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giovedì 24 maggio 2018

Tredici ragioni per vedere (o per non vedere) Tredici

Tredici ragioni per vedere o per non vedere Tredici, là dove Tredici sta per 13 Reason Why, la serie prodotta da Netflix tratta dal libro 13 di Jay Asher che, sinceramente, prima di vedere la serie non sapevo neanche chi fosse.
Lo confesso: ho fatto il gioco di parole sul titolo della serie (e del libro, non dimentichiamolo), ma non so neanche se le ho tredici ragioni per vedere o non per non vedere la serie.

Ho visto la prima stagione con il marito, qualche mese dopo il rilascio, assolutamente per caso.
Dove il mondo era arrivato alla fine di Marzo del 2017, io (e il marito, ovviamente) ci sono arrivata a fine Novembre dello stesso anno. 
Ho atteso trepidante la seconda stagione, non perché fossi rimasta estasiata dalla prima, anzi direi proprio il contrario, ma perché oh, a quel punto io volevo sapere come andava a finire. E poi francamente quasi mi aspettavo che Hannah Baker risorgesse, che magari gli sceneggiatori sono fan di Beautiful e volevano rendere omaggio al personaggio di Taylor che è morta e risorta non so quante volte.

-Hannah Baker, la giovane protagonista morta suicida perché vittima di bullismo, a me stava sul cazzo già dalla prima serie e con la seconda questo sentimento nei suoi confronti è tornato prepotente.
Hannah è vittima dell'atteggiamento dei suoi compagni di scuola che non l'hanno presa esattamente in simpatia. Praticamente tutti vogliono farsela, ma di fatto sta sulle palle a tutti. Questi tutti reagiscono mettendo in giro voci poco carine sul suo conto (deplorevole, certo), ma lei -ecco- non è che sia sto stinco di santo. Un'adolescente carina oserei dire, in una scuola di adolescenti e solo Dio sa quanto possono essere merde gli adolescenti. 
Il colpo di grazia che rende Hannah arrabbiata col mondo è quando viene definita in una lista "il culo più bello della scuola". Indubbiamente sbagliato mercificare il corpo di una donna, ma ecco: la vicenda, che al massimo meritava un sonoro vaffanculo, viene ingigantita in modo clamoroso.
Che poi io, magari io non faccio testo visto che mi ammazzo di squat in palestra per avere un bel culo (che, per la cronaca, non avrò mai) e se qualcuno se ne accorgesse almeno saprei di non stare buttando i miei soldi e il mio tempo.

-I genitori -e più in generale gli adulti- sono grotteschi: ce ne fosse uno che si preoccupa realmente dei figli adolescenti. Ci sta, eh, che gli adolescenti abbiano dei segreti e che i genitori facciano finta di niente, ma qua sfioriamo il ridicolo.
Figlio pestato a sangue con evidenti ecchimosi facciali? "Sei caduto dalla bici, amore di mamma?";
compagno di classe eroinomane nascosto in bagno? "Come mai c'è l'acqua aperta? Ah stavi controllando se l'acqua calda veniva giù? Ok amore di papà";
figlio (o figlia, scegliete voi) in giro per strada di notte e l'indomani c'è anche scuola? Genitori non pervenuti, giustamente stavano dormendo. Che ora, va bene tutto, ma mia madre stava sulla porta col mitra spianato se tardavo anche di un secondo. Ah no, ora che ci penso, mia madre mi veniva a prendere ovunque.

-I clichè: la serie è piena di stereotipi: il ricco figlio di papà che la fa sempre franca (anche quando non dovrebbe, ma i soldi a quanto pare comprano davvero tutto), il figo con una situazione familiare disastrosa, il nerd sfigato, il belloccio (che è quello che a me piace più di tutti) che schifa quello che fa il branco, ma non riesce a staccarsene, il preside corrotto (l'ho già detto che i soldi comprano tutto?) e gli armadietti. Non c'è film o serie ambientati in America che non ci mostrino lunghissime scene davanti agli armadietti delle high school che si, lo so che è dai tempi di Beverly Hills che sognate di frequentare una scuola che li abbia. Io sogno ancora di tornare a scuola per averne uno.

La prima stagione a me ha lasciato l'amaro in bocca: ok Hannah stava male, quando ha provato a parlarne con qualcuno (sapete dirmi a che figura corrisponde quella del conselour in Italia?) è stata praticamente ignorata, se non addirittura presa per pazza, la responsabilità non so fino a che punto fosse delle persone nominate nelle cassette (fatta eccezione per lo stupratore ovviamente), ma tant'è.

Attenzione: il post da qui in poi contiene spoiler sulla seconda stagione.

La seconda stagione per me è stata molto più bella, mi ha lasciato qualcosa (Hannah che petulava in sottofondo a parte) e mi ha fatto venire voglia di vedere la terza, se mai ci sarà.
Gli adulti si ravvedono quasi tutti, tranne il preside accecato dal denaro dei Walker e dalla promessa -immagino- di una piscina olimpionica a completare gli impianti sportivi già pagati dalla famiglia. 
Che poi, solo io mi sono chiesta perché la squadra di football è uguale alla squadra di baseball? Erano finiti gli studenti alla Liberty High? Che poi mi sa che sono anche gli stessi che giocano nella squadra di basket.
La madre di Hannah, la stessa che aveva delle uscite abbastanza infelici nei confronti della figlia nella prima stagione e che non aveva capito niente dei problemi della figlia, nella seconda stagione diventa, ehm, posso dirlo? Pesante. Capisco il dramma, davvero, ma non so se davvero sia stata la cosa giusta accanirsi contro la scuola, Mi sarei accanita contro lo stupratore e contro il conselour. Conselour che poraccio, alla fine si rende conto che è in parte responsabile del suicidio di Hannah e viene anche licenziato quando lo dice in tribunale e che, per adattarsi alla Liberty High, comincia a picchiare gente a caso (fa bene, eh).
I ragazzi che fino a qualche puntata prima si detestavano fanno branco, stavolta per una giusta causa: fare scoprire chi è il colpevole di una serie di stupri e possibilmente mandarlo in carcere.
Io, ingenua come sempre, non credevo fosse possibile che un diciassettenne stuprasse tutte queste compagne di scuola con una leggerezza che manco quando si va a fare la spesa.
Tralascerei che per fare sentire Bryce lo stupratore un attimo in colpa gli imbrattano l'armadietto, danno fuoco al campo di uno dei numerosi sport praticati sempre dalla stessa squadra e via dicendo.
Tralascerei anche le gentili  intimidazioni fatte agli studenti chiamati a salire sul banco di testimoni, sempre a testimonianza del fatto che alla Liberty High, esattamente come sostiene il preside, si respira un clima cordiale.


A scioccarmi sul serio è stato però per me, lo stupro di un ragazzo (ma stavolta lo stupratore non era lo stesso, sia mai che fosse solo uno lo stupratore alla Liberty High). Oh, attenzione non sto dicendo che stuprare una ragazza sia meno grave, ma ecco ho sempre associato (mea culpa) lo stupro come un reato contro le donne, fosse solo per ragioni anatomiche.
Chiaramente, sono un'ignorante e me ne assumo le responsabilità. Vedere una scena così mi ha scioccata, tanto che nella maggior parte del tempo ho tenuto il viso nascosto sotto un plaid, però ho imparato (guardando lo speciale alla fine della serie e facendo un paio di ricerche dopo) che è una realtà più diffusa di quanto si pensi.
L'amicizia che nasce tra Clay e Justin è molto bella, così come quella tra Alex (si, è sopravvissuto al tentato suicidio) e Zach a: la scena del nodo alla cravatta e quella della lezione di ballo sono bellissime, secondo me.
Che poi Justin continui a farsi di eroina in barba ai Jensen che decidono persino di adottarlo è un'altra storia.
Il coraggio di Jessica di denunciare lo stupro subito e il non coraggio di Chloe di fare lo stesso fanno riflettere e a me personalmente hanno fatto chiedere cosa avrei fatto io al loro posto. Sarei stata Jessica o sarei stata Chloe? Preferisco rimanere con il dubbio, eh, ma me lo sono chiesta davvero e onestamente non ho trovato risposta.

Tredici ragioni per vedere Tredici non credo averle trovate.
Ho fatto un calderone di cose, belle o brutte che siano.
Ma la riflessione che ho fatto più mia alla fine della seconda stagione, che ho visto in tre giorni, è stata: ma queste cose -stupri, festini alcolici, droga, armi, suicidi, botte come se non esistesse un domani, libertà vigilata, cliniche psichiatriche- succedono solo negli Usa che hanno una cultura innegabilmente diversa dalla nostra (e non necessariamente peggiore, eh) o ci sono anche qui e io non lo so perché non frequento più la scuola 
superiore?

Ah e infine un appunto: Hannah si è suicidata perché era vittima dei bulli, ma Hannah stessa era una bulla. E, nella serie, erano bulli anche gli insospettabili, eh.
Non ce n'è uno che sia uno, in tutta la serie, che non abbia fatto il bullo, non abbia picchiato qualcuno e via dicendo. Rifletterei un attimo sulla cosa, eh.
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mercoledì 9 maggio 2018

Mia nonna voleva cantare alla Corrida

Stasera ho visto per caso la pubblicità della Corrida.
In realtà non stavo guardando la tv, ma era accesa -colpa del Marito- e mi è caduto l'occhio su questa pubblicità.
Da lì è stato un attimo che sono emersi i ricordi.
Mia nonna aveva la fissa con la Corrida di Corrado, le piaceva proprio, lo guardava sempre con attenzione. Chissà perché poi.
Oltre a piacerle la Corrida, mia nonna cantava molto bene.
Aveva una bellissima voce, era intonata, non come me che sono stonatissima tanto che non canto manco sotto la doccia per non farmi venire il mal di testa.
Tra le cose che mia nonna raccontava più spesso c'era la storia di quando aveva duettato con Franco Franchi. Non ricordo più tutti i dettagli della storia, ma so che c'erano delle foto a casa -credo ci siano ancora a dire il vero- rigorosamente in bianco e nero.

Tanto amava la Corrida e tanto cantava bene mia nonna che si era candidata per andare alla Corrida.
Sono due ore che cerco di ricordarmi come avesse mandato la candidatura, sono abbastanza certa che non lo avesse fatto tramite il form di un sito internet, ma non ricordo altro.
Voleva cantare Tango del Mare e si esercitava a casa, mettendo il cd con la base nel mio stereo gigante, lo stesso stereo gigante che qualche mese fa ho deciso di regalare dopo aver svuotato lo sgabuzzino di casa di mia madre da cose che stavano lì inutilizzate da almeno dieci anni.

Mia nonna voleva cantare Tango del Mare diretta dal maestro Pregadio che io non sapevo neanche chi fosse, ma lei lo amava alla follia. Poi avevo visto una foto e lo avevo riconosciuto, in realtà lo avevo visto tante volte in tv, ma non avevo idea di quale fosse il suo nome.
Andò a fare i provini, all'Hotel Palace a Mondello. Poi non ebbe più notizie.

Mia nonna ha iniziato il suo calvario con la leucemia mieloide acuta i primi di Giugno ed è morta il 19 Novembre dello stesso anno. Era il 2003, qualche mese dopo io avrei compiuto diciotto anni.
Mia nonna abitava con noi.
Una settimana dopo la sua morte era arrivata a casa la lettera in cui le dicevano che aveva passato i provini ed era stata scelta per cantare Tango del Mare alla Corrida di Corrado, anche se in realtà a quel punto non la conduceva più lui, morto qualche anno prima, ma Gerry Scotti.


Mi è tornata in mente questa cosa stasera vedendo quella pubblicità.
Ho pensato che alla Corrida non ci sarebbe potuta andare comunque perché stava tanto male, ma sarebbe stato bello se quella lettera fosse arrivata qualche settimana prima, solo perché lo sapesse che alla fine ce l'aveva fatta. Sarebbe stato bello eccome.

Sempre su mia nonna c'è anche questo post.
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sabato 9 dicembre 2017

Il mio primo (e per il momento unico) switch

Noi lo chiamavano Italia.
Italia era diverso dagli altri canali che avevamo, il suo palinsesto poteva essere lungo o corto di massimo 15 secondi, gli altri invece avevano una tolleranza di due minuti.
La playlist di Italia si chiudeva la sera dopo cena, poi a mezzanotte arrivava la persona che faceva il turno di notte, lo riguardava, controllava che tutto fosse a posto e solo dopo ci si dedicava agli altri canali. Questi dettagli lasciavano intendere quanto Italia fosse più importante degli altri.
Italia in realtà era un secondo nome, ma i nostri canali avevano tutti lo stesso nome, cambiava solo il secondo nome appunto. Italia era il più importante.
Prima di lavorare lì non lo chiamavo Italia, non sapevo neanche avesse questo secondo nome credo.

L'ultima notte di Italia me la ricordo benissimo, sembra ieri, eppure sono passati già due anni e mezzo.
Facevo il turno di notte. Una notte d'estate a cavallo tra venerdì e sabato.
Non ricordo chi ho trovato quando sono arrivata, ma ricordo bene che, come sempre, ho controllato Italia e poi sono passata agli altri canali. Caffè, sigaretta, spegnimento luci, controllo file, altro caffè, altra sigaretta, controllo dei canali.  
A fare il turno di notte io ci sono andata sempre con la tuta e le Converse, una sciarpa di cotone che la notte fa freddo anche se è piena estate, struccata.
Le notti lì erano tranquille, non succedeva mai niente, al massimo veniva la guardia a chiedere un caffè -noi avevamo la nostra macchinetta a capsule- oppure passava qualche collega che non era in turno a fare due chiacchiere. Prima di venire lì di notte però si avvisava con un messaggio o con una telefonata perché se si apre la porta di notte all'improvviso si rischia un infarto.
Quella notte non era passato nessuno né per il caffè né per fare due chiacchiere, ma la porta si era aperta all'improvviso alle 4.45 e io avevo cacciato un urlo. Prima delle 7 non sarebbe dovuto arrivare il cambio e comunque con chi sarebbe arrivato a fare il turno di mattina io non ci parlavo. No, non sto scherzando, c'era un clima così teso lì dentro che a pensarci oggi, che sono passati più di due anni dall'ultima volta che ci ho messo piede, mi viene da ridere. All'epoca però non faceva ridere, faceva piangere.
"Buongiorno"
"Ma buongiorno che? Non mi potevi mandare un messaggio? E soprattutto: ma che ci fai tu qui di sabato mattina alle 4.45?".
Non era il collega che sarebbe dovuto arrivare alle 7.
"Dobbiamo spegnere Italia".
Era la notte tra il 31 Luglio e il 1 Agosto 2015, sono passati due anni e mezzo e a me vengono ancora i brividi a scrivere "dobbiamo spegnere Italia".
"L'hai mai fatto uno switch?"
"No, mai"
"Sai come si fa?"
"No, cioè si, cioè me lo immagino, penso di si, non lo so"
"Prepariamo, dobbiamo aspettare una persona".
Era già tutto pronto, non si fa uno switch all'improvviso.
Dovevamo passare il canale ad altri, non sarebbe morto così. Dovevamo spegnerlo lì da noi, poi piano piano sarebbe stato accompagnato verso la sua fine. 
"Blocca lo streaming"
"Blocco lo streaming"
"Ok, facciamo lo switch".
Erano le 5.45 e delle tre persone presenti ero quella con lo stipendio più basso.
E sono anche stata quella che col mio indice storto ha swichato il canale.
"Non siamo più in onda"
"Ah"
"Dobbiamo spegnerne altri due"
Avevamo quattro canali, uno era Italia, spegnerne altri due significava restare con un solo canale.
"Ma spegniamo spegniamo?"
"Si, spegniamo"
"E cosa esce in onda?"
"Il cartello"
Il cartello, capite? Il cartello è il male, il cartello indica un problema, il cartello non va bene. L'ho sentito ripetere per anni che non si va in onda con un cartello se non in casi disperati.
"Spegniamo".
Spegnere per sempre gli altri due non è stato come switchare Italia. 
Alle 6.20 era tutto finito.
Italia non c'era più. Ero affezionata a quel canale.


Non è il canale per cui ho lavorato più a lungo, ma gli volevo bene. E capisco che detta così suona estremamente stupido, ma è vero.
I titoli di coda col mio nome su Italia sono una delle cose di cui vado più fiera in vita mia.
Lì non ho imparato a fare il tecnico di messa in onda (qui per saperne di più), ma ho capito cosa volevo essere da grande.
Lì ho gestito il disservizio più lungo della mia vita, 50 secondi di nero non su un contenuto qualsiasi, ma sulla pubblicità che ancora mi risuonano nelle orecchie le parole dello scheduler più simpatico che abbia mai conosciuto in vita mia: "Dobbiamo risarcire il cliente". 
"Siamo fuori di dieci secondi sull'affollamento" è un'altra frase che risuona nelle mie orecchie quando penso a quel posto. Era una diretta importante su tre canali in contemporanea, avevamo fatto i test dei ponti il giorno prima, ma quel giorno pioveva. "Secondo me, dobbiamo andare con la fibra" avevo detto quella sera. Ore di test buttati al secchio.
Quella era stata l'ultima diretta che avevamo fatto.

Alle 8 avevo finito il mio turno di notte e avevo guardato il cellulare: erano in tanti ad essersi accorti che avevamo spento due canali, in particolare uno che a quanto pare piaceva alla gente.
Piaceva anche a me a dire il vero, c'era bella musica su quel canale.
Lo switch di Italia, invece, era passato inosservato perché di fatto era ancora in onda. 
Piano piano è morto, è stata una fine più lenta la sua, ma per me è morto quella notte.
Non ho mai più voluto guardarlo. Mai più. E dico davvero.

L'8 Ottobre di quell'anno abbiamo fatto lo switch del quarto canale, l'ultimo che ci era rimasto.
Il 14 Ottobre ho firmato la messa in aspettativa retribuita e non sono stata l'unica.
Ad oggi, quella voce del mio curriculum si chiama "cessione di ramo d'azienda". 
Sono andate a casa diverse persone, tra cui qualcuno che non aveva l'età per trovarsi un nuovo lavoro e che ha sofferto tanto per la chiusura di quei canali.

Nella cucina di casa mia c'è una bacheca di sughero, appeso c'è il badge di quel posto lì. 
Ho buttato persino il badge della mia prima televisione, quella in cui ho conosciuto il Marito, ma ho tenuto questo. Sta lì, appeso, a ricordarmi di quando col mio dito storto ho swichato un canale simbolo per un sacco di gente che oggi ha almeno trent'anni.

Qualche mese fa, durante una riunione, una ragazza ha detto, davanti ad almeno altre quindici persone, che come conosceva lei quello che era successo quella notte, non lo sapeva nessuno. 
Non ho detto nulla e chi mi conosce sa quanta fatica faccio a stare zitta in certi casi.
"Eravamo in tre e tu non c'eri, quindi tu non puoi sapere proprio niente" avrei dovuto dirle, ma è una ferita ancora aperta per tanti motivi, chi c'era e chi mi conosceva già allora sa perché.
A tutti gli altri posso solo dire che è già stato abbastanza faticoso scrivere questo post.


Nb. Subito dopo aver fatto lo switch avevo scritto un post per raccontare le sensazioni a caldo, avevo dovuto rimuoverlo e non ne avevo salvato una copia, mi piacerebbe averlo fatto.
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giovedì 5 gennaio 2017

Vi racconto un'emozione: RTT 2020

In questi mesi di silenzio -almeno per quanto riguarda la ginnastica artistica- sappiate che non ho smesso di amarla, non ho smesso di seguirla, non ho smesso di essere spettatrice di quello che, secondo me, è lo sport più bello del mondo.
La fine di un quadriennio olimpico è sempre un periodo particolare, sia per chi questo mondo c'è dentro dalla testa ai piedi, sia per chi -come me- questo mondo lo guarda da fuori, sebbene da un punto di visto privilegiato rispetto ad altri.
Ieri pomeriggio, ho visto la prima puntata di FATE RTT 2020.
RTT sta per Road to Tokyo e non è solo il nome di un web serie sulle nostre azzurrine, ma un progetto per le nostre giovani ginnaste che si preparano in vista delle Olimpiadi di Tokyo.
Tra l'altro, io piango anche pensando che a Tokyio vorrei esserci, per loro, e per la mia ginnasta saltellante.


Comunque dicevo, ieri ho visto la prima puntata e mi sono già scese le prime lacrime.
Questo progetto l'ho visto crescere, prendere forma, ho visto il lavoro che c'è dietro, ho avuto la fortuna di avere piccole news in anteprima e, che dire, vederlo lì, sullo schermo, mi ha emozionata.
Ho visto amici lavorarci senza mai fermarsi, ho visto l'entusiasmo che ci hanno messo. L'ho visto con i miei occhi.
Ma non è solo questo. 
Le piccoline -che ormai non è che siano più così tanto piccoline- le ho in parte viste crescere, le ho abbracciate, ho esultato per un loro successo e mi si è stretto il cuore quando non tutto è andato come doveva andare. Le ho viste allenarsi, le ho viste chine sui libri, le ho viste ridere e scherzare, camminare con le stampelle, cercare di riprendersi da un infortunio.


Sono piccole, ma coraggiose. Io non ero mica così a quell'età.
Immaginate a dodici anni di dovervi trasferire lontano da casa, di non poter più vivere con mamma e papà, fare scuola al pomeriggio, non avere compagni di classe.


Ieri ho visto sullo schermo genitori piangere perchè non deve essere stato facile per loro. Anzi, diciamo pure che non è stato facile senza se e senza ma.
Questi genitori sono gli stessi che ho visto ad ogni gara, sugli spalti. Genitori che pur essendo lontani, devono essere presenti.
E pensare che io penso sempre di avere un Fidanzato meraviglioso accanto perchè ha sempre appoggiato le mie trasferte, aspettandomi a casa, mentre di notte facevo su e giù per l'Italia per non perdermi nessuna gara.
Cominciare così piccole ad inseguire un sogno, un sogno il cui pensiero non ha mai sfiorato molti di noi. Un sogno che vuol dire sacrifici, non solo per le bimbe (che so già che la prossima volta che le vedrò mi insulteranno perchè continuo a chiamarle bimbe), ma anche per le loro famiglie.
Scusate eh, ma mi sono emozionata tantissimo a vedere tutto questo sullo schermo. E ancora mancano un bel pò di puntate, dovrò fare scorta di fazzoletti di carta.
La ginnastica è anche questo, vorrei riuscire a trasmettervi anche solo alcune delle emozioni che da a me. Vorrei davvero riuscirci.
La ginnastica è piangere quando vedi qualcuno a cui vuoi bene riuscire a realizzare un progetto in cui ha investito tempo e fatica, mettendoci l'anima.
E' piangere quando vedi persone che conosci inseguire questo famoso sogno e, per realizzarlo, aggiungere un mattoncino ogni giorno. Mattoncino dopo mattoncino si costruirà un castello.
Un castello che bisogna stare attenti a non distruggere.


La ginnastica è amicizia, vorrei potervi raccontare in poche righe quanti amici veri e sinceri mi ha regalato, in ogni parte d'Italia, ma non ci riuscirei. 
E' non vedersi per mesi e pensare che sia passato solo un giorno dall'ultima volta quando finalmente si riesce a riabbracciarsi.
E' tante cose. Tantissime. Non saprei neppure spiegarvele tutte.
E' una cosa che amo. Un amore profondo, che più passa il tempo, più cresce.
E' le mie lacrime di ieri. Sono anni che piango, a volte di gioia, a volte di disperazione.
E una cosa posso dirla: spero di non smettere mai di piangere, spero di viverle ancora per molto tempo queste emozioni.


Le foto del post sono di Ginnastica Artistica Italiana che ha realizzato il progetto FATE RTT 2020. Grazie a Silvia per avermele girate.
Se volete saperne di più, qui trovate la prima puntata.

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lunedì 19 settembre 2016

Pare che Bill Gates voglia conoscermi

Disclaimer: questo post fa parte della serie le tre proposte di lavoro ricevute ad Agosto (qui ne trovate un'altra)
Questa è la più bella, eh.
La doverosa premessa è che quando ho fiutato che la mia amata azienda stava facendo qualche movimento strano, il mio curriculum vitae è girato parecchio. Sono dell'idea-giusta o sbagliata che sia- che quando si viene contattati da un potenziale datore di lavoro, anche se si ha il lavoro migliore del mondo, sia sempre necessario sentire cosa hanno da dire perché nella vita non si sa mai. 
Andiamo al dunque: per tutto il mese di Agosto, ho ricevuto dalle due alle cinque mail al giorno da questa azienda, il tutto condito da almeno una telefonata giornaliera. Devo ammettere che ne sono stata molto lusingata.
É un'azienda grossa, molto grossa. Enorme, direi. Di quelle aziende che ti chiedi:" Ma possibile che vogliano proprio me?". Pare di si.
Effettivamente, per la posizione ricercata, ho l'esperienza giusta.
Forse è un pò troppo per me, ma io sono più umile di quello che si pensi. E' che non bisogna mai far credere di non essere all'altezza. 
Una posizione tecnica, molto tecnica.
Ho incontrato l'azienda tramite una piattaforma video, secondo me volevano capire se effettivamente ero in grado di configurare i parametri.
Tra le skills richieste -fa molto figo usare termini inglesi- c'era quella di avere un standing alto.
Io ho tradotto con "ti devi mettere il tailleur e gli orecchini di perle".
Non ho tailleur -se non quello con cui mi sono laureata nove anni fa- ma ho un paio di orecchini di perle, ma solo perché mio cugino me li ha regalati per i miei diciotto anni. Non li metto chiaramente mai, però sono belli.
Non ho vestiti particolarmente eleganti, però ho decine di paia di Converse e tanti di quei jeans strappati che potrei aprire una rivendita, magari potrei metterci un mio marchio sopra e diventare ricca. Devo considerare l'idea.
E comunque non ho mai conosciuto un tecnico televisivo con il tailleur. Di vestiti male ne ho conosciuti tanti, però. Io sono una di questi.
Di tacchi alti poi non ne parliamo, non credo di averne mai visti all'interno di un' emittente televisiva. Forse negli uffici si, ma non frequento.


I tecnici televisivi hanno anche i piercing e i tatuaggi. Oh, non tutti, ma molti. Io sono una di questi.
Per la gioia di mia madre, ho sia piercing che tatuaggi, ma li tengo nascosti bene.
E comunque, per incontrare quest'azienda li ho tolti, sai mai che non rientrino nello standing alto. E mi sono vestita bene, molto bene: mia madre mi ha regalato una maglia per l'occasione che effettivamente è bella. Il colore l'ho scelto io, è a metà tra il rosa antico e il bordeaux, un colore né carne né pesce, ma a me piace e questo è l'importante. Ha ricevuto persino l'approvazione di padre e Fidanzato, cosa che con le poche cose che mi compro da sola, non succede mai.
Ah no, al primo incontro avevo una maglia bianca svolazzante che mia madre ha classificato con un:"ma che roba è?".
I miei congiunti mi avevano anche raccomandato di pettinarmi. Ho i capelli mossi e ne ho tanti, tantissimi (anche se erano stati accorciati da poco): pettinarli richiede ore ed è doloroso.
Io sono così: ho questo stile un pò particolare, ma ho sempre lavorato in luoghi bui e tenebrosi, non è mai stato importante l'abbigliamento.
Una volta, mi sono persino arrampicata sui banchi della messa in onda per riparare un condizionatore, non avrei mai potuto farlo con il tacco dodici.
E comunque, quando è necessario, mi vesto da signorina per bene. 
Non sono riuscita a capire il motivo per cui era necessario vestirsi bene per fare il tecnico audio-video. No davvero, non sono riuscita a capirlo fino all'ultimo.
Poi me l'hanno spiegato.
"Perché potresti dover intrattenere Bill Gates". 
Non sono sbottata a ridere perché non mi pettinerò i capelli, ma so come ci si relazione con le persone. Almeno quello.
"Eh si, quando lui viene a trovarci, può capitare di doverci parlare".
Io ci ho provato davvero ad immaginarmi Bill Gates che si avvicina al tecnico di turno e si mette a chiacchierare. 
Me lo immagino anche mentre si chiede perché un tecnico è vestito come una hostess ad un congresso medico.
Che poi, ha anche una faccia simpatica, magari a lui del tacco dodici non gliene frega niente.
E comunque eh, oltre a saper fare il mio lavoro, oltre ad intrattenere Bill Gates, dovevo pure riparare pc e cellulari nel tempo libero. 
Riparare pc e cellulari. Io. Nel tempo libero.
Che vi devo dire? Sarà che Bill Gates è poco impegnativo da intrattenere.

Nb. Sono certa che Bill Gates non sa nulla di questo modo di reclutare personale. Mi dispiace si sia trovato in mezzo, e ammesso che mai legga questo post -cosa altamente improbabile- vorrei dirgli che so che non è colpa sua. Lui d'altronde se ne sta negli Usa a farsi i cavoli suoi, mica in Italia.
Non potevo, però, non raccontare questa storia: è l'esperienza più simpatica che mi sia mai capitata, considerato che, dai, ma voi ci credete che Bill viene in Italia, a Roma, e si metta a parlare a caso con dipendenti di un'azienda che stanno chiusi dentro una stanza buia e piena di pulsanti che nessuno -tranne gli addetti a lavoro- può toccare?



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domenica 17 luglio 2016

Perchè i media "snobbano" la ginnastica?

La ginnastica é uno sport a conduzione familiare, lo dico sempre. Ci si conosce tutti, ci si vuole bene, magari non sempre per carità, ma bene o male,  a livello nazionale, le facce che vedi ad una gara sono quelle.
Si parla poco di ginnastica, non quanto io vorrei, ma vi assicuro che un tempo era peggio.
Negli ultimi anni, è stato fatto un lavoro importante sulla comunicazione. So per certo che ci sono decine di persone che si sbattono per far si che qualcuno ne parli: c'è la Federazione Ginnastica d'Italia che sta facendo un gran lavoro, ci sono fotografi e giornalisti che si fanno in quattro, molti mossi da una grande passione. Io sono tra questi ultimi: se mi sono avvicinata a questo sport è per passione, poi ho iniziato a scriverne e sono anche riuscita a convincere qualcuno -non con l'uso della violenza, lo giuro- che è uno sport fantastico, forse un pò difficile da capire, visto che c'è un codice dei punteggi abbastanza complesso, ma insomma un po' per volta, si è riusciti a dare tutta una serie di informazioni che un tempo non c'erano.
Le grosse testate sportive non ci dedicano ancora le pagine che dedicano al calcio, ma arriverà anche quel momento prima o poi. 

Le gare nazionali sono organizzate da un comitato organizzatore, non direttamente dalla Federazione Ginnastica. Rileggete questa frase, ripetetela ad alta voce, è un dettaglio importante.
L'ufficio stampa federale é comunque sempre presente, si occupano della diretta streaming e di un sacco di altre magagne, di solito sono sempre gli ultimi ad andarsene dal palazzetto e, spesso e volentieri, il loro lavoro continua anche in hotel. Mandano i comunicati stampa, corteggiano i giornalisti e cercano di agevolare il loro lavoro e via dicendo.
Abbiamo quindi chiarito che comitato organizzatore e Federazione hanno due ruoli diversi all'interno di una gara e che i due ruoli non vanno confusi.
Mi é capitato in passato di trovare delle falle nella gestione dei media da parte del comitato organizzatore ed è bastato rivolgersi al capo ufficio stampa federale per aver risolto il problema nel giro di poco. E io sono una che si lamenta, eh. Se qualcosa non va bene, lo faccio presente, sempre con modo e con garbo, tanto alla fine c'é sempre una soluzione.
Siamo appena tornati da quella che per me é l'ultima trasferta della stagione: i Campionati Assoluti di ginnastica artistica e trampolino elastico.
Per l'artistica femminile questi Assoluti valevano come Trials Olimpici, c'erano nomi di un certo tipo, Vanessa Ferrari ha vinto il settimo titolo assoluto di carriera (e gli ultimi Assoluti li aveva fatti nel 2012) riuscendo a commuovere persino me quando ho sentito il Nessun Dorma e ho visto la posa finale del suo esercizio al corpo libero. Si decideva la riserva della squadra e beh, io non sarò atleta, ma so che tutti vogliono andare alle Olimpiadi e sperano sempre di essere dentro la squadra che partirà: a me évenuto il magone per la ginnasta che avrà -per l'ennesima volta oserei dire- l'onere di essere la riserva di una squadra che è una buonissima squadra, tanto che se potessi la porterei io a nuoto a Rio e mi caricherei in spalla anche la sua allenatrice che ci regala sempre tante risate.

Io ho fatto tre ore di coda in autostrada. Due macchine ribaltate, una a Firenze e l'altra a Modena, non hanno reso il viaggio esattamente piacevole. Siamo arrivati a tre minuti dall'inizio della gara e non è mai bello quando arrivi stanca, sudata e con il fiatone perché ti sei fatta una corsa pazzesca dal parcheggio all'ingresso.
Una tizia, che poi mi hanno detto essere una del comitato organizzatore, si è avvicinata, mi ha guardata con disprezzo e mi ha detto:" E tu chi sei? Non hai un abbigliamento consono!".
A parte che ho un accredito al collo, esiste modo e modo di chiedere le cose.
Scusa anche se non ho fatto in tempo a passare in hotel perchépurtroppo non posso permettermi il lusso di arrivare a fine gara perché comunque il mio lavoro devo farlo e per farlo devo vedere la gara.
Che poi un paio di pantaloncini a metà coscia e una maglia non siano un abbigliamento consono è un tuo punto di vista che non ho richiesto e che potevi fare a meno di darmi. Oltre al fatto che, in linea di massima generale, si da del lei ad una persona adulta che non si conosce.
Mia mamma, santa donna,  mi ha insegnato che, per altro,  quando ci si rivolge ad una persona sconosciuta quanto meno ci si presenta: "Salve, sono Tizia Caia, il mio ruolo qui è questo" e ci si rivolge con educazione perché non sai mai chi hai davanti, ma questa è un'altra storia.
Ho lasciato perdere, ero stanca e poi se partivo in quarta avrei rischiato di essere poco educata, ma è stato davvero un episodio poco edificante.
Alle gare sportive di un certo tipo di solito c'è una sala stampa con degli schermi di modo che si possa vedere cosa succede in campo gara, ovviamente in questo caso non c'era. E fin là amen.
Ma se poi non posso stare da nessuna parte, non mi posso avvicinare al campo gara perchè bisogna stare lontani dagli atleti  e tutta una serie di altre piccole cose che sommate rendono il tutto abbastanza insopportabile, c'è un problema.
"Houston, mi sentite? Abbiamo un problema!!"
Che poi, se un giornalista deve prendere una dichiarazione come fa? Telefona all'atleta? E se non ha il numero?
E se un fotografo deve fare delle foto, ma non può stare da nessuna parte, come le fa? Fotografa il muro della sala stampa?
Un paio di fotografi dopo il primo giorno sono andati via, tanto non riuscivano a lavorare.
Il secondo giorno, un'altra educatissima facente parte del comitato organizzatore, si è avvicinata a noi. 
"Qui non ci potete stare". Il qui in questione era la tribuna stampa che poi va beh, c'erano le ragazzine urlanti e comunque non avevi un tavolo o una presa di corrente, ma almeno potevi stare seduto. Il tutto urlando.
A parte che, presentati che io non ti conosco perché mentre io ho l'accredito con il mio nome e cognome scritti sopra, tu no, quindi io non so chi sei, perché urli? 
"Signora, e dove dovremmo stare?"
"Qui no perché la gente ha pagato"
Gli spalti erano praticamente vuoti, ma poi, cosa c'entra?
"Signora, se la stampa da fastidio, non c'è problema, ditelo che ce ne andiamo al mare invece di stare qui a non potere lavorare e morire di caldo".
Silenzio. Poi di nuovo urla. La stampa, a quanto pare, dava fastidio. 
Che poi, noi non saremo giornalisti de La Gazzetta dello Sport, ma comunque stiamo lavorando, che ti piaccia o no. E devi mettermi in condizione di lavorare. Se invece l'unico scopo é ostacolarmi perchè evidentemente non ti piace che si parli di ginnastica e che la gente conosca questo sport, basta dirlo e davvero la prossima volta andiamo al mare.
Se addirittura in sala stampa mi ritrovo il pc spostato perché le hostess tacco 15 devono bivaccare lì per farsi il caffè, abbiamo un altro problema.  
Prossima volta potremmo pensare di portare una tenda e accamparci fuori dal palazzetto con un tablet per vedere la diretta streaming federale che probabilmente è meglio.



Ho riflettuto molto prima di scrivere questo post. Sono delusa e amareggiata.
Di ginnastica si parla poco, troppo poco, io vorrei che ne se parlasse più di qualsiasi altro sport, ma non è così. Non pretendo che le nostre ginnaste finiscano sulle confezioni dei cereali Kellog's tanto sono popolari come accade negli USA, ma vi assicuro che si meritano un posto nel mondo dello sport che conta. Credetemi sulla parola.
Si meritano articoli, foto, spazio in tv. Se lo meritano per tanti motivi. 
Quando la gente sente che mi piace la ginnastica, prima storce la bocca, poi piano piano capisce: mi ascolta, cerca di comprendere. 
Molti giornalisti di testate importantissime -Gazzetta e Corriere, ad esempio- trattati a pesci in faccia se ne sarebbero andati senza tanti fronzoli. probabilmente avrebbero scritto peste e corna, magari avrebbero messo in mezzo anche chi non c'entra.
Ribadisco il concetto che la Federazione fa un lavoro enorme per fare parlare di ginnastica. Un lavoro per cui probabilmente sarebbero necessarie almeno dieci persone e che invece fanno in tre. Posso mettere la mano sul fuoco che nessuno del comitato organizzatore ha detto loro "tratteremo la stampa e i fotografi in malo modo" perchè se lo avessero fatto probabilmente non sarebbero vivi.

La foto del post è di Aryanna Lanzi.

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giovedì 7 aprile 2016

Quando la televisione rimaneva spenta la sera

Quando mia madre era bambina, le trasmissioni televisive, ad una certa ora, finivano.
Nero e arrivederci a domani.
L'ho già detto: dire nero in messa in onda è come dire bomba in aereo. Eppure, ai tempi -c'erano ancora i dinosauri forse- il nero era normale in alcune fasce orarie.
C'era un solo canale, poi è arrivato il secondo e poi il terzo. 
Non esisteva lo zapping, non c'era la pay tv -che è arrivata quando io ero bambina, non c'era l'on demand.
La televisione non era a colori, era in bianco e nero
Poi, non so esattamente quando, le cose sono cambiate e la tv, piano piano, ha iniziato a trasmettere h24, 365 giorni l'anno. 366 nei bisestili.
E i lavoratori della tv -che sono tantissimi- hanno iniziato a lavorare la sera, la notte, i festivi.
Sono nate le reperibilità: io l'ho avuta la reperibilità ed è una cosa orrenda. Per chi è ansioso come me, avere la reperibilità significa guardare il cellulare per 48 ore, sai mai che suoni, non andare in posti dove il cellulare potrebbe non prendere, dormire con un occhio chiuso e uno aperto, rigorosamente con la tuta sulla sedie e le scarpe a fianco la porta di casa, avere la lucidità di vestirsi, uscire di casa e guidare anche nel pieno della notte, possibilmente senza schiantarsi al primo incrocio, arrivare a lavoro maledicendo chi si è sentito male ed essere subito operativi.
Il mio contratto diceva che, in caso di chiamata durante la reperibilità, entro un'ora dovevo essere a lavoro. Ai tempi, abitavo a 40 km dal posto di lavoro, praticamente avevo solo il tempo della strada. Ad un certo punto, cominciai a mettermi a letto direttamente con la tuta, tenerla sulla sedia faceva perdere tempo prezioso.
Una volta, durante la reperibilità andai a fare un concorso, ero l'unica con il cellulare sul banchetto, guardata a vista dalla commissione esaminatrice. Erano stati magnanimi, probabilmente perchè non avevo uno smartphone e non potevo andare su internet a cercare eventuali risposte alle domande.
In ogni caso, non passai nemmeno la prima fase del concorso.
Mi piace pensare che ero troppo stanca -non dormendo da ore- per concentrarmi, ma forse ero semplicemente troppo ignorante rispetto agli altri. 
Comunque, tutta questa pappardella per dire che non è sempre stato così, non abbiamo sempre lavorato h24, esistono per altro realtà piccole in cui il turno di notte non esiste, ci sono quelle sei/sette ore in cui si è scoperti e si prega affinchè non succeda nulla. 
Ci sono anche mansioni per cui non è previsto lavorare la notte e i festivi e, anche lì, si prega affinchè non succeda nulla. 
Nel tempo, è cambiato qualcosa: sono aumentati i canali, è cambiata l'offerta (che risponde comunque ad una domanda, altrimenti non sarebbe cambiata), è stato necessario aumentare il personale tecnico affinchè la trasmissioni fossero garantite sempre. SEMPRE.
Non salviamo vite umane, non c'è bisogno di tenere la tv accesa sempre e comunque, anche solo per avere compagnia (che poi, che compagnia è?) e noi ci siamo adattati. 

Di recente, leggevo una polemica sul fatto che i negozi e i supermercati non dovrebbero aprire la domenica -il che per quanto mi riguarda andrebbe pure bene, io la domenica lavoro, quindi di certo non vado in giro per negozi e la notte o lavoro o dormo- perchè non salvano vite umane.
Ho fatto una domanda: "Ma voi la televisione tra le 18 e le 9 del mattino o la domenica o il giorno di Natale, la guardate?"
La risposta è stata si, ovvio, che fai non guardi "Una poltrona per due" il giorno di Natale? E la sera che fai, non accendi la tv? 
Ci mancherebbe.
Solo che la tv non salva vite umane e si da per scontato che chi lavora in tv debba lavorare h24, 365 giorni l'anno, il che a me va benissimo, eh. Se mi togliessero i turni e mi facessero lavorare da lunedì a venerdì dalle 9 alle 18 probabilmente ne morirei.
Così come tanti anni or sono è cambiata la domanda ed è stato necessario, per noi tecnici, cominciare a lavorare h24, 365 giorni l'anno, sta cambiando anche in altri settori. 
Piovono proteste, insulti, la frase "noi non salviamo vite umane e dobbiamo stare con la famiglia". E gli altri? Chi se ne frega!
Ma allora qual'è il metro con cui si decide che determinate categorie possono -come dite voi- rinunciare al tempo con la famiglia, alla lasagna a casa dei nonni la domenica, alla gita fuori porta nel week end, al proprio letto durante la notte e altre invece sia mai, non esiste proprio?
Che poi, sarà un caso, ma la televisione fu inaugurata proprio di domenica, il 3 Gennaio 1954. Per dire, eh.


Per ulteriori approfondimenti sul tema, qui un post sul lavoro domenicale.

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mercoledì 30 marzo 2016

Di Mtv, anniversari, segni del destino e Ginnaste Vite Parallele

Esattamente un anno fa a quest'ora mettevo piede, per la prima volta, nella messa in onda di Mtv Italia.
Non so se è un caso -mi piace pensare che sia stato un segno del destino- ma la prima cosa che ho sentito appena entrata lì dentro è stata Spinning di Alyssa Atherthon, una canzone che probabilmente il 90% del mondo non conosce, ma che io -e non solo io- conosco benissimo.
Mi sono girata e su tutti i monitor di quello che tutti chiamano Mtv, ma che per me resterà nei secoli Italia o al massimo One c'era Ginnaste.
Non c'è voluto molto perchè venisse fuori che a me piaceva la ginnastica artistica.
Non c'è voluto molto perché dicessi che a me piaceva la ginnastica, ma che Ginnaste era tutta un'altra cosa. 
Durante il colloquio, mi chiesero se conoscevo Mtv, è una domanda normale, viene sempre fatta ovunque. Risposi di si, io Mtv lo conoscevo per altri programmi che ormai non esistono più da un pezzo, ma che Ginnaste lo guardavo.
Non vi dico cosa ho detto dopo, ma si insomma, se mi hanno assunta, è evidente che devon oaver apprezzato la sincerità.
Ho rivisto le quattro serie di Ginnaste talmente tante volte che potrei recitarle a memoria, visto che -per altro- da quel momento, tutti i controlli qualità sono toccati a me  e mi pare pure giusto, io mi guardo Ginnaste e voi i film horror che io ho paura e poi non dormo la notte.
Non ho mai amato particolarmente Ginnaste perché dava una visione un po' distorta della ginnastica e poi insomma, la tv -l'ho sempre detto- inganna. Se volete lasciarvi ingannare.
Ma una cosa devo dirla: senza Ginnaste i palazzetti sarebbero ancora vuoti, non si saprebbe un tubo -come era anni fa- e forse tante cose non sarebbero accadute.
D'altro canto, ho passato serate intere a spiegare ai miei colleghi -e non solo a loro- che c'era tanto altro, li ho costretti a vedere gare su gare.
Senza Ginnaste non ci sarebbero le Carlottiter, le Ferrariter e un altro mezzo milione di gruppi di fan sfegatate che, quando superano lo scoglio dei dodici anni durante i quali sono particolarmente moleste, sono comunque una mano santa per uno sport che da sempre -ma non per sempre- è considerato uno sport minore.
Non ci sarebbero state il boom di iscrizioni ai corsi di ginnastica artistica che, in qualche modo, hanno un minimo rimpinguato le casse della Federazione che non sarà certo diventata ricca, ma è pur sempre meglio di niente.


Nella sede centrale di Milano di Mtv è pieno di cartonati giganti di Ginnaste, c'è  Ginnaste ovunque, ho sempre bramato quei cartonati, volevo appenderli in salotto, a dimostrazione che in certe cose sono un po' idiota anche io, ma giustamente non me li hanno mai dati.
Sono rimasta piacevolmente sorpresa quando ho notato che un'intervista ad una ginnasta -che mi piaceva anche tanto, ma che adesso si è ritirata- era stata fatta nella terrazza della serra di Mtv che è un posto magnifico, mi è sempre piaciuto molto ed è forse l'unico motivo per cui non mi dispiace -quelle rare, rarissime volte, andare in sede centrale che mi ha sempre fatto un po' antipatia, forse perché sono una comodista e lì non potevo arrivarci con la macchina.
Quindi si, insomma, Ginnaste non è stata poi un'idea così malvagia, anzi.
Non mi sono mai espressa al riguardo, ma stavolta -sarà che ricorre questo anniversario un pòo' malinconico, tocca dirlo. E lo dico.

Adesso la ginnastica è possibile vederla grazie alla Federazione Ginnastica d'Italia e poi presto arriverà una grande cosa che si chiama RTT2020. Una grande idea portata avanti da persone che stimo (e a cui voglio bene, ma questo non diteglielo eh, che devo mantenere il mio ruolo da cattivona).
E arriverà un giorno in cui di ginnastica si parlerà ovunque, lo so, lo sento.


La foto del post è di Mtv.


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domenica 28 febbraio 2016

Perché non bisogna mai svendere la propria professionalità

Qualche tempo mi ha contattata un'agenzia interinale.
"Pronto, parlo con Tizia?"
"Si, sono io, mi dica"
"Salve, siamo stati incaricati dall'emittente televisiva nazionale e piena di soldi di cercare un tecnico di messa in onda. Stai lavorando al momento?"
Noto che la copia che hai del mio cv l' hai letta accuratamente.
"Si, sto lavorando, ma valuto eventuali proposte".
Mi fissano un colloquio conoscitivo in un giorno e ad un orario in cui proprio non posso andare perché ho il dentista fissato da secoli.
"E, ma se non vieni, perderai qualsiasi occasione futura di fare un colloquio".
E va beh, spostiamo il dentista, tanto ho i denti perfetti e poi sono scaramantica come poche io. Sai mai che sia la proposta lavorativa che potrebbe cambiarmi la vita.
Vado a questo colloquio conoscitivo per scoprire con sommo orrore che si tratta di un colloquio di gruppo e che sono l'unica che ha esperienza come tecnico di messa in onda. I ragazzi però sono simpatici.
Capisco al volo di quale emittente televisiva stanno parlando, lo dico alla selezionatrice, ma non può dirmi se ho ragione o meno.

L'agenzia mi richiama dopo qualche giorno dicendomi che la capa delle risorse umane dell'emittente televisiva nazionale e piena di soldi vuole incontrarmi. Sono l'unica selezionata per questo incontro, il che se da una parte aumenta il mio ego, dall'altra mi fa pensare che la selezione è stata fatta un po' ad muzzum visto che nessuno aveva esperienza e quindi difficilmente sarebbero stati chiamati.
Due ore di colloquio, mi chiedono anche quanti peli ho in testa, sono quasi sfiancata, nonostante riuscire  sfinirmi è complesso. Di solito, sono io che sfinisco con le mie chiacchiere.
Mi mostrano la messa in onda, l'emittente era quella che pensavo.
Mi richiamano dopo qualche settimana per chiedermi se nel pomeriggio posso andare a fare un colloquio con il responsabile del broadcasting e dico che mi dispiace, ma sono fuori città e che rientrerò dopo qualche giorno, ma che se hanno urgenza posso organizzarmi diversamente.
Alla fine, mi fissano questo ulteriore colloquio dopo tre giorni, arrivo puntuale. Che poi, puntuale è una parola grossa visto che, come sempre, sono arrivata in anticipo e ho aspettato in macchina.
Cinque minuti prima dell'orario previsto per questo ulteriore colloquio, entro,  dico chi sono e lascio il documento. Aspetto un'ulteriore ora e va beh, saranno impegnati penso.
Fare un colloquio con un responsabile tecnico è bellissimo, a differenza dei colloquio con chi si occupa di risorse umane che di televisione e reparti tecnici non sa un tubo ed è angosciante cercare di parlare delle proprie esperienze utilizzando termini semplici che tutti possano comprendere senza sembrare una cretina.
Colloquio di due ore. Aridaje, direbbero a Roma.
Mi dicono che vorrebbero farmi iniziare in una determinata data e io dico che non dovrebbero esserci problemi, salvo il tempo di lasciare il lavoro ed organizzarmi un attimo perché ho tanti difetti, ma sono una persona corretta,
L'agenzia -che aveva fatto da intermediario- si complimenta, loro giustamente ci prendono un bel po' di soldi per aver trovato la persona giusta al momento giusto.
Poi spariscono. Passa la data fissata, provo a telefonare, ma non mi rispondono. 
Mando allora una mail, ma niente: non rispondono nemmeno a quella.
Mi metto l'anima in pace, un po' amareggiata, ma è lì che succede l'inimmaginabile: la stessa emittente televisiva chiama Fidanzato per un colloquio.
Loro non sanno che Fidanzato è il mio fidanzato. A me cadono le braccia.
Riprovo a chiamare -sfoderando la mia amabile faccia di c**o- ma non ottengo risposta.


Una mattina, dopo due mesi, mi dimentico di accendere il cellulare.
Tanto precisa sul lavoro quanto un disastro in tutto il resto. Fidanzato, i miei genitori e i miei amici comunque mi vogliono bene lo stesso, quindi va bene così.
Trovo decine di chiamate, addirittura una mail in cui mi chiedono se possono iniziare a lavorare per loro la tal data. Non fanno parola della buca clamorosa di qualche tempo prima.
Ok, riproviamoci. Vi do fiducia.
Il giorno prima della presunta data di inizio chiedo notizie, ma niente: spariti ancora.
Mi contattano dopo qualche giorno, hanno posticipato la data di inizio, mi chiedono se posso andare a firmare il contratto.
A questo punto non ci credo più, ma gli dico comunque che va bene.
Mi danno finalmente un appuntamento per questa fantomatica firma di questo fantomatico contratto che ormai mi sembra il Sacro Graal.
La mattina stessa, quando manca pochissimo all'appuntamento, mi dicono che lo posticipano ancora.
Non mi chiamano, ma mi mandano una mail per dirmelo.
Respiro, non rispondo subito.
Ho aspettato il giorno dopo per rispondere a questa mail.
"Non mi interessa più, grazie. Non è la prima volta che vi comportate così. Il rispetto, professionale e personale, è sempre dovuto. Saluti".

Choosy? Forse.
Snob? Chi lo sa.
Ma ecco, io la mia dignità non la svendo.
Sono stata paziente, disponibile, ma quando è troppo è troppo.
So che è difficile trovare tecnici di messa in onda con esperienza, così come so che ormai non assumono più persone da formare per motivi che non conosco.
So che molti rifiutano. So che in molti casi, quando -in diverse emittenti in cui ho lavorato- si cercava un tecnico di messa in onda piuttosto facevamo gli straordinari fino a morire perché non si trovava nessuno, vuoi per la mancanza di esperienza, vuoi perché ai turni H24 dicono quasi tutti di no.
Perché se è vero che tu mi stai offrendo un lavoro, è vero anche che tu quel lavoro non lo sai fare, mentre io si. Tu hai bisogno di me tanto quanto io di te. Per dire.

Nb. Qualche tempo fa avevo scritto questo post. Qualcuno si era indignato, qualcun altro si era meravigliato, qualcun altro ancora non ci aveva proprio creduto.
Ero stata tanto troppo generica probabilmente.
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martedì 2 febbraio 2016

Il buco nero dei colloqui di lavoro

Nel corso della mia vita, ho sostenuto diversi colloqui di lavoro, quasi sempre per aziende molto importanti, nazionali e internazionali.
Ho un profilo professionale particolare, che si fa fatica a trovare e questo, di questi tempi, non è un male. 
Di solito, funziona così: chiamano e io rispondo.
"Pronto, buongiorno, parlo con Gilda?"
"Si, sono io, mi dica"
"Chiamo da nome azienda, abbiamo un suo curriculum, vorremmo invitarla per un colloquio".
E quindi, mi dicono il giorno e l'ora, mi chiedono se sono disponibile e finisce lì.
I più precisi, spesso inviano una mail con tutti i riferimenti, ti scrivono persino le indicazioni per raggiungere il posto con i mezzi pubblici, ti indicano il bar più vicino sai mai arrivi in anticipo e vuoi un caffè. E poi richiamano per confermare l'appuntamento, sai mai che te ne dimentichi.
Ad oggi, non ho mai dimenticato un colloquio.
I più paranoici ti chiamano diciotto volte al giorno, per essere sicuri di averti già chiamato e cominci a pensare che qualcosa non va perché o sono squilibrati o i corridoi dell'azienda inghiottono le persone con sommo godimento di Federica Sciarelli.
Fatto il primo colloquio, che di solito dura circa un'ora/un'ora a mezza, ti richiamano dopo qualche giorno per fissarne un secondo, al quale -probabilmente- sarà presente qualcun altro, nel mio caso questo qualcun altro è di solito il responsabile tecnico.
E lì si inizia a fare sul serio: di solito è il colloquio in cui si parla di soldi, di tipologia di contratto e di turni. E poi partono milioni e milioni di domande tecniche, estremamente complesse anche se hai le macchine davanti, figuriamoci se devi andare a memoria. 
Io ho dalla mia parte ho che sono una chiacchierona e argomento ogni risposta.
Una volta, ad un secondo colloquio, mi chiesero se conoscessi una determinata strumentazione e io, quasi mortificata, risposi di no. "Mi spiace, mai sentita".
Quella roba non esiste, era una domanda trabocchetto, solo che io non lo sapevo.
Se avessi risposto di si per fare la figa, mi avrebbero probabilmente preso a martellate sulle gengive.
Dopo il secondo sfiancante colloquio, di solito ce n'è un terzo. Anche questo dura un paio d'ore.
Domande su domande. Che viene spontaneo chiedersi a cosa gli serve chiederti quattro volte la stessa cosa a distanza di dieci minuti tra una domanda e l'altra. Forse temono di stare colloquiando persone bipolari che potrebbero cambiare risposta così a caso, nel giro di pochi minuti.
Forse è un test psicologico subdolo e io non me ne sono mai resa conto.
Alla fine del terzo colloquio, di solito, ti dicono "Ci vediamo giorno tot. per la firma del contratto" o "Ci vediamo giorno tot. per la lettera d'impegno, che serve se devi dare le dimissioni da un'altra parte". I più intraprendenti ti dicono "Ci vediamo giorno tot. per il tuo primo giorno di lavoro, vieni dieci minuti prima così firmiamo il contratto". A dimostrazione che loro hanno già deciso se assumerti dopo i primi cinque minuti del primo colloquio, ma niente: devono farti soffrire per giorni, ore e minuti, mettendoti sotto torchio.
I più crudeli fanno anche un quarto e un quinto colloquio e lì è la morte. Perché se dopo il terzo colloquio mi conoscete meglio di mia madre, dopo il quinto mi conoscete persino meglio dell'Onnipotente, lui che vede tutto e sa tutto.


Succede - a me quanto meno è successo- che dopo il primo colloquio non ti chiamino più. 
Io di solito mi porto sfiga da sola, visto che esco dall'azienda dicendo "Non mi chiameranno mai, non è una posizione adatta a me", domandandomi come mai mi abbiano chiamata, visto che bastava leggere il curriculum con buona pace di tutti. 
Mi è successo una volta: cercavano un ingegnere delle telecomunicazioni madrelingua inglese. Serviva la conoscenza di una serie di sistemi per il video on demand che effettivamente conoscevo, ma non di certo come li avrebbe potuti conoscere un ingegnere. 
Sul madrelingua inglese stendiamo un velo pietoso.
E si che mi avevano detto che di ben cinquecento curriculum pervenuti, ne avevano selezionati una decina. Ah. Pensa gli altri candidati chi erano. Probabilmente Topolino e Pippo che volevano sabotare i rivali di sempre. 
Comunque, ovviamente mai più sentiti.  E se li avessi sentiti, mi sarei stupita.
Succede anche però, che dopo l'appuntamento per la firma del contratto spariscano. No, davvero, diventano irreperibili, inghiottiti da un buco nero. L'azienda chiude, cambia sede, si trasferiscono su Saturno. Io di solito non chiamo mai, ma magari, sai mai, hai dato le dimissioni e rischi di trovarti in mezzo ad una strada, quindi diventa comprensibile provare a chiamare per capire cosa è successo. Ma niente. Si fanno negare al telefono. Se ti presenti in azienda, ti dicono che quella persona (o quelle persone) non lavora più lì, che ha avuto un incidente ed è morta. 
Poi la incontri per strada e ti chiedi se è un sosia o se la reincarnazione è possibile. 
E li saluti:"O salve, si ricorda di me?"
"Come sta? So che aveva avuto un terribile incidente mortale"
"Adesso sto bene, sa mi avevano dato per clinicamente morto, ma poi (alza gli occhi al cielo) il miracolo".
A bello, stai cercando di rubare a casa del ladro.
"Capisco, sono contenta che adesso stia bene, tanti cari saluti a lei e famiglia"
"Spero di rivederla presto"
"Io no, stronzo".
E niente, insomma, a me la sparizione il giorno della firma del contratto  genera ansia e fastidio. Molta ansia e fastidio. Istinti omicidi quasi.
Mettiamo che tu, azienda, abbia cambiato idea perché hai trovato qualcuno migliore di me, con più esperienza, più simpatico, con i capelli più lunghi o che sia figlio di qualcuno, puoi chiamarmi e dirmelo. 
Magari mi dispiacerà, ma comunque accetterò di buon grado la tua decisione, senza pensare che la tua azienda è seria quanto la signorina con le tette al vento e il perizoma che staziona vicino casa mia da mezzanotte in poi. 
Che poi magari, la signorina è davvero seria e io la sto usando come termine di paragone, sbagliando. 
Ma magari fingersi morti no, dai. Magari sarebbe più chic dire, che ne so, che avete perso il numero di cellulare perché un virus ha formattato tutti i pc. E non avevate stampato copia del curriculum perché avete a cuore le sorti della Foresta Amazzonica. Così, per dire.

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lunedì 26 ottobre 2015

La televisione inganna (se volete lasciarvi ingannare)

Quando ero bambina, ero convinta che ci fosse una telecamera che riprendesse delle cose e che quelle cose accadessero spontaneamente esattamente come spontaneamente io la mattina mi alzo dal letto, bestemmio in aramaico antico perchè ho freddo, sonno, voglia di tornare a letto, vado a lavoro, mangio, vado in bagno, compro vestiti, porto fuori il cane, mangio un sacco di cose che poi si piazzano sui miei fianchi già abbastanza generosi, chiamo mia madre quaranta volte al giorno.
Ero convinta che persino i film funzionassero allo stesso modo: telecamere, un tizio che riprende e questi che si amano, si lasciano, fanno pazzie, muoiono, resuscitano nel giro di due ore.
Poi sono cresciuta e la tv ho smesso di guardarla. mi viene il mal di testa anche solo a pensare di accenderla sta benedetta televisione, potrei anche non averla a casa per quanto mi riguarda O forse potrei non averla se non avessi un Fidanzato che senza le partite non vivrebbe, ma tant'è.
Il tg non lo guardo, i reality meno che mai, i programmi di chiacchiere -come li chiamo io- non ne parliamo. Poi però sono anni che questi programmi sono costretta a guardarli comunque, se non altro perchè qualcuno dovrà pur metterli in onda e tra quei qualcuno ci sono anche io. 
Il cervello di un messinondaro è geniale: mettere in onda senza ascoltare pur avendo l'audio a palla.
Ho cambiato emittenti, ho conosciuto gente che ha lavorato pressochè ovunque, ho una panoramica di tutto l'emesso degli ultimi vent'anni che ci potrei scrivere un libro. Io, ma qualcun altro più di me. Di fatto, però, se lavori in un'emittente televisiva non puoi dire nulla e, in un certo senso, è giusto così. Esistono delle clausole di riservatezza che ti impediscono di dire qualsiasi cosa.
Tante volte ho visto programmi prima della prima tv e ho giustamente taciuto. Io come un altro mezzo milione di persone.


Tante altre volte mi sono resa conto di cosa c'è dietro la televisione e me lo sono tenuta per me. NO, non sto parlando di chissà quali magagne, ci mancherebbe altro.
Credo però che sia evidente e palese a tutti che dietro la televisione ci siano dei meccanismi particolari che di fatto non presentano la realtà, ma una distorsione di essa o comunque solo una parte di essa. Quello che vogliono fare vedere.
È come se io -o qualsiasi altra persona normale- uscissi di casa solo con borse e scarpe firmate, le unghie sempre perfette e poi andassi alla Caritas a prendere i pacchi con i viveri e dormissi su un giaciglio di paglia perché non c'ho una lira. A voi, fuori dalla porta di casa mia, faccio vedere quanto sto bene, quanto sono piena di soldi e vi nascondo l'altra faccia della medaglia, ovvero la povertà.
Non so se l'esempio è azzeccato, ma almeno ci ho provato a farvi capire cosa intendo.
Qualsiasi essere vivente dotato di almeno tre neuroni si renderebbe conto che la tv è così. O almeno io, avendo molta fiducia nel genere umano, ho sempre pensato che lì fuori ci siano un sacco di geni pronti a capire cosa stanno guardando.
Quello che vedete è quello che vogliono farvi vedere. Sta a voi guardare, analizzare e portare a casa, senza prendere per oro colato ogni santa cosa viene proposta in tv.
Sicuramente ci sono messaggi più veri di altri. Ci sono professionisti seri e professionisti meno seri. Ci sono giornalisti, autori, conduttori che probabilmente tengono a raccontare tutta la verità, nient'altro che la verità (ma non dicono lo giuro in tribunale).
Esiste una cosa chiamata Auditel che raccoglie dati sull'indice di ascolto televisivo. Da questi dati, di fatto, si stabilisce quanto piace o non piace un determinato programma. Se piace, attira pubblicità. La pubblicità costa soldi, molti soldi. Il costo della pubblicità varia a seconda del programma e dell'orario.
In una fascia oraria, non ci può essere più di un tot. di pubblicità, pena una multa salatissima. Questa cosa complicata, che io ci ho messo anni a capire, si chiama affollamento.
Ora, quale sarà mai lo scopo di un'emittente televisiva privata? Attirare pubblicità e fare soldi. E' la legge del mercato.
E come fare per attirare pubblicità, aumentare gli ascolti, fare share?
E come aumentare gli ascolti? Mandare in onda qualcosa che incuriosisce, fare lo scoop, dare una notizia che gli altri non hanno dato, trasmettere un programma che tiene col fiato sospeso.
E come fare a incuriosire? Ecco, appunto.
Ma questo il pubblico dovrebbe saperlo. Dovrebbe sapere prendere le informazioni della tv per quello che sono, immaginare che dietro ci siano tante cose che non conoscono e che nessuno gli dirà mai e andare avanti.
Solo che non tutti lo fanno.
Meditate gente, meditate.
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lunedì 5 ottobre 2015

Tutte le domande da (non) fare a chi lavora in televisione

Mi fa sempre un po' sorridere, a volte mi arrabbio, altre mi lamento come se non esistesse un domani.
Ho un lavoro full time che mi impegna parecchio, ma quando esco dal lavoro, smetto di indossare i panni del tecnico di messa in onda (qui per saperne di più) e mi limito e essere una persona apparentemente normale. Tra le due persone, probabilmente, ci sono in comune solo i piercing e i tatuaggi, ma questi ultimi solo perché non posso toglierli e metterli a piacimento.
Non guardo la tv, tanto sono certa di essere tra le persone che ne guardano più al mondo, anche se a casa non la accendo mai. Sono intellettuale io e leggo i libri, vado alle mostre e, ebbene si, vado anche al museo. Oppure non faccio un tubo, il che non guasta mai.

Eppure succede sempre.
Mi chiamano e mi chiedono i biglietti per gli eventi.
"Hai i biglietti per gli EMA 2015?".
"Hai quelli per gli Mtv Music Awards?".
No, non li ho perché non lavoro per Ticket One e comunque, gli Mtv Music Awards sono gratuiti con accesso libero. Andate, sopportate un po' di calca e tac, sarete tra il pubblico.
"Mio cugino ha girato un videoclip amatoriale, puoi mandarlo in onda?"
 Certo, come no. Posso anche farlo passare tutti i giorni tutto il giorno.
"Non riusciamo a rintracciare mia nonna, è andata a fare la spesa e adesso non risponde al cellulare da ore, puoi mandare in onda la sua foto?". Certo come no.
A parte che io mi sto ancora chiedendo -e tormento tutti con questo dubbio esistenziale- in base a cosa scelgono i servizi da mandare in onda. Perché alcuni delitti hanno 483928 servizi dedicati in tutti i tg nazionali e altri non vengono neppure mai nominati? Perché il servizio sugli anziani e il caldo va in onda a loop per tutta l' estate, anche se piove e fa freddo, e altre notizie te le devi cercare con il lanternino nei meandri del web? Mistero. 
"Mi puoi fare incontrare Mentana, la Della Chiesa, Maria De Filippi o, udite udire, Barbara D'Urso?". Certo come no. Solo che io non li conosco, al massimo qualcuno l' ho incontrato nei corridoi oppure l' ho visto in video. Certo, magari su più monitor, ma sempre in video. Quindi magari poi se li incontro per strada non li riconosco nemmeno perché si sa che la tv ingrassa e magari in realtà sono tutti magrissimi.
"Puoi farmi diventare famoso?". Certo, ma anche io voglio diventare famosa, quindi mi sa che sarebbe un po conflitto d' interesse.
"Puoi svelarmi in anteprima questo o quel programma così ci ricavo dei soldi?". Certo come no, poi però quando l' amministratore delegato si presenta alla mi porta con la frusta chiodata mi difendi tu. Mai sentito parlare di riservatezza? Oltre al fatto che no, non ve lo direi comunque.
"Ci regali i prodotti che vengono venduti nelle televendite?".Certo come no, d'altronde tutti abbiamo un' amica commessa e ci vestiamo gratis.
Sono disposto a pagare per sapere, fare, andare in onda. E io, da anni, firmo clausole che dicono che se solo accetto una caramella per qualsiasi motivo legato anche lontanamente al mio lavoro vengo lasciata sotto il pavimento (che ha le piastrelle che si alzano) per un mese senza cibo né acqua.
E comunque, manco fossi una prostituta che prendo soldi e posso essere importunata per strada. Che poi dai, manco le prostitute si importunano per strada se no arriva il pappone e vi accoltella.

Lavorare in televisione non è una missione finalizzata al fare diventare famoso qualcuno. È un mestiere. Come qualsiasi altro.
E dopo il Carosello, io vado a letto e non ci sono più per nessuno.


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giovedì 3 settembre 2015

"Quelle volte che": lavorare in una messa in onda televisiva

Ci sono quelle volte in cui ti rendi conto che Natali, Capodanni, Pasque, Primi Maggi, Due Giugni, Befane, sabati sera, domeniche e giornate estive che al mare stavo meglio le hai passate con gente che non è la tua famiglia, non sono i tuoi amici, né il tuo fidanzato, né tua moglie.
Ci sono quelle volte in cui hai improvvisato pranzi e cene per festeggiare o che qualcuno ha allestito banchetti -che il matrimonio di Kate&William in confronto è da poracci- nel corridoio per festeggiare i tuoi 25 anni.
Quelle volte in cui hai mangiato schifezze che manco a 14 anni, che hai mangiato kebab alle tre di notte, che hai diviso in sei una fetta di torta.
Ci sono quelle volte in hai riso fino alle lacrime, ci sono quelle volte che hai litigato, hai alzato la voce, hai messo il muso, non ti sei parlato con qualcuno e qualcun' altro ti hai detto "ma fate pace!" .
Ci sono persone che dire che ti stanno sulle palle è dire poco e a distanza di anni non ti ricordi nemmeno il nome.
Ci sono quelle volte che "Ciao, sono arrivato un' ora prima per mettermi lo smalto. O limare le unghie. O fare la barba".
Ci sono quelle volte che hai sclerato perché "oddio, non ho le sigarette".
Quelle volte in cui hai preso paura perché hai sentito rumori sospetti e hai pensato al  mostro col macete. O che hai pensato "ma se un giorno viene un terrorista e mi dice che vuole rivendicare un attentato, cosa faccio?".
Ci sono volte in cui "ho fatto serata, sono in botta, ho dormito un' ora" , sono le 7 del mattino e vorresti morire .
Ci sono volte che vedi occhiaie che voi umani... ecco, ci siamo capiti.
Volte che è l' alba e senti cantare gli uccellini, volte che è notte fonda, volte che fa freddo, ma tanto hai la copertina di lana dietro che manco la nonna centenaria.
Quelle volte in cui "io non ci entro lì dentro, fa freddo che manco al Polo Nord" o "mettiti il giubbotto che se no ti prende un colpo lì dentro". Ed è Luglio, ma c'è sempre un giubbotto pesante, una sciarpa e un cappello di lana.
Volte in cui giochi, scherzi, ridi.
Ci sono volte in cui ti vesti malissimo, ma che manco a casa per preparare un esame: pantaloncini che manco a 5 anni, tute che manco in palestra, felpe giganti rubate al compagno del liceo 12 anni prima.
Ci sono volte in cui ti vesti benissimo e a momenti non ti fanno entrare perché non ti riconoscono. Volte in cui sei truccata che manco in discoteca e ti chiedono:"Ma ti sei truccata?" che sta per "Ma proprio tu ti sei truccata?".
Volte in cui ricevi pacchi, ma non ci sei e ricevi foto del tuo pacco con faccia piangente disegnata dentro al forno a microonde. Poi un' altra in cui il tuo pacco è dentro il frigo. E poi una in cui è seduto sul wc. E infine quella in cui attentano alla sua vita con un cacciavite. E ti chiedono anche il riscatto.
Volte che andiamo a bere una birra, a mangiare fuori, a ballare. 
Quelle volte che vorresti sbranare tutti e loro lo sanno che è perché sei mestruata e li odi per principio. O che li tormenti con le palette di ombretti e ti danno pure retta.
Ci sono persone di cui sai la vita intera perché è inevitabile che se ci passi le serate insieme o le feste comandate di qualcosa dovrai pur parlare.
Ci sono volte in cui fronteggi le emergenze nei modi più incredibili, in cui smonti e rimonti le cose, ti inventi le inumane cose. E l' alluvione, e la neve alta, e la perdita d' acqua, e il condizionatore rotto con 38° (e no, non è una questione di caldo), e le cavallette giganti. 
Quelle volte in cui pensi che di tette e culi ormai sei un' esperta visto che è l' argomento più gettonato e ti devi adeguare. E in fondo ti diverte anche. E, negli anni, sei diventata esperta.
Quelle volte in cui devi fare LA telefonata seria e ti viene da ridere. E intorno a te ti fanno ridere, ma resti serio e incredibilmente -forse perchè sei troppo bravo- risolvi anche il problema.
Ci sono volte in cui ti chiedono "Problemi con i porno?" e pensi che hai 26 anni e ah bello che te credi, io sono grande.
Ci sono volte che balli, che canti, che scleri. E ancora ridi.
Ci sono volte in cui dici la parola caffè più di quanto non dica la parola ciao. E sai benissimo quanto zucchero, quanto lungo, quanto corto di tutti i presenti.
Ci sono volte che "Ho portato la torta". O le noci. O il thè. O la torta salata fatta da mia madre. O la bresaola (ogni giorno).
Volte in cui squarti in tre un' anguria perché la frutta fa bene. Volte in cui mangi il panino con salsiccia e melograno alle 5 di mattina.
Ci sono le volte che ti fanno i gavettoni d'acqua gelata. E non sei in costume.
Volte in cui fai le guerre di solletico. O torni a casa con le braccia scarabbocchiate. 
Volte in cui "Mandami un sms quando arrivi a casa".
Volte in cui "Sto arrivando, ti porto qualcosa?".
Volte in cui la colazione che ti portano alle 6 del mattino ti rende più felice di Raul Bova nudo.
Volte in cui piangi disperato perché hai mille problemi. 
Volte in cui stai male, volte in cui passi da lì con le stampelle e non cammini, ma dai, non posso non passarci.
Volte in cui "Io vado a morire in quella postazione sfigata che non vuole mai nessuno, non cercatemi, io non esisto".
Volte in cui hai voglia di fare mille cose e ti porti avanti per un mese. Anche due.
Volte in cui ti senti a casa, in cui sai che quella è l' estensione di casa tua, che spesso hai piu roba di vitale importanza lì che a casa tua, volte in cui ti chiedi se a casa se lo immaginano tutto questo.
Ci sono giorni -tutti da quando avevi 24 anni- in cui ripeti "Se non sono sociopatici, non li vogliamo". E poi aggiungi: "Ovviamente, sono sociopatica anche io".
Oppure dici "Siamo brutte persone, molto brutte". E lo pensi. E ridi.
Volte in cui hai un problema e ti accorgi che in tre non si fa un cervello e volte in cui siamo troppo forti, siamo dei geni.
Volte in cui "Questo lo fai te che a te piace farlo?", "Mi fai questo che non c' ho voglia di alzarmi?","Ci penso io così non ti stanchi","Lo facciamo insieme, metà per uno?". Ci sono poi le volte in cui fai un pezzo per uno e pensi che dove lo trovi tanto affiatamento? 
Ci sono volte in cui ti abbracci forte, ma tanto forte. Volte in cui ti parli di cose serie, ma non dura molto. Volte in cui uno sguardo dice tutto. Volte in cui ti mandi a fanculo e ci puoi anche rimanere a vita. O almeno fino a domani.
Volte in cui pensi "Mò scatta la rissa", ma tanto non scatta mai.
Ci sono quelle volte in cui ti innamori e ti batte forte il cuore e allora, per mostrare il proprio interesse, invece di dire cose tipo "Come stai bene oggi!" dici "Ti serve che ti rigiro il segnale? I contributi? Ti faccio una grafica?".
Ci sono tante, troppe volte che non si possono scrivere. E no, non c' è nessun riferimento sessuale.

Ci sono volte in cui penso che vorrei che a casa tutto questo si vedesse perché voi non lo sapete, ma sono abbastanza certa che vi piacerebbe spiarci per un giorno intero.
Ci sono volte che penso che l' emissione  sia un posto strano, ma che non potrei avere altro posto nel mondo. E che nessuna delle persone che mi ha circondata in questi anni -e un pò ne sono passati- potrebbe averne un altro.


Quasi sei anni e tre emissioni, qui c'è un po' di tutte loro.
Ogni riferimento a fatti  è intenzionale,  quello alle persone no.
Il riscatto del pacco non l' ho mai pagato e mi è stato comunque consegnato. E ci ho guadagnato uno Sbagliato.
Da quando faccio questo lavoro, sono ingrassata 10 kg, ho trovato l' amore, ho litigato e ho voluto bene, ho abbracciato e sono stata abbracciata, ho rotto le palle e me le hanno rotte, ho lavorato fino a sfinirmi, ho fatto straordinari. E a volte non avevo voglia e mi veniva l' angoscia per tutto quel buio, tutti quei monitor, tutti quegli uomini.
Per il problema del terrorista non abbiamo ancora trovato una soluzione valida-ma siamo aperti a proposte e suggerimenti-  che non sia dargli l' indirizzo di qualche altra emissione, ma probabilmente non è adatta.
Questo post è ironico, non voglio bene a tutti i colleghi che ho avuto, alcuni sono belli e guai chi me li tocca. Il più bello adesso non saprei dire chi è.
Ho scoperto che gli uomini non amano quanto le donne, ma se possibile di più e che sono più fedeli di quanto crediate.
Ho imparato i nomi di ogni singola fidanzata/moglie. E dei figli. E dei cani. E dei pappagalli. Ho preso le difese delle fidanzate/mogli quasi sempre perché per me avevano ragione e sono stata sfanculata per questo.
I segreti di ognuno me li porterò nella tomba.
Ho raccattato col cucchiaino persone che erano state lasciate. Ad altre ho proposto una birra per festeggiare l' evento.
Sono andata a lavoro vestita male, ma così male che non potete immaginare. E non mi sono truccata. E ho raccolto i capelli con le bacchette del sushi. O mi sono fatta la cipolla. O la fontanella.
E questa é la vita.
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