buono, vuole venire da me.
Il gatto buono si chiama Remo, è romano e soprattutto è il mio gatto. Lui sa che io sono la sua vera mamma umana. A volte dorme sul mio letto, altre volte si sdraia su una sedia o su un pouf della mia cameretta e sta lì con me, forse si preoccupa anche lui che io dorma bene.
La gatta cattiva invece dorme sotto il mio letto, convinta di non essere vista. Lei sa che nè io nè Remo la vediamo di buon occhio e noi sappiamo che lei in realtà ci detesta entrambi perché deve dividere con noi l'amore dei miei genitori.


Da nessuna parte al mondo, dormo bene come nel mio letto, lì nella mia cameretta palermitana, nonostante siano dieci anni che io quella cameretta l'ho abbandonata.
E si, i miei genitori vegliano sul mio sonno, si preoccupano per me come se non avessi trentuno anni, un marito ed una casa perché una figlia è pur sempre una figlia e la si vede piccola e indifesa anche quando cresce. E finché ci saranno loro ad amarmi così, non avrò paura di niente.



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martedì 13 settembre 2016

Quando anche a me ad un colloquio hanno chiesto "Intendi avere figli?"

Ve l'ho detto che durante le vacanze ho ricevuto ben tre proposte di lavoro?
Ad Agosto, in Italia, io ho ricevuto tre proposte di lavoro. Sembra quasi una barzelletta.
Mi sarei quasi dovuta commuovere in effetti, ma visto che sono un mostro non mi sono commossa. E ho fatto bene.
Ad un certo punto, mi ha telefonato un tizio, super mega capo di un'emittente televisiva locale sul canale 2000 del DTT (che si commenta da solo).
Io, però, sono fatalista e vado sempre a sentire, sai mai.
Due giorni prima di questo fortunato incontro con il super mega capo, dicevo a gran voce che a me mai avevano chiesto se intendessi riprodurmi ad un colloquio di lavoro. E in effetti, era vero.
Avevo la risposta in serbo per questa domanda da anni, conservata lì, pregando di riuscire a tirarla fuori qualora se ne fosse presentata l'occasione.
Procediamo con ordine: il super mega capo era oggettivamente ferrato in ambito televisivo, mi piace parlare con chi conosce l'argomento perché -quanto meno- non mi sento un'imbecille che se la canta e la suona.
Accanto al super mega capo, sedeva un tizio che annuiva. Non ho capito chi fosse, ma annuiva.
I miei sentimenti nei confronti di chi annuisce e basta quando parlo sono abbastanza contrastanti: mi sta dando ragione o annuisce come si fa con i pazzi?
Comunque, ad un certo punto, è arrivata la prima domanda curiosa.
"Hai il motorino?"
"No"
"Io assumo solo gente con il motorino, dovresti comprarlo".
Certamente amico. Poco importa se io un motorino effettivamente lo avevo, ma era dieci anni fa e non intendo tornare ad utilizzarlo perché alle mie penne ci tengo.
"Hai partita Iva?"
"No"
"Io assumo solo gente con partita Iva, ho licenziato tutti i miei dipendenti che si sono rifiutati di passare a partita Iva".
E lì già mi stavano partendo i primi tic nervosi, ho dovuto fare appello a tutto il mio self-control per non mandarlo a quel paese, ma volevo sentire cosa altro avesse da dire.
E' che già stavo immaginando questo post e sapevo che poteva fornirmi altro materiale, me lo sentivo. E avevo ragione.
E poi, confermando tutte le mie aspettative, è arrivata la Domanda. Si, con la D maiuscola.
"Intendi avere figli?"
Aspettavo da anni questo momento. DA ANNI.
Ho sfoderato tutte le mie doti attoriali (se non fosse per la dizione, sarei ad Hollywood, che vi pare?) e ho risposto: "Sono sterile". 
Fredda, glaciale, che in confronto un igloo è un posto caldo e accogliente.
Stavo quasi per mettermi a piangere, ma le lacrime non sono venute giù. Ecco, forse magari parlare di Hollywood è un pò azzardato, ma siamo comunque sulla buona strada.
"Ma sei sposata?"
Allora continui, sei proprio scemo.
"No"
"Ma sei almeno fidanzata, dai"
Questa non era una domanda, ma un'affermazione.
"No, il mio compagno mi ha lasciata quando ha scoperto la mia sterilità".
Doti attoriali modalità on. Fidanzato, intanto, aspettava fuori, eh.
Non si è scomposto, almeno apparentemente, ma ha fatto quella che credo volesse essere una battuta per sdrammatizzare.
"Tanto con la partita Iva, potete fare tutti i figli che volete"
E niente, è finita così.
Non ho fatto scenate, non ho urlato. 
Volevo metterlo a disagio. Aspettavo questo momento da secoli, più o meno da quando ho scoperto -ormai parecchio tempo fa- che esistono persone che fanno queste domande dalle quali dipende o meno un'assunzione.
Come se poi, un figlio, fosse un impedimento. E lo dice una che non ha esattamente tutte queste velleità materne.


So che avrei dovuto scrivere una letterina anche io alla Lorenzin per il fertility day, ma dubito avrebbe compreso una situazione simile.
Non credo sia  preparata per comprendere situazioni come questa che a me, appunto, non erano mai capitate, ma che so essere all'ordine del giorno.
E poi, insomma, è troppo occupata a dirci di fare figli per preoccuparsi di come potremmo mantenere questi figli.

La foto del post è di Beata Lenkiewicz.


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sabato 12 marzo 2016

Le supermamme (che crescono gli idioti di domani)

Premessa: sono stata invitata ad una conferenza sulle allergie alimentari come esperta.
 In pratica, dovevo raccontare quindici anni di vita da allergica. E così ho fatto.
Mi hanno anche fatto l'applauso, pure bello lungo, a volerla dire tutta.
E poi, tra il pubblico, c'era lei: la supermamma. Mamma di pargolo allergico che sa tutto della vita, ma proprio tutto tutto.
E io ho pensato a quante supermamme ci sono al mondo. E ai poveri figli incapaci di stare al mondo che stanno crescendo.


-Il mondo deve adeguarsi a mio figlio, non è mio figlio che deve adeguarsi al mondo.
E poi c'era la marmotta che confezionava la cioccolata. Ed era, ovviamente, una cioccolata piena di nocciole.
Stupida marmotta, dovevi confezionarla senza pasta di nocciole che il figlio della signora non le può mangiare.

-Io cambierò le istituzioni, non sono io che devo evitare che mio figlio muoia per uno shock anafilattico, ma loro.
E nel frattempo che le cambi, tuo figlio muore.
Fai bene a lottare, eh, ma quando tu -madre- non hai preservato tuo figlio, le istituzioni al massimo ti manderanno una corona di fiori.

-Io lavoro. E ho due figli. Quindi sono migliore di altri.
In effetti, al mondo, non c'è nessun altro che lavora. E nessun altro che cresce dei figli.
La continuità della specie è nelle tue mani.

-Noi non abbiamo cambiato la nostra vita. Sono gli altri che devono cambiare la propria vita per stare con mio figlio.
Povero bambino, destinato a restare da solo per il resto della vita.

-Nessuno ha problemi come quelli di mio figlio.
Hai ragione. Al mondo nessuno ha problemi d'altronde.

-Io sono contenta che mio figlio sia malato. Sono una donna fortunata perchè lotto e posso mostrare quanto sono forte.
Deciditi: nessuno ha problemi così o sei contenta di avere problemi?
Io comunque non vorrei questi problemi, eh. Contenta tu che tuo figlio possa morire da un momento all'altro, contenti tutti.

-Io passo cinque ore a scuola con mio figlio per non farlo sentire diverso dagli altri.
Seduta nel banco con lui? Ma non lavoravi?
Comunque è ovvio che non si sentirà diverso, d'altronde tutti i genitori stanno seduti nel banco con il figlio a scuola in prima elementare (si chiama ancora scuola elementare o nel frattempo ha cambiato nome?).

-Io lotto per mio figlio. Nessuna madre lo fa come me.
Ringrazia che non ti ha sentito mia madre, altrimenti ti dava un destro in faccia che la capoccia ti faceva un triplice giro sul collo e poi rotolava al suolo facendo bum bum badabum.

E quindi niente. La bionda supermamma che è l'unica che sa fare la mamma e che sta insegnando al pargolo che il mondo deve girare intorno a lui, sta sicuramente crescendo un figlio equilibrato. E io sono una brutta persona a pensare che crescere un bambino così sia una tragedia.
Piccolo, sappi che io ti sono vicina. Mi dispiace per te che stai crescendo da completo idiota convinto che il mondo debba girare intorno alle tue necessità.
Ti do una bruttissima notizia: il mondo fa un pò come gli pare. E tu un giorno ti dovrai adattare.
E non potrai andare in giro a dire che tu sei migliore di altri o stai peggio di altri.
Perchè ci sarà sempre qualcuno migliore di te. E anche qualcuno che sta peggio di te.
Sarà una doccia fredda, lo so.



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domenica 17 gennaio 2016

L'incontro tra mamma e suocera

Premessa: io ho una nipote bellissima. Ha quindici anni ed è davvero bella, oltre che educata, gentile, simpatica. No, non lo dico perché è mia nipote, ma è davvero fantastica.
Credo che sua madre, ovvero mia cognata, non potesse chiedere di meglio.
Ieri mattina mia nipote mi ha mandato un messaggio:"Mi puoi accompagnare da una mia amica?"
E certo amore mio che ti accompagno.
"Ma solo se non hai impegni"
Poi mi ha riscritto per dirmi che la sua amica abitava in un posto difficile da raggiungere, quindi si sarebbero viste in stazione in questo paese fuori Roma, quindi era meglio che prendesse il treno. E allora le ho detto che comunque l'avrei accompagnata in stazione vicino casa e poi da lì avrebbe preso il treno.
Mia nipote era a casa di mia suocera, quindi dovevo andarla a prendere lì.
Con me c'era mia madre, che è stata qualche giorno qui da noi, quindi che fai? Vai dalla suocera e non entri un attimo per un saluto? La madre la lasci in macchina?


Ora, è vero che io e Fidanzato stiamo insieme da cinque anni (che poi, in realtà, saranno cinque tra due mesi, ma mi affatica dire 4 anni e dieci mesi), ma le nostre mamme non si erano mai sentite.
Qualche volta avevano parlato al telefono, ma era ormai qualche anno fa.
No, non siamo brutti e cattivi che non le abbiamo mai fatte conoscere, ma ci sono dei problemi logistici non indifferenti visto che abitano a 1000 km di distanza. E meno male, aggiungerei.
E quindi c'è stato il primo incontro.
Ovviamente, Fidanzato era a lavoro, quindi sono andata da sola.

Io fumo, quindi dopo il caffè ho acceso una sigaretta.
Madre:"Ma non puoi non fumare?"
Suocera:"Fumare ti fa male, ma poi, Fidanzato non aveva smesso?"
Madre:"No, non ha smesso, l'ho visto fumare"
Suocera:"La sigarette puzzano e fanno male"
Madre:"Smettila di fumare!"
Suocera:"C'è puzza di fumo"
Madre:"Io non capisco che ci trovate nel fumare"
Gilda (dopo dieci minuti di questa agonia):"Già prese singolarmente siete due rompiscatole, insieme siete una cosa tremenda"
No, non hanno taciuto. Sono andate avanti per mezzora, finchè mi sono arresa, ho dato loro ragione e tanti cari saluti.
E quindi alla fine, madre e suocera vanno -al momento- d'accordo.
Fidanzato mi ha scritto per sapere come fosse andata.
Gli ho risposto che adesso che c'è stato l'incontro ci dobbiamo sposare sul serio e non possiamo più temporeggiare.
"Amò mi hanno tormentato per le sigarette" ho aggiunto.
"Ah, va beh, allora tutto bene".

Nb. La scelta della foto non è casuale, quel tipo di cactus si chiama cuscino della suocera.

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giovedì 14 gennaio 2016

Care Mamme, a volte vi stimo (ma non quando sottovalutate i problemi)

Io leggo molto. Divoro libri come se non esistesse un domani, leggo giornali, ogni mercoledì compro Topolino, leggo articoli in giro per il web e -ebbene si- leggo anche i commenti sui social.
La maggior parte di questi insulti commenti sono scritti da mamme.
Mamme che si scannano per allattamento fino a diciotto anni si, allattamento al massimo due giorni no; mamme che si insultano perché un figlio nato con parto cesareo è un figlio di serie B e incredibile, ma vero, se non partorisci con dolore meriti la pubblica gogna (che poi il pargolo non si ricorderà nemmeno com'è uscito dalla pancia di mammà è secondario); mamme che si insultano perché lavorare con un figlio è disdicevole e non lavorare è essere delle nullità.
Mamme che insultano altre mamme insomma.
Io, care mamme, vi stimo. Vi stimo perché essere mamma non è facile, perché comporta dei sacrifici, perché forse non avrete più delle belle tette e vi ritroverete una pancia molliccia e cadente, perché spesso siete costrette a lasciare il lavoro, perché a volte avete gravidanze non facili, neonati problematici e mariti gelosi del pargolo. Vi stimo e allo stesso tempo vi trovo delle imbecilli quando vi scannate tra di voi perché ogni mamma ha il diritto di crescere il proprio figlio come meglio crede.
Però, c'è un però.
Leggo di mamme che si scannano per tutore si, tutore no, doppio pannolino si, doppio pannolino no.
Mamme che si rifiutano di curare i loro figli perché il tutore sarebbe invalidante. A sei mesi, un'età di cui non si hanno ricordi.
Sto parlando di displasia dell'anca.
Ne sto parlando con le orecchie che mi fumano.
Con la parola invalidante che mi rimbomba nelle testa.

Facciamo un passo indietro: le anche sono una delle prime cose che viene controllata ad un neonato.
Se si fanno questi controlli è perché la displasia dell'anca è purtroppo molto diffusa.
Nei neonati viene curata in modo semplice e indolore con il doppio pannolino o con un tutore che tiene le gambine cicciose divaricate curando, in modo naturale, il problema.
Ci vuole tempo, qualche mese o, in alcuni casi, addirittura un anno, ma permette di vivere bene per il resto della vita.
Per alcune mamme, il doppio pannolino o il tutore sono invalidanti e no, non si può rovinare la vita -che poi, in realtà, è solo qualche mese-  ad un neonato, quindi è giusto che la malattia -perché questo è- faccia il proprio corso. IL PROPRIO CORSO.
Conosco un bambino di cinque anni a cui è stata diagnostica una displasia congenita bilaterale del grado più grave. A cinque anni, quindi non curabile con un tutore o il fantomatico doppio pannolino.
Una diagnosi tardiva di un problema che, preso in tempo, sarebbe stato curato con buona pace di tutti.
Sul motivo per cui questa diagnosi è stata fatta così tardi non mi dilungo.
Questo bambino, dai cinque ai dieci anni ha subito cinque operazioni. In anestesia totale. Ogni singola operazione è durata ore, molte ore.
La prima operazione era programmata in un ospedale pubblico, ma non è mai stato trovato il posto in sala operatoria per questo bambino, quindi l'unica soluzione era rivolgersi ad una clinica privata.
Dieci, venti milioni di lire ad operazione. E dieci milioni, negli anni '80, erano tanti soldi.
Oh si, lo so che la salute non ha prezzo, lo so bene. Ma non tutti nascono miliardari.
Dopo ogni operazione, questo bimbo ha portato il gesso per almeno sei mesi. SEI MESI. Passati a letto, ad annoiarsi, saltando la scuola, aiutato da un compagnetto di classe a non rimanere troppo indietro rispetto agli altri.
Questo bimbo amava il calcio, ha sempre detto che sarebbe diventato un calciatore. A calcio non ci ha mai potuto giocare perché le sue anche malandate non lo hanno mai permesso.
Questo bimbo ha sempre zoppicato, gli altri bambini lo chiamavano Gambadilegno, anche se una gamba di legno non ce l'ha mai avuta. Ha delle lunghe cicatrici, una a destra e una a sinistra che, a volte, a distanza di anni, sanguinano ancora.
Le cinque operazioni non hanno risolto il problema. Il medico che lo ha operato è sempre stato chiaro con i suoi genitori: non è guarito, gli stiamo solo permettendo di camminare, ma un domani si dovrà intervenire ancora.
Non so quanto questo bimbo abbia sperato che quel domani non arrivasse mai.
So però che quel domani è arrivato, inesorabile, allo scoccare dei trent'anni del bimbo.
Il bimbo, ormai uomo, un giorno non ha più camminato.
E' stato portato in ospedale. Poi da uno specialista. Aveva il femore in necrosi, oltre alle anche completamente fuori asse, consumate, distrutte.
Gli è stato detto che o si operava o, nel giro di poco, non avrebbe camminato. Mai più.
Si è operato, ha messo due protesi. Ha fatto l'intervento ad entrambe le anche contemporaneamente.
Vorrei raccontarvi di quanto schifo facciano i drenaggi, i cateteri, le ferite che un'operazione del genere lascia.
Vorrei raccontarvi che non è stato possibile aprire ancora le cicatrici già presenti perché già troppo compromesse e che è stato necessario aprire da un'altra parte, creando altre due cicatrici, altrettanto lunghe e orribili.
Vorrei raccontarvi dei mesi di riabilitazione, della fatica di questo bimbo cresciuto e di chi gli stava accanto. Vorrei raccontarvi di quei mesi in cui la vita si è fermata, in cui non si poteva andare al lavoro, non si poteva uscire, non si poteva nemmeno fare una doccia, allacciarsi le scarpe, sedersi su una sedia.
Vorrei raccontarvi che è stato facile, ma no, mi spiace, è stato orribile. È stato pesante, doloroso, difficile e costoso. Si, costoso. Perché l'intervento e la riabilitazione sono costati circa 100.000€. E se i 100.000€ non ce li hai o non hai un'assicurazione sanitaria, ti attacchi.
La vita migliora, ma non si guarisce mai. Le protesi vanno revisionate, si fanno controlli, si è invalidi per sempre. No, non sei mesi -il tempo di permettere al tutore di guarire un neonato affetto da displasia. PER SEMPRE.
Si, certo ci sono dei privilegi. Insieme alla displasia vinci la possibilità di diventare invalido civile e litigare con l'Inps per tutta la vita. Voglio dire: chi non vuole passare ore ed ore allo sportello invalidi civili dell'Inps? È il sogno segreto di tutti, no?
Vinci una pensione da 258€ (che adesso credo siano 278€, ma non sono molto informata al riguardo) al mese che, voglio dire, coprono sicuramente il costo delle operazioni. Avanzano anche soldi per comprare il gelato.
La pensione, se lavori, te la tolgono ovviamente perché, abitando in un paese i cui stipendi sono notoriamente molto alti e dovendo sostenere spese elevatissime per non finire in sedia a rotelle, hanno paura che poi con quelli che avanzano ci vai a prostitute (che nel frattempo, essendo il bimbo cresciuto, sono cambiate le priorità).
Vinci un codice che ti accompagnerà per sempre che indica che sei invalido, un tesserino con scritto che sei invalido e un milione di fogli con su scritto la percentuale di invalidità.
E anche una bella dicitura che quell'invalidità è permanente e immodificabile. IMMODIFICABILE. Invalido per sempre.


Care mamme, quando decidete che la displasia del vostro bimbo deve fare il suo corso, questo è quello che potrebbe succedergli. Quello che si prospetta davanti a lui, a voi.
Questo bimbo che conosco adesso ha 32 anni ed è la persona con cui ho scelto di condividere la mia vita.

Per tutti i dettagli dell'ultima operazione qui il link al post.

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mercoledì 25 novembre 2015

Buon compleanno Mamma

Oggi è il compleanno di mia madre.
L'età non la scrivo altrimenti, probabilmente, mi disereda. 
Un numero imprecisato di anni fa nasceva mia madre, anche se sui documenti la data di nascita riportata è quella di tre giorni dopo. I suoi genitori erano minorenni -all'epoca si diventava maggiorenni a 21 anni- e la nonna, da cui per altro ha preso il nome, non si decideva a firmare sti benedetti documenti per registrare l'infante al comune. No, a quei tempi non ci pensava l'ospedale, si nasceva in casa, immagino sul tavolo della cucina.
Le ho chiesto come festeggerà il suo compleanno e mi ha risposto che andrà a piantare alberi, non fate domande al riguardo. Ognuno festeggia come crede.


Mi ricordo quando Mamma doveva compiere cinquanta anni, aveva organizzato una grande festa perché mezzo secolo è pur sempre mezzo secolo, ma poi la festa non venne più fatta perché pochi giorni prima del suo compleanno morì suo fratello. Era molto attaccata a quel fratello di due anni più piccolo di lei, racconta sempre di quando lui le ruppe una bambola con il viso di porcellana -sottolineando che ai tempi si aveva una sola bambola- e lei, per la legge del taglione, gli tiro i capelli fino a staccarglieli.
Qualche anno, comunque, dopo la storia si è ripetuta e pochi giorni prima del suo compleanno morì sua madre, nonchè mia nonna, quindi, anche in quel caso, non volle festeggiare. 
Non è mai stata fortunata in questo: quando si è laureata era morto suo padre da cinque giorni.
Eppure, io mia madre non l'ho mai vista triste, ha sempre un sorriso, è sempre attiva, non si arrende mai, va sempre avanti.
Ha studiato a Parigi mia madre e poi è andata un anno a Londra quando ancora gli expat non esistevano, non c'erano i telefoni nemmeno nelle case (o almeno credo, comunque di sicuro non c'erano gli smartphone) e racconta sempre che sua madre le mandava le lettere, con dentro 10.000£. A quei tempi, si potevano spedire i soldi nelle buste e, so che non ci crederete mai, arrivavano pure.

Quarant'anni passati a fare l'insegnante e, con mio sommo rammarico, prima di insegnare, lavorava in Rai e ha deciso di lasciare quel posto. E io ancora mi danno per questo e le dico sempre che se fosse ancora in Rai, anche io adesso probabilmente sarei in Rai e invece niente, sono otto anni che provo in tutti i modi -quanto meno quelli leciti- a farmi prendere in considerazione anche solo per un colloquio ma niente, non c'è verso. E lei, serafica, risponde che non poteva prevedere che avrebbe avuto una figlia che lavora in televisione. E chi mi conosce lo sa bene che la Rai è il mio chiodo fisso, il mio obiettivo (che ovviamente non si realizzerà mai per ovvi motivi) e un sacco di altre cose, ma tant'è.

Ne avrei di cose da raccontare su mia madre, potrei raccontare aneddoti per ore. A parte la storia della Rai e quella volta in cui ha buttato una Louis Vitton perchè non le serviva più non pensando che un giorno la figlia sarebbe cresciuta a avrebbe avuto un disperato bisogno di quante più Louis Vitton possibili, è stata ed è una mamma fantastica e direi che, in fondo, mi ha cresciuta bene.
Abbiamo un contratto io e mia madre, un contratto in cui c'è scritto essenzialmente che lei vivrà fino al 2320 perchè io, senza la mia mamma, sarei perduta. Dice sempre che non le sembra umanamente possibile, ma sottovaluta i super poteri delle mamme. E quindi, di compleanno da festeggiare ne avremo ancora tantissimi.
Buon compleanno Mamma, ti voglio bene.

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lunedì 2 novembre 2015

Figliare e lavorare

Io ho la data di nascita nel cv. Vuoi che la mia data di nascita è simpatica, suona bene, ma ce l'ho sempre avuta e la cosa non mi ha mai creato grandi problemi. Nessuno mi ha mai chiesto l'età, ma mi è capitato di chiederla a una ragazza che mi stava facendo un colloquio. E' che sembrava giovanissima, stavamo aspettando una collega che avrebbe assistito al colloquio e la conversazione è finita lì.
Nessuno mi ha mai chiesto se fossi sposata o se avessi figli, ma mi è capitato, spontaneamente di tirare fuori l'argomento Fidanzato perché, vuoi o non vuoi, facendo lo stesso lavoro, sono diverse le cose che conosco di rimando. A nessuno è mai importato granché della presenza di questo fantomatico Fidanzato. Non sanno quello che si perdono coloro i quali non si interessano di lui, tzè.
Mi hanno fatto, quello si, tantissime domande tecniche tanto da sfinirmi, che forse avrei preferito che mi chiedessero l'età che almeno quella è una risposta secca.
Sono sempre stata circondata da uomini, praticamente tutti figliomuniti.
Ad un certo punto, in un emissione dove ho lavorato c'era l'angolo baby: vestiti e giocattoli portati da qualcuno con figli che potevano essere utili per qualcun altro con altrettanti figli. Una specie di mercatino, dove però non si pagava nulla: se ti serve, te lo prendi e te lo porti a casa.
Di figli ed eventuali compagni, mariti e mogli si è sempre parlato, anche perché ore e ore al buio, di qualcosa si dovrà pur parlare, no? 
Io ho pure proposto a un collega con tre figli di fare il quarto, anzi ho espressamente richiesto che fosse femmina perchè, dopo tre maschi, volevo (io ovviamente che, d'altronde, volete che il mio parere sulla questione non sia importante?) la femminuccia da vestire di rosa. Mi ha sfanculata, ma questo è secondario. Io so che prima o poi la femminuccia la farà, me lo sento.
Ho visto sempre molta solidarietà, se così si può chiamare, nei confronti di figli e famiglia.
Una volta c'era un  collega con la compagna al termine della gravidanza e, di comune accordo tra capi e colleghi, si è deciso che finché il pargolo non si decideva a venire fuori, il collega sarebbe stato dispensato dai turni di notte perché, metti caso decideva di nascere di notte, era il caso che lui fosse a casa con lei e la potesse portare di gran corsa in ospedale, senza perdere tempo ad avvisare capi, colleghi, Dio in persona e magari anche San Pietro e gli apostoli (di notte si è da soli e sarebbe stato necessario attendere l'arrivo di un cambio che, però prima, bisognava trovare...senza reperibilità, difficilmente trovi qualcuno che ti risponde al telefono alle tre di notte).
Ho visto non figli muniti e capi organizzarsi di modo che i figliomuniti potessero accompagnare i pargoli a scuola il primo giorno o potessero accompagnarli alla visita medica o da qualsiasi altra parte. Ci hanno provato a spiegarmi quante cose fa un bambino, ma ho rimosso.
Ci hanno provato in tanti a convincermi che fare un figlio è bello, non ho mai capito se fossero sinceri o se volessero semplicemente togliermi dalle scatole per un pò, ma niente, non mi hanno convinta. 
Le mogli e compagne dei miei colleghi lavoravano tutte, salvo rarissime eccezioni, e chi non lavorava, ad un certo punto, si è trovata un lavoro pur avendo pargoli. I padri hanno usufruito di periodi belli lunghi di ferie o del congedo di paternità, a seconda dei casi.
Un responsabile che ho avuto, una persona eccezionale, una volta mi disse che la famiglia viene prima di tutto e che quando nasce un figlio, bisogna stare a casa perché certi momenti non tornano più. Io figli non ne ho, lui si quindi mi fido di quello che mi ha detto.
Chi è rimasto a lavoro, non ha mai fiatato e si è diviso i turni di chi si stava godendo la nascita e i primi mesi di un figlio. Quando qualcuno ha avuto un problema o una necessità legata a un pargolo o a qualsiasi altro familiare, ci siamo organizzati.
Nessuno ha mai maltratto qualcun altro perché ha famiglia. Tutti abbiamo una famiglia, tutti abbiamo qualche necessità e queste necessità sono sempre venute prima di tutto. 


Ho avuto un responsabile che, quando è morto mio suocero, mi ha telefonato e mi ha detto di stare a casa con Fidanzato. Ho avuto un altro responsabile che quando mio padre ha avuto dei problemi mi ha dato più ferie di quelle che avevo chiesto e, un giorno che non c'era copertura, si è messo lui a coprire il mio turno. Ho avuto un altro responsabile ancora che, quando Fidanzato si è operato, mi ha detto di stare con lui perché pensare di conciliare le sue esigenze con il lavoro era da pazzi e non potevo lasciarlo solo. E non era un giorno.
Fortunata? Non credo.
Credo che ci siano gli stronzi, che ci siano quelli che si comportano male, ma che ci siano anche quelli che sanno quanto è importante la famiglia, i figli e quanto il lavoro non sia l'unica cosa al mondo.
Di contro, ci sono rimasta malissimo quando un responsabile si è tanto adoperato per trovarmi una collega e non c'è riuscito perché i turni non li vuole fare nessuno.
Ci sono anche rimasta malissimo quando ho saputo di una persona che, in gravidanza a rischio dopo una settimana di gravidanza, faceva la cubista per arrotondare. Mi sono sentita presa in giro come lavoratrice e come donna. E, nonostante il part time, i turni agevolati e qualsiasi altra cosa, questa persona non si è palesata a lavoro per anni, conservando il posto di lavoro e togliendolo a chi magari di quel lavoro aveva bisogno.
Leggo di donne che vanno contro altre donne. Io non vado contro nessuno, ma sono dell'idea che se tutte ci comportassimo in modo corretto verso il datore di lavoro e i colleghi queste situazioni non esisterebbero. La ragazza in questione ha fatto bene ad andarsene e denunciare la situazione, quello lì era uno scemo.  Sul fatto che, in generale, tutte le aziende maltrattino chi ha figli, maltrattino le donne, che gli uomini se ne freghino dei figli, invece, ho qualche riserva. Anzi, parecchie riserve.

La foto del post è di Beata Lenkiewicz.

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martedì 15 settembre 2015

Cosa non voglio fare

Mettiamo il caso che ci sia una donna ragazza in età da marito (fa molto Cinderella's story dire in età da marito) e, di conseguenza, in età da riproduzione. Nel senso, stando a quanto dice la biologia, in età da riproduzione lo ero anche a dieci anni e mezzo, ma mettiamo il caso che per età da riproduzione io intenda quell'età in cui ti sfrantano le gonadi chiedendoti: "Ma figli? Non ne fate? Non ne volete?"
Mettiamo il caso che persino un venditore alla bancarella del mercato sotto casa chieda:"ma tu non hai figli?" e alla risposta:"no" chieda:"hai fatto il controllo per la fertilità?", prendendosi una libertà che vi assicuro io non gli avevo dato.
Mettiamo infine il caso che siate circondate da colleghi con figli tutti bellissimi e non sto scherzando, almeno fin tanto che se li tengono a casa loro e si limitano a mostrarmi le foto. O al massimo, potrebbero portarli a lavoro un giorno -o meglio diciamo un'ora- per giocare un po' a tiriamo tutti i cavi che ci sono qui dentro e vediamo che succede, tanto poi ci pensa il papà a risolvere il problema.
Ok, adesso che abbiamo stabilito tutte queste cose, mettiamo infine il caso che mentre alla giovane Cinderella sfrantano le gonadi ogni santissimo giorno sul perché e per come non si è ancora riprodotta, al buon caro Fidanzato nessuno lo chieda mai, dando per scontato che lui è ancora giovane e in età da compra pure i vestiti da Abercrombie che è risaputo che a trent'anni passati da un pezzo sono adatti.
Ecco, mettiamo tutti questi casi.
Mi chiedo perché io, giovane Cinderella, con un lavoro da maschio  e anche un pò maschia (come direbbe la cara Costanza che è l'esponente capo del club delle maschie), sempre fuori casa, con turni H24 che mi piacciono pure così la mattina posso dormire posso organizzare al meglio le mie giornate, debba essere avvilita perché ebbene si, non ho ancora figliato. E francamente, non ho nemmeno pensato a farlo.
A me piacciono i figli altrui, tantissimo, sono bellissimi, profumati e coccolosi. Basta che poi ve li riportate a casa vostra. I bambini mi amano, probabilmente mi vedono come un clown (o forse no, visto che i bambini hanno paura di clown), ma ecco, io di badare a un bambino non ho proprio voglia. Non adesso almeno, ma vi assicuro che, casomai mi venisse, sarete i primi a saperlo. Vi mando una raccomandata con ricevuta di ritorno per essere certa che la novella vi sia giunta.
"Dovresti pensare di cambiare lavoro, sai per quando avrete un bambino"
Chi ti ha detto che io voglio cambiare lavoro? Che lo cambi Fidanzato, nel caso. E comunque, Fidanzato non lo cambia il suo lavoro perché, ebbene si, gli piace, tanto quanto a me piace il mio (che poi, è lo stesso).
"Dovresti pensare di lasciare il lavoro"
Chi ti ha detto che voglio lasciare il lavoro e non lavorare per badare ad un bambino (che, per altro, ma pare sia una cosa ininfluente, non ho)= Io voglio lavorare, mi piace. 
"Meglio un solo stipendio che un figlio abbandonato al nido o con la tata"
I miei genitori lavoravano entrambi e sono venuta su benissimo. E comunque, qualora dovessi avere un figlio, lavorerò per comprargli le tutine Alviero Martini e per avere una bellissima borsa porta pannolini, cambio e tutta quella roba che serve per un infante Louis Vitton (mia madre ce l'aveva davvero, da qualcuno devo pure avere preso).
"Dovresti fare una vita più regolare, sai in vista di un figlio"
Io dovrei fare una vita più regolare? E Fidanzato no? Lui potrà continuare in eterno a mangiare Pringles alla paprika svaccato sul divano bianco che io ho scelto perché mi sembrava fighissimo e poi ho scoperto che no, non siamo in grado nemmeno di gestire un divano bianco?
"Dovresti sottoporti a degli esami per capire come mai, dopo tanti anni che stai con Fidanzato, non sei rimasta incinta"
Ti do una dritta: esistono i contraccettivi. Li butto giù a pacchi, come se non esistesse un domani. Sai mai che faccio un figlio e mi viene scemo come te che dai per scontato che, essendo io donna, debba fare tante, troppe cose in un momento in cui non sono pronta a/non mi va di/non credo sia il caso di fare, quanto meno non adesso. Così, per dire.


Le foto del post sono di Beata Lenkiewicz.
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