venerdì 27 luglio 2018

Viaggiare con le allergie alimentari: come fare e perché farlo

Io sono allergica e mi piace viaggiare.
Per essere precisi, sono allergica all'LTP, una proteina mannara presente praticamente ovunque.
Non sono allergica a tutte le LTP, ma siccome nella vita mi ritengo molto fortunata, sono allergica a quasi tutte. 
E siccome sono davvero molto fortunata, sono anche allergica in modo grave.
Andare in giro e dire "sono allergica all' LTP" significa farsi quanto meno prendere per pazzi e, a dire il vero neanche io, fino a un po' di tempo fa, sapevo cosa fosse questa sigla. 
Fino a qualche anno fa, io sapevo solo di essere allergica a un sacco di alimenti, così come sapevo che le mie allergie sono come le scale di Harry Potter: a loro piace cambiare o, se proprio vogliamo essere precisi, a loro piace aumentare.
Oggi gli alimenti a cui sono allergica non li conto più (in realtà, se mi ci metto vi dico anche il numero esatto, eh, ma poi mi deprimo), ma so che questa allergia ha un nome.
Non vi frantumerò le gonadi parlandovi di LTP come se fossi un medico, visto che di fatto una specializzazione in immunologia clinica non ce l'ho, ma ecco: è arrivata l'estate e sono arrivate le vacanze. E, a dirla tutta, io viaggio tanto non solo in estate, un po' per lavoro e soprattutto per piacere e per passione.
Viaggio in nave, in aereo, in treno, in macchina e vado più o meno ovunque mi vada di andare.
Viaggio da sola, con mio marito, con gli amici, con i miei genitori.

Se vi state chiedendo se si può viaggiare e se si può mangiare in viaggio con un'allergia alimentare la mia risposta sarà sempre si. Non forse si, ma si. Si può fare, io lo faccio, l'ho sempre fatto e sempre lo farò perché chiudersi in casa ad aspettare la morte per inedia non fa per me.

Come si fa a viaggiare in compagnia di un'invadente allergia alimentare?
Prima di tutto, ecco, bisogna essere abituati a vivere e convivere con le allergie, bisogna avere in mente tutte le accortezze che vanno prese, ma è appunto abitudine. Io sono abituata, chi mi sta vicino pure.
L'abitudine si prende con il tempo, piano piano si inizia a pensare a cose a cui prima delle allergie non si sarebbe mai pensato.


Io non mangio mai in luoghi dove sarebbe difficile soccorrermi se mi accadesse qualcosa: quando si parte questi luoghi sono ad esempio  l'aereo o la nave e, in generale, quanto meno per il viaggio, tendo a portarmi le mie cose cucinate da me (o da mia madre) in cucine (la mia e la sua) dove gli allergeni non entrano. In ogni caso, mangio quando sono arrivata a destinazione o prima di partire, insomma dove un'ambulanza può raggiungermi subito in caso di bisogno.
In aereo si può avvisare la compagnia dell'allergia e gli allergeni non verranno somministrati a nessuno. Ovviamente, ma mai dare per scontato, a supporto della tesi bisogna avere la documentazione necessaria che un allergico ha. Un non allergico a cui però non piace, che so, l'odore delle patatine si attacca, com'è giusto che sia.
Quando arrivo a destinazione, per tutta la durata del soggiorno, mangio solo cibi che sicuramente non sono contaminati, anche se -inutile negarlo- un minimo fattore di rischio può esserci sempre, purtroppo.
Una buona idea è quella di mettere in valigia cibi sicuri di modo da poter sopravvivere qualora non si trovasse nulla, ma senza esagerare.
Se devo mangiare in un ristorante o in un bar prima mi guardo intorno, poi chiedo.
E per chiedere non intendo che faccio una domandina, ma piuttosto che faccio quel mezzo milione di domande che potrebbero apparire superflue, ma che per me sono di fondamentale importanza.
Spiego poi la gravità del problema, preciso che anche una piccolissima contaminazione potrebbe uccidermi e che, se non sono sicuri, preferisco mi dicano che non lo sono.
Digiuno se è il caso, non è un problema. Di certo è inspiegabile che nonostante tutti i digiuni a cui sono stata costretta, per dimagrire sono dovuta andare da una dietologa, ma tant'è.
Se capisco che posso mangiare in un determinato locale, quando arriva il cibo lo odoro -si esatto, lo odoro- e lo osservo attentamente da ogni angolazione. Se sono con mio marito o con i miei genitori prima lo faccio assaggiare a loro che a qualcuno potrebbe anche fare schifo che qualcuno assaggi il proprio cibo, ma pazienza. Meglio lo schifo che restarci secchi.
Se proprio non trovo niente (succede più spesso di quanto crediate), un supermercato da qualche parte ci sarà e a quel punto leggo ogni singola etichetta, evitando in ogni caso cibi troppo elaborati. 
In Italia è facile visto che etichette sono scritte in italiano, all'estero è essenziale sapere come si dicono e come si scrivono gli alimenti cattivi in inglese e nella lingua del posto.
Non do mai per scontato che dove vado sappiano l'inglese. MAI.
Visto che, ecco, imparare lo svedese o il cirillico non è esattamente una cosa che si può fare in un paio di giorni, basta scrivere il nome di tutti gli alimenti nella lingua che serve, in stampatello e non in corsivo perché lo stampatello è più chiaro, meglio ancora scriverlo al pc e stampare la lista. 
La lista serve sia per leggere le etichette, sia per eventualmente mostrarla in bar, ristoranti e via dicendo.
In ogni caso, una scatoletta di tonno può andare bene senza troppi complimenti, possibilmente al naturale che l'olio se non di oliva (almeno nel mio caso) sa essere tanto buono quanto letale.

Mangiare può passare in secondo piano se è il caso, l'importante è viaggiare.
E non si viaggia mai da soli.
Si lo so che ho detto che io viaggio anche da sola, eh, non ho cambiato idea.
Io viaggio da sola, ma non da sola: con me c'è sempre il kit salvavita.
Cosa contiene il kit salvavita? Due autoiniettori di adrenalina semplicissimi da utilizzare, due diversi tipi di cortisone in compresse, due diversi tipi di cortisone in fiale, un antistaminico in fiale, tre diversi tipi di antistaminico in compresse, una crema cortisonica, il Ventolin.
Ho anche le siringhe e si, so fare le punture nel senso che io le punture me le faccio anche da sola, oltre a farle agli altri. Ho imparato perché non è detto che chi ci circonda le sappia fare.
Se state pensando che non è sicuro farsi le punture da soli, tornate a dirmelo quando avrete provato la sensazione della gola che si chiude e dell'aria che non arriva ai polmoni e poi ne riparliamo, scusate la brutalità.
Chi viaggia con me -se viaggio in compagnia- sa di questo problema, è in grado di intervenire e può farlo in due modi: ascoltando quello che dico io che conosco le mie allergie e le mie reazioni allergiche meglio di chiunque altro o, se io non sono in grado di fare da guida, prendendo l'adrenalina e chiamando immediatamente il 118 (o il 911 o, in generale, il numero delle emergenze, bisogna documentarsi prima su quale sia il numero in base al paese in cui ci si trova).
Nel kit ci sono i miei dati, il permesso a viaggiare con me per i farmaci (ad onore del vero nessuno mi ha mai chiesto niente), la delega ad agire per chi è in grado di farlo (che non si sa mai), il mio piano terapeutico, le istruzioni d'uso dell'adrenalina. 

Nel mio portafoglio c'è un foglio che spiega qual è la mia patologia, cosa fare e chi chiamare se mai dovesse succedermi qualcosa.
Il foglio in questione va scritto non solo in italiano, ma anche in inglese e nella lingua del posto se si va all'estero.
Nel mio cellulare ho impostato la pagina d'emergenza che dice che sono gravemente allergica all' LTP, che ho l'adrenalina in borsa (e ce l'ho sempre) e i numeri da chiamare, oltre a quello delle emergenze, che sono quello di mio marito e quello di mia madre che sanno che devono rispondere sempre a qualsiasi numero.
È in lavorazione un bracciale con un ciondolo che spiega tutto quello che è spiegato dal foglio e dal cellulare che io non lo so mica cosa potrebbe andare a guardare un eventuale soccorritore per strada.

E poi ci vuole una dose di coraggio enorme.
Una dose di coraggio che deve farvi scattare la voglia di non stare chiusi in casa, di uscire, di viaggiare, di fare qualsiasi cosa normalmente (o quasi).
Il cibo è importante, ma non è tutto, un allergico può viaggiare, deve solo farlo in modo consapevole, tenendo a mente che una distrazione può costare la vita, ma quello -credetemi- è impossibile da dimenticare.


Se volete avere un'idea di com'è viaggiare con le allergie, in questo post ho raccontato la nostra esperienza ad Amsterdam con le mie allergie.

La foto del post è di Samira El Bouchtaoui, l'ha scattata per me e ritrae una valigia piena di allergeni, almeno per me. Quell'anguria che non è un alimento a cui sono allergica è adesso contaminato perché entrato a contatto con le pesche, sembra banale, ma non lo è.
La foto è stata scattata a parecchi km di distanza da me per ovvie ragioni di sicurezza.
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giovedì 26 luglio 2018

Vacanze in Sicilia: istruzioni per l'uso

Le vacanze in Sicilia sono uno dei momenti più belli dell'anno, almeno per me, e non solo perché la Sicilia è la mia terra, ma anche perché trovo che sia davvero meravigliosa. 
Ogni anno, quando è ora di prenotare le vacanze, in tanti mi chiedono se posso dargli qualche dritta o se possono fare le vacanze con noi.
Io do le dritte e dico anche si a tutti quelli che vogliono venire con noi, ma ecco: prima di decidere di fare le vacanze in Sicilia, quanto meno quelle estive, ci sono delle cose che dovete tenere a mente.



-La Sicilia è grande: è la regione più grande d'Italia, ha nove province (il fatto che due di queste siano a 30 km di distanza l'una dall'altra è secondario), un numero indefinito di comuni, isole minori come se piovesse. 
Dalla Sicilia ci è passato praticamente chiunque e tutti questi chiunque hanno ben pensato di lasciare tracce del loro passaggio, cosa che -unita a quello che madre natura ha donato a quest'isola a forma di triangolo- fa pensare che forse forse ci sono un sacco di cose da vedere.
Tutto sta manfrina per dire che no, non si può girare tutta, ma proprio tutta, la Sicilia una settimana. Serve tempo per spostarsi da una parte all'altra e vedere tutto, ammesso che questo tutto si riesca a vedere nell'arco di una vita. Io, ad esempio, non ho ancora finito.
Se decidete di andare in Sicilia, inoltre, valutate bene il punto in cui arriverete in base a dove dovete andare: ci sono quattro aeroporti (Palermo Punta Raisi, Catania Fontanarossa, Ragusa Comiso e Trapani Birgi): se arrivate a Catania e volete andare a Palermo, anche il biglietto aereo costa 10€ in meno e quindi vi sentirete abili risparmiatori, avete fatto una cavolata. Oh certo, ci arriverete, ma sono più di 200 km e, per la cronaca, l'autostrada Palermo-Catania è una delle autostrade più brutte che io abbia mai visto.

-La Sicilia è costosa: o meglio, non è costosa la Sicilia in sé, è costoso passarci le vacanze.
Probabilmente costa meno andare in Sicilia che in altre parti d'Italia, ma gratis non è.
Le località prettamente turistiche, quelle che fanno soldi solo in estate, sono le più costose quanto meno se volete andarci ad Agosto.
La vita, in generale, costa meno in Sicilia che -per dirne una a caso- a Milano, ma un conto è viverci, un conto è andarci in vacanza. Chi ci vive di base non pagherà l'hotel, giusto per dirne una.
Costa anche abbastanza andarci in Sicilia: la nave ha un costo non proprio irrisorio e gli aerei, soprattutto in alcuni periodi dell'anno, non sono esattamente a buon mercato. 
Certo, c'è il treno che personalmente consiglio solo se dovete andare a Messina: scendete a Villa San Giovanni, traghettate e ci siete, altrimenti lasciate ogni speranza voi che entrate (la compagnia di traghetti che effettua la tratta Villa San Giovanni-Messina si chiama Caronte che è quanto dire).
I mezzi pubblici in Sicilia non sono quanto di migliore esista al mondo e, solo con quelli, in alcuni posti meno grandi e meno battuti probabilmente non ci arriverete mai. Oserei dire che, a meno che non scegliete di stare fermi in un punto preciso, la macchina è d'obbligo e sia noleggiarla sia portarsela dietro costa.
Per me ogni soldo lasciato nella mia terra è ben speso, ma tutta sta storia serve solo per fare presente che no, non farete un mese di vacanza a Taormina con 100€. E manco da altre parti se per questo.

-La Sicilia non è solo mare: non ovunque, in Sicilia, c'è il mare, quindi se volete andare al mare e avete scelto come meta-che ne so- Piazza Armerina, sappiate che non è stata una buona idea. Non so neanche dire a quanti km è il mare più vicino a Piazza Armerina.
Ci sono anche le montagne, eh: a me viene da pensare, così a naso, a Nebrodi, Madonie, Iblei e Peloritani, ma c'è anche dell'altro. E si, in alcuni posti, d'inverno c'è persino la neve.
C'è anche un vulcano, ovvero l'Etna (senza contare i vulcanini delle Eolie), e no, non ci si può tuffare dal cratere atterrando direttamente in mare, a meno che non intendiate un mare di lava, ma non lo consiglio.



-In Sicilia in estate fa caldo: e non solo in Sicilia, a dire il vero.
Ad Agosto (ma anche a Luglio e a Settembre) fa molto caldo, quindi se vi siete prefissati di fare una vacanza culturale girando una qualsiasi città sappiate che a mezzogiorno probabilmente vi verrà una sincope. Se soffrite il caldo come me, tenetelo a mente.
Tenete a mente anche un'altra cosa: oltre al caldo, le città sono città anche in estate, il che significa che se venite a Palermo, esattamente come una qualsiasi città d'Italia, ad Agosto troverete molte cose chiuse per ferie e la città mezza vuota. Il fatto che sia in Sicilia e sul mare, non esclude che sia, appunto, una città e non una località turistica la cui economia gira solo d'estate.


-In Sicilia dovete andarci piano con il cibo: si mangia benissimo, niente da dire e oserei dire che, almeno sul piano cibo, si spende meno che altrove. Ci sono specialità diverse in base alla zona in cui vi trovate (alcune cose le trovate ovunque, eh), ma è una cucina abbastanza pesante.
Questo significa che se vi ingozzate di tutte le specialità in un giorno solo probabilmente finirete in ospedale e lo dico perché negli anni ho accompagnato al pronto soccorso decine di persone, compreso mio marito che, fortunatamente, ha imparato la lezione.
E no, un siciliano non mangia sette arancine, diciotto cannoli, venti kg di caponata, quattordici panini con panelle e crocché e via dicendo in giorno solo.


E, se posso darvi un ultimo consiglio, una volta che sarete arrivati a destinazione, oltre a godervi tutte le meraviglie del mondo che troverete, vi prego evitate di andare alla ricerca di mafiosi per strada dando per scontato che siamo tutti mafiosi e non sarà difficile incontrarne uno perché, che ci crediate o no, non è così.
Se invece sapete accontentarvi e cercate qualcuno che dica un minchia ogni due parole, beh ecco, quello sarà decisamente più semplice.


Le foto del post sono tutte scattate da me in posti diversi della Sicilia e confesso, visto che sono una brutta persona, di aver riciclato foto già utilizzate per vecchi post.
Se volete fare un tour della Sicilia attraverso le pagine di questo blog cliccate qui.

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giovedì 19 luglio 2018

Quanto costa avere (e prendersi cura di) un cane?

Qualche giorno fa Fuffi ha iniziato a vomitare.
Non vomitava cibo, ma succhi gastrici giallognoli che, a loro volta, facevano venire a me i conati di vomito (si, mi succede sempre). Non vomitava manco di continuo a dire il vero, giusto una piccola vomitatina la mattina, ma io e la percezione reale della quantità di vomito prodotta da qualcuno non andiamo molto d'accordo.
Fuffi, qualora ve lo stiate chiedendo, è il vero nome del nostro cane. Ha due soprannomi: nano a pois -nano per gli amici- e passerotto, ma resta il fatto che in un momento in cui chissà a che cavolo pensavo l'ho chiamato Fuffi, scelta di cui mi assumo ogni responsabilità.

Dicevo che Fuffi ha iniziato a vomitare e io ho chiamato il veterinario.
La prima ipotesi è stata la gastrite che, in teoria, sarebbe potuta passare da sola.
"Se entro quarantotto ore il cane non smette di vomitare, approfondiamo".
Dopo quaranta ore (quarantotto mi sembravano troppe) ero dal veterinario dove, ad onore di cronaca, ho trascinato Fuffi con l'inganno.
Solo che lui è meno stupido di quello che sembra e, quando ha visto la porta della clinica, ha piantato le zampe per terra e non c'è stato verso di convincerlo che in fondo era per il suo bene.
Fuffi aveva la febbre alta, sospetto che avevo avuto non chiedetemi perché.
"Dobbiamo fare una radiografia".
Ho mandato un messaggio al Marito che mi ha detto "spendi qualsiasi cifra, ma fai qualcosa, io adesso arrivo".
Lo conosco mio marito, lo conosco fin troppo bene e mi ricordo le lacrime che ha versato quando è morta Milly, di tumore, tre anni e mezzo fa. Conosco quello che ha pensato perché, almeno in questo caso, i suoi pensieri erano assolutamente identici ai miei.
Ho avuto una paura enorme, quella di sentirmi dire che anche Fuffi, come Milly, ha qualcosa di brutto. Ho atteso, atteso, atteso, atteso all'infinito. O almeno credo fosse un tempo infinito.
Non sono un medico, né tanto meno un veterinario, quindi la riassumo così: Fuffi ha qualcosa di grave a stomaco e intestino. Qualcosa di grave che però, almeno per il momento, non sembra essere il peggio.
Ho visto le radiografie e, come nel caso di Milly, nonostante non sia un medico, è stato abbastanza semplice intuire che qualcosa di strano c'era.
Non vi tedierò con tutto quello che mi ha riferito il veterinario, ma posso dirvi che ad un certo punto mi è stato detto che il cane potrebbe essere allergico e io ho reagito con una risata isterica.
Perché va bene tutto, ma pure il cane allergico non me lo merito su.

Mi è stata data la cura e mi sono stati regalati dei campioncini di cibo ipoallergenico da fargli provare di modo che scegliesse il suo preferito.
Fuffi, per la cronaca, ha scelto i croccantini gusto cervo e patate, non senza avermi guardato schifato per un giorno intero quando gli ho proposto quelli uovo e riso e avermi osservata con sguardo dubbioso quando gli ho proposto un'altra variante a non ricordo manco che gusto.
"Amore, Fuffi avrebbe scelto cervo e patate" ho detto al marito che ha sentenziato che sarebbe corso a comprare i croccantini da un milione di euro al suo amato cane.
"Fuffi, sicuro che vuoi cervo e patate? Perché guarda che costano un sacco e se poi non li vuoi io di certo non li mangio". Ha mosso la coda, quindi immagino fosse un si.
Se il marito si è occupato di compragli sto benedetto cervo, a me è toccato andare in farmacia a comprare le sue medicine, scoprendo con piacere che le sue medicine costano un occhio della testa.
Ah, nel caso vi sia venuto il dubbio, anche il veterinario si paga perché so che non ci crederete mai, ma la loro non è una missione, ma un lavoro.

Fuffi non è nostro figlio, ma noi siamo la sua mamma e il suo papà.
È nostro dovere prenderci cura di lui e fargli avere tutte le cure necessarie adesso che sta male, compragli i farmaci e i croccantini al cervo ipoallergenici, pagare il veterinario e fare tutto quello che è possibile fare.
A quanto pare sarà anche mio compito un domani pagare l'avvocato quando verrò denunciata ed arrestata per maltrattamento di animali visto che Fuffi, quando provo a dargli lo sciroppo, scappa per ore piangendo disperato e lo fa chiaramente in terrazzo di modo che tutti possano vedere le terribili torture che gli sto infliggendo, piccolo cane ingrato che non è altro.
Con le pillole invece è meglio, quelle gli piacciono e le mastica di gusto e direi che ogni tanto una gioia la possiamo avere anche noi.
Io non so quale sia per voi qualsiasi cifra, ma so che quella che per me potrebbe essere una cifra altissima per altri potrebbe essere bassissima e viceversa. So però che qualsiasi cifra rende bene l'idea.
Non so neanche quantificare quanto effettivamente ci sia costato Fuffi in sei anni di vita, tra cose indispensabili e cose che indispensabili non lo erano manco per niente (tipo la torta a forma di osso per il suo sesto compleanno), così come non so quanto ci sia costata Milly. So però che quando abbiamo scoperto il suo osteosarcoma abbiamo speso tantissimo senza remore.


Perché dico così?
Negli anni ho letto tante volte che ai cani basta il nostro amore e, in parte, questo è vero.
Fuffi vive per noi, siamo la sua mamma e il suo papà, non so neanche se si renda conto che è oggettivamente impossibile che lo abbia partorito io in ospedale.
E noi lo amiamo in modo folle, ogni tanto lo guardo dormire e penso che è proprio il cane più bello del mondo, tutto uguale a me, e quando non sono a casa e lui non è con me mi manca da morire.
Fuffi però ha anche bisogno di cibo, di guinzagli, di pettorine, di una cuccia, di ciotole.
Fuffi paga il biglietto per viaggiare con noi e, se non lo portassimo con noi (cosa che escludo quasi sempre), toccherebbe pagare una pensione o una dog sitter H24.
Fuffi ha bisogno del veterinario sia per i controlli periodici e i vaccini, sia per casi come questo in cui sta male e bisogna risolvere il problema in primis per lui e poi anche per noi visto che vederlo stare male fa stare male anche noi. Sempre ad onore del vero devo dire che è la prima volta che Fuffi sta male in questo modo.
Che un cane si ammali va tenuto in conto, sempre.
Che se un cane si ammala è dovere del padrone curarlo anche.
Che poi io non riuscirei ad immaginare neanche l'ipotesi di vedere stare male Fuffi e non curarlo, ma tant'è.
Se un cane potesse parlare vi direbbe che gli basta l'amore, se lo chiedete a me vi dico che l'amore passa anche attraverso le cure e il non fargli mancare niente, ma proprio niente, comprese le orride palline gialle che Fuffi adora e che dobbiamo ricordarci di portarci sempre dietro che sia mai uscire di casa senza pallina gialla orrida e puzzolente (lui non lo sa, ma io ciclicamente  sostituisco la pallina gialla con una nuova identica, mi guarda con sospetto, ma poi si arrende).

Se pensate un giorno di non potere (o di non volere, cosa che probabilmente nessuno ammetterà mai) sostenere delle spese per curare il vostro cane, pensateci bene prima di prenderne uno.
Non vi dico di non prenderlo, eh. Vi dico solo di pensarci bene.


Fuffi, per la cronaca, ha smesso di vomitare, almeno per il momento. Ovviamente ci auguriamo che la cura stia facendo effetto e che non debba fare la tanto temuta biopsia.
Io intanto lo vizio terribilmente porgendogli uno ad uno i croccantini al cervo e patate e solo quel briciolo di dignità che mi rimane mi impedisce di non masticarli al posto suo per non farlo faticare.


Se volete sapere la storia di Milly, il cane nero, la trovate qui.
Se invece volete leggere un post che ho scritto su cosa vuol dire prendere un cane e che mi piace tantissimo, leggete qua.
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martedì 17 luglio 2018

I bibitoni dimagranti sono come il due di coppe quando regna bastoni

Ce li avete presente i bibitoni dimagranti che non solo vi fanno perdere peso, ma vi fanno anche diventare ricchi e liberi dalla mancanza di tempo che attanaglia i poveri lavoratori?
Secondo me si, avete perfettamente idea di cosa siano sti bibitoni miracolosi, visto che ultimamente non si parla d'altro.

Io sono dimagrita e adesso giustamente devo dirvi la fatidica frase: chiedetemi come.
Se non me lo chiedete, ve lo dico stesso per altro.
Sono dimagrita andando da una dietologa, laureata in medicina e specializzata in scienza dell'alimentazione, e andando in palestra.
Non sono quindi diventata ricca vendendo bibitoni, piuttosto sono diventata povera pagando la dietologa e la palestra. E la cosa esilarante è che diventerò sempre più povera visto che non ho ancora finito e continuerò a pagare dietologa e palestra. 
Non ho quindi una Porsche, ma direi che ne faccio anche a meno, visto che la mia prima macchina è stata un'Alfa Romeo e ancora pago i debiti contratti per mettere la benzina in quella succhialiquido  al sapore di petrolio che non era altro, e non sto in piscina tutto il giorno, ma si sa, il cloro sbianca quindi mi tengo la mia (pallidissima in questo momento) abbronzatura.
Le borse me le compro lo stesso, pur non vendendo bibitoni, ma quelle sono -in buona parte- una gentile concessione di mia madre che sa che la sua bambina ha un bisogno disperato di borse.


Detto questo: ieri ho fatto il controllo dalla dietologa.
Undici chili di grasso persi, una quantità di centimetri che tutti insieme fanno un bambino di cinque anni, massa muscolare aumentata, metabolismo basale aumentato e un sacco di cose belle.
Perché, ecco, lasciatemelo dire: i bibitoni non servono a un tubo.
E non serve a un tubo neanche credere che la taglia 40 sia l'obiettivo da perseguire per qualsiasi donna esistente al mondo.
Lo so, lo so, le convenzioni sociali ci impongono uno standard di bellezza femminile che bla bla bla.
A me, delle convenzioni sociali, non frega una beneamata mazza.
Io devo piacere a me stessa e stare bene con me stessa, se piaccio anche a voi bene, se no me ne farò una ragione. O forse non perderò neanche tempo a farmene una ragione, ma tant'è.
E della taglia 40 a me non frega un tubo.
Semplicemente, quando ho letto, ormai quasi tre mesi fa, che ero sulla prima linea dell'obesità di primo grado volevo morire. E volevano morire anche le mie ginocchia, già provate dalla frattura della rotula dello scorso anno.
Io volevo essere normopeso e oggi, quando finalmente è venuto fuori che lo sono, ho tirato un sospiro di sollievo. Senza bibitoni.
Mangiando tutto, ma proprio tutto tutto tutto (tranne le cose a cui sono allergica ovviamente). 
Ieri ho fatto merenda con l'affogato al cioccolato. No, non è uno sgarro, fa parte della dieta.
Si, l'affogato al cioccolato. E me lo sono conquistata eh, mica ce l'ho avuto subito, ma non ho preso bibitoni per avere l'affogato al cioccolato.
Ho solo seguita la dieta alla lettera. Dieta data da un medico, ripeto.
Non mi sono fatta convincere da chi mi diceva: "dai, ma fai uno sgarro". Se non è previsto, io lo sgarro non lo faccio. E se non è previsto e voglio farlo, lo decido io, me ne frego -letteralmente- delle pressioni altrui.
Sono andata in palestra, ho sudato, ho faticato, continuo a farlo. Perché mi piace e perché mi serve.
E non bevo i bibitoni, l'ho già detto?
Non ho messo foto del mio cane -in mancanza di figli- in posa col bibitone al succo di foglia della palma canadese (era l'acero, lo so) a bordo piscina affermando che ebbene si, anche il cane ha tolto il grasso in eccesso gustando il bibitone. E non ho manco reclutato il cane perché oh, la forza dei sistemi piramidali di vendita sta nel reclutare gente incapace di intendere e di volere (scusa Fuffi, non intendo dire che sei incapace di intendere e di volere, eh).

Dimagrire non è una strada facile, bisogna volerlo e bisogna averne la forza che, detta così, sembra facile, ma non lo è. 
Bisogna affidarsi al professionista giusto perché ecco, se chiedete a me di mettervi in onda un programma lo faccio, ma se chiedete a me -che di professione faccio il tecnico broadcasting- di aiutarvi a dimagrire non saprei come fare.
Per dimagrire bisogna mangiare e non solo qualcosa, ma tutto. 
E l'esercizio fisico fa bene, non tanto per dimagrire, ma per tonificare, per perdere cm, per aumentare la massa magra.
I bibitoni invece sono come il due di coppe quando regna bastoni: inutili.


Tutti i post sulla mia dieta:


Nb. Nessun bibitone è stato maltrattato per la stesura di questo post.
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martedì 10 luglio 2018

Lavorare su turni: chi, come, quando e perché

Lavorare su turni a me è sempre piaciuto da morire.
No, non sto scherzando.
Ho sempre avuto la sensazione di avere molto più tempo libero, una vita meno frenetica e -senza troppi giri di parole- più soldi a fine mese.

Ho lavorato sia su turni H24, sia su turni non H24 ovvero in una fascia oraria compresa tra le 8 del mattino all'1 di notte. Sempre sette giorni su sette, 365 giorni l'anno, 366 nei bisestili.
E non c'è un solo giorno in cui non abbia pensato che preferisco di gran lunga i turni che non il classico orario d'ufficio con il week-end e i festivi a casa.
Il lavoro su turni che viene considerato logorante, ma per quanto mi riguarda -l'ho già detto mi sa- è rigenerante ,va gestito in modo sano e sensato, eh.
Non è che il primo che passa si sveglia la mattina e si improvvisa a fare dei turni.
Ci sono un sacco di cose da considerare, prima tra tutte -almeno così mi hanno sempre insegnato i miei capi- il benessere e il rispetto della vita privata del lavoratore.


Ho fatto turni di mattina che iniziavano alle 6 o alle 7, più raramente alle 8.
Ho fatto turni intermedi che iniziavano alle 11 o alle 11.30.
Ho fatto turni pomeridiani che iniziavano alle 15, alle 15.30 o alle 16.30.
Ho fatto un turno ibrido, chiamato nottino, che iniziava alle 17.30.
E ho fatto il turno di notte che iniziava alle 00.00.
A tutti gli orari di inizio aggiungete otto ore e mezza, di cui otto lavorative e mezza di pausa.
Al turno di notte non aggiungete un bel niente, la pausa non c'è, che non significa lavorare otto ore filate senza mai fare la pipì o prendere un caffè, ma che esiste una normativa (cercatevela, io sono pigra) per cui nel turno di notte -per farlo terminare prima- può essere omessa la pausa visto che di fatto non si pranza e non si cena, fermo restando che vale il buon senso per cui prendere un caffè, fumare una sigaretta, andare in bagno o semplicemente prendere una boccata d'aria può essere fatto in qualsiasi momento. E questo vale per qualsiasi turno.
Il lavoratore -almeno nel mio settore- è perfettamente in grado di capire quando può lasciare e concedersi una pausa, fermo restando che, fatta eccezione per una parte del turno di notte, non si è mai da soli, a meno che non si sia verificato un cataclisma tipo un'invasione di cavallette o la caduta di un meteorite, cose che indubbiamente non vanno escluse.

Tra un turno e l'altro devono -si, devono, non è un'opinione- trascorrere almeno undici ore, ma di norma sono di più, almeno quando i turni vengono fatti da persone dotato di buon senso e rispetto del prossimo. Diciamo che le undici ore vengono considerate in caso di emergenza o di cambio turno.
I turni (parliamo sempre nel caso di buon senso) vengono fatti con anticipo di modo che ci si possa organizzare la vita, fermo restando che esistono gli imprevisti: malattie, incidenti, impegni improvvisi di qualsiasi tipo. Ho visto cambiare i turni per bimbi che stavano male e andavano recuperati a scuola, per familiari che si sono sentiti male all'improvviso, per qualsiasi cosa.
E comunque il cambio turno esiste sia per esigenze reali che per mero piacere.
Io ad esempio sono una che ha sempre odiato il turno di mattina perché non mi piace svegliarmi troppo presto, ma ho avuto colleghi che li preferiscono, quindi mi sono stati chiesti cambi turno solo in virtù di una preferenza. Cambi turno che, per la cronaca, ho sempre concesso, anche a chi mi stava palesemente antipatico.
Così come è possibile chiederli per impegni, visite mediche, qualsiasi cosa.
L'unica condizione è che entrambi gli scambisti (di turno, eh) fossero d'accordo, poi è sempre stato sufficiente comunicare al responsabile il cambio senza tanti salamelecchi.

Perché i turnisti hanno più tempo libero?
Premesso che è una sensazione da turnista, condivisa da altri turnisti che, come me, hanno provato almeno una volta nella vita l'orario d'ufficio, la motivazione è banale.
Immaginate di iniziare a lavorare alle 6, quindi di timbrare l'uscita alle 14,30: a quel punto avrete tutto il pomeriggio e la sera liberi per fare quello che vi pare, tipo andare a sbrigare qualche commissione o semplicemente per andare a fare un giro per negozi, andare in palestra, vedere un amico.
Immaginate ora di iniziare a lavorare alle 16 o, meglio ancora, alle 17.30: avrete tutta la mattina e parte del pomeriggio per fare quello che vi pare.
Sul turno di notte posso solo dire cose belle: tutto la mattina, il pomeriggio e la sera liberi, anche se -dopo la prima notte- magari la mattina si dorme che è meglio. Io una volta ho dormito fino alle 19, ma di base l'orario in cui mi sono sempre svegliata è l'ora di pranzo, cosa che -per la cronaca- faccio anche se vado a dormire alle 3 di notte.
Io, facendo orario d'ufficio, non ho mai avuto tutto questo tempo libero, vuoi anche perché bisogna calcolare molto più tempo per andare e tornare dal lavoro considerato che a ora di punta c'è il triplo del traffico.

Perché più soldi in busta paga?
Perché esistono le maggiorazioni e, prima che qualcuno faccia polemica, sappiate che esistono in qualsiasi ccnl. Se non ve le pagano, vi stanno fregando.
Certo, in alcuni ccnl sono più ricche che in altri, ma di base ci sono.
Esiste la maggiorazione notturna, dalle 22 alle 6, quella domenicale e quella festiva.
Esistono poi i super festivi che credo però non siano uguali ovunque: nel mio caso spesso sono stati Natale, Ferragosto e festa dei lavoratori.
Se si fa la notte dalla domenica, viene da sé che le maggiorazioni applicate saranno quella notturna e quella domenicale.
L'unica fregatura è quando un festivo cade di domenica visto che, tipo a Pasqua, la maggiorazione festiva è sempre stata la differenza con quella domenicale e non la somma delle due, tant'è che la mia frase preferita è sempre stata "a Pasqua non conviene lavorare".
A noi conviene avere le maggiorazioni in busta paga, ma comprendo che possa non essere così per tutti.

Se vi state chiedendo se è pesante lavorare la domenica e i festivi, vi ricordo subito che ho parlato di buon senso. 
I turni vanno fatti con buon senso, sempre. Se manca quello, tutti i benefici (sempre secondo me, eh) del lavoro su turni se ne vanno a quel paese.
I week-end si dividono tra tutti, di base -su una media di otto settimane- quattro si fanno dentro e quattro fuori. In turni concepiti in modo diverso, con matrice di riposo a scalare, c'è una domenica ogni mese circa e il fine settima seguente sia sabato che domenica, quindi due di fila.
I giorni di riposo sono di norma, su un full time da 40 ore settimanali di cui otto lavorative al giorno, sono due, a volte attaccati e a volte staccati (eventualità abbastanza rara, ma succede).
Ho avuto un responsabile illuminato che faceva i turni in questo modo: mercoledì, giovedì e venerdì turno di notte, quindi alle 8 del venerdì mattina eri fuori, con riposo sabato, domenica e lunedì (che conta come giorno di riposo della settimana successiva) e ti faceva rientrare il martedì alle 17.30. Lo amavo profondamente.
Per i festivi, vale come per i week-end: si dividono. Ho avuto un capo illuminato (lo stesso di cui sopra) che ti chiedeva se volevi lavorare nel festivo imminente e comunque di base ci faceva mettere d'accordo tra noi, se proprio non si trovava un accordo interveniva. L'accordo si è sempre trovato, visto che parliamo di persone adulte e vaccinate. Il Natale magari si fa a turno, idem la Pasqua o Ferragosto. In generale, sappiate che c'è sempre qualcuno che ha bisogno di qualche soldo in più perché magari ha spese improvvise o qualsiasi altro motivo.
In ogni caso, durante il week-end e durante i festivi, salvo eventi particolari, in turno si è di meno.
Se mi è mai pesato lavorare la domenica o durante le feste? No, mai. O, in ogni caso, non più di quanto mi sia pesato un martedì mattina o un giovedì sera. Ci sono volte che, dipende da come mi sveglio, preferirei essere ovunque, ma non al lavoro, ma quello -credo- succeda a tutti.

E questo è, niente di più, niente di meno.


Se volete saperne di più sul turno di mattina leggete qui, se invece vi incuriosisce il turno di notte dovete cliccare qua, se infine vi intriga la polemica sul lavoro domenicale è d'obbligo leggere questo post.
Ho anche scritto un post lamentoso sull'orario da ufficio, durato fortunatamente abbastanza poco,  che trovate qui.
Se avete voglia di leggere un post scritto sull'onda delle emozioni qualche tempo fa sulla vita dei turnisti leggete qui.
E prima che chiediate di che lavoro sto parlando nel mio caso specifico, l'ho spiegato qui.
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venerdì 6 luglio 2018

Storia di due chili di pomodoro contaminato

Io amo i pomodori. 
Li amo talmente tanto da mangiarli in tutte le salse (si lo so, è una battuta penosa, ma mi piaceva): fatti a insalata, sulla bruschetta, con le uova, con la pasta, sotto forma di salsa, sulla pizza, dentro al pane. 
Gli unici pomodori che non mangio sono quelli al riso di cui ho scoperto l'esistenza solo venendo a vivere a Roma, non credo neppure di avere mai visto altrove i pomodori da riso al supermercato, ma credo che sopravviverò pure senza mangiarli.

Qualche tempo fa ho comprato dei pomodori.
Niente di strano, lo faccio sempre.
Tendo però a comprare i pachino o i datterini confezionati al supermercato.
Oh, se state urlando allo scandalo perché la plastica inquina, sappiate che me ne fotto.
Il motivo per cui lo faccio è semplice: all'interno della loro inquinante confezione in plastica sono al sicuro da manate al sapore di pesca o di fragola o di qualsiasi altra cosa vi venga in mente che per me rappresenta un pericolo.
Io so che vi mettete il guantino plasticoso (che, per la cronaca, inquina anche quello), ma con lo stesso guanto scegliete le vostre succose pesche e poi tastate i pomodori per vedere se sono un po' avanti o no. Lo capisco eh, anche io preferisco pomodori sodi e non mosci, ma quello che non preferisco è il pomodoro contaminato.

Ho fatto però un errore. Succede, eh. Può succedere a tutti.
Ho comprato dei pomodori a grappolo dal fruttivendolo.
Ero di fretta, non avevo voglia di arrivare fino al supermercato e mi servivano proprio quelli a grappolo.


Sono entrata, ho chiesto, mi sono assicurata che fossero ben lontani da roba potenzialmente letale, ho spiegato il problema e mi sono fidata.
Si, mi sono fidata come faccio sempre perché sono dell'idea che sia necessario non vivere in un incubo in cui tutti sono dei nemici che vogliono fregarci, nonostante mi sia capitato -e non una volta sola- che qualche pazzo incosciente abbia detto una cosa nonostante sapesse benissimo che la verità era un'altra.
È anche vero che d'estate tendo a non comprare quasi per niente frutta e verdura perché l'estate è la stagione delle pesche e per me le pesche sono il male assoluto. Sono stata leggera? Si, credo di si, ma sono umana e credo che l'essermi fidata sia la mia vera grande unica colpa.

Comunque, ho lavato i pomodori con cura.
Sono certa che anche voi laviate frutta a verdura, ma a casa mia il lavaggio è un'operazione che dura ora, fatta di mille passaggi per ridurre al minimo qualsiasi pericolo.
I pomodori sono stati riposti in frigo, in una bella ciotola azzurra, vicino alle ciotole contenenti i cugini pachino e datterino che, a casa nostra, ve l'ho detto, non mancano mai.
Faccio la pasta con il pomodoro, lavato, pelato e cucinato. La sera sono arrivati dei crampi allo stomaco pazzeschi e tutto quello che ne consegue (vi risparmio i penosi particolari), ma non ho pensato a niente in particolare. 
Qualche giorno dopo ho preparato una bella insalata di pomodori con quegli stessi pomodori a grappolo e quando ho finito di cenare non mi sono sentita bene. Ho scattato un paio di foto al mio labbro per mandarle a mia madre: "ma ti sembra gonfio?".
Io ho labbra naturalmente grandi, quindi, in alcuni casi, quando iniziano a gonfiare non è immediato rendersi conto se è davvero gonfio o se sono solo suggestionata (si, succede).
Ho visto mio marito mettersi le scarpe, prendere un paio di calzini per me e tirare fuori le mie amate Nike bianche. Si è avvicinato e con calma, mi ha messo le scarpe e ha tirato fuori l'adrenalina.
Poi siamo corsi in ospedale. Cioè, lui è corso, io so solo che ero accanto a lui.
Niente di particolarmente grave, ho visto di peggio e sono, in generale, una che tende a minimizzare. Ho sicuramente visto di peggio in vita mia.

Con calma, ho scritto una mail dettagliata al mio allergologo spiegando l'accaduto e facendo presente che però io avevo comunque mangiato i pomodorini pachino e i datterini negli stessi giorni, senza conseguenze.
Tenete presente che io sono nella fase della vita in cui non sono più disposta a cedere. Le cose che mangio sono poche, ma non voglio toglierne altre.
Certo, se è necessario ci mancherebbe, ma ogni alimento che mi saluta è un dramma.
"Mamma, ma io come faccio a mangiare tonno e pomodoro se non posso mangiare il pomodoro?".
Sono domande di un certo spessore che tirano fuori i miei sette anni, me ne rendo conto, ma vorrei vedere voi.

C'è da fare una doverosa premessa: se si è sotto cortisone e antistaminico, che in ospedale somministrano sempre in questi casi (e quando dico sempre intendo sempre, pure quando ti sei bevuta sette litri di adrenalina), non si può fare granché. Il corpo deve prima smaltirlo.
Poi si può fare un test, nel mio caso sul sangue, e provare uno o più tpo (test di provocazione orale, da fare rigorosamente in ambiente protetto, possibilmente avendo già messo l'ago cannula). 
La faccio breve: i pomodori non erano.
Quando si hanno delle reazioni a qualcosa è facile dire che non era quello, il problema è mangiare di nuovo come se nulla fosse quel qualcosa, anche perché i test non sono sempre attendibili.
Probabilmente se in quei giorni non mi fossi sfondata di pomodoro comprato altrove, la sentenza sarebbe stata addio pomodori e sarebbe finita lì, con mio sommo rammarico.
Io sono famosa per una frase che è "sto ascoltando il mio corpo". I miei familiari non hanno cuore di dirmi che sono completamente scema.
Piano piano, mezzo pomodorino per volta -rigorosamente confezionato in plasticose barriere che fanno da muro a pericolosi allergeni- ho ripreso a mangiare i miei amati pomodori. Sono arrivata a quattro o cinque, eh. E ogni volta perdo ore ad ascoltare il mio corpo.
Psicologicamente non è mai facile, mai. Ma so, me lo hanno insegnato in questi lunghi anni, che non si tolgono alimenti che non hanno dato una reazione.
Si, perché non era colpa di quei pomodori.
Era colpa di un fruttivendolo cretino (si, cretino, mettete agli atti) che non ha preso sul serio la mia richiesta pensando ai soliti esagerati.
In fondo cosa sarà mai mangiare succosissime pesche, profumatissime albicocche, prelibatissime ciliegie e poi, con la mano ancora intrisa scaricare i pomodori facendo attenzione a contaminarne quanti più possibile?
Sono un signora, ma se fossi stata un tantino più cafona -cosa che sinceramente spesso mi piacerebbe essere- gli avrei ribaltato il negozio mentre candidamente diceva "e che sarà mai".
E che sarà mai un cazzo, lasciatemelo dire.

Cari ristoratori, negozianti, baristi se non siete sicuri, dite che non siete sicuri.
Se invece siete sicuri che quello che vendete sia contaminato, ma pur di vendere due chili di pomodori siete disposti ad ammazzare la gente, sappiate che non siete furbi, siete dei criminali. 
E meritate il peggio.


Nb. L'adrenalina non si beve, onestamente non saprei nemmeno come aprire un iniettore per estrarne il contenuto, era solo per dire.

Postilla: mi hanno chiesto come mai ci metto settimane, se non addirittura mesi a raccontare episodi simili. I fatti raccontati, in questo e negli altri post sull'argomento, per quanto riassunti all'osso, spesso avvengono in settimane, se non addirittura mesi. Non è mai facile, per altro, entrare nel dettaglio, inserendo paroloni complicati che -ammetto- a volte faccio fatica a capire anche io che ci sono dentro da un pezzo. Trovo inutile infine inserire ogni passaggio medico perché io non sono un medico e questo non è un blog di medicina. Tutto qui.
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giovedì 5 luglio 2018

La dieta non è un supplizio

Stare a dieta non è un supplizio, un'ansia, una lotta contro i morsi della fame.
Non è neanche qualcosa che ti rende nervoso, che ti rovina la vita, che ti fa soffrire.
E non è neppure mangiare un'insalatina scondita e una manciata di noci per tappare i buchi. Che poi eh, sarà che io non posso mangiare né l'insalatina né la manciata di noci, ma ecco: anche no in ogni caso.
Stare a dieta non è bere i bibitoni miracolosi, né mangiare le barrette sostitutive del pasto, né cose che secondo me emettono pure radiazioni e ti uccidono lentamente, ma tant'è.

L'idea che la dieta sia un supplizio è terrificante, lasciatevelo dire.
Seguo una dieta da due mesi e mezzo, ho perso 10 kg di grasso, ho aumentato la massa muscolare e -non so se si possa considerare un effetto collaterale- ho iniziato a parlare con i miei bicipiti per fargli sapere quanto sono belli, amori della mamma.
Mangio tutto, allergie a parte, e tanto. 
Ogni giorno percorro tra i 10 e i 20 km a piedi tra mezzi pubblici, lavoro, cane e tempo libero.
Vado in palestra, faccio body building con carichi tutto sommato leggeri. Lo faccio perché mi piace, mi rilassa, mi toglie cm e mi modella in corpo.
Vado anche in piscina perché mi fa bene: a me e soprattutto al mio ginocchio scemo.
Viene da sé, che una dieta a base di insalata non la potrei reggere. Provateci voi a sollevare un bilanciere da 50 kg avendo mangiato solo insalata.
No dico davvero, provateci e poi ne riparliamo.

Non muoio di fame perché, ebbene si, mangio.
Non ho tolto nessun macronutriente: mangio carboidrati complessi e non, proteine, grassi, frutta e verdura, tutto.
L'unico limite è dato -ve l'ho detto- dalle mie allergie alimentari (qui): quello a cui sono allergica e che quindi potenzialmente potrebbe uccidermi, non lo mangio, ma questa è una costante della mia vita che con la dieta non c'entra nulla.
Sono contemplati, all'interno della mia dieta, gelati, dolci, pizza, sushi, lasagne e fritture.
Che poi eh, io non ho mai amato la frittura, ma ho imparato a mangiare anche quella.
Non ho mai bevuto bibite gassate, fatta eccezione per la Sprite per cui ho una vera e propria fissazione e quella continuo a berla. Non tutti i giorni, non tutto il giorno, ma se voglio posso.
Devo attenermi ad una schema dietetico in cui non c'è scritto "oggi mangi questo o ti attacchi", ma posso sempre fare una scelta tra diverse cose perché le voglie non si possono programmare.
E se stasera dovessi mangiare il petto di tacchino, ma avessi voglia di salmone affumicato, alla fine mi stuferei di mangiare sempre quello che qualcun altro ha deciso per me.
Non ho mai fame da contorcermi le budella, sto sempre bene perché le calorie sono distribuite in modo sensato all'interno della giornata. 
Se devo andare a cena fuori ordino quello che so che posso mangiare e spesso mi lamento perché al ristorante mi danno da mangiare meno di quanto mangerei a casa mia se preparassi le stesse cose, ma ci sta dai.
Semplicemente non passo le mie ventiquattro ore a mangiare sul divano, aspettando che passo l'angioletto della dieta e tagli via il grasso, ma non muoio neanche di fame perché non è sano lasciarsi morire di fame e un dietologo intelligente se gli dite che avete fame vi farà mangiare fino ad annullare quel senso di fame.
Se invece gli dite che è troppo quello che mangiate, vi dirà che non potete scendere perché fare bloccare il metabolismo non è una buona idea.
Per altro, se introducete troppo poco cibo, ad essere intaccata per prima saranno i muscoli e non il grasso che io già me lo vedo il capo di tutto che dice: "ehi, prendete le riserve da quel bel bicipite che è troppo grosso e noi non abbiamo abbastanza scorte per mantenerlo così". No, scusate, non ce la faccio: io a bicipiti e addominali non ci posso rinunciare. Qualora il capo di tutto decidesse di intaccare come prima cosa, che so, il grasso dei fianchi, potete dargli il mio numero di telefono e dirgli che sono disposta a cedere.

Quando qualcuno mi dice che la dieta rende nervosi o mette ansia mi faccio sinceramente due domande.
Non posso mangiare tutti i giorni pranzo e cena al Mc Donald's, ma ecco forse non è esattamente uno stile di vita sano e non tanto per il grasso, ma per il colesterolo. Per dire, eh.
Se siete sazi, appagati, felici, avete mangiato quello che desideravate in quantità, perché dovreste essere nervosi? O in ansia?

Continuo ad andare a cena fuori con gli amici, in base a una serie di cose decido se mangiare anche il tavolino (che però ormai farei fatica a finire mi sa) o se attenermi a quello che avrei mangiato a casa e, in nessun caso, è morto nessuno. Se devo rinunciare a qualche grammo di cibo perché le porzioni sono più ridotte non casca il mondo per una volta, ma in linea di massima io preferisco i miei pasti abbondanti prepararti a casa che non due ostriche mangiate fuori. Sono scelte, eh.
I rompicoglioni che invece non facevano altro che fare allusioni alla mia dieta o a fare apprezzamenti negativi ho semplicemente smesso di chiamarli e di vederli che ho già mille pensieri e problemi e non posso stare dietro anche ai loro di problemi.

Se vado da qualche parte in cui posso portarmi dietro un panino lo faccio volentieri.
Sono abituata a farlo a causa delle allergie, anche se ammetto che a volte è complesso fare entrare tutto quello che dovrei mangiare dentro un panino.
Se state pensando che mangiare un panino faccia ingrassare, beh io di pane nella dieta ne ho in quantità, basta metterci dentro quello che avrei mangiato accompagnato dal pane.
Se state pensando che è uno sbattimento cucinare per mettere le cose in mezzo al pane, potete usare gli affettati che si, sono contemplati nella dieta, almeno nella mia, e i pomodori, anche se, quando ho capito che il quantitativo che devo mangiare di verdure convertito in numero di pomodori è una cosa enorme, li ho un po' abbandonati. E non solo per questo a dire il vero, ma non è questo il momento giusto per raccontarvi lo spavento che ci hanno fatto prendere dei maledetti pomodori contaminati.


Quindi insomma, una dieta costruita su misura per voi da un medico dietologo non sarà mai un supplizio. Mai.
Se invece per dieta intendete smettere di mangiare la qualunque tranne insalata e anguria, ehm, mi dispiace per voi e per il vostro metabolismo, ma non è colpa mia.

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martedì 3 luglio 2018

Potrebbe piovere

Questo è un periodo difficile.
Un periodo che sembra non finire mai, senza una data di scadenza o meglio, con una data di scadenza a lungo termine, una vera e propria prigionia.
Esistono però dei periodi difficili che non possono essere affidati ad un blog che, mio malgrado, potrebbe essere letto da chiunque, anche da chi, un domani, potrebbe usare le mie parole contro di me.
No, non ho ucciso nessuno, se è questo che vi state chiedendo.
Non ho commesso reati, il fatto di essere una sanguinaria appassionata di documentari sui delitti non fa di me una che quei reati li commette.
Niente di grave, solo un periodo difficile che so che prima o poi troverà sfogo sulle pagine di questo blog, come in fondo ha trovato sfogo tutto -o quasi- quello che è successo nella mia vita negli ultimi tre anni e mezzo.

Sono sette anni e mezzo che divido la casa -e la vita- con mio marito.
No, nessuna crisi del settimo anno se è questo che vi state chiedendo.
Sebbene non sia mai stata una persona particolarmente sdolcinata, chiunque ci conosca può rendersi conto di quanto io sia profondamente innamorata di lui, di quanto sia il mio primo pensiero appena mi sveglio e l'ultimo prima di andare a dormire
Sono tante le cose belle che abbiamo condiviso, mi viene in mente il giorno del nostro matrimonio che è stato indubbiamente uno dei giorni più emozionanti della nostra vita, ma ce ne sono infinite altre ognuna delle quali ha un posto nel mio cuore e nella mia mente.
Ma più di tutto quello che fa una famiglia sono le cose brutte.
Si, avete letto bene, le cose brutte. Perché è nei momenti difficili che si capisce davvero, almeno secondo me, quanto può essere forte l'amore nei confronti di una persona.

Io i momenti difficili me li ricordo tutti, uno per uno.
Ricordo esattamente cosa è successo, cosa ho fatto, cosa ho detto.
Ho perfettamente chiaro nella mia testa il giorno che mio marito è entrato in sala operatoria per restarci sette ore, le sette ore più lunghe della mia vita (qui).
Ricordo quando ne è uscito e che la prima cosa che mi ha detto è stata che aveva visto tutto (poi ha chiarito la questione, no non l'hanno operato a vivo facendogli guardare il momento in cui con un bisturi gli aprivano le gambe). Ricordo di aver pensato che fosse troppo giallo, talmente giallo che manco i cinesi.
Ricordo quando l'ho riportato a casa con i pantaloni del pigiama perché ero talmente stanca da aver scordato una tuta o un paio di jeans e e ricordo bene quei terribili mesi in cui non penso di aver dormito più di due ore di fila.
Ricordo quando l'hanno operato al naso (qui): ero seduta per terra davanti la porta del blocco operatorio senza alcuna intenzione di muovermi da lì senza di lui. Era Febbraio e mi si erano congelate le chiappe.
Ricordo perfettamente ogni corsa in ospedale a causa delle mie allergie, ho imparato che, oltre ad ascoltare il mio corpo come dico sempre, mi basta vedere se lui comincia a correre verso lo sgabuzzino delle scarpe. Lì significa che ho la faccia deformata dall'anafilassi e che gli è presa la paura.
Ricordo bene quando mi è venuto a prendere a Milano perché mi ero rotta il ginocchio, la prima cosa che mi aveva detto era stata: "Ma come cazzo ti sei ridotta?" mentre io, con un gesso che partiva dall'inguine e finiva alla caviglia, continuavo a dire che non era niente.
Non è mai stato facile, mai.

Ricordo quando è morta Milly, il nostro cane (qui). Le lacrime, la disperazione.
Ricordo bene quando mi ha chiamato -ero al lavoro e lui a casa- per dirmi che era morto suo padre, la fatica, il dolore nell'accettare una cosa del genere.
Ricordo le difficoltà nell'avere due lavori pagati di fatto poco rispetto a quello che erano (ma questo lo avrei scoperto dopo tempo), il voler fare quadrare tutto e spesso non riuscirci.
E ricordo anche le mie frasi che erano più o meno: "Prima o poi andrà meglio", cosa che effettivamente è stata con impegno, sacrificio, scelte a volte sbagliate.
Ricordo quando ha chiuso Mtv (qui) e io mi sono trovata senza un lavoro e con una tristezza dentro che mi ha accompagnata per un sacco di tempo nella paura di tornare a quella situazione precaria di qualche anno prima.

Questo è un periodo difficile, uno di quelli che prima o poi aggiungerò alla lista delle cose brutte che abbiamo affrontato.
Ma ecco, io ho una certezza indissolubile: i periodi difficili passano. A volte ci vuole più tempo, a volte meno, ma passano. E quando passano, l'unica cosa che vi chiederete è come avete fatto a resistere, ad affrontarli, ma passano. Giuro.
So che mio marito è preoccupato -o forse più dispiaciuto- per me perché non sono contenta di questa situazione. Anche se non me lo dice ogni cinque minuti, io lo so perché lo conosco. 


Ieri sera eravamo in terrazza a prendere il fresco, lui fumava e io guardavo le stelle, come facciamo sempre in queste sere d'estate, e ho pensato: "ma sti cazzi, passerà, che mi frega, abbiamo una casa, ci vogliamo bene, le bollette sono tutte pagate, al massimo potrebbe piovere".
Oggi piove. E niente, ritento la prossima volta.

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lunedì 2 luglio 2018

Colosseo: quando essere una meraviglia potrebbe non bastare

Il Colosseo è una meraviglia
Poco da discutere su questa affermazione, anche perché -non a caso- fa parte delle sette nuove meraviglie del mondo.
Ero appena arrivata a Roma quando me lo sono ritrovata davanti all'improvviso-ai tempi non conoscevo le strade e mi affidavo ad un Tom Tom- e, nonostante lo avessi visto non so quante volte, ero rimasta estasiata. Lui era lì, in quella fredda sera di Gennaio, in tutta la sua maestosità.
Sono passati quasi otto anni da quella sera, ma ogni volta che ci passo davanti non riesco a fare a meno di pensare a quanto sia bello e che, da solo, basterebbe ad attirare milioni di turisti in Italia.
Sono anni che voglio visitarlo all'interno e questa voglia ultimamente era diventata una fissazione mia e di quel santo che ho sposato, però ecco: una volta la fila chilometrica, un'altra i turni che non si incastrano, un'altra ancora le trasferte di lavoro, al Colosseo non siamo mai riusciti ad entrarci.
Qualche settimana fa sono usciti i biglietti per la Luna sul Colosseo, ovvero una serie di visite guidate in notturna che vengono organizzate ogni anno e che sono a numero chiuso. Chiusissimo più che chiuso oserei dire.
Mi ero fiondata sul sito, non avevo trovato alcuna data disponibile, avevo chiamato la cooperativa che se ne occupa per sentirmi dire qualcosa tipo: "Signò, sono belli che finiti" e, dopo aver esternato tutto il mio disappunto per la cosa, mi ero arresa.
Non avevo considerato però che ho sposato un santo che giusto un paio di giorni fa si è messo a spulciare il sito delle prenotazioni, trovando per il giorno dopo sei biglietti disponibili che dopo un secondo erano quattro e che dopo tre secondi erano due.
Corsa contro il tempo -e contro la tecnologia che evidentemente mi odia- per prendere questi benedetti biglietti, pugno alzato in segno di vittoria, per poi tornare con i piedi per terra e pensare che, ecco, mai dire mai, in fondo siamo a Roma e una mail di conferma senza biglietti allegati (che ci sarebbero dovuti essere) potrebbe non significare niente (si, siamo malfidati).
Di sicuro c'è solo che se avessimo voluto chiamare il numero della cooperativa non avremmo trovato nessuno, perché fanno orari d'ufficio. 

Orario della visita guidata: ore 20.50.
Sulla mail consigliavano di essere lì un quarto d'ora prima, ma visto che siamo malfidati, poco prima delle 19.30 eravamo lì con una mail stampata e l'idea di ritirare i biglietti e poi mangiare, prendere un caffè, chiacchierare, qualsiasi cosa.
La biglietteria del Foro Romano, che vende i biglietti per il Colosseo, era chiusa (chiude alle 17 stando al cartello esposto), quindi era evidente che nella mail si parlava di un'altra biglietteria, quale non era dato sapere.
Abbiamo circumnavigato il Colosseo, ma era tutto chiuso e non c'era traccia di anima viva.
Poi abbiamo trovato un ingresso, chiuso anche quello.
Abbiamo chiesto ad un ragazzo con una divisa della sicurezza che però non aveva la più pallida idea di dove dovessimo andare: "forse arriverà qualcuno più tardi perché c'è uno spettacolo". Momenti di panico, ma lui -gentilissimo- non aveva di certo colpa.
Anche il centro informazioni era chiuso, quindi non ci è rimasto che chiedere ai militari che presidiano il Colosseo che magari sapevano qualcosa. Un militare -anche lui gentilissimo- ci ha indirizzato alla biglietteria che chiude alle 17 dicendoci che è l'unica che conosce (come noi d'altronde).
Nessun cartello, nessuna indicazione, niente di niente su internet se non un commento su un sito che  dice che non si capisce bene qual è l'entrata, ma che una volta trovata è tutto molto semplice.
A me intanto scappava la pipì: bagno fuori dal Colosseo a pagamento chiuso, abbiamo preso un caffè al bar della metropolitana, ma non hanno un bagno, l'unica soluzione era quella di pagare il biglietto della metro, accedere, fare pipì e uscire di nuovo. Rinuncio alla pipì, più per principio che per altro.
Abbiamo notato allora gente in fila davanti un ingresso del Colosseo e siamo andati a chiedere informazioni: alla fine ci hanno detto che basta presentarsi lì dieci minuti prima, ritirare i biglietti e attendere.
"Bisogna fare la fila qui?"
"Non c'è fila, questi sono gruppi, non vedete?"
Da cosa avremmo dovuto vederlo non lo so, visto che non avevano nessun segno identificativo, ma tant'è.
Intanto cercavamo di liberarci dalle decine e decine di venditori ambulanti che provano a venderci la qualunque: acqua, foulard con stampa del Colosseo, braccialetti, libri, tour in bici, fotografie, bastoni per selfie, caricabatterie e non so cos'altro.
Una ragazza di cui non so dire la nazionalità (era bionda e parlava inglese, magari voi siete più bravi di me) ha iniziato a correre per scappare da un venditore di braccialetti che la insegue, un ragazzo (parlava inglese anche lui, ma ho il sospetto che non sia utile per capire da che parte del mondo venga) ha chiesto -ingenuamente- lo scontrino per la bottiglietta d'acqua che stava cercando di comprare, ma non ho avuto cuore di dirgli che non lo avrebbe mai avuto. Potrei continuare all'infinito, in generale ho avuto la sensazione che non fossero poi così felici di essere accerchiati dai venditori ambulanti, ma magari mi sbaglio.

Alla fine, io sono riuscita ad entrare per ritirare i biglietti, ma il Marito è dovuto rimanere fuori ad aspettare, nonostante mancassero meno di dieci minuti all'inizio della visita.
Entro, faccio la fila al metal detector (ne funziona solo uno, quindi le operazioni di ingresso sono rallentate), vado in biglietteria, ritiro i biglietti, riesco a fare pipì, torno indietro a recuperare il marito, rifaccio la fila, ripasso i controlli e, finalmente, siamo dentro.
Ed è lì che tutta la disorganizzazione, la mancanza di informazioni, l'essere accerchiati dai venditori ambulanti è passato in secondo piano.

Erano anni che volevo entrare al Colosseo e, nel momento in cui mi sono ritrovata lì dentro, ho pensato che da fuori è meraviglioso, ma dentro è una cosa che non si può spiegare.
La guida -un archeologo- era davvero preparatissima e, cosa che non è da tutti, era in grado di trasmettere le informazioni in modo chiaro e semplice, rispondendo alle domande e soddisfacendo ogni  minima curiosità.
Sarà che la luce del tramonto è particolarmente affascinante, sarà che ripercorrere quello che è successo lì dentro è affascinante da morire, ma io ero estasiata.














Ho scoperto che c'erano combattimenti tra tori ed elefanti e che i cittadini romani non potevano morire lì dentro perché era un loro sacrosanto diritto morire in un luogo chiuso senza spettatori. Gli altri -i cittadini non romani- invece potevano serenamente morire sbranati da un leone. Chi era condannato alla damnatio a bestias doveva morire senza se e senza ma, quindi nel caso in cui il condannato a morte avesse sconfitto la bestia uccidendola gliene mandavano un'altra: non so voi, ma a quel punto io non mi sarei impegnata più di tanto a lottare.
I gladiatori professionisti, invece, di solito non morivano durante i combattimenti, ma visto che poteva succedere, non dovevano essere cittadini romani (e se lo erano, dovevano rinunciare a quello status). Un gladiatore professionista veniva addestrato per dieci anni prima di combattere.
Una cosa che mi ha colpito è che chi assisteva agli spettacoli all'interno del Colosseo, in base al ceto sociale e alla ricchezza, occupava un posto preciso, quindi si poteva sapere, in base a dove era seduto, chi era più ricco, più povero, più potente e via dicendo. I romani erano avanti anni luce, eh, altro che 730.




Insomma, io ho amato profondamente questa visita che bramavo da anni e sono felice e soddisfatta come una bimba, però ecco: magari un po' di organizzazione in più non guasterebbe, anche un paio di punti informazione o cartelli non sarebbero male. Se poi riuscissimo a non fare assediare i turisti dai venditori ambulanti sarebbe proprio il top, ma capisco che è chiedere troppo.
Perché ecco, essere una meraviglia potrebbe non bastare. Non sempre, non per tutti.
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