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lunedì 16 settembre 2019

Odiavo la scuola, odiavo il primo giorno di scuola

Sono settimane che, al lavoro, spunta fuori il terribile argomento inizio della scuola.
Che lo so, detta così potrebbe sembrare stupido considerato che parliamo di persone adulte che lavorano e che, di sicuro, non hanno l'enorme problema di quale diario comprare o di dover affrontare compiti in classe e interrogazioni (trovo comunque che il problema più importante sia il diario, io per non sbagliare compravo sempre lo stesso).

Nel nostro caso, l'inizio della scuola significa solo che ricomincia il traffico, quel traffico che ti fa restare due ore in macchina nella speranza di arrivare, prima o poi, al lavoro.
Non conto i giorni che, nonostante fossi uscita da casa ore prima, mi sono ritrovata a lanciare -letteralmente- la macchina in mezzo al parcheggio per correre a timbrare in tempo. Perché, ecco, se sono in ritardo per colpa mia -cosa che fino ad adesso non mi è mai capitata- è un conto, se sono in ritardo perché ci sta un traffico infernale mi rode e manco poco.

Io non amavo la scuola, l'ho sempre detto.
Mi pesava andare a scuola, mi pesava svegliarmi presto (questo mi pesa tuttora, fatevi raccontare dai miei colleghi la mia faccia quando arrivo presto al lavoro), mi pesava stare seduta cinque ore, mi pesava qualsiasi cosa. 
Mi piaceva studiare, quello si, ma mi piaceva studiare quello che dicevo io e di sicuro, tra quello che dicevo io, non c'era né la matematica né la fisica.
Non mi piaceva stare alle bizze dei professori e, giuro, non è vittimismo. Ho una madre insegnante che mi ha sempre detto che se ad un professore stai sul c***o c'è poco da fare, farà di tutto per renderti la vita impossibile. Non che sia giusto, sia chiaro, ma è così. Io questo non lo sopportavo.
Studiavo a scuola, ma ero indisciplinata. Ero una piccola teppista, una che non si teneva niente, cosa che -effettivamente- non faccio manco adesso, anche se sono migliorata. Poco, ma sono migliorata.


Il primo giorno di scuola per me ha sempre significato una cosa: la fine dell'estate e del mare.
La fine del Baretto di giorno e di sera, la fine della serate passate al parco sotto casa dei miei zii, la fine delle serate in piscina a casa di Riccardo, la fine delle serate a Mondello a casa di Roberta, la fine dei pigiama party in cui qualcuno si ubriacava e finiva per nuotare nella camomilla (giuro che è successo davvero, non me lo sto inventando). La fine di qualsiasi cosa per cui valesse la pena vivere (a sedici anni la pensavo così, adesso ho altre priorità).
Sono nata e cresciuta a Palermo, quindi andavo al mare ogni santo giorno per tutta l'estate, Settembre inoltrato compreso. Cominciare la scuola significava dire addio al mare, alle vacanze, al non fare un tubo. Significava dovere uscire di casa ogni santa mattina, sabato compreso (qui per saperne di più), vestita in modo più o meno decente (ho iniziato il liceo nel 1999, ci ricordiamo tutti come si andava in giro a quei tempi, vero?) e poi passare tutti i giorni a fare i compiti, a studiare, a ripetere, a fare esercizi. Ho fatto un liceo che molti consideravano farlocco, io ricordo perfettamente la mole di compiti e di cose da studiare che, in alcuni casi, mi facevano svegliare alle cinque di mattina e andare a dormire alle undici di sera. 

Vivevo l'inizio della scuola con un'angoscia enorme, contavo i giorni che mi separavano dalle vacanze di Natale prima e dalle vacanze estive dopo, odiavo profondamente andare a scuola (così come ho amato l'università, ma tant'è). Adesso odio l'inizio della scuola per il traffico e per le ore che devo passare in macchina. Ecco, diciamo che non si cambia mai.

Buon inizio a tutti, un enorme grandissimo buon inizio, che la scuola sia per voi migliore di come è stata per me.
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giovedì 24 maggio 2018

Tredici ragioni per vedere (o per non vedere) Tredici

Tredici ragioni per vedere o per non vedere Tredici, là dove Tredici sta per 13 Reason Why, la serie prodotta da Netflix tratta dal libro 13 di Jay Asher che, sinceramente, prima di vedere la serie non sapevo neanche chi fosse.
Lo confesso: ho fatto il gioco di parole sul titolo della serie (e del libro, non dimentichiamolo), ma non so neanche se le ho tredici ragioni per vedere o non per non vedere la serie.

Ho visto la prima stagione con il marito, qualche mese dopo il rilascio, assolutamente per caso.
Dove il mondo era arrivato alla fine di Marzo del 2017, io (e il marito, ovviamente) ci sono arrivata a fine Novembre dello stesso anno. 
Ho atteso trepidante la seconda stagione, non perché fossi rimasta estasiata dalla prima, anzi direi proprio il contrario, ma perché oh, a quel punto io volevo sapere come andava a finire. E poi francamente quasi mi aspettavo che Hannah Baker risorgesse, che magari gli sceneggiatori sono fan di Beautiful e volevano rendere omaggio al personaggio di Taylor che è morta e risorta non so quante volte.

-Hannah Baker, la giovane protagonista morta suicida perché vittima di bullismo, a me stava sul cazzo già dalla prima serie e con la seconda questo sentimento nei suoi confronti è tornato prepotente.
Hannah è vittima dell'atteggiamento dei suoi compagni di scuola che non l'hanno presa esattamente in simpatia. Praticamente tutti vogliono farsela, ma di fatto sta sulle palle a tutti. Questi tutti reagiscono mettendo in giro voci poco carine sul suo conto (deplorevole, certo), ma lei -ecco- non è che sia sto stinco di santo. Un'adolescente carina oserei dire, in una scuola di adolescenti e solo Dio sa quanto possono essere merde gli adolescenti. 
Il colpo di grazia che rende Hannah arrabbiata col mondo è quando viene definita in una lista "il culo più bello della scuola". Indubbiamente sbagliato mercificare il corpo di una donna, ma ecco: la vicenda, che al massimo meritava un sonoro vaffanculo, viene ingigantita in modo clamoroso.
Che poi io, magari io non faccio testo visto che mi ammazzo di squat in palestra per avere un bel culo (che, per la cronaca, non avrò mai) e se qualcuno se ne accorgesse almeno saprei di non stare buttando i miei soldi e il mio tempo.

-I genitori -e più in generale gli adulti- sono grotteschi: ce ne fosse uno che si preoccupa realmente dei figli adolescenti. Ci sta, eh, che gli adolescenti abbiano dei segreti e che i genitori facciano finta di niente, ma qua sfioriamo il ridicolo.
Figlio pestato a sangue con evidenti ecchimosi facciali? "Sei caduto dalla bici, amore di mamma?";
compagno di classe eroinomane nascosto in bagno? "Come mai c'è l'acqua aperta? Ah stavi controllando se l'acqua calda veniva giù? Ok amore di papà";
figlio (o figlia, scegliete voi) in giro per strada di notte e l'indomani c'è anche scuola? Genitori non pervenuti, giustamente stavano dormendo. Che ora, va bene tutto, ma mia madre stava sulla porta col mitra spianato se tardavo anche di un secondo. Ah no, ora che ci penso, mia madre mi veniva a prendere ovunque.

-I clichè: la serie è piena di stereotipi: il ricco figlio di papà che la fa sempre franca (anche quando non dovrebbe, ma i soldi a quanto pare comprano davvero tutto), il figo con una situazione familiare disastrosa, il nerd sfigato, il belloccio (che è quello che a me piace più di tutti) che schifa quello che fa il branco, ma non riesce a staccarsene, il preside corrotto (l'ho già detto che i soldi comprano tutto?) e gli armadietti. Non c'è film o serie ambientati in America che non ci mostrino lunghissime scene davanti agli armadietti delle high school che si, lo so che è dai tempi di Beverly Hills che sognate di frequentare una scuola che li abbia. Io sogno ancora di tornare a scuola per averne uno.

La prima stagione a me ha lasciato l'amaro in bocca: ok Hannah stava male, quando ha provato a parlarne con qualcuno (sapete dirmi a che figura corrisponde quella del conselour in Italia?) è stata praticamente ignorata, se non addirittura presa per pazza, la responsabilità non so fino a che punto fosse delle persone nominate nelle cassette (fatta eccezione per lo stupratore ovviamente), ma tant'è.

Attenzione: il post da qui in poi contiene spoiler sulla seconda stagione.

La seconda stagione per me è stata molto più bella, mi ha lasciato qualcosa (Hannah che petulava in sottofondo a parte) e mi ha fatto venire voglia di vedere la terza, se mai ci sarà.
Gli adulti si ravvedono quasi tutti, tranne il preside accecato dal denaro dei Walker e dalla promessa -immagino- di una piscina olimpionica a completare gli impianti sportivi già pagati dalla famiglia. 
Che poi, solo io mi sono chiesta perché la squadra di football è uguale alla squadra di baseball? Erano finiti gli studenti alla Liberty High? Che poi mi sa che sono anche gli stessi che giocano nella squadra di basket.
La madre di Hannah, la stessa che aveva delle uscite abbastanza infelici nei confronti della figlia nella prima stagione e che non aveva capito niente dei problemi della figlia, nella seconda stagione diventa, ehm, posso dirlo? Pesante. Capisco il dramma, davvero, ma non so se davvero sia stata la cosa giusta accanirsi contro la scuola, Mi sarei accanita contro lo stupratore e contro il conselour. Conselour che poraccio, alla fine si rende conto che è in parte responsabile del suicidio di Hannah e viene anche licenziato quando lo dice in tribunale e che, per adattarsi alla Liberty High, comincia a picchiare gente a caso (fa bene, eh).
I ragazzi che fino a qualche puntata prima si detestavano fanno branco, stavolta per una giusta causa: fare scoprire chi è il colpevole di una serie di stupri e possibilmente mandarlo in carcere.
Io, ingenua come sempre, non credevo fosse possibile che un diciassettenne stuprasse tutte queste compagne di scuola con una leggerezza che manco quando si va a fare la spesa.
Tralascerei che per fare sentire Bryce lo stupratore un attimo in colpa gli imbrattano l'armadietto, danno fuoco al campo di uno dei numerosi sport praticati sempre dalla stessa squadra e via dicendo.
Tralascerei anche le gentili  intimidazioni fatte agli studenti chiamati a salire sul banco di testimoni, sempre a testimonianza del fatto che alla Liberty High, esattamente come sostiene il preside, si respira un clima cordiale.


A scioccarmi sul serio è stato però per me, lo stupro di un ragazzo (ma stavolta lo stupratore non era lo stesso, sia mai che fosse solo uno lo stupratore alla Liberty High). Oh, attenzione non sto dicendo che stuprare una ragazza sia meno grave, ma ecco ho sempre associato (mea culpa) lo stupro come un reato contro le donne, fosse solo per ragioni anatomiche.
Chiaramente, sono un'ignorante e me ne assumo le responsabilità. Vedere una scena così mi ha scioccata, tanto che nella maggior parte del tempo ho tenuto il viso nascosto sotto un plaid, però ho imparato (guardando lo speciale alla fine della serie e facendo un paio di ricerche dopo) che è una realtà più diffusa di quanto si pensi.
L'amicizia che nasce tra Clay e Justin è molto bella, così come quella tra Alex (si, è sopravvissuto al tentato suicidio) e Zach a: la scena del nodo alla cravatta e quella della lezione di ballo sono bellissime, secondo me.
Che poi Justin continui a farsi di eroina in barba ai Jensen che decidono persino di adottarlo è un'altra storia.
Il coraggio di Jessica di denunciare lo stupro subito e il non coraggio di Chloe di fare lo stesso fanno riflettere e a me personalmente hanno fatto chiedere cosa avrei fatto io al loro posto. Sarei stata Jessica o sarei stata Chloe? Preferisco rimanere con il dubbio, eh, ma me lo sono chiesta davvero e onestamente non ho trovato risposta.

Tredici ragioni per vedere Tredici non credo averle trovate.
Ho fatto un calderone di cose, belle o brutte che siano.
Ma la riflessione che ho fatto più mia alla fine della seconda stagione, che ho visto in tre giorni, è stata: ma queste cose -stupri, festini alcolici, droga, armi, suicidi, botte come se non esistesse un domani, libertà vigilata, cliniche psichiatriche- succedono solo negli Usa che hanno una cultura innegabilmente diversa dalla nostra (e non necessariamente peggiore, eh) o ci sono anche qui e io non lo so perché non frequento più la scuola 
superiore?

Ah e infine un appunto: Hannah si è suicidata perché era vittima dei bulli, ma Hannah stessa era una bulla. E, nella serie, erano bulli anche gli insospettabili, eh.
Non ce n'è uno che sia uno, in tutta la serie, che non abbia fatto il bullo, non abbia picchiato qualcuno e via dicendo. Rifletterei un attimo sulla cosa, eh.
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venerdì 11 maggio 2018

"Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino": una delle più grandi fissazioni della mia vita

"Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino" è un libro del 1978, da cui è stato tratto l'omonimo film del 1981, nato a seguito di una serie di interviste fatte a Christiane F., una ragazzina ormai donna diventata famosa proprio perché eroinomane.
E voi direte "e sti cazzi?".
Io il libro l'ho letto a diciassette anni su consiglio di una mia compagna di classe.
Oggi che di anni ne ho trentadue, quel libro (si, sempre lo stesso) è conservato nella libreria verde pastello di casa mia. Lo rileggo in media un paio di volte l'anno, ormai lo conosco talmente tanto bene che salto qualche pagina perché tanto lo conosco a memoria.
Nella stessa libreria verde pastello è custodito il seguito di quel libro ovvero "La mia seconda vita" scritto sempre da Christian F. e da una giornalista. Questa seconda parte l'ho letta solo una volta, forse due, onestamente non me lo ricordo neanche.

Ero talmente tanto affascinata da questa storia che, quando feci la tesina per gli esami di maturità, la scelsi come argomento.
Praticamente tutta la tesina era incentrata sull'eroina e sul tema del suicidio che nel libro è un sacco ricorrente. Cose allegre insomma.
La professoressa di filosofia che mi chiede perché Nietzcshe si è suicidato resterà nella storia insieme a Christiane mi sa.
Mi ero fatta una cultura enorme sull'eroina pur non avendola neanche mai vista da vicino (e credo che non mi capiterà mai nella vita di vedere dell'eroina, ma sai mai).
Una mattina che la mia classe aveva deciso di non entrare a scuola, avevo portato i miei compagni a casa mia e ci eravamo visti il film che, ovviamente, avevo visto decine di volte.
Era così, per altro, che avevo conosciuto David Bowie.

Di questa storia ne parlavo con una mia amica, quasi per caso.
Christiane F. era talmente una fissazione che per anni -quasi dieci- avevo cercato qualcuno disposto a venire con me a Berlino per vedere i luoghi di Christiane. Non so se ci rendiamo conto dei livelli che aveva raggiunto questa "malattia", chiamiamola così.
Alla fine, a Berlino ci sono andata con il Marito che all'epoca dei fatti non era Marito, ma Fidanzato che ancora oggi mi ricorda che l'ho fatto quasi morire congelato, solo perché ho scelto un periodo dell'anno non esattamente consono al viaggio, ovvero fine Gennaio/inizio Febbraio.
Una mattina, stavamo facendo colazione in una caffetteria, lo Bild Zeitung poggiato sul bancone aveva in prima pagina un titolo abbastanza chiaro: "Brrrr-erlinen". E tutto ciò solo perché la notte la temperatura era scesa a -27°-
"Ma hai visto che titolo sul giornale?"
"Che giornale è?"
"Bild Zeitung"
"Ah, ma è il giornale che Christiane comprava per leggere notizie sui morti di overdose"
"Non c'è speranza".

Eravamo arrivati a Berlino, avevamo preso un autobus che ci portasse alla metro e io avevo subito letto i nomi delle fermate.
"Amore guarda Rudow, dove il padre di Christiane aveva una piccionaia"
"Oh guarda, Gropiusstadt, dove viveva Christiane. In due stanze e mezza"
Che poi io, cosa si intendesse con mezza stanza non l'ho mica mai capito, eh.
"Amore, quello che resta del muro è a Kreuzberg, Christiane ci ha abitato, sai?"
Che poi io, da brava italiana che non ha mai studiato il tedesco e non ne conosce una parola, a diciassette anni leggevo i nomi dei quartieri esattamente come erano scritti.
"Ah ma il nostro hotel è sul Kurfürstendamm, sai si abbrevia Ku'damm"
"Ma che ne sai?"
"Eh, perché c'era il Sound, la discoteca dove andava Christiane"
"Ah".
"L'Europa Center, qui Christiane e i suoi amici avevano scassinato una macchinetta piena di soldi"
"I grandi magazzini KaDeWe, entriamo a riparaci dal freddo e diamo un'occhiata"
"Qui almeno Christiane non ci veniva mi sa"
"In realtà con le sue amiche rubavano le borse delle signore nei bagni di questo centro commerciale"
"Ah".

Non perdo tempo a raccontare quello che mi è uscito di bocca -no, non nel senso che ho detto cose volgari- quando siamo arrivati alla stazione Zoo della metropolitana di Berlino, dove Christiane -per la cronaca- si prostituiva insieme al suo ragazzo e agli amici.


Dopo quel viaggio, la fissazione mi era praticamente passata, non so perché.
Mia madre ancora oggi, ogni tanto, me lo rinfaccia di quanto l'ho fatta impazzire con Christiane.
Dopo aver letto il secondo libro, ho praticamente smesso di parlarne in modo ossessivo compulsivo con somma gioia di tutti. Nel frattempo, il glorioso pc fisso che era ancora a casa dei miei genitori e dov'era custodita la copia della famosa tesina ha smesso di vivere, ne dovrebbe esistere una copia cartacea custodita in una cartellina verde (bosco, non pastello come la libreria), ma non so che fine abbia fatto. E mia madre, ammesso che lo sappia, si guarda bene dal dirmelo.

Berlino comunque mi era piaciuta tantissimo, al Marito un po' meno, non so perché neanche in questo caso, ma giuro che avevamo visto un sacco di cose e ci eravamo lasciati andare a riflessioni molto profonde, inevitabili quando ti trovi davanti a quello che resta del muro di Berlino.
Ho passato parecchio tempo al freddo a fare da una parte all'altra: un attimo ero a Berlino ovest e l'attimo dopo a Berlino est, pensando che in realtà quell'andare avanti e indietro era una cosa che in passato qualcuno non aveva potuto fare liberamente.
A Berlino avevo mangiato della cioccolata fantastica alla cioccolateria Fassbender, avevo passeggiato per Kreuzberg, avevo sorseggiato caffè americano insapore. 
Mi era piaciuta tantissimo Berlino. Nonostante il freddo e nonostante Christiane.

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mercoledì 17 gennaio 2018

Perché la mamma è sempre la mamma

La mamma è sempre la mamma diceva qualcuno, non so chi.
Anche il papà, eh, ma la mamma ha quel qualcosa in più, non saprei neanche come spiegarlo.

Mia madre è una generalessa. É cattivissima, severissima ed è anche pesante da sopportare, eh.
Io ho frequentato il liceo dove insegnava mia mamma, mai scelta fu più sbagliata perché se solo avessi scelto una qualsiasi altra scuola sarei andata avanti senza subire le cose peggiori.
Praticamente per non fare pensare a nessuno che io venissi trattata meglio degli altri, ero trattata peggio. Il ragionamento non fa una piega, insomma.
La mia fortuna è stata solo una: studiavo e tanto anche, andavo bene in tutte le materie, tranne matematica (dove comunque avevo un sei perché facevo pena alla professoressa) e buonanotte al secchio.
In ogni caso, io mi sono beccata due sospensioni a scuola, una di tre giorni e una di cinque, tanto che ancora adesso mia madre si chiede se io non avessi ammazzato il preside.
La risposta comunque è no, non l'avevo ammazzato, il motivo era un altro (qui per saperne di più) però ecco lui non andava molto d'accordo con la mia amata madre, diciamo così.
Ho accettato, sopportato e odiato profondamente la scuola.
Tutta sta pappardella per dire che mia madre mi controllava a vista, a me non era concesso neanche un ritardo di cinque minuti (si, andavo a scuola per i fatti miei), non mi era concesso di prendere un cinque e non mi erano concesse neanche un sacco di altre cose.
Io, ad esempio, non potevo dormire dalle amiche. A diciassette anni, eh, non a dodici.
Il motorino me lo ha comprato mio padre, quel sant'uomo, di nascosto da mia madre (che ovviamente lo ha scoperto subito e che ha anche pagato il primo pieno di benzina), ma in ogni caso entro una certa ora -prima di cena ovviamente- io dovevo tornare a casa, sia mai che al calar del buio fossi fuori casa su due ruote.

Fatta questa doverosa premessa, immagino sia chiaro che mia madre non è stata una madre troppo permissiva, che mi ha viziata, che mi ha messo su un piedistallo e via dicendo.
Io da ragazzina dubitavo persino che mi volesse bene, eh. Ero abbastanza convinta che le stessi antipatica, cosa per altro plausibile visto che simpatica non lo sono mai stata.
Mia madre, in realtà, mi ama profondamente. E io amo lei, è una figura importantissima, forse la più importante, io non potrei vivere senza mia madre.
La mamma è sempre la mamma, ve l'ho detto.


Io ho più di trent'anni, sono donna e moglie, lavoro, ho una casa e un sacco di responsabilità, ma sono anche figlia. Una figlia che ama profondamente i suoi genitori, anche se non lo dice poi così spesso.Una figlia che ha bisogna della sua mamma. E anche del suo papà, eh.
Mia madre risponde al telefono H24, anche a notte fonda, che siano telefonate o messaggi.
A mia madre devo la forza e il coraggio che mi trasmette e devo la tranquillità con cui reagisce alle foto che le mando dal pronto soccorso in piena notte.
Lei ci prova a stare calma per me. E per mio padre.
Mia madre è quella che, quando mi hanno ricoverato per l'appendicite a Bologna, ha preso un treno di corsa, ha viaggiato tutta la notte e la mattina dopo era lì con me a tenermi la mano (e le flebo).
Mia madre è la persona che ho chiamato, pregandola e supplicandola di venire (insieme a mio padre, eh) a Roma e passare con me quello che credevo sarebbe stato il mio ultimo Natale (qui per saperne di più).
Mia madre mi compra ancora i vestiti, visto che io non sono in grado, né tanto meno ho voglia, di farlo (qui per saperne di più).
Mia madre mi fa i bonifici con causale contributo mamma a caso. Perché così non spendo i miei soldi oppure perché così mi compro un cappotto decente, basta che non sia corto.
Mia madre mi ordina su Aliexpress i vestiti anni '50.
Mia madre ha sempre la parola giusta, non si stanca mai, non sta mai male (e anche se sta male, fa finta di niente), mette me prima di qualsiasi altra cosa.
Mia madre mi rimprovera, mi chiede dove vado e a che ora torno (quello però è più mio padre, ad onor del vero), mi dice di mangiare.
Mia madre non mangia la Nutella da quasi vent'anni (qui per saperne di più).
Mia madre non ha ancora capito che lavoro faccio esattamente, ma è comunque molto orgogliosa di me.
Mia madre coccola me e anche il Marito. E io le dico sempre che sono io la figlia, deve dedicarsi a me e solo a me, mica al Marito. E lei gli dice che non deve darmi retta.
Mia madre e il Marito si coalizzano contro di me, lo hanno fatto anche due sere fa, io ovviamente li ho mandati a quel paese entrambi, ma so che come mi amano loro non mi ama nessuno.
Mia madre è la madre che un giorno vorrei essere se mai farò un figlio. Perché la mamma è sempre la mamma, ve l'ho detto.


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sabato 1 aprile 2017

Di quando ho copiato un tema e mi è andata male

Quando andavo a scuola, al liceo per essere precisi, producevo temi bellissimi.
Quando la prof. d'italiano, che mi ha accompagnato dal primo all'ultimo anno, riportava i compiti corretti era sempre una gioia: non c'era praticamente mai un segno rosso e di solito prendevo 8.
Solo una volta, decisi di copiare pensando: "Se da sola riesco a prendere 8, copiando prendo 10".
Era un'analisi del testo, l'autore era Giovanni Pascoli, credo che non lo dimenticherò mai, e presi 5.
Non so se la prof. si accorse che avevo copiato dal libro e decise di punirmi in questo modo, se avevo copiato male o se il libro era più scarso di me a scrivere. Non l'ho mai saputo e mai lo saprò, ma credo di avere imparato la lezione, visto che me ne ricordo ancora.
Il giorno del tema dell'esame di maturità ero abbastanza tranquilla, scelsi un saggio breve sul tempo, presi 10/15 che, da quanto mi dissero, corrispondeva ad un 6. Ci rimasi malissimo, ma proprio tanto male.
Ho sempre pensato, nonostante siano passati 13 anni, che anche se quel tema non era uno dei miei migliori, poteva sforzarsi di darmi qualcosa in più memore dei miei temi senza un segno rosso, prodotti in cinque lunghi anni di scuola. Evidentemente lei, la prof., non la pensava così e questo è rimasto a lungo uno dei grandi crucci del mio percorso scolastico.
A lungo ho detto, in quei cinque anni, che prima o poi avrei scritto un libro, lo volevo chiamare La Plebe e parlare di un mondo immaginario di cui tutti erano a conoscenza nella mia classe e tra i miei amici che si chiamava Mondo Omino. Non ho mai scritto nessun libro e forse non mi sembra più una buona idea quella di Mondo Omino, nonostante ai tempi mi piacesse davvero tanto. Chissà perché poi.
Insomma, mi è sempre piaciuto scrivere, ma proprio tanto, volevo fare della scrittura una lavoro, ho sempre detto che avrei fatto la giornalista (qui e qui per saperne di più), difatti la vita mi ha riservato un lavoro tecnico e ho imparato a provare odio profondo per i giornalisti. Non tutti, ma in anni di televisione, ne ho viste di cotte e di crude ed ecco, non so se in fondo mi sarebbe piaciuto essere davvero una giornalista.
Mia madre sostiene che questa voglia di scrivere l'ho presa da mio zio, suo fratello. E mi piace pensare che sia davvero così perché lo amavo profondamente, come un secondo papà.
Alla fine ho aperto un blog che mi regala qualche soddisfazione, poca roba, ma io sono contenta così.
E insomma, la mia vita è andata diversamente da come l'avevo immaginata durante l'adolescenza, ma non tornerei indietro. Probabilmente è stata tutta colpa di Pascoli, non saprei.


L'altro ieri ho scritto un post che è diventato virale, almeno nell'ambiente per il quale è stato scritto, e qualcuno ha pensato l'avesse scritto qualcun altro, quindi questo qualcun altro si è preso i complimenti al posto mio.
Che poi io dei complimenti non me ne faccio nulla, eh, anche se un pochino ci sono rimasta male. 
Forse ci sarebbe rimasto male anche l'autore del libro di letteratura italiana da cui avevo copiato quella benedetta analisi del testo, tale Guido Baldi. Chi lo sa.
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lunedì 17 ottobre 2016

La guerra dei licei

Io ho frequentato il liceo linguistico.
Sono una brutta persona e ho scelto questa scuola perché era davanti casa e perché si facevano i viaggi all'estero. Ah, anche perché la ricreazione durava mezzora abbondante e si poteva uscire.
In un primo momento, ero orientata per il liceo classico, non perché credessi nell'utilità del greco e del latino, ma perché il liceo classico più vicino a casa mia, il Meli, era rosa.


Solo che si entrava alle 8 ed era almeno un km più in là rispetto al linguistico, serviva prendere l'autobus e io ero già stanca solo all'idea.
Quindi alla fine, l'entrata alle 8.30 (con seconda campana alle 8.35, mica pizza e fichi) e gli 800 metri scarsi che separavano casa mia dal portone d'ingresso della scuola hanno vinto sul rosa.


A tredici anni ero davvero una ragazzina assennata, adesso non lo so mica se riuscirei a rinunciare facilmente al rosa. 
E comunque, a metà del primo anno, hanno deciso di chiudere i cancelli durante la ricreazione e non farci più uscire. Almeno nella scuola rosa avevano il bar interno, noi manco quello: veniva un panellaro -lo zio Umberto- e una macchina del tizio del panificio con la rosticceria dentro, roba da ufficio d'igiene.
C'è stato un altro momento, quello in cui volevo frequentare il liceo artistico perché volevo dare sfogo alla mia creatività, ma poi mi è tornato in mente che la professoressa di educazione tecnica diceva sempre che tenevo la matita come fosse una zappa. In effetti, quando disegnavo, lasciavo il solco sul foglio.
E comunque il liceo artistico era dall'altra parte della città.
Il liceo scientifico non l'ho preso manco in considerazione, la matematica è un crimine contro l'umanità e comunque io ero scarsa, ma proprio tanto scarsa. 
Comunque, ho studiato il latino, ma non il greco, e mi piaceva da impazzire.
A dire il vero ho studiato anche la matematica, ma avevo una prof. che riconoscendo la nostra inettitudine aveva stabilito che non ci avrebbe mai fatto fare un compito scritto. Si limitava ad interrogarci e a prendere quel poco di buono che ognuno di noi avesse da offrirle. Nel mio caso, non c'è manco quel poco, il mio encefalogramma è sempre stato piatto quando si parla di numeri.
Durante il compito in classe, eravamo molto furbi: ci dividevamo la versione in quattro parti, un pezzo per uno e ognuno poi passava il pezzo che aveva tradotto. Essendo tutti e quattro i complici di questa malefatta piuttosto bravini, arrivavano voti alti ed eravamo tutti felici.
Quando ho saputo della morte della prof. di latino mi sono sentita una merda per quella truffa attuata anni prima. E comunque, c'era chi faceva di peggio e la versione se la faceva fare dalla zia tramite cellulare.
Di certo non si può dire che non eravamo ingegnosi.
Il latino l'abbiamo mollato alla fine del biennio, sostituendolo con la filosofia.

La costante della mia vita, al liceo, è sempre stata lo studio dell'inglese e del francese.
Come terza lingua scelsi il diritto che mi direte voi non è una lingua straniera, infatti i sensi di colpa furono tali che al terzo e quarto anno mi accollai di uscire da sola alle quattro di pomeriggio per studiare anche lo spagnolo del quale, per la cronaca, non ricordo una sola parola.
Però conosco a menadito il diritto di famiglia di quindici anni fa che nel frattempo è pure cambiato. 
Comunque dicevamo dello studio dell'inglese e del francese.
Al biennio si faceva essenzialmente grammatica, a distanza di anni conosco le regole grammaticali come l'Ave Maria (questo è un modo di dire, ma io in realtà l'Ave Maria non me lo ricordo) e sono ancora in grado di ripetere a menadito i paradigmi dei verbi irregolari.
Dal terzo anno, si iniziava con lo studio della letteratura, rigorosamente in lingua. La mia prof.d'inglese del triennio era talmente simpatica che se osavi pronunciare una parola in italiano ti faceva pagare una multa e ti spediva fuori dalla classe.
In ogni caso, per tutti e cinque gli anni, era prevista la presenza di una conversatrice (o conversatore, ma le mie erano tutte donne) madrelingua ed effettivamente era una cosa molto utile.
Per perfezionare l'uso della lingua straniera, facevamo un sacco di viaggi d'istruzione tutti rigorosamente all'estero e c'erano i gemellaggi: in casa mia sono passati una biondissima svedese e un brufolosissimo greco che chiaramente non parlavano una parola d'italiano. O parlavi in inglese o questi non capivano. Giustamente, eh.
Mia nonna comunque al greco parlava in italiano e lui le rispondeva in greco. E si capivano, eh. 
Alla seconda prova dell'esame di maturità potevamo scegliere se fare il tema in inglese o in francese, io scelsi inglese e presi 15/15. Il francese me lo ritrovai alla terza prova.
Una volta diplomata, scelsi l'utilissimo corso di laurea in Scienze e Tecnologie dello Spettacolo che ancora adesso mi chiedo cosa mi diceva la testa. 
In ogni caso, nella scelta del corso di laurea, la distanza da casa non poteva influire perché la città delle scienze, come la chiamavano, era lontanissima da casa e quella c'era, non avevo alternativa.
Il primo anno mi toccò sostenere l'esame di lingua e traduzione inglese da nove crediti, io estremamente paracula come sempre andai alla prima lezione e quando la prof. cominciò a spiegare l'uso dell'articolo determinativo e indeterminativo decisi che col cavolo sarei andata ancora a lezione.
Il giorno prima dell'esame presi il libro di testo -tutta grammatica- e per passare il tempo feci gli esercizi. 
All'esame presi 28 completando cinque esercizi che comprendevano più o meno i primi tre giorni del programma del liceo linguistico (primo anno, eh) e poi passai all'orale. Dovevo parlare di me stessa, qualcosa tipo: "My name is Gilda and I'm 19 years old". Roba di alto livello, insomma.
L'anno dopo mi toccò sostenere l'esame di letteratura inglese che praticamente era tutto su William del mio cuore. Studiai qualcosa, andai all'esame, raccontai al professore tutto quello che mi ricordavo del liceo e presi 30.
L'assistente era incantata dal fatto che sapessi parlare di Shakespeare in inglese, io in realtà ai tempi avevo buona memoria e praticamente recitai i riassunti del mio quaderno del terzo anno di liceo.
Rimasi comunque profondamente offesa dal fatto che non mi mise la lode.
Poi alla fine della fiera, ho iniziato a lavorare e non mi è servito né l'inglese né il francese, né tanto meno il greco e il latino, quindi con buona pace di tutti fate un po' la scuola che volete -e scegliete in base a criteri davvero importanti come ho fatto io- che tanto poi la vita è un'altra cosa.
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lunedì 12 settembre 2016

Il primo giorno di scuola

Pare che oggi sia il primo giorno di scuola.
P-r-i-m-o-g-i-o-r-n-o d-i-s-c-u-o-l-a. 
Io non ricordo assolutamente nessun primo giorno di scuola, ho rimosso tutto e se ci penso mi viene ancora oggi la pelle d'oca.
Strappare una bambina prima e un'adolescente dopo, al mare, agli amici, alla spiaggia è un crimine contro l'umanità. Un crimine gravissimo aggiungerei.
Io tutta sta poesia nel primo giorno di scuola non ce la trovo, non ce l'ho mai trovata e mai ce la troverò. 
In prima elementare capisco anche che ci sia un pò di emozione. Capisco davvero, eh.
Dovete ammettere però che quelli emozionati e felici sono i genitori, mica i pargoli. 
Pensate quanto si arrabbieranno quando scopriranno che è finita la pacchia, non si gioca più e bisogna stare seduti per ore.
Pensate che fatica imparare a leggere e a scrivere.
Ai miei tempi si tracciavano centinaia di stanghette sul quaderno.
"Per avere una bella grafia in futuro" dicevano. E difatti ho una bellissima grafia, solo che poi sono arrivati i computer e non me ne faccio niente.
Io comunque già me li immagino i pargoli che chiedono alla maestra:"Scusi, ma quando si gioca?" e lei, con ghigno malefico, risponderà che si gioca solo a ricreazione. Forse. Se ci si comporta bene. E solo se si finisce la merenda, a base di purea di frutta biologica e chicchi d'avena.
Bambini, io vi avviso: dovete starci almeno tredici anni su quei banchi. E solo se non vi farete bocciare. Scappate finchè siete in tempo, dite a mamma e papà che andate a comprare le sigarette e poi fuga dai nonni.
I nonni sono buoni, non vi costringeranno ad andare a scuola.



I genitori commossi, intanto, attenderanno davanti al cancello della scuola, pensando che il loro bimbo è ormai grande, presto partirà per il servizio militare, sarà padre ed è un attimo che ha settant'anni. Poco importa se di anni ne ha cinque, è anticipataro e il servizio militare obbligatorio è stato abolito da un pezzo.Stamattina ne avrò già viste un centinaio di foto del primo giorno di scuola, anche se, andando a memoria, io ricordo che mica iniziava ovunque lo stesso giorno sta benedetta scuola. 
E soprattuto: ma il grembiule dov'è finito?
Perchè i pargoli sono tutti novelli modelli di Abercrombie&Fitch?
E perchè le pargole sono più eleganti di me il giorno della laurea?
Che poi oh, il 12 Settembre è piena estate, fa caldo, è cattiveria andare a scuola, bisogna stare in spiaggia a fare il bagno,
Si mamme lo so che non aspettavate altro che questo momento che altro che i saldi del 90% da Micheal Kors. 
Si capisco che non sapevate più che farne dei figli.
(L'ho letto davvero eh, non me lo sto inventando).
Detto questo: buon inizio di scuola a tutti!
Godetevi questo momento perchè (per fortuna) gli orribili giorni passati a scuola non torneranno mai più.
Godetevelo soprattutto se siete dei maturandi che questo è l'ultimo primo di scuola, dall'anno prossimo sarete liberi.



P.s. Ma -scuola elementare a parte- si usa ancora la Smemo? E si usa ancora il primo giorno di scuola portare solo il diario tanto non si fa niente e passare la giornata a disegnare nei diari altrui?

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venerdì 15 luglio 2016

Il registro elettronico e la violazione dei diritti umani dello studente

Ho scoperto ieri sera dell'esistenza del registro elettronico nelle scuole.
Inutile sottolineare che, ai miei tempi, a scuola a momenti non c'erano nemmeno i gessetti, figuriamoci i tablet.
Mi è stato spiegato che questo registro elettronico contiene tutto: le assenze, le note, i voti.
Una violazione dei diritti umani dello studente di scuola superiore, insomma.


Ho finito la scuola nel 2004 -dodici anni fa, quindi- e credo che la prima cosa da imparare fosse come riprodurre fedelmente la firma del/dei genitore/i.
Mia madre ha una firma complessa, mio padre invece -santo uomo- una firma che si compone di due linee posizionate vicine dalle quali è possibile comprendere soltanto le iniziali: la sua firma è estremamente semplice da riprodurre. Credo per questo motivo, la firma apposta sui libretti delle giustificazioni era quella di mia madre.
Anni e anni di esercizio, mi hanno permesso di saper fare la sua firma meglio di lei, tanto che sono quasi certa che -nel caso in cui le due firme venissero messe a confronto- sarebbe lei ad essere considerata la falsificatrice.
Ad ogni modo, io faccio parte di quella fetta di studenti ai quali bastava dire:"Mamma, non voglio andare a scuola" fornendo adeguata giustificazione del motivo per cui il mio letto mi sembrava più invitante del banco per non andarci. Però, ecco, almeno una volta nella vita tutti non siamo entrati a scuola e i genitori non lo hanno mai saputo.
Tutti quelli della mia generazione conoscono perfettamente i metodi di trasformazione di un 3 in un 8, di un 2 in 7 e dell'aggiunta di mezzi voti random che, si sa, il mezzo voto è indicativo di un professore brutto e cattivo che non ha voluto premiarci come meritavamo.
Tutti sappiamo che apporre una R sopra il nome di un assente è cosa buona e giusta per fingere un ritardo dimenticato per sbaglio dal professore tonto, conosciamo i metodi di cancellazione delle note sul registro.
I livelli più alti conoscono anche le forme di falsificazione del pagellino -che mi chiedo a questo punto se esista ancora. A me lo spiegarono al terzo anno di liceo: cancellare voti con bianchetto su fotocopia del pagellino, apporre nuovi voti, fare firmare pagellino  con voti nuovi, cancellare con bianchetto voti nuovi, rimettere voti vecchi, rifotocopiare. Insomma, una cosa del genere, io non l'ho mai dovuta fare, ma di esperti di questa arte ne ho conosciuti parecchi.
L'arte dell'omettere era roba comune: dopo il compito in classe, fingere che il professore non li avesse ancora riportati per nascondere un voto non esattamente brillante. Quelli che padroneggiavano meglio l'arte drammaturgica potevano addirittura fingere indignazione e sdegno verso il professore che dopo quattro mesi non aveva ancora riportato il compito in classe corretto.

Qua invece pare che il professore non abbia il registro di classe, l'appello lo faccia leggendo una lista di nomi sul tablet, inserisca le assenze e -in tempo reale- il genitore possa collegarsi da casa (o dal lavoro o dallo smartphone anche se è in quel momento è in India) e scoprire alle 8.15 del mattino che l'amato pargolo non è dove dovrebbe essere. Quindi, in buona sostanza, nessuna fuga al mare mattutina perché tanto vieni colto in flagranza di reato quando al mare non ci sei ancora arrivato, senza poter usare come scusa nemmeno il ritardo dell'autobus perché c'è l'app pure per controllare quello.
Niente voti falsificati o omessi, solo un triste destino fatto di genitori che sanno il tuo voto prima di te perché -udite, udite- spesso i voti vengono inseriti prima sul registro elettronico e solo dopo viene riportato in classe il compito corretto.
I quadri non si vanno più a vedere a scuola, se sei promosso o bocciato lo scopri (o meglio, lo scoprono i genitori prima di te) tramite il registro elettronico. A me piaceva andare a scuola a vedere i quadri perchè non solo vedevo i miei voti e i bocciati della mia classe, ma mi facevo anche i fatti delle altre classi.
E poi, conosco un sacco di gente che ha informato i genitori della bocciatura solo dopo le vacanze estive onde evitare di non farsi le vacanze con gli amici o di essere rinchiuso in casa senza poter andare al mare. Si, ai miei tempi esistevano anche questo tipo di punizioni.
Mia madre, dopo un pagellino non troppo entusiasmante in terzo liceo, voleva mandarmi in collegio. Un collegio femminile, con le suore.

Innformazioni dettagliate sulla questione me le ha fornite la  sorellina di una mia amica, è nata nel '99 e non si ricorda la lira, ma è comunque tanto carina.
Mi ha anche detto che hanno un cellulare finto da consegnare quando entrano in classe all'insegnante: lo scopo è quello di non fargli usare i social network durante le ore di lezione.
Ovviamente li usano comunque -tanto il cellulare che consegnano è appunto finto- e si parlano da un banco all'altro usando Facebook e Whatsapp.
Pare che i bigliettini -che spesso venivano intercettati- non si usino più.
Io, lo ammetto, fino a qualche tempo fa pensavo che i nati dopo il '90 non esistessero. Un'invenzione dei media.
Poi non so come, è successo che mi sono trovata un amichetto nato nel 92, ho dovuto rivalutare la loro esistenza e da lì si è aperto un mondo nel quale, dicono, esistono anche nati nel '99 e registri elettronici che violano i diritti umani dei poveri studenti.
L'amichetto del 92, che ci tiene che io precisi che è bello e simpatico, ma che -aggiungo io- non cerca fidanzata perchè io non sono ancora pronta a scoprire che anche a questa età fanno queste cose, ha detto che quando andava a scuola lui non si portava la mela alla maestra, ma non c'erano nemmeno i tablet, quindi non ho ancora avuto modo di capire quando è successo tutto questo.
Mentre scoprivo questo universo parallelo, un altro amico -che ha fatto la maturità in sessantesimi, ci lanciava gli scarafaggi addosso. C'est la vie.


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mercoledì 6 gennaio 2016

Andavo a scuola il sabato

Io andavo a scuola il sabato.
Per cinque  anni, ogni santo sabato mi sono svegliata alle 8 per andare a scuola.
Entravamo alle 8,30 ed uscivamo alle 13,15.
Il venerdì sera non uscivo. Al massimo, nei venerdì particolarmente eccitanti, studiavo matematica perchè -chi faceva l'orario ci voleva evidentemente molto male- e per cinque lunghi anni, ogni santo sabato ci ritrovavamo un'ora di matematica.
Eravamo una classe di piccoli geni, ma la matematica non faceva per noi.
Al liceo linguistico si facevano solo due ore di matematica e, nel caso della mia classe, erano stati aboliti i compiti scritti dopo un primo disastroso tentativo al primo anno.
Chiedendo agli studenti del liceo linguistico "perché avete scelto questa scuola?", una delle risposte più gettonate era perché non si studia la matematica", seconda solo a "perché si fanno ogni anni viaggi d'istruzione all'estero", non so se mi spiego.


È successo che, durante le feste natalizie, sono andata a cena con alcune mie compagne di classe.
A questa cena erano presenti Fidanzato e anche il fidanzato di una mia compagna.
Com'è normale che sia, abbiamo cominciato a ricordare gli anni della scuola, finchè i due malcapitati hanno chiesto che cavolo di classe fosse. Ci hanno definito delle delinquenti.
A parte che c'erano anche dei maschi -2 su 25 al quinto anno- comunque eravamo studiosi. Molto studiosi.
Alla maturità. parecchi 100, moltissimi voti sopra l' 80, giusto un paio di 60.
Era già la maturità in centesimi, non quella in sessantesimi.
È successo che al terzo anno, il professore di religione fu benedetto dalle sue amabili studentesse con acqua e sale. Cosa ci facesse un pacco di sale in una classe è un dettaglio, ma la spiegazione c'è ed è anche plausibile: una ragazza si era fatta il piercing alla lingua e per disinfettarlo si era portata dietro una bottiglia d'acqua e il pacco di sale. Per fare degli sciacqui.
Il professore in questione, da quel momento e per un lungo periodo, cominciò ad entrare in classe con il crocifisso in mano. Nel senso che prima entrava il crocifisso con cui sperava di redimerci, poi entrava lui.
Era un bravo professore, ma si chiamava Santo. E non ti puoi chiamare Santo e insegnare religione.
E' anche successo che qualcuno desse fuoco a qualcun altro. E andavano di moda i vestiti -orridi- in acrilico 100%. 
E che durante un'ora di matematica si consumassero partite all'ultimo sangue a shangai (avete presente il gioco, no?).
Cosa ci facessero i bastoncini di shangai in una classe, non è dato sapere.
Oltre ai bastoncini di shangai, avevamo anche tappezzato il muro in fondo con le nostro foto da bambini, quando ancora eravamo belli e innocenti.

Al quarto anno era anche successo che ci mandassero otto persone di un'altra classe.
Durante la cena, una di queste otto persone ha detto:"Gilda non ci voleva".
Ero una bulla a quanto pare. E comunque è vero che non erano molto gradite, anche se faccio fatica a spiegarmi il motivo visto che sono tutte persone che sento tuttora e che mi sono simpatiche.
Il primo giorno di scuola di questo quarto anno, la professoressa di inglese aveva deciso che dovevamo dividerci in gruppi per fare non so cosa. 
Le otto ovviamente si erano fatte due gruppi per i fatti loro e la professoressa aveva tuonato che o ci mischiavamo spontaneamente o sarebbe intervenuta.
La professoressa è la stessa che se dicevi una parola in italiano durante le sue lezioni, ti faceva pagare 10 centesimi di multa e ti buttava fuori.
Ed è anche la stessa che quando abbiamo disertato in massa un suo compito in classe non presentandoci  a scuola, ha convocato tutti i genitori. Avevamo tutti 18 anni (o meglio, avevano tutti, le uniche minorenni eravamo io ed un'altra ragazza), mancavano un paio di mesi alla maturità e lei ci fece venire tutti accompagnati come dei tredicenni al primo anno. No dico, ma come si è permessa?

Di compito in classe ne avevamo disertato un altro -quello di filosofia.
Ora, per comprendere la situazione, è necessario sottolineare che la professoressa di filosofia era cattivissima. 
Quindi, dicevo, in otto avevamo disertato questo compito, me compresa.
"Ci facciamo interrogare e tanti cari saluti".
Il giorno dopo, lei ci fece presente che gli assenti avrebbero fatto il compito comunque.
Corsa a studiare tutto il programma, saltando ovviamente le tre domande che aveva fatto nel compito che avevamo disertato. E ovviamente lei ripropose le stesse tre domande, identiche.
Lei era la stessa che, facendo recuperare il debito dell'anno precedente a una compagna, la chiamò alla cattedra e le chiese di ripetere quello che aveva scritto nel compito, ma lei non lo sapeva.
Tuonò verso chi, secondo lei, aveva scritto quel compito (e aveva ragione), il giorno dopo ci interrogò e mise 3 a tutti i colpevoli.

La professoressa di italiano aveva l'abitudine di ripetere "Ma, ma, ma Gildaaaa!", anche quando a scuola non c'ero andata. Lei mi rimproverava, così, a caso.
Ogni tanto, diceva che potevamo ridere per cinque minuti. Lo faceva pensando che così avremmo smesso di ridere come capre. Di fatto, noi ridevamo come matti per cinque minuti, poi allo scoccare del sesto minuto la facevamo finita.
Qualcuno -in altre occasioni- fu anche buttato fuori per ridere in pace. 
Qualcun altro ancora si auto buttava fuori dalla classe perchè offeso con il professore.

In classe c'erano due gemelle -diverse tra loro, una per altro aveva i capelli lunghi e l'altra corta- ma la professoressa di italiano non le distingueva mai.
Quando le gemelle hanno compiuto 18 anni abbiamo fatto recapitare un classe un enorme mazzo di fiori per loro, raccomandandoci con il fioraio di farlo arrivare ad un orario preciso per evitare l'interrogazione di francese. Il fioraio tardò tre minuti e noi eravamo tentati di buttarci dalla finestra. A parte le ignare gemelle che ovviamente non sapevano nulla.

È anche successo che la professoressa di francese ci dicesse di andarci a friggere nell'olio bollente, ma a fuoco lento così avremmo sofferto di più.
Però come ci ha insegnato la grammatica lei, nessuno mai.
Ci alzavamo persino in piedi quando entrava.

I compiti in classe di latino li facevamo tutti insieme, un pezzo di versione per uno e le versioni erano sempre perfette. Quando devi tradurre un rigo e non una versione intera, vorrei ben vedere.
In mezzora consegnavamo le versioni ed era otto per tutti.
Abbiamo utilizzato lo stesso metodo alla maturità: tutti la stessa risposta ad una domanda della terza prova che, però, disgraziatamente, era sbagliata.
Sul muro della classe -al terzo anno- campeggiava una scritta minacciosa:deadline che significa scadenza, ma non puoi scrivere deadline e mettere ansia a degli adolescenti. 
Se non rispettavamo le scadenze, venivamo fustigati.
Ma tanto noi ridevamo. Sempre. Continuamente. Per qualsiasi cagata.
E alla fine, dai, siamo venuti su bene.
Ve l'ho detto che eravamo dei geni. E come tutti i geni, eravamo anche folli.

E comunque, l'orario di tutta la scuola lo faceva la mia professoressa di filosofia. Per dire, eh.

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mercoledì 16 dicembre 2015

Di febbre, conferenze e paura di essere morsa

Ieri avevo la febbre.
Viene da se che, avendo la febbre, ero a letto in punto di morte, circondata dai miei cari che cercavano di convincermi che sarei sopravvissuta e che no, i dolori ossei non avrebbero avuto la meglio su di me. Nessuno rispettava la mia volontà di procedere con l'estrema unzione, ma tant'è.
Stamattina stavo meglio, dopo aver ingerito Tachipirina come se non esistesse un domani nel tentativo di salvarmi la vita, quindi sono andata a fare una conferenza.
Conferenza è come l'hanno definita loro, io appena ho sentito la parola conferenza e visto un'aula gremita di ragazzi, volevo simulare uno svenimento, fare chiamare l'ambulanza e tanti cari saluti.
Ho rifletutto a lungo su come vestirmi e, alla fine, ho ceduto al mio solito abbigliamento: jeans, una maxi maglia e stivali -il tutto accompagnato da unghie natalizie e  occhiali da sole, nonostante la pioggia (e no, non metto gli occhiali da sole quando piove perché sono sborona, ma perché sono troppo pigra per togliermeli quando mi accorgo che sta piovendo). Io ci ho provato ad apparire come una persona adulta, ma niente: è più forte di me. Avevo vent' anni l' altro ieri, in fondo.
Mi hanno presentato come dottoressa che, diciamoci la verità: io so che è vero e che in teoria sono una dottoressa, ma faccio fatica a crederci pure io.
La Dottoressa che vi parlerà di comunicazione.
Io continuavo a guardarmi in giro nel tentativo di capire chi fosse questa dottoressa che avrebbe parlato di comunicazione e solo dopo un' attenta occhiata ho capito che, ebbene si, stavano parlando di me.
E quindi mi sono giocata il cavallo di battaglia: Mtv e 16 anni e incinta Italia.
Solo che loro erano cento o forse duecento e io una, per giunta malata e quindi ero terrorizzata, avevo paura si alzassero dalle poltrone di questa aula magna, mi mordessero, mi mangiassero il cuore e quella roba lì che notoriamente fanno gli adolescenti.
Solo che poi li ho guardati meglio e ho notato che non sono poi così diversi da come ero io dieci anni fa, quando andavo a scuola. Ho pensato a quanto amassi queste occasioni in cui almeno non eravamo costretti a stare in classe a fare lezione, a quanto mi piaceva quando potevamo stare anche con altre classi che si, nell'altra classe c'è sempre il ragazzo che ti piace.
Alla fine, dopo che ho parlato per un'oretta di Mtv, di televisione, di messa in onda, di affollamento pubblicitario, di personaggi famosi, di 16 anni e incinta, di Quattro Matrimoni, di blog e di qualche altra menata, mi hanno anche fatto delle domande. A me.
Quindi forse qualcosa di interessante l'ho detta. Mi hanno chiesto come si fa a lavorare in tv, se serve essere raccomandati, quanto si guadagna, perché ho l'accento romano, se è tutto vero quello che si vede.

Un'insegnante mi ha anche rimproverata perché non voleva passasse il messaggio che non servisse la laurea. E le ho dovuto spiegare che no, non serve la laurea per fare questo lavoro. Forse per fare il medico si, probabilmente anche per fare l'avvocato, ma non per fare il tecnico di messa in onda.
L'avevo già detto, ma forse non mi stava ascoltando.
Mi piace parlare di messa in onda, mi piace proprio. Mi piace parlare di televisione, mi piace fare conoscere questo mondo.
Un ragazzo mi ha detto che ho fatto due cose buone oggi: parlare di televisione e trasmettere un pò di ottimismo. Mi ha ringraziata perché non sono andata a raccontargli che c'è la crisi e che non hanno la minima speranza.
Che poi io sono ottimista perché se non lo fossi -almeno un pochino- sarebbe una tragedia.
Gli ho raccontato di come ho iniziato io, di come sono andate le cose. A qualcuno piacerebbe lavorare in tv, a qualcun altro piacerebbe scrivere.

Mi hanno anche portato un pezzo di torta. Con le nocciole. E non l'ho potuta mangiare.
Ma chi se ne frega se non l'ho potuta : la torta me l'hanno portata e mi sono quasi commossa.
E questi ragazzi vorrei vederli tra dieci anni, vedere come saranno, vedere se riusciranno ad arrivare dove vogliono arrivare,. E qualunque sia il loro sogno, io mi auguro davvero che ce la facciano.


E anche se sono venuta male in questa foto, se non ho potuto fare una foto con tutti, se la febbre non mi ha lasciata in pace, è stato bello incontrare questi ragazzi e queste ragazze. Molto bello.


La scuola superiore in questione è l'Istituto Tecnico Professionale Gaetano Salvemini di Palermo.
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mercoledì 17 giugno 2015

Esami di Maturità

Sono passati undici anni. UNDICI.
Quel che basta per far si che gli esami di maturità siano completamente diversi da come li ricordo io.
Era Giugno 2004.
Il primo giorno dei miei esami di maturità pioveva tantissimo e vi assicuro che a Palermo non è così frequente
La professoressa di filosofia, dopo averci terrorizzati per anni, aveva detto chiaramente che se ci fossimo presentati con un filo di pancia scoperta, ci avrebbe rispediti a casa e l'esame l'avremmo fatto l'anno dopo.
Non penso di essere mai andata a scuola così coperta, nonostante fosse Giugno: jeans, maglia che arrivava fino ai fianchi, un maglioncino di cotone che sai mai la maglia si alzi e si veda un lembo di pelle.
Il tema di letteratura era su Montale. Penso di non aver letto nemmeno letto la traccia.
Io scelsi un saggio breve sul tempo e presi il voto più basso mai preso in un tema negli ultimi cinque anni, ovvero 10/15 che equivaleva più o meno alla sufficienza. Lo presi come uno smacco incredibile: io che avevo sempre preso voti dal 7 e mezzo in su nei temi, adesso arrivavo a malapena alla sufficienza? Ma guarda te!
Il tema più gettonato fu quello sull'amicizia.
Di quel primo giorno di maturità ricordo che ci sequestrarono i cellulari -ai tempi gli smartphone comunque non esistevano - e che la prof. di filosofia (sempre lei) portò pacchi e pacchi di grissini, quelli grossi col cimino, che si trovano praticamente solo a Palermo.
Ero seduta a primo banco, tanto non avevo nulla da copiare.
C'era chi aveva le cartuccere con milioni di temi minuscoli. Io no perché almeno i temi li sapevo scrivere. Il problema sarebbe arrivato dopo.
Quando sono uscita da lì, venne a prendermi mia madre che, sentendo le tracce al tg, aveva indovinato il mio tema.

Del giorno dopo, quello della seconda prova, ricordo che potevamo scegliere se fare il compito in inglese o in francese. Credo che la possibilità di scegliere fosse solo per noi del liceo linguistico, quelli del classico di solito non scelgono e sono tutti terrorizzati dall'idea di fare la seconda prova in greco, invece che in latino.
Di questa seconda prova ricordo pochissimo, se non che la prof. di filosofia (si, sempre lei, quella cattivissima) portò le arancine. I grissini evidentemente non erano stati abbastanza soddisfacenti.
Quindi, ecco, del mio esame di maturità, io ricordo il cibo che portarono i professori.
E comunque, inglese lo passai con 15/15, a riprova che a quanto pare cinque anni di liceo linguistico a qualcosa sono serviti.
La terza prova (esiste ancora?Qualcuno lo sa?) fu una strage.
Sbagliammo tutti la domanda di fisica: era una domanda sul telescopio o sul binocolo, una cosa del genere. E tutti demmo la definizione contraria: del tipo, la domanda era sul binocolo? Noi rispondemmo con le caratteristiche del telescopio. O viceversa, non me lo ricordo.
"Ma com'è che tutti hanno sbagliato la stessa domanda?"


Dopo tre giorni avevo l'orale e non studiai un granchèé ma io avevo studiato durante l'anno quindi in questo ero agevolata.
Sento persone dire che l'esame è stata una formalità. A me mi hanno letteralmente tartassata. E non solo a me, anche ai miei compagni di classe.
Raffica di domande su qualsiasi cosa, l'unica che fu clemente fu la prof. di scienze che era una santa donna tanto che ci chiese un argomento a piacere. A tutti. Probabilmente si era rassegnata alla nostra scarsitudine nelle materie scientifiche, non lo so.
Persino la prof. di matematica, che per cinque lunghi anni, aveva avuto pena di me e mi aveva interrogata il 10 Giugno di ogni anno per darmi la sufficienza e non rovinarmi una media abbastanza alta, mi fece fare un esercizio. E immagino il suo stupore quando scoprì che, ebbene si, quell'esercizio lo sapevo fare.
Credo fosse la forza della disperazione perché, un minuto dopo che ero uscita da lì, non sapevo nemmeno quale fosse la domanda che mi aveva fatto, figuriamoci la risposta.
Sotto i vestiti avevo il costume, si vedevano anche i laccetti sbucare dal colletto della maglia (anche qui, ero assolutamente copertissima, sai mai mi fanno tornare l'anno prossimo per un pò di pancia che si vede).

Il mio esame di maturità si concluse con una domanda da un milione di dollari:"Ma tu lo sai perchè Nietsche si è suicidato?"
Ah, perché si è suicidato?
Ho alzato bandiera bianca.
Era sempre lei, la prof. di filosofia.
Il giorno dopo il mio esame orale, si presentò con due ore di ritardo -molto strano per lei che arrivava sempre quattro ore prima e non contemplava i ritardi - perché la notte le avevano rubato la macchina.
Migliaia di studenti maltrattati si saranno messi a festeggiare. All'epoca anche io pensai che in fondo in fondo se lo meritava. Adesso, a distanza di undici anni, mi dispiace.

E andò così.
Il 25 Giugno 2004 ero felicemente maturata. Come una pera.
84/100. Un po' pochino per me che a scuola ero sempre andata bene, non avevo mai avuto un debito formativo che fosse uno e l'unico 6 che avevo in pagella era quello in matematica (in realtà, all'ultimo anno, invece del solito 6, in pagella comparve un bel 7 in matematica che non so se sia stato frutto di un errore della prof. o un premio per averci quanto meno provato, ma di essere troppo scema per arrivarci).


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domenica 17 maggio 2015

Da grande voglio fare la giornalista #2

Ieri non ci avevo pensato.
È un capitolo della mia vita che avevo rimosso.
E poco importa se me l'avevano ricordato poco tempo fa . Io l'avevo rimosso di nuovo.
Ebbene si, sono stata giornalista. Del giornalino del liceo per essere precisi.
Quando andavo a scuola, a me piaceva studiare.
Mi piaceva un pò meno recarmi fisicamente a scuola, la mattina presto per giunta, ma ero comunque uno che non faceva assenze e che tutto sommato la scuola la sopportava.
La mia scuola era una scuoletta, intesa non come una scuola di serie B, ma come una scuola piccola dove, bene o male, ci conoscevamo tutti.


Ad un certo punto, abbiamo avuto la brillante idea di fondare un giornale della scuola. Correva l'anno 2003.
Aveva un sacco di rubriche fighe e ce le eravamo divise: c'erano  rubriche che parlava di sport, di pettegolezzi, di musica, di film e sicuramente di qualcos'altro che adesso, a distanza di dodici anno ho rimosso.
Riunione di redazione, sapere per conoscersi bene, poi ognuno ha scritto il proprio pezzo e siamo passati alla fase impaginazione e stampa.
Orgogliosissimi del nostro lavoro, abbiamo distribuito le copie che sono state molto apprezzate da tutti, soprattutto dai professori e dal preside il consiglio dei professori riuniti, il preside, il WWF, i vigili del fuoco e la polizia penitenziaria hanno ordinato di ritirare immediatamente perché, ecco, diciamo che non avevano gradito la rubrica dei pettegolezzi.

Ma guarda te: studenti volenterosi (vi assicuro che in quella redazione improvvisata c'erano delle belle teste, gente che comunque adesso non è in giro per le strade a spacciare cocaina, ma anzi di strada ne ha fatta) creano giornalino e loro che fanno? Censurano.
E non solo censurano, ma vietano anche qualsiasi altra uscita del giornalino, il ritiro immediato di tutte le copie (roba che nel frattempo erano arrivate pure alle scuole vicine e ce le siamo dovute fare ridare).
Fine ingloriosa del giornalino della scuola e, inconsciamente, anche della mia carriera di giornalista. Sarà stato per quello.
E se vi state chiedendo come faccio ad essere in possesso della copertina se tutte le copie sono state ritirate... Beh, evidentemente non sono state ritirare tutte.
Evidentemente ce n'è ancora una giro. Toccherebbe fotocopiarla e distribuirla davanti la scuola. Chissà come la prenderebbero.
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