lunedì 30 novembre 2015

1998: l'anno che ha cambiato la mia famiglia

Il 1998 fu un anno che finì in modo orribile.
Una sera di fine Novembre squillò il telefono di casa nostra, rispose mio padre. Erano i Carabinieri di un'altra città della Sicilia che gli chiesero se aveva parenti lì e poi disse un nome.
Il nome era quello di mio zio, il fratello più piccolo di mia madre che viveva in quella città. Gli dissero che dovevamo andare lì. 
Poi richiamarono, dicendo di non correre, per evitare che succedesse qualcosa a noi per strada perchè ormai non c'era nulla da fare.
Mia nonna viveva con noi ed entrò nel panico, chiedendo cosa fosse successo a suo figlio. Mia madre provò a dirle di stare tranquilla, ma mia nonna non era scema e, soprattutto, i Carabinieri non chiamano per dirti cose per le quali puoi restare tranquillo.
Ricordo mia nonna seduta sulla sedia della cucina, ricordo mio padre seduto sul letto della mia stanza al piano di sopra che mi diceva cosa era successo. Avevo dodici anni, ero attaccatissima a mio zio.
Stava per trasferirsi a Palermo per motivi di lavoro ed ogni due settimane veniva da noi, mi passava a prendere a scuola, abbassava il finestrino della macchina e cantavamo a squarciagola le canzoni di Eros Ramazzotti che a lui piaceva tanto. Poi ci fermavamo a mangiare il panino con le crocche' e andavamo a casa, dove ci aspettava mia nonna che tanto amava quel figlio. Poi arrivavano i miei genitori ed era sempre bello perché se mia madre amava suo fratello, mio padre amava quel cognato ancora di più. 
Il sabato, mio zio andava all'ippodromo con mio padre a vederlo lavorare, in quei giorni mangiavamo sempre i suoi piatti preferiti, tra cui spiccava la frittata di patate fatta da mia nonna con le patate tagliate sottilissime se no mio zio non le mangiava. Ad oggi, nemmeno io mangio la frittata di patate se le patate non sono tagliate sottilissime. E lo stesso discorso valeva per le melanzane, che se non erano tagliate finissime venivano scartate. Anche io scarto le melanzane non tagliate finissime.
Non mangiava la salsa di pomodoro perchè gli faceva impressione.
Aveva 48 anni, era giovane, era buono.
E' morto d'infarto, viveva da solo e e i suoi amici, vedendo che non si era presentato ad un appuntamento -lui che era sempre preciso in queste cose- chiamarono i carabinieri che lo hanno trovato.
Furono i carabinieri ad avvisarci, per telefono.
Fu una tragedia: io piansi per ore, ebbi una crisi isterica; mia nonna impazzì perché il dolore per la morte di un figlio è qualcosa che credo di non potere nemmeno immaginare. Piano piano, grazie all'aiuto di alcune amiche, si riprese, anche se credo che quel dolore non sia mai davvero andato via.
Tornammo a Palermo dopo due giorni, con mio zio al seguito e la morte nel cuore.
Quell'anno, a casa nostra, oltre a non festeggiare i cinquant'anni di mia madre, non si fece l'albero di Natale. 
Mia nonna mi fece due regali: uno da parte sua e uno da parte di mio zio, a cui si aggiungeva una sua penna che io avevo sempre guardato e rimirato e che dicevo sempre che un giorno avrei voluto.
Sono passati poco più di 17 anni e l'albero di Natale, a casa dei miei genitori, non è mai più entrato.
Una serie di circostanze ha fatto si che entrambe le mie nonne morissero anche loro a ridosso del Natale, rafforzando questa usanza -forse un pò triste- di non fare l'albero.
Ricordo comunque Natali bellissimi, pieni di gente, ma l'albero no.
Qualche giorno fa ho chiamato mia madre e le ho detto che le portavo -io a casa mia lo faccio da sempre- un bell'albero di Natale, non grandissimo, ma comunque molto bello. Mi ha detto di no, poi non mi ha fatto aprire bocca e ha detto "ma si, dai". E quindi, quest'anno, a casa dei miei genitori, tornerà l'albero di Natale dopo 18 anni  -era il Natale del 1997- dall'ultima volta. 

Mio zio mi ha lasciato una cugina che è identica a lui, ma davvero identica e che, come lui, non mangia il pomodoro. Ci vediamo poco, ma le voglio bene, tanto bene. Per tanti motivi.

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domenica 29 novembre 2015

Cosa mi manca di Milano

Avete letto le mie lamentele per mesi.
Avete assistito al conto alla rovescia per tornare a casa.
Avete visto la mia gioia quando sono tornata a Roma, finalmente, per restarci per sempre.
Però c'è sempre un però.
Ci sono cose che mi mancano, d'altronde sette mesi non sono un giorno. Ecco quali sono:
-Valentina, che non è una cosa. La Vale che abita a metà strada tra la casa dove abitavo e il posto dove lavoravo e che c'era sempre quando le scrivevo in preda al raptus del sushi. Vale che è un punto fermo e che adesso non posso più vedere quando voglio.
-Cristina e Manuel. E la pedana di legno alla quale mi ero affezionata. Non so come avrei fatto senza di loro, che hanno sempre aggiunto un posto a tavola per me, che, anche loro, erano un punto fermo.
La fortuna in questo caso è che, tra Palermo e Roma, riesco comunque a vederli, anche se non spesso come prima.
-Il sushi. Milano è piena di sushiari, uno più buono dell'altro. Non ho mai mangiato un sushi così buono come a Milano. E a Roma faccio fatica a trovare posti altrettanto buoni.
-Il tram. Per essere precisi la linea 2 che Piazza Bausan porta a Porta Genova. Si è vero, il tram ci mette una vita, ma questa linea passa da zone che a me piacciono tanto e i viaggi in tram, guardandomi attorno, mi mancano. L'unica nota dolente è che una fermata di questo tram era davanti ad un'agenzia immobiliare specializzata in nude proprietà e la cosa mi ha sempre messo una tristezza incredibile, visto che nei vari annunci in vetrina erano indicate le cagionevoli condizioni di salute dei proprietari. (Qui trovate una chicca sulle mie avventure in tram).
-Le Terrazze della Rinascente. Uno dei posti più belli che io abbia mai visto, con un'incantevole vista sul Duomo. Poi va beh, un caffè costa otto euro, ma tanto non è che ci andavo ogni giorno.
-Abercrombie. Che a me non piace, ma a Fidanzato si. E a Roma non c'è. E compragli un regalo lì significava renderlo felice. Sono comunque certa che il giorno che apriranno Abercrombie a Roma -se mai accadrà- gli passerà questa mania.
-La cinesina che mi faceva la manicure sotto casa. E ebbene si, prima che vi venga il dubbio, mi faceva anche la ricevuta fiscale. Ho avuto unghie glitterate, unghie dorate con il brillantino incastonato, unghie viola e un sacco di altra roba. Un po' tascie in alcuni casi, ma chi se ne frega.
-Il mercato del Mercoledì (qui per saperne di più) sotto casa, questione parcheggio a parte.
-Pizza&Food, ovvero un posto dove ordinavamo spesso e volentieri la cena a lavoro. Un posto mistico, grasso, unto e bisunto, ma buono, buonissimo. Le pagnottelle di Pizza&Food me le sogno ancora adesso. Sono certa che sentono la nostra mancanza perchè ordinavamo quantitativi di roba degni di un banchetto per venti persone anche in due. Mi scuso se spesso vi ho dato l'interno sbagliato, ma credetemi che io non sono mai riuscita a capire il numero del nostro interno.


-Il tipo di HR che chiamava in emissione e, quando rispondevo io era tutto contento perché riusciva a riconoscere a chi apparteneva la voce. Di dieci persone che potevano rispondere al telefono, ero l'unica donna. Gli piace vincere facile.
-Poter andare a Brescia in qualsiasi momento (qui per saperne di più).

Cosa non mi manca affatto, invece, lo sanno tutti.
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sabato 28 novembre 2015

Ecco a cosa serve il 110 e lode

"Ehm, che succede amico?"

Io mi sono laureata con 110 e lode. Avevo ventuno anni, era una triennale che oggi probabilmente non serve a nulla. E forse non serviva a nulla nemmeno a quei tempi. Tra due settimane saranno passati otto anni da quel giorno, praticamente una vita.
Ho chiesto la tesi un anno e mezzo prima, alcuni professori non erano disponibili perché volevano chiesta la tesi almeno due anni prima. Io scelsi accuratamente il mio relatore e mi presentai al suo studio con la mia idea, un po' bislacca, ma che a me piaceva tanto.
La materia in cui chiesi la tesi aveva un nome altisonante, si chiamava Elaborazioni di immagini e suoni. Riconoscimento e visioni artificiali. Era una materia da 12 crediti, nemmeno troppo difficile rispetto ad altre materie da 9 crediti, un esame per cui avevo studiato durante il Mondiale di calcio del 2006, quello che ci vide diventare Campioni del Mondo. Studiavo durante le partite, preparavo i progetti da presentare mentre i miei amici uscivano a festeggiare le vittorie dell'Italia.


Avevo iniziato a scrivere la tesi mesi prima, avevo comprato un sacco di libri, di cui uno mi era arrivato dagli Stati Uniti. Era un libro vecchio di anni, di cui esistevano tre copie in tutto il mondo e una di queste tre copie, pagata profumatamente, ce l'ho io.
Avevo visto decine e decine di cortometraggi animati, ovvero quelli che comunemente si chiamano cartoni animati, ma io no, dovevo chiamarli cortometraggi animati. Alcuni di questi cortometraggi avevo fatto una fatica incredibile a trovarli perché erano degli anni '30  e '40, ma io non mi ero arresa.
La tesi si chiama Bugs Bunny: un mito dimenticato e, ai tempi, era l'unico testo italiano completo su Bugs Bunny. Vita morte e miracoli, con una serie di analisi folli, su un coniglio che sta sulle scatole alla maggior parte delle persone.

Tantissime persone, quando dicevo che la mia tesi era su di lui, mi dicevano che era odioso, antipatico e un milione di altri insulti. Io, però, il mio coniglio l'ho difeso sempre a spada tratta.
Nessuno tocchi Bugs Bunny che non è antipatico affatto, è solo diversamente simpatico.
Mesi passati a scrivere, dodici ore al giorno, mentre preparavo il mio ultimo esame.
A Settembre mi ruppi l'osso sacro, cadendo sul pavimento bagnato di casa e fu un'agonia. Ma io non mi arresi, ancora una volta, e continuai a scrivere la tesi e a studiare per quel maledetto ultimo esame.
Ore e ore passate sui libri, davanti al pc, a montare il video che era obbligatorio nel mio corso di laurea -dieci minuti di storia di Bugs Bunny attraverso i cartoni animati di cui era stato protagonista.
Feci l'ultimo esame e presi 30 e lode, piangendo perché quella lode si andava ad unire alle altre tre lodi che avevo preso durante il mio percorso universitario dandomi un punto bonus. Era un esame difficile, temevo la professoressa, pensavo di non sapere nulla e invece mi fecero addirittura i complimenti.
Una settimana dopo consegnai la tesi in segreteria, correndo dalla facoltà alla segreteria - e no, non era vicino- quando mancavano dieci minuti alla chiusura. La tesi che consegnai non aveva le immagini, andava rifinita e ripulita, un lavoro abbastanza complesso, ma ormai il grosso era fatto.
E difatti mi ricoverarono in ospedale per un attacco di appendicite, che però non era peritonite, quindi perché operarmi quando potevano curarmi con gli antibiotici? Due settimane di ospedale in cui, ogni santo giorno, chiedevo ai medici di dimettermi perché io dovevo laurearmi e loro invece mi tenevano ancora lì. Senza mangiare, tengo a sottolineare.
Quando finalmente si decisero a dimettermi, ultimai la tesi e la mandai in stampa per la versione definitiva. Non so quanto volte fu letta quella tesi, quante volte dovetti sistemare il layout, quante volte dovetti controllare ogni singola immagine e quanto costò ai miei genitori la stampa e la rilegatura con una copertina che ancora oggi la guardo e mi commuovo. Dovetti fare una decina di copie, una per ogni membro della commissione e una, ovviamente, per me.
Nel frattempo, avevo dovuto fare anche cinque copie del video che avrei proiettato, da portare al signore che si occupava di queste cose, solo che il video -e non solo il mio- non era compatibile con i macchinari dell'università, quindi dovetti rifarlo, in una corsa contro il tempo che ancora oggi, se ci penso, mi chiedo come i miei nervi abbiano retto.
Dormivo pochissimo, ero sempre lì a pensare alla tesi o a risolvere problemi con l'università.
Quando finalmente uscì la data di laurea, cominciò la corsa per la consegna delle singole copie ai singoli membri della commissione, molti dei quali non si riuscivano a trovare da nessuna parte. Iniziai a fare avanti e indietro dalla facoltà ad una sede distaccata fuori Palermo in macchina, in treno, con l'elicottero, cercando di beccarli. Alla fine, uno dei professori non riuscì a trovarlo comunque e con alcune compagne di corso che si laureavano il mio stesso giorno decidemmo, l'ultimo giorno utile, di mettere le copie delle varie tesi nella sua buca delle lettere in facoltà. Questo professore fu poi cambiato all'ultimo secondo e le copie non riuscimmo mai più a recuperarle.
Il giorno prima della laurea ero beatamente dal parrucchiere pensando che ormai era fatta, quando ricevetti  una telefonata dalla segreteria della facoltà. Non trovavano tre verbali di esami che avevo sostenuto due anni e mezzo prima, i miei primi tre esami. Altra corsa contro il tempo per arrivare in segreteria prima dell'orario di chiusura nel periodo di Natale, ad ora di punta, abitando dall'altra parte della città.
E questi verbali non saltavano fuori.
"Signorina, lei non si può laureare".
I voti erano scritti sul libretto, il libretto lo avevo consegnato a loro quando avevo presentato la domanda di laurea e terminato gli esami e questi qui a meno di ventiquattro ore dalla seduta di laurea continuavano a dirmi che non mi potevo laureare. Ed io ero anche iscritta alla specialistica con condizione, ovvero se non mi laureavo, avrei perso un anno.
Poi arrivò mia madre con le cinquanta copie del libretto, cartacee e digitali, che aveva fatto, credo che li minacciò di morte, ma il mio cervello non ricorda nulla e improvvisamente i tre verbali saltarono fuori. "In bocca al lupo per domani" mi dissero.
Il giorno dopo mi svegliai alle 10 del mattino, con una telefonata di una mia compagna di corso che mi diceva "Che fai ancora a letto? Oggi è il giorno!!!".
Come arrivai viva alle due di pomeriggio lo sa davvero solo il Signore perché io non me lo ricordo.
Avevo un tailleur nero, una camicetta verde, una collana verde e nera e addirittura i tacchi.
Quando arrivò il mio turno, ero tesa come una corda di violino, anche se io Bugs Bunny lo conoscevo meglio di quanto conosco i  miei genitori.
Prese la parola il relatore che esordì dicendo che in tutti quei mesi io avevo vissuto in simbiosi con il coniglio malefico, avevo mangiato addirittura le carote crude per immedesimarmi ed era uscito fuori un capolavoro. Di recente, ho riletto la tesi a me non sembra un capolavoro, ma tant'è.
Parlai per trenta minuti di Bugs, di come era nato, dei suoi padri, di come il governo Usa lo aveva usato durante la guerra, di tutti i significati nascosti -politici e non solo- di quei cartoni animati, di come Bugs era stato un precursore della Drag Queen moderne, di come era un mito dimenticato, di quanto lo amavo. Amare un coniglio si può, a quanto pare.
Poi mi dissero che era arrivato il momento del video, ma che dovevo sceglierne solo una parte perché non c'era il tempo per farlo vedere tutto. Io dissi che il video non era diviso in parti, ma che potevano fermarlo quando volevano. Fu proiettato tutto, qualcuno scoppiò a ridere, regnava il silenzio, persino i bambini presenti si erano finalmente seduti. Era montato ad arte proprio per farti pensare "voglio vedere come va a finire".
E dopo 45 minuti, mi congedarono.
Attesi altre due discussioni, poi ci fecero uscire tutti.
Quando rientrammo, l'aula magna della facoltà era stra piena di persone, il mio relatore mi fece no col ditino e mi sussurrò "non ce l'abbiamo fatta". Lui sapeva che io volevo il 110 e lode, lo volevo per tutti i sacrifici, i nervi, la stanchezza e per arrivarci non mi servivano nemmeno tutti i punti disponibili.
E poi mi chiamarono lì e il presidente della commissione disse che con i poteri a lui conferiti da non so chi, mi proclamava dottore nel corso di laurea con il nome più lungo della storia giusto per farti morire mentre aspetti il voto con voti 110 su 110, la lode, menzione, bacio accademico, tanti complimenti. E io scoppiai a piangere. E poi fui travolta dalle persone. Il mio relatore mi abbracciò, mia madre e mio padre piangevano, il mio ormai ex ragazzo si presentò con un mazzo di fiori più grande di me. C'erano parenti, amici, i figli della signora che era stata con me in stanza in ospedale, i ragazzi della biblioteca dove avevo lavorato che avevano letto il mio nome nei fogli appesi in facoltà ed erano venuti a vedermi, compagni di corso.
E quel 110 e lode mi è servito. Mi è servito a capire che tutti i sacrifici che avevo fatto erano serviti a qualcosa, che il mio lavoro era stato ripagato, che Bugs in cui avevo creduto e che tutti mi dicevano essere una pazzia era stato apprezzato, che scrivere un testo che nessuno aveva mai scritto era una sfida, ma io quella sfida l'avevo vinta, che chi aveva creduto in me non aveva sbagliato. Mi è servito a rendere orgogliosi i miei genitori che in quei tre anni mi avevano visto studiare a lavorare come una matta, che mi avevano vista con la testa china sui libri per dodici ore al giorno, che mi avevano detto in qualche occasione "Ma non studi un po' troppo?".
Mi aveva ripagato dell'84 alla maturità, dato da professori a cui stavo palesemente sulle scatole e ai quali del fatto che avevo studiato cinque anni e che alla maturità ero arrivata preparata non era fregato un fico secco.
E aveva ripagato Bugs Bunny che antipatico non è affatto e che, nonostante siano passati ottant'anni da quando fece la sua prima comparsa, ha ancora qualcosa da raccontare.
Quando trovai il mio primo lavoro full time, che nulla aveva a che vedere con i lavoretti fatti durante gli studi, quel 110 e lode lo guardavano tutti, anche se dopo avevo anche finito la laurea specialistica (e avevo preso 107 o 108, qualcosa del genere). Io e Bugs siamo anche andati a fare un colloquio alla Warner Bros. per una posizione per cui non avevo assolutamente il curriculum adatto. E secondo voi perché?


Nota: a realizzare il video che portai mi aiutò una persona a cui ero e sono molto affezionata, ricordo che dopo la laurea gli portai una cassa di champagne, anche perchè fu lui l'8 Dicembre a sistemare il formato video, insultando l'università per i macchinari obsoleti che aveva.

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venerdì 27 novembre 2015

Vorrei che il mondo fosse così ovvero quando una lista può regalarti un sorriso

Due anni fa, a quanto pare, avevo fatto un favore ad un' amica di vecchia data.
Una di quelle amiche con cui ci si frequentava parecchio, amiche di amiche, ma con cui poi ci si è perse di vista. Prima si abitava nella stessa città, a qualche centinaio di metri, poi ci si è trasferite a km di distanza. Un saluto ogni tanto, ma è sempre stato un piacere sentirsi.
E appunto: due anni fa le avevo fatto questo favore.
Avevo una lista con tutti gli indirizzi mail a cui inviare curriculum, quanto meno nel settore televisivo e affini (qui per saperne di più). Era una bella lista, con indirizzi mail non farlocchi, di quelli che qualcuno vede e non indirizzi mail che non verranno mai aperti nemmeno in caso di terza guerra mondiale o profezia Maya.
Insomma, avevo questa lista, ci avevo messo parecchio tempo a farla, era di una precisione che a pensarci oggi credo di avere avuto, a quel tempo, qualche disturbo che mi rendesse paranoica sulle cose che facevo. E io gliela avevo passata.
Io questo episodio l' avevo rimosso, stavamo scrivendoci in chat, lei si era appena trasferita a Milano e cercava lavoro e molte di queste aziende che avevo selezionato -in totale saranno state un centinaio- erano a Milano.
Non avevo dato molto peso alla cosa, tanto che, appunto, avevo dimenticato tutto.
Poi è successo che un giorno mi ha scritto, chiedendomi se fossi a Milano perché Facebook -che notoriamente è molto attento alla privacy- le aveva fatto notare che ero vicino casa sua. E quindi, ci siamo date appuntamento per un caffè in Corso Buenos Aires che era vicino a dove lavoravo io e a dove abita lei.
E improvvisamente, al momento di pagare il caffè, mi dice che vuole offrirmelo lei perché non ha dimenticato la lista.
"Quale lista?"

Mi ha rinfrescato la memoria e, balbettando, ho accettato il caffè.
Tra una cosa e l' altra, le ho detto che l' accompagnavo volentieri a casa e che no, non ero intimorita dal traffico milanese dell' ora di punta. E lei mi ha invitata a salire a casa sua per farmela vedere, mi ha presentato il compagno e mi hanno chiesto se volevo unirmi a loro per cena. E ho accettato.
E così siamo andati a cena in una pizzeria sotto casa loro e, al momento di pagare il conto, lei ha pagato anche per me, mentre io ancora cercavo il portafoglio dentro la borsa.
Per la lista e per il passaggio.
Ed eccomi lì, ancora incredula e balbettante a ringraziare.Ho provato a restituirle i soldi, ma niente, non c' è stato verso.


Sapete, non è il caffè o la pizza.
Quello che mi ha commossa è stato vedere che qualcuno mi era grato per qualcosa che io avevo fatto senza pensarci, senza volere nulla in cambio -figuriamoci- o chissà cos' altro.
Cose che a me avevano fatto piacere, nella loro piccolezza, avevano fatto piacere anche a lei e aveva voluto ricambiare con dei piccoli gesti che mi hanno regalato un sorriso.
Io probabilmente avrei dimenticato questa cosa. E non perchè sono cattiva, ma perchè sono sbadata.
Mi ha fatto sorridere che io non ricordassi questa cosa -ma l' ho detto, sono sbadata- e che lei avesse aspettato due anni per potersi sdebitare, anche se non c' era nulla di cui sdebitarsi.
E la pizza era una cosa fantastica, tra le altre cose.
E quando sono tornata a casa, sorridevo come una scema tanto che mi sono persa, finchè -grazie all' angelo custode che evidentemente ho- non mi sono ritrovata davanti ad un posto che mi sembrava familiare e difatti erano gli studi di Mtv.
Vorrei che il mondo fosse così. Fatto di piccoli gesti che magari non hanno importanza, ma che regalano sorrisi. Tutto qui.

Foto di Beata Lenkiewicz.
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mercoledì 25 novembre 2015

Buon compleanno Mamma

Oggi è il compleanno di mia madre.
L'età non la scrivo altrimenti, probabilmente, mi disereda. 
Un numero imprecisato di anni fa nasceva mia madre, anche se sui documenti la data di nascita riportata è quella di tre giorni dopo. I suoi genitori erano minorenni -all'epoca si diventava maggiorenni a 21 anni- e la nonna, da cui per altro ha preso il nome, non si decideva a firmare sti benedetti documenti per registrare l'infante al comune. No, a quei tempi non ci pensava l'ospedale, si nasceva in casa, immagino sul tavolo della cucina.
Le ho chiesto come festeggerà il suo compleanno e mi ha risposto che andrà a piantare alberi, non fate domande al riguardo. Ognuno festeggia come crede.


Mi ricordo quando Mamma doveva compiere cinquanta anni, aveva organizzato una grande festa perché mezzo secolo è pur sempre mezzo secolo, ma poi la festa non venne più fatta perché pochi giorni prima del suo compleanno morì suo fratello. Era molto attaccata a quel fratello di due anni più piccolo di lei, racconta sempre di quando lui le ruppe una bambola con il viso di porcellana -sottolineando che ai tempi si aveva una sola bambola- e lei, per la legge del taglione, gli tiro i capelli fino a staccarglieli.
Qualche anno, comunque, dopo la storia si è ripetuta e pochi giorni prima del suo compleanno morì sua madre, nonchè mia nonna, quindi, anche in quel caso, non volle festeggiare. 
Non è mai stata fortunata in questo: quando si è laureata era morto suo padre da cinque giorni.
Eppure, io mia madre non l'ho mai vista triste, ha sempre un sorriso, è sempre attiva, non si arrende mai, va sempre avanti.
Ha studiato a Parigi mia madre e poi è andata un anno a Londra quando ancora gli expat non esistevano, non c'erano i telefoni nemmeno nelle case (o almeno credo, comunque di sicuro non c'erano gli smartphone) e racconta sempre che sua madre le mandava le lettere, con dentro 10.000£. A quei tempi, si potevano spedire i soldi nelle buste e, so che non ci crederete mai, arrivavano pure.

Quarant'anni passati a fare l'insegnante e, con mio sommo rammarico, prima di insegnare, lavorava in Rai e ha deciso di lasciare quel posto. E io ancora mi danno per questo e le dico sempre che se fosse ancora in Rai, anche io adesso probabilmente sarei in Rai e invece niente, sono otto anni che provo in tutti i modi -quanto meno quelli leciti- a farmi prendere in considerazione anche solo per un colloquio ma niente, non c'è verso. E lei, serafica, risponde che non poteva prevedere che avrebbe avuto una figlia che lavora in televisione. E chi mi conosce lo sa bene che la Rai è il mio chiodo fisso, il mio obiettivo (che ovviamente non si realizzerà mai per ovvi motivi) e un sacco di altre cose, ma tant'è.

Ne avrei di cose da raccontare su mia madre, potrei raccontare aneddoti per ore. A parte la storia della Rai e quella volta in cui ha buttato una Louis Vitton perchè non le serviva più non pensando che un giorno la figlia sarebbe cresciuta a avrebbe avuto un disperato bisogno di quante più Louis Vitton possibili, è stata ed è una mamma fantastica e direi che, in fondo, mi ha cresciuta bene.
Abbiamo un contratto io e mia madre, un contratto in cui c'è scritto essenzialmente che lei vivrà fino al 2320 perchè io, senza la mia mamma, sarei perduta. Dice sempre che non le sembra umanamente possibile, ma sottovaluta i super poteri delle mamme. E quindi, di compleanno da festeggiare ne avremo ancora tantissimi.
Buon compleanno Mamma, ti voglio bene.

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martedì 24 novembre 2015

La prima volta

Sono arrivata a Roma un Martedì di Gennaio di qualche anno fa, in compagnia della mia macchina, quella stessa macchina che ha girato l'Italia, se solo potesse parlare la mia macchina.
La prima cosa che ho fatto è stata fermarmi a comprare un Tom Tom perchè, se è vero che Roma la conoscevo e non solo da turista, le strade di Roma sono insidiose anche per chi a Roma c'è nato, cresciuto e vissuto, figuriamoci per una forestiera.
Dovevo andare all'Eur e, mesi dopo, mi sono resa conto che quel navigatore l'avevo acquistato in un negozio di Via Palmiro Togliatti che se mi chiedono come c'ero finita in Via Palmiro Togliatti alzo le mani e mi arrendo perché non ne ho idea.
Mi ospitava una mia amica, carissima amica a dire la verità che adesso non é più amica e non so nemmeno perché.
Il giorno dopo il mio arrivo sarebbe stato il mio primo giorno di lavoro, sono arrivata con un'ora abbondante di anticipo e visto che sembrava brutto palesarsi così presto sono rimasta in macchina a leggere I Pilastri della Terra che era il libro che stavo leggendo in quel periodo. 
Quando sono arrivata in quello che per un bel po' di tempo sarebbe stato il mio luogo di lavoro, ho dovuto lasciare il documento alla guardia, salire al primo piano dove si trovava la regia televisiva e suonare ancora. Mi aprì quello che sarebbe diventato un mio collega e mi lasciò fuori, molto carinamente.
Attesi un bel po' che arrivasse il responsabile e solo allora mi fecero entrare. Che poi, quel posto, era dotato di una non bellissima sala relax e di una grande e luminosa sala riunioni che, volendo, potevano anche farmi accomodare lì, ma niente: mi lasciarono fuori assalita dai dubbi.
"Avrò sbagliato giorno?"
"Avrò capito male e magari in realtà non mi volevano assumere, ma dirmi che gli ero antipatica?"
Quando arrivò il responsabile mi fecero entrare e mi misero subito a lavorare. 
Il primo che mi rivolse la parola fu un collega che mi chiese se mi ero portata il pranzo o se volevo ordinare qualcosa con loro. Loro erano gli altri colleghi, di un'altra regia.
Dissi che non avevo nulla e quindi si, avrei ordinato volentieri.
Ho scoperto successivamente che il posto dove ordinammo era tossico e ti mandava al bagno nel giro di trenta secondi, ma ciò non toglie che non fu l'unica volta che mangiai roba ordinata in quel posto, visto che sarà anche stata tossica e molto zozza, ma quanto era buona.
Il collega molto gentilmente mi porto anche il pranzo fino al posto dove ero seduta, si premurò di procurarsi il resto visto che non avevo soldi cambiati e mi augurò anche buon appetito.
Alla fine della giornata lavorativa, sempre questo collega, dopo aver visto i turni che erano stati modificati per inserirci anche me, mi disse:"Ma come? Sei appena arrivata e venerdì già sei di riposo?"
Come se li avessi fatti io i turni.
Ricordo quel collega con un sorriso, anche perché, se pure avessi voluto dimenticarlo, non avrei mai potuto visto che vive in casa mia o forse dovrei dire nostra visto che dopo due mesi dal mio arrivo a Roma e in quel posto di lavoro è diventato Fidanzato e dopo poco più di un altro mese vivevamo insieme.
Di quel posto di lavoro ho tanti ricordi, non so neppure se esiste ancora, visto che non troppo tempo fa avevo letto che la sede di Roma stava per chiudere. Ogni tanto passiamo di là con la macchina, ma non riusciamo a capire se è ancora aperto o meno.
Io andai via dopo un bel pò e, dopo nove mesi dalla mia dipartita, anche Fidanzato andò via.
Siamo riusciti a trovare di meglio. 
Era la mia prima volta dentro una televisione. E anche la prima volta di Fidanzato.


Tutto quello che so - o meglio sappiamo- lo devo a loro, anche se mi hanno insegnato praticamente le basi e il resto me l'ha insegnato qualcun altro altrove. Però senza di loro, non avrei mai avuto le possibilità che ho avuto e quindi, in un certo senso, sono riconoscente a quel posto.
Ricordo che lì, per la prima volta, mi sentii un'espatriata, manco avessi cambiato continente. Un giorno un collega mi disse che io ero ospite a Roma e che portavo via i soldi perché li spedivo ai parenti. Non ce l'aveva con me, era un discorso patriottico dove per patria si intende il perimetro dentro il Grande Raccordo Anulare. Non ho avuto cuore di spiegargli che la Sicilia è in Italia e che io i soldi me li tenevo per comprarmi scarpe e borse e non li spedivo proprio a nessuno. 
Però mi sentii davvero ospite, adattarsi a Roma e ai romani quando non si è studenti, ma lavoratori, è più complesso, ma non impossibile. E anche adesso che mi è venuto quest'accento romano di cui non riesco a liberarmi, ripenso alle mie prime volte qui a Roma e mi scappa un sorriso.
E' così diversa la mia vita rispetto ad allora, l'unica costante rimane quel collega che provò ad intossicarmi con il pranzo e che, oggi, mi dice che non devo mangiare cose pesanti e zozze se no sto male. C'est la vie.

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venerdì 20 novembre 2015

Avere trent'anni e farsene una ragione (forse)

Non ho più la voglia di andare davanti ai locali, fare a botte per prendere un cocktail e poi restare in piedi, fuori, alle intemperie (e anche se non ci sono intemperie, non ho voglia comunque).
Io voglio stare seduta comodamente, ordinare dopo aver consultato un menù e soprattutto, d'inverno voglio togliermi il giubbotto che non ha senso che perdo le ore per vestirmi e poi non mi faccio ammirare in tutto il mio splendore, anche perché scegliere i vestiti è diventato complicato che, si sa, dopo una certa età si diventa di gusti difficili.
Non ho nemmeno voglia di uscire a mezzanotte passata -fatta eccezione per la cacca del cane (che non è che abbia molta scelta se non voglio ritrovarmi il tappeto battezzato). Meglio uscire a cena o, al massimo dopo cena. Ma ad un orario ragionevole, se no mi addormento sul divano.
E non posso nemmeno più permettermi di bere due cocktail a stomaco vuoto, a meno che non voglio collassare a letto per i tre giorni successivi. E non posso collassare per tre giorni che bisogna andare a lavorare e guadagnarsi la pagnotta.
Voglio chiacchierare con le mie amiche senza la musica assordante in sottofondo, anche perché vorrei evitare di dover ricorrere ad Amplifon prima del previsto.
Voglio dormire otto ore a notte almeno che se dormo tre ore poi a lavoro non capisco niente, nemmeno come mi chiamo e qual è l' azienda per cui lavoro.
Voglio uscire con chi mi è simpatico e non essere costretta ad uscire con chi prenderei a manganellate sulle gengive solo perché é politically correct. Ma politically correct di cosa, di grazia? 
Voglio passare le serate -non tutte, per carità- seduta in modo non esattamente composto sul mio divano, anche perché ho ancora il trauma di quando mia madre non mi faceva sedere sui divani fighi del suo salotto perché li rovinavo, in compagnia del mio cane e del mio fidanzato. Anche se è venerdì o sabato.
(E va beh, preciso che il divano è nostro e non solo mio).
Voglio andare a fare shopping di mattina, quando non c' è calca e i negozi sono tutti per me (e di qualche altro turnista che può permettersi di andare in giro per negozi il martedì mattina) e non il sabato pomeriggio. 
Voglio fare ginnastica sul tappeto di casa mia, onde evitare che qualcuno scorga la pelle che quasi quasi inizia a cadere. Anche perché -pelle cadente o no- non sono più figa anche sudata, struccata e con i capelli accroccati in testa come dieci anni fa (facciamo anche quindici va).
Voglio emozionarmi alla vista del super mega asse da stiro con presa incorporata che si chiude da solo. E comprarlo anche.

Voglio mangiare cibo sano. E anche se non volessi, se mangio cibo spazzatura i quindici giorni successivi li passo seduta in gabinetto che non ho più lo stomaco forte di una volta. E poi, se mangio schifezze, quelle schifezze malefiche si depositano sui fianchi e brindano alla faccia mia.
Voglio un uomo accanto che mi ami, che voglia costruire con me un sacco di cose belle e non un pincopallo che mi fa impazzire, che non risponde al telefono, che forse frequenta un' altra, che forse il calcetto è più importante.  Non voglio passare il mio tempo ad aspettare telefonate che probabilmente non arriveranno, ma voglio essere libera di alzare il telefono e chiamare il principe azzurro ogni volta che mi va (senza esagerare però, altrimenti lo licenziano).
Voglio che i quindicenni non mi diano del lei, che ogni volta che mi danno del lei, un capello castano muore per fare spazio ad un capello bianco. Un fottuto capello bianco, per essere precisi.

E anche se non le volessi tutte queste cose, a trent'anni va così e tocca farsene una ragione.


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giovedì 19 novembre 2015

Casalinghitudine ovvero di quanto io non sia casalinga dentro

Da anni, quando si parla di uomini, chiunque mi invidia Fidanzato. Qualcuno mi ha anche chiesto di prestarglielo per un week end o per una giornata.
Non perchè è bello. Non perchè è simpatico. Non perchè è ricco.
Perchè pulisce.
Io ho scelto Fidanzato perchè, secondo me, è bellissimo ed è anche simpatico, tanto che io passo la maggior parte del mio tempo a ridere con le lacrime, ma niente. Lui colpisce perchè pulisce.
La verità è che lui non pulisce perchè è un moderno Cenerentolo. Lui pulisce perchè io sono una neglia (per il significato del termine, cercare nel vocabolario palermitano-italiano).
Sono maldestra, pigra, disordinata e anche un tantino imbranata.
Di recente, volevo pulire un armadietto della cucina, quello in cui ci sono teglie e pirofile e il risultato è stato che mi sono buttata addosso una pirofila di vetro che ha rimbalzato nel mio pollice sinistro, facendomi precipitare in un pianto disperato, manco mi fossi rotta un braccio.
E mentre io urlavo MI FA MALEEEEE, Fidanzato aveva già provveduto a mettermi il ghiaccio sul pollice che nel frattempo era diventato nero e a togliere i vetri da ogni dove.
Ieri constatavo che sono anni che non pulisco il bagno, eppure il bagno di casa nostra è sempre pulitissimo e profumatissimo.
Il nostro pavimento idem. E, a casa nostra, non c'è polvere.


Io ogni tanto ci provo, prendo l'aspirapolvere o qualcosa per spolverare e lui arriva e mi dice di lasciare stare. Non me lo dice e basta, se insisto mi scippa dalle mani gli arnesi per pulire e mi intima di sedermi e possibilmente non muovermi con quei brutti piedi sporchi (che poi, i miei piedi non sono mica sporchi) e lasciarlo fare.
E giustamente c'è chi mi invidia.
"Quanto sei fortunata"
"Che bravo fidanzato".
Provateci voi a vivere con una fidanzata che quando prova a fare qualcosa si fa male, rompe qualcosa e provoca tutta una serie di disastri. Si chiama spirito di sopravvivenza.
Io però cucino, mi occupo dei panni e tengo i conti. Oltre a tenere i conti, risolvo problemi burocratici. Tutte quelle seccature per cui l'unica soluzione è andare nell'ufficio competente e mettersi a strillare, minacciare di chiamare Striscia la Notizia, Le Iene, mia madre.
In realtà, non c'è molto da invidiare. Questo è il nostro equilibrio, un pò per uno non fa male a nessuno. Farei tanta, troppa fatica a sobbarcarmi una casa intera mentre il fidanzato o marito di turno sta sul divano. Mi disturberebbe troppo.
Sono troppo pigra per permettere a qualcun altro di poltrire al posto mio. Sono troppo disordinata per permettere a qualcun altro di creare disordine al posto mio.
E comunque, io volevo assumere una colf, ma lui non ha voluto.


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lunedì 16 novembre 2015

L'inverosimile (o forse no) colloquio di lavoro

Qualche tempo fa ho sostenuto un colloquio.
Ero molto scettica, visto che chi si era interessato al mio profilo professionale non mi aveva nemmeno fatto una telefonata, ma si era limitato a mandarmi una mail, ma non snobbo mai un' eventuale possibilità visto che non si sa mai. E poi dai, diciamoci la verità, io insulto sempre chi non ha voglia di fare un tubo, figuriamoci se faccio allo stesso modo. Io almeno vado a sentire, quanto meno se si tratta di colloqui che mi lasciano perplessa. Nel caso di aziende di un certo tipo, accendo ceri alla Madonna, indosso il cilicio e divento intrattabile per tutta il tempo che mi separa al colloquio.
A questo colloquio sono arrivata in anticipo, come mio solito.
E, come mio solito, ho atteso per palesarmi perché sia mai che restino abbagliati da cotanta bellezza troppo a lungo, quindi meglio non presentarsi troppo prima. Mi sono quindi presentata due minuti prima dell'appuntamento per scoprire che la persona con cui dovevo incontrarmi non era ancora arrivata. Sarebbe arrivata dopo oltre mezzora perché si sa, chi se ne frega se c'è qualcuno che ci sta aspettando.
Quando finalmente sono riuscita ad accomodarmi, la signorina con cui avevo questo benedetto appuntamento ha chiesto alla segretaria di portarle un caffè specificando che avevo tanto sonno.
Io, invece, a quell'ora della mattina, ero in festa per essermi svegliata all'alba.
E comunque no, non mi ha chiesto se volessi anche io un caffè. E, ad ogni modo, avrei detto di no.
Poi mi ha detto che attendevamo un'altra persona. E che quindi, nel frattempo, si sarebbe fumata una sigaretta. 
"Fumi anche tu?"
"No, grazie". E' che io sono una fumatrice, ma magari un colloquio non mi sembra il posto adatto dove rollarmi una sigaretta. E manco dove fumare se per questo, ma io sono una persona estremamente antipatica e poco tollerante.
Ho atteso e, finalmente, ad un certo punto è iniziato il colloquio.
Mi è stato spiegato che erano in possesso del mio cv perché glielo aveva fatto avere un'azienda con cui collaborano. Mi hanno spiegato che tipo di azienda era, ma non sono state capaci di spiegarmi qual'era la posizione ricercata o forse sono io che sono scema e non l'ho capita. La verità è che a me piace vincere facile: una mia amica -tanto, molto, troppo amica- di lavoro fa la signorina che fa i colloqui (adesso mi uccide, lo so) e quando cerca una determinata figura professionale rasenta il paranoico, descrive il tutto nel modo più preciso possibile. Paranoica, ecco la verità.
Infatti dopo il colloquio, ho provveduto a farle sapere nell'immediato che mi ha abituata male, ma tant'è.
A quel punto, la signorina mi ha chiesto che tipo di contratto avessi. E io ho risposto indicandole, tra le altre cose, il settore merceologico del contratto e il livello.
"Ah, quindi il livello più basso"
"Ehm, no veramente è uno dei più alti".
Poi, chi lo sa, magari lei conosce solo dirigenti e quadri e, in quel caso, io non posso aiutarla.
"Ah, io pensavo fosse il più basso, ma non conosco proprio quel settore"
"Ah".


Le ho parlato un po' di me, di quello che so fare, che conosco, che potrei saper fare e roba simile, anche perchè ad un colloquio pare brutto raccontare che il mio colore preferito è il giallo e che al secondo posto c'è il rosso. Figuriamoci poi se potevo raccontare che io volevo la macchina gialla, ma ho trovato un'opposizione tale che alla fine l'ho presa rossa per rassegnazione.
E poi mi dice:"Qui è la Cambogia".
Ora, visto che io in un posto che in confronto in Cambogia si sta bene ci ho lavorato e non è che posso proprio dire di essere stata felice di andare a lavoro, mi è un attimo venuta la faccia del terrore. Roba che, ai tempi, guardavo i turni e quando mi accorgevo che dovevo incontrare gente che manco in galera la vogliono, mi venivano gli attacchi di panico e temevo per la mia vita. Quindi mi sono un attimo preoccupata perché di fare certi brutti incontri non ho più molta voglia, anche perché vi assicuro che  se hai a che fare con sta brutta gente trovare una soluzione non è molto semplice. E in ogni caso, la soluzione richiede così tanto tempo che fanno prima ad accoltellarti.
"Mi riferisco agli orari che facciamo"
E che orari fate, di grazia?"
"Dalle 10 alle 18, ma a volte ci tratteniamo anche fino alle 19/20"
"Da Lunedì a Venerdì?"
"Certo"
Ah. E si che nel mio cv c'è scritto che, di solito, ho sempre lavorato 7/7 H24.
E mentre io continuavo a non capire quale fosse la posizione ricercata e la signorina continuava a chiedermi se fossi interessata a questa posizione, ad un certo punto mi dice che ovviamente, in caso di assunzione c'è un periodo di prova. E io, stupida ingenua, dico che in tutti i contratti c'è un periodo di prova, quindi no problem. E lei aggiunge che per periodo di prova si intende un periodo in cui vai lì a gratis senza contratto. Non ha usato proprio queste parole, ma insomma il succo era questo. E io,  giuro, non ho avuto il coraggio di ribattere. 
Il colloquio è finito. La signorina mi ha informata che, nel bene o nel male, mi avrebbe inviato una mail. Ovviamente questa mail non è mai arrivata. E meno male.


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domenica 15 novembre 2015

Colori e sapori: il mercato di Ballarò a Palermo

Mi piace andare al mercato di Ballarò con mia madre.
Io mi guardo intorno, scatto fotografie, mentre lei compra il pesce e la frutta.
Io sono sempre assorta nei miei pensieri che puntualmente vengono interrotti da qualcuno che mi chiede:"Ci stanno pensando?" e io rispondo sempre di si, in fondo è vero, stanno pensando a mia madre, quindi è un po' come se stessero pensando a me.


Fidanzato ama il pesce, ma a casa mi dice sempre di non comprarlo.
"Lo mangiamo a Palermo" dice sempre quando mi vien voglia di comprare il pesce.
Sono anche discretamente brava a cucinarlo sto benedetto pesce e tutti dicono che cucinare pesce è difficile, quindi ogni tanto vorrei anche togliermi qualche soddisfazione ai fornelli, ma niente. Noi mangiamo solo il pesce comprato a Palermo e cucinato da mia madre che, ovviamente, non mi farebbe avvicinare ai fornelli manco avesse due gambe e due braccia rotte.


Mi piacciono i colori del mercato di Ballarò, è il mercato che preferisco tra i tre mercati storici di Palermo che sono, appunto, Ballarò, il Capo e la Vucciria.
Mi piace la cura dei banchi, mi piace il modo gentile di strillare dei venditori, io che non pensavo fosse possibile strillare essendo gentili, ma tant'è.


Ad ogni banco, ci sono diverse persone che lavorano. Mi sono avvicinata ad uno di loro e ho chiesto se potevo scattare alcune fotografie e mi ha detto orgoglioso di fare come se fossi a casa mia. E io ho scattato. Ero talmente presa dalle mie fotografie che non sentivo nemmeno l'odore del pesce.
Mia madre, mentre chiedeva gamberoni (che io adoro, ne mangerei a chili e puntualmente mi ritrovo a sbucciare gamberoni per tutta la famiglia perché nessuno vuole sporcarsi le mani, mentre io quasi mi ci tufferei nell'Eau de Crevette), pesce spada, calamari e non so cos'altro, raccontava a quel povero ragazzo che le foto mi servivano per un blog, ma lui non sembrava molto interessato alla questione.


Le foto ai banchi della frutta, invece, le ho scattate di nascosto. Mi guardavano un po' male, non so perché e quindi ho proprio evitato di chiedere.


Io rimango sempre stupita dalla bellezza di questi banchi, sembrano delle opere d'arte e, anche se io non posso mangiare grandi cose che provengono da questi banchi, amo restare a guardarli.


Ma la più bella è questa. Non so perchè, ma è la mia preferita.


Io, a chi me lo chiede (qui per saperne di più), consiglio sempre di andare a fare un giro nei mercati palermitani. Troverete tante cose che altrove non ci sono.
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sabato 14 novembre 2015

Parigi.13.11.2015: uscire di casa e non rientrarci mai più

Mia madre ha studiato a Parigi. Per anni, a Parigi ci abbiamo fatto le vacanze invernali: io e mia madre, io e i miei genitori, io e Fidanzato.


Potrei spendere decine di parole sulla bellezza di Parigi, sulla Tour Eiffel, il Louvre, gli Champs-Elysèes, la Senna, il Musèe d' Orsay, il Moulin Rouge, il Sacro Cuore. Ma non è questo il punto.
Quante volte il e Fidanzato siamo andati allo stadio, al teatro, al ristorante. Quante volte sono uscita la sera con amici, con i miei genitori, con dei colleghi. E poi, a fine serata, sono tornata a casa in macchina, in metro, a piedi, fumando una sigaretta, chiacchierando. Quante volte mi sono tolta le scarpe coi tacchi alti prima di entrare dentro il palazzo per non fare rumore, ho preferito le scale all' ascensore, ho aperto la porta di casa e il cane mi è saltato addosso per farmi le feste. Quante volte, quando ero più piccola e vivevo con i miei genitori, sono andata a dire che ero rientrata, poco importa se erano le due o le tre o le quattro di notte, e poi mi sono messa sotto le coperte.
Quante volte ho ripetuto gli stessi identici gesti: lavare i denti, struccarmi, togliere le lenti a contatto quando ancora non ci vedevo, ho buttato i vestiti sulla sedia e mi sono messa a dormire o ho fatto l' amore, ho abbracciato Fidanzato. 
Quante volte ciascuno di noi ripete gli stessi automatici gesti quando rientra a casa dopo una serata. Centinaia, migliaia, milioni di volte. 
Questa volta tanta, troppa gente e uscita di casa per passare una serata in compagnia o forse da casa non ci è proprio passata, è andata dopo il lavoro direttamente, magari guardando l' orologio perchè era in ritardo, ma a casa non c' è mai tornata e non ci tornerà più.
Io non ero lì, ma a km di distanza. Sto bene, ho cenato, ho passato una bella serata in compagnia della mia famiglia, dei miei genitori, dei miei zii e dei miei cugini. E, ad un certo punto, abbiamo visto alla tv quello che stava succedendo a Parigi. Abbiamo visto che tutta questa gente è morta senza un perchè. Gente che pensava di rientrare a casa e forse fare qualcuna di tutte quelle cose che anche io faccio sempre e invece a casa non c' è mai tornata. Gente che non ha visto rientrare i propri figli, fratelli, genitori, amici e forse domani si ritroverà a riconoscere un cadavere.
Non è giusto. Tutto qui.
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venerdì 13 novembre 2015

L' insostenibile leggerezza del pane e panelle

A me Palermo piace. Mi piace molto.
E non perché ci sono nata, non è scritto da nessuna parte che ti deve piacere il posto dove nasci.
Mi piace il clima -ma questa è una frase fatta che dicono tutti- e mi piace il modo di vivere. 
Mi piace il fatto che Palermo sia costruita in modo lineare, con un sistema di strade parallele e perpendicolari che non ti puoi perdere. E se ti perdi, sei scemo.
Mi piacciono le luci del porto e le stradine del centro storico.
Ma soprattutto mi piace il cibo. Io davvero non credo esista posto al mondo dove si mangi meglio e no vi prego non tiratemi fuori i tortellini bolognesi, la bagna cauda piemontese, il pasticciotto leccese e la polenta. Io so che ovunque in Italia si mangia bene, ne sono consapevole e la mia pancia che, insieme a me, è sempre in giro, ringrazia. Ma signori, le panelle e le crocchè? Le barchette prosciutto e wurstel? I dolci? No, scusate, vogliamo parlare dei dolci? Ieri ho mangiato un paio di bignè di San Martino, una roba cafonissima con il finocchietto e la ricotta; due cassatine al forno; una mezza dozzina di sigarette con la ricotta; gli sciù che non so come si scrive, ma sono buoni, tanto buoni. Prima, per gradire, avevo mangiato due porzioni di anelletti al forno che -ora ci vuole- dentro ci trovi di tutto, dalle melanzane all' uovo sodo, probabilmente anche un bambino che piange perchè vuole la mamma. E il pane? Avete presente quanto può essere buono il pane di rimacino?


Io sarei anche a dieta, anche perchè ho detto a Fidanzato che faccio la dieta, perdo un tot. di chili (che però non vi dico quanti sono, per scaramanzia e per rispetto della mia ciccia) e appena raggiungo l'obiettivo ci sposiamo, però una cena si può anche fare. UNA. Non di più.


Quando vivevo qui queste cose non le mangiavo mai, anzi facevo anche la splendida con il McFlurry preso rigorosamente al Mc Donald's di Piazza Politeama snobbando Spinnato lì accanto. Adesso se mi presentano una cassata a forno e un McFlurry prendo il machete, spacco bottiglia e ammazzo famiglia che, dai, non si possono mica mettere a paragone le due cose. Ero giovane e ingenua, ero ancora convinta che il mondo fosse un posto bello, pieno di panelle e crocchè dentro al semprefresco ovunque. 
A me piace essere nata in un posto dove esistono giri e tenerumi e dove i broccoli si chiamano sparacelli, anche perchè diciamo la verità: sparacelli è un nome poetico.
Mi piace che i cavolfieri si chiamano broccoli.
E che il melone arancione si chiami cantalupo e l'anguria mellone con due L.
Mi piace mangiare il gelato dentro la brioche.
Sarde a beccafico. Arancine al burro che alla carne non mi piacciono poi così tanto. Cartoccio con la ricotta. Pupo di zucchero. Stigghiola. Frutta martorana. Involtini di carne. Pane con la milza, maritato. Sfincione. Crostino fritto. Ravazzata.
Ho fame. Muoio di fame. Sempre.

Adesso so che sembrerà che al sud non si fa altro che mangiare, ma non è vero. Ci sono un sacco di altre cose belle da fare, quelle piano piano ve le racconto, ma intanto lasciatemi mangiare che, in fondo, tutta sta frittura e sta ricotta non sono pesanti.E, se non altro, fanno bene allo spirito.
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domenica 8 novembre 2015

Perché a noi gli ospedali piacciono

Siamo un pò ammaccati. Succede, no?

Il tutto è cominciato con un mio problema al piede che mi porto dietro da un paio di settimane e da un problema respiratorio di Fidanzato, non stiamo morendo, tutto sotto controllo.
Poi Venerdì il dramma. Abbiamo pranzato e ci siamo sistemati sul divano:
"Amore mi si sta gonfiando il labbro"
"Amore, mi prude dentro le orecchie, sotto le ascelle, ovunque".
Fidanzato, uomo saggio e di poche parole, si è alzato, ha preso le mie Converse grigie (che ad oggi, sono ai vertici della classifica delle mie Converse preferite) e mi ha portato in ospedale che dista tre minuti di macchina.
Il mio problema non sono le allergie note, ma le contaminazioni o robaccia simile che sono abbastanza difficili da tenere sotto controllo. So che sembra abbastanza strano che mangiando a casa si verifichino episodi simili, ma vi assicuro che non è poi così strano come sembra.
La cosa interessante di soffrire di una grave forma di allergia alimentare è che non si fa la fila in pronto soccorso perché, di solito, si arriva in codice rosso o in codice giallo alto, quindi appena siamo arrivati io e il mio labbro penzolante siamo entrati subito con tanto di tappeto rosso steso dagli infermieri. Quando, come al solito, mi hanno salvato la vita (e, preciso, non era un codice rosso, ma un giallo alto, così non vi preoccupate troppo), ho cominciato a stordirli di chiacchiere, sono diventata amica di tutti gli infermieri che mi hanno raccontato i segreti del pronto soccorso, ho eletto Michelangelo a infermiere più simpatico e, dopo qualche ora, con le funzioni vitali ripristinate, mi hanno rispedita a casa con tanti cari saluti e probabilmente la speranza di non rivedermi tanto presto.


La mattina dopo, per festeggiare il fatto che ancora una volta avevo avuta salva la vita dopo ben quindici anni di allergie, un numero illimitato di reazioni allergiche gravi e qualche shock anafilattico all'attivo, abbiamo ben pensato di portare Cane Gnappo in un nuovo parco. Nuovo per noi che non lo conoscevamo perché immagino che stia lì da un numero imprecisato da anni, ma tant'è.
"Ma che bel parco"
"Quanti cani simpatici"
"Che begli alberi"
Cane Gnappo è un cane un pò scemo, le prende da chiunque, ma noi siamo due vigili implacabili, stiamo sempre all'erta perché siamo consapevoli dei limiti del nostro amato cagnetto, quindi abbiamo atteso che l'area cani all'interno del parco fosse praticamente vuota e timidamente abbiamo fatto capolino dal cancelletto, assicurandoci che la cagnolina all'interno fosse socievole e non interessata a sbranare il piccolo nano multicolore. E difatti i due hanno giocato per un pò, finché la cagnolina nera è andata a casa.
Ciao cagnolina nera, è stato bello.
Poi è arrivato un maremmano di peso indefinito, ad occhio comunque almeno grande cinque volte Gnappo. Il tempo di girarci per prendere Gnappo che non si sa mai e questo enorme cane peloso lo stava già sbranando, puntando alla testa.
Siccome sono una persona tranquilla e che sa mantenere i nervi saldi ho iniziato ad urlare:" me lo sta ammazzando" e Fidanzato, eroico, si è lanciato per tentare di salvare il piccoletto.
Il povero padrone dell'enorme maremmano, mentre aspettava che una voragine si aprisse sotto i suoi piedi per scomparire dalla faccia terra, ci chiedeva come stavamo. Io, l'unica superstite, ero seduta per terra con le gambe molli, cercando di capire che danni avesse riportato Gnappo, notando un buco sulla sua micro testolina. Intanto Fidanzato mi mostrava una mano sanguinante.
Ottimo modo di iniziare il sabato, insomma.
Quindi corri a far vedere i due aggrediti.
Il padrone del mostro bianco peloso voleva accompagnarci in ospedale e dal veterinario, ma io non è che avessi molta voglia di salire in macchina con lui e l'aggressore. Gentilissimo, grazie, ma prendiamo la nostra macchina.
Alla fine, per farla breve, la situazione si è risolta con una bella mano fasciata e quella difficoltà di movimento per Fidanzato. E per fortuna che era la mano destra che per chiunque sarebbe stato un dramma, ma per noi no, visto che qui fioccano i mancini.
Cane Gnappo, invece, ha cambiato nome. Adesso si chiama Grappetta visto che la sua micro testolina pelosa (mica tanto pelosa adesso che il pelo è stato rasato) ha una bella collezione di punti metallici in testa visto che aveva la calotta cranica in bella vista.
Cane senza macchia e senza paura, non ha fiatato mentre il mostro bianco tentava di mangiarlo per pranzo, ma a momenti butta giù la clinica veterinaria mentre provano a cucirlo. Adesso sta discretamente bene, l'anestetico è riuscito a quietarlo, le grappette metalliche in testa in fondo gli donano e danno un pò di colore. Abbiamo scoperto che ha un debole per l'aureomicina che prova a leccare attraverso la benda di Fidanzato, ma non pretendo mica che, solo perchè stato quasi mangiato da un altro cane, diventi improvvisamente un cane normale.
E domani è lunedì, sperando che la nuova settimana non ci riservi gite al pronto soccorso, che sia umano o veterinario.


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giovedì 5 novembre 2015

A mio padre chiedevano gli autografi

A mio padre chiedevano gli autografi.
Faceva un lavoro per il quale era molto conosciuto in città e non solo e gli è capitato di sentirsi chiedere l'autografo.
Mio padre non scrive bene (questo potevo scriverlo?), ha avuto un incidente proprio sul lavoro e gli si è reciso un tendine della mano. Scrive, ma fa fatica, quindi odia farlo e, se può, delega. Ma gli autografi mica puoi delegarli.
Tuttora che è in pensione e non è più un ragazzino, capita che qualcuno lo fermi per strada. Lui saluta, si ferma a chiacchierare, ma nella maggior parte dei casi non ha idea di chi sia il suo interlocutore.
A me è capitato che, saputo il mio cognome, qualcuno mi chiedesse se quella persona era mia nonno. E io ho risposto stizzita che no, non era mia nonno. È mio padre. Che poi, è vero che quando sono nata io aveva 43 anni ed era all'apice del suo successo, ma chiamarlo nonno mi sembra un po' esagerato.
Ho cercato il nome di mio padre su internet per curiosità e ho trovato alcuni risultati interessanti, in particolare uno in cui qualcuno scriveva che si ricordava dei fratelli tizio e caio, elogiandone la carriera, anche se mio padre non ha fratelli, in realtà ha solo due sorelle e quello che davano per suo fratello era suo padre, ovvero mio nonno, che io non ho mai conosciuto.
Su mio nonno avevano anche scritto il capitolo di un libro.
A casa dei miei genitori ci sono foto, articoli di giornale, trofei.
Oggi ho appeso una foto anche a casa nostra, in salotto. Una bella cornice fuxia e passa la paura.
A mio padre non è mai interessato granchè della fama, non è mai stato molto colpito dall'essere fermato per strada e nemmeno dagli autografi. A me invece sembra una cosa molto bella, quanto meno adesso che di anni ne ho quasi trenta.
Quando ero piccola e andavo a scuola, ricordo che il primo giorno di scuola, in una scuola nuova, chiedevano a tutti di alzarsi in piedi e dire il lavoro dei propri genitori. Quando arrivava il mio turno, io partivo sempre dal lavoro di mia madre -insegnante in un liceo- e poi, dopo un sospiro, dicevo quello di mio padre. Non mi credeva mai nessuno. Pensavano fossi una bugiarda.
Mio padre amava il suo lavoro, ha iniziato a lavorare con suo padre quando era un ragazzino, poi ha continuato a lavorare per tutta la vita, senza conoscere ferie o feste. 
Io ricordo che si alzava alle 4 la mattina, andava a lavoro e, d'estate, io andavo con lui. Poi mi addormentavo e mia madre doveva venire a prendermi. 
A volte tornava a pranzo, altre volte no. A volte lavorava anche la sera. Lavorava il sabato, le domeniche e tutte le feste. 
E noi spesso andavamo a guardarlo. 
Quando io e Fidanzato ci siamo messi insieme, è venuto a vedere che lavoro faceva mio padre, anche se era già in pensione. 
E lui faceva UAU, un po' come fanno con noi -"guarda amore, c'è davvero la macchina come si vede in tv" (Pensavi forse che fosse un effetto speciale, Fidanzato?)- mentre io ero seduta in modo impenitente a bordo campo con mia madre che continuava a ripetermi che era pericoloso.
Mia madre ha sempre avuto un pò di paura, io invece ero una piccola delinquente che si metteva in mezzo.
Abbiamo incontrato un ragazzo che ha imparato da papà e che a Fidanzato ha detto che quello lì era IL  MAESTRO.
Poi abbiamo incontrato un tizio che io e Fidanzato conoscevamo perché faceva (o fa ancora, non ne ho idea) il conduttore televisivo, ma che di fatto non sapeva chi ero. Stava parlando con un vecchio collega di papà che gli ha chiesto se ci conosceva e lui ha detto che mi conosceva perché lavoravo in tv. E questo signore gli ha detto:"Ma noooo, è la figlia di".
Silenzio, panico, ha fatto la figuraccia. A me ha fatto solo ridere e un po' mi ha reso orgogliosa.
Ogni volta che viene fuori l'argomento lavoro di mio padre, molti hanno dei pregiudizi, molti dei quali sbagliati, ma il mondo va così.
C'è stato un tempo in cui era un lavoro che ti portava la fama dei calciatori, adesso sta sparendo per tanti motivi che non conosco nemmeno fino in fondo.


Mio padre dice sempre che è andato in pensione prima di vedere morire tutto.
Però non dice che voleva un figlio maschio che potesse fare il suo stesso lavoro che era stato anche il lavoro di suo padre.
Noi comunque, in casa nostra, gli abbiamo dedicato un posto d'onore.
Mia madre, invece dice che abbiamo fatto entrambi un lavoro strano, che entrambi abbiamo un lavoro con orari strani, che entrambi abbiamo intrapreso la strada del lavorare durante i giorni festivi. Sarà per questo che non mi pesa.
Ti voglio bene Papi.

Si, quello in foto -all'interno della cornice fucsia- è mio padre.

Se volete saperne di più su mio padre (ma anche su mia madre) cliccate qui.

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lunedì 2 novembre 2015

Figliare e lavorare

Io ho la data di nascita nel cv. Vuoi che la mia data di nascita è simpatica, suona bene, ma ce l'ho sempre avuta e la cosa non mi ha mai creato grandi problemi. Nessuno mi ha mai chiesto l'età, ma mi è capitato di chiederla a una ragazza che mi stava facendo un colloquio. E' che sembrava giovanissima, stavamo aspettando una collega che avrebbe assistito al colloquio e la conversazione è finita lì.
Nessuno mi ha mai chiesto se fossi sposata o se avessi figli, ma mi è capitato, spontaneamente di tirare fuori l'argomento Fidanzato perché, vuoi o non vuoi, facendo lo stesso lavoro, sono diverse le cose che conosco di rimando. A nessuno è mai importato granché della presenza di questo fantomatico Fidanzato. Non sanno quello che si perdono coloro i quali non si interessano di lui, tzè.
Mi hanno fatto, quello si, tantissime domande tecniche tanto da sfinirmi, che forse avrei preferito che mi chiedessero l'età che almeno quella è una risposta secca.
Sono sempre stata circondata da uomini, praticamente tutti figliomuniti.
Ad un certo punto, in un emissione dove ho lavorato c'era l'angolo baby: vestiti e giocattoli portati da qualcuno con figli che potevano essere utili per qualcun altro con altrettanti figli. Una specie di mercatino, dove però non si pagava nulla: se ti serve, te lo prendi e te lo porti a casa.
Di figli ed eventuali compagni, mariti e mogli si è sempre parlato, anche perché ore e ore al buio, di qualcosa si dovrà pur parlare, no? 
Io ho pure proposto a un collega con tre figli di fare il quarto, anzi ho espressamente richiesto che fosse femmina perchè, dopo tre maschi, volevo (io ovviamente che, d'altronde, volete che il mio parere sulla questione non sia importante?) la femminuccia da vestire di rosa. Mi ha sfanculata, ma questo è secondario. Io so che prima o poi la femminuccia la farà, me lo sento.
Ho visto sempre molta solidarietà, se così si può chiamare, nei confronti di figli e famiglia.
Una volta c'era un  collega con la compagna al termine della gravidanza e, di comune accordo tra capi e colleghi, si è deciso che finché il pargolo non si decideva a venire fuori, il collega sarebbe stato dispensato dai turni di notte perché, metti caso decideva di nascere di notte, era il caso che lui fosse a casa con lei e la potesse portare di gran corsa in ospedale, senza perdere tempo ad avvisare capi, colleghi, Dio in persona e magari anche San Pietro e gli apostoli (di notte si è da soli e sarebbe stato necessario attendere l'arrivo di un cambio che, però prima, bisognava trovare...senza reperibilità, difficilmente trovi qualcuno che ti risponde al telefono alle tre di notte).
Ho visto non figli muniti e capi organizzarsi di modo che i figliomuniti potessero accompagnare i pargoli a scuola il primo giorno o potessero accompagnarli alla visita medica o da qualsiasi altra parte. Ci hanno provato a spiegarmi quante cose fa un bambino, ma ho rimosso.
Ci hanno provato in tanti a convincermi che fare un figlio è bello, non ho mai capito se fossero sinceri o se volessero semplicemente togliermi dalle scatole per un pò, ma niente, non mi hanno convinta. 
Le mogli e compagne dei miei colleghi lavoravano tutte, salvo rarissime eccezioni, e chi non lavorava, ad un certo punto, si è trovata un lavoro pur avendo pargoli. I padri hanno usufruito di periodi belli lunghi di ferie o del congedo di paternità, a seconda dei casi.
Un responsabile che ho avuto, una persona eccezionale, una volta mi disse che la famiglia viene prima di tutto e che quando nasce un figlio, bisogna stare a casa perché certi momenti non tornano più. Io figli non ne ho, lui si quindi mi fido di quello che mi ha detto.
Chi è rimasto a lavoro, non ha mai fiatato e si è diviso i turni di chi si stava godendo la nascita e i primi mesi di un figlio. Quando qualcuno ha avuto un problema o una necessità legata a un pargolo o a qualsiasi altro familiare, ci siamo organizzati.
Nessuno ha mai maltratto qualcun altro perché ha famiglia. Tutti abbiamo una famiglia, tutti abbiamo qualche necessità e queste necessità sono sempre venute prima di tutto. 


Ho avuto un responsabile che, quando è morto mio suocero, mi ha telefonato e mi ha detto di stare a casa con Fidanzato. Ho avuto un altro responsabile che quando mio padre ha avuto dei problemi mi ha dato più ferie di quelle che avevo chiesto e, un giorno che non c'era copertura, si è messo lui a coprire il mio turno. Ho avuto un altro responsabile ancora che, quando Fidanzato si è operato, mi ha detto di stare con lui perché pensare di conciliare le sue esigenze con il lavoro era da pazzi e non potevo lasciarlo solo. E non era un giorno.
Fortunata? Non credo.
Credo che ci siano gli stronzi, che ci siano quelli che si comportano male, ma che ci siano anche quelli che sanno quanto è importante la famiglia, i figli e quanto il lavoro non sia l'unica cosa al mondo.
Di contro, ci sono rimasta malissimo quando un responsabile si è tanto adoperato per trovarmi una collega e non c'è riuscito perché i turni non li vuole fare nessuno.
Ci sono anche rimasta malissimo quando ho saputo di una persona che, in gravidanza a rischio dopo una settimana di gravidanza, faceva la cubista per arrotondare. Mi sono sentita presa in giro come lavoratrice e come donna. E, nonostante il part time, i turni agevolati e qualsiasi altra cosa, questa persona non si è palesata a lavoro per anni, conservando il posto di lavoro e togliendolo a chi magari di quel lavoro aveva bisogno.
Leggo di donne che vanno contro altre donne. Io non vado contro nessuno, ma sono dell'idea che se tutte ci comportassimo in modo corretto verso il datore di lavoro e i colleghi queste situazioni non esisterebbero. La ragazza in questione ha fatto bene ad andarsene e denunciare la situazione, quello lì era uno scemo.  Sul fatto che, in generale, tutte le aziende maltrattino chi ha figli, maltrattino le donne, che gli uomini se ne freghino dei figli, invece, ho qualche riserva. Anzi, parecchie riserve.

La foto del post è di Beata Lenkiewicz.

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