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giovedì 28 maggio 2020

La fine della quarantena

La quarantena é finita da ormai dieci giorni e sembra quasi che il coronavirus non sia mai esistito, almeno qui. L'unica cosa che me lo ricorda sono le mascherine e qualche sporadica fila al supermercato: fila che ormai non supera più i dieci minuti.
Ero convinta che la fine delle restrizioni avrebbe portato ad un aumento pazzesco dei contagi e ad una chiusura ancora più serrata, invece sbagliavo e spero -dico davvero- di continuare a sbagliarmi.

Sono andata dal parrucchiere e dall'estetista, ho preso appuntamento per tre tatuaggi, sono tornata in palestra, ho rivisto gli amici -anche se ancora ne manca qualcuno all'appello- e la vita ha ricominciato a scorrere più o meno come prima. Tra due giorni andrò per la prima volta a cena fuori e da lunedì tornerà praticamente tutto uguale a prima, con la differenza che quando ci eravamo fermati avevo addosso vestiti invernali e adesso ho quelli estivi. Ho anche qualche chilo in meno, ma era prevedibile, e un sacco di mascherine bellissime.



Una cosa che continuo a dire é che a me la quarantena non é pesata poi così tanto, per alcuni versi non mi é proprio dispiaciuta e a casa mia sono stata più che bene. E no, non ho una casa grande, prima che vi venga in mente di dirlo né tanto meno ho la piscina in terrazzo (anche se stavo pensando di comprarne una gonfiabile, ma questa é un'altra storia).
Ho programmato le vacanze, in Italia, anche se ho ancora il dubbio che non sarà possibile farle, ma diciamo che man mano si vedrà.

Non credo che da tutta questa storia ne siamo usciti migliorati, eh.
Ho visto, in questi due mesi, gente impazzire perché non poteva andare in metro. Giuro.
Sarà che io i mezzi pubblici li ho sempre odiati, ma la mancanza della metro non l'ho proprio capita. Capisco la mancanza degli amici, dei genitori, dei nonni, persino quella del cornetto e cappuccino al bar, ma non quella della metro.
Ho sentito tatuatori arrabbiarsi perché venivano considerati meno importanti dei medici e non era giusto.
Sono tatuata, non vedevo l'ora di poter fissare gli appuntamenti di cui sopra (uno in particolare, fuori regione), ma non ho capito il nesso tra le due professioni.
Ho letto complotti che in confronto le scie chimiche sembrano quasi una cosa plausibile.

Ho però provato un sentimento misto di compassione (lo so, la compassione non é una bella cosa) e solidarietà verso tutti quei liberi professionisti, quei proprietari di negozi e via dicendo che non potevano lavorare. Avevo il timore che qualche attività non riaprisse perché non tutti sarebbero stati in grado -e non per colpa loro- di superare questa chiusura forzata.
Sotto casa mia é solo una l'attività che non ha riaperto, le altre si e ogni volta che passo davanti quella saracinesca, sarà che conoscevo i proprietari -come credo sia normale nel proprio quartiere- mi prende un po' male. Erano un padre e un figlio che avevano aperto da relativamente poco, mi sono chiesta che fine avessero fatto, ma non ho avuto il coraggio di chiedere ai negozianti intorno.
Ho ricominciato a fermarmi a fare due chiacchiere con i negozianti qui intorno quando passo, per due mesi ho salutato solo i ragazzi della pizzeria, praticamente gli unici che erano aperti, anche se solo per il domicilio prima e per l'asporto poi.

Non mi convince del tutto il fatto che c'è davvero tanta gente, io non credo di avere mai visto così tanta gente in questo quartiere, al parco sotto casa non si può proprio camminare e sono anni che abito qui, se fosse stato sempre così probabilmente me ne sarei accorta.

Questi due mesi e mezzo di lockdown a me hanno portato bene, ho ricevuto solo buone notizie, dalle più piccole alle più grandi. Una in particolare, ricevuta il giorno del mio compleanno, mi ha praticamente svoltato la quarantena e un pochino anche la vita, ma ce ne sono state altre che mi hanno resa particolarmente felice e, insomma, io l'ho sempre detto che il karma esiste e, in effetti, non si é smentito neanche stavolta.

Mio padre mi ha raccontato per tutta una vita le cose che io studiavo sui libri di storia, il mio nove in storia a scuola e il trenta all'esame di storia contemporanea all'università li devo in buona parte a lui.
Mi raccontava il dopoguerra, gli anni del boom economico e un sacco di altre cose e -devo dire- che un conto é leggere le cose sui libri di storia, un altro é sentirle raccontare da chi se le ricorda.
Mi sono chiesta spesso cosa avrebbe detto mio padre del coronavirus, del lockdown e via dicendo, ma mi sono anche detta che un giorno magari racconterò io queste cose ai miei figli come lui faceva con me. Che forse questo é un pensiero stupido, ma é stato davvero il pensiero più ricorrente di questi due mesi e mezzo.


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venerdì 20 marzo 2020

Cronache di una pandemia

C'è il Coronavirus.
Una settimana fa circa é stato dichiarato lo stato di pandemia.
Sembra tutto incredibilmente surreale.
Tutto potevo immaginare, ma non che mi sarei trovata a vivere una cosa del genere.

Mio padre mi raccontava la Seconda Guerra Mondiale e il dopoguerra per farmi imparare la storia, io un domani racconterò a mio figlio il coronavirus: per lui saranno pagine di storia che non gli andrà di studiare, per me saranno ricordi di vita vissuta.
Il giorno che mi sono fratturata la faccia (qui per saperne di più), il 25 Febbraio, l'ambulanza mi ha portata in un pronto soccorso incredibilmente semivuoto, si diffondevano le prime notizie di questo virus che, almeno fino a quel momento, sembrava riguardasse solo una parte d'Italia e -inutile fingere il contrario- sembrava quasi che da noi, a Roma, non dovesse arrivare mai. 
Il giorno che sono stata dimessa dall'ospedale, il 4 Marzo, mentre dormicchiavo sul divano di casa mia, probabilmente senza avere ancora smaltito completamente l'effetto dell'anestesia del giorno prima (si, mi hanno tenuta in ospedale più prima che dopo l'intervento), veniva emanato il primo decreto del Presidente del Consiglio. 
Quel giorno -il 4 Marzo- è stata l'ultima volta che ho visto Roma come sono sempre stata abituata a vederla.
Con la faccia dolorante e chiusa in casa a prescindere perché nel pieno di un post operatorio abbastanza doloroso, guardavo il telegiornale, assistendo ad assalti ai treni, ai supermercato aperti tutta la notte, ai distributori automatici di sigarette.
La prima volta che sono uscita di casa da quel 4 Marzo, obbligata ad andare in ospedale, Roma era completamente diversa dall'ultima volta che l'avevo vista: le strade deserte, l'ospedale praticamente deserto, le attività chiuse, le file ai supermercati. Non che non lo avessi visto in tv, ma un conto é vederlo in televisione, un altro conto é vederlo con i propri occhi.


Ho paura?
Si, per tante cose.
Per me stessa, ovviamente, che ho un sistema immunitario scemo e sono da settimane sotto antibiotico e altri farmaci, non per scelta ovviamente.
Per mia madre, che non é più una ragazzina.
Per tutte le persone a cui voglio bene, sparse per l'Italia e non solo. Buona parte delle persone che conosco che fanno il mio stesso lavoro o comunque lavorano nello stesso settore (qui vi fate un'idea) continuano ad andare al lavoro perché di sicuro la tv non si ferma e, ancora più di sicuro, non fermi broadcast operations (é il reparto, si chiama così in qualsiasi emittente televisiva io conosca).
Per l'Italia intera perché stanno morendo persone, tante, troppe e la percezione di quanto grave sia la situazione io ho cominciato ad averla soprattutto quando tantissime persone che conosco hanno cominciato ad avere amici, parenti o conoscenti in terapia intensiva o, peggio, dentro una bara.
E no, non mi interessa se si parla di ottantenni con patologie pregresse: una vita é una vita (scusate la precisazione, ma ne ho lette tante di cose che dicevano "E vabbé, c'aveva ottantanni").
Per quello che succederà dopo: perché se è vero che prima o poi finirà, chissà quando, é altrettanto vero che probabilmente ne usciremo -come paese- con le ossa rotte in termini di perdita di vite umane, economicamente e psicologicamente.

Sto cercando di non perdere l'ottimismo e l'ironia, la reclusione non mi pesa nonostante sia abituata a fare mille cose, forse anche perché sarei dovuta stare a casa comunque (e questo, credetemi, aiuta), faccio comunque un sacco di cose a casa che mi aiutano a passare il tempo (e magari ve le racconto, ogni giorno, sia mai possano dare a qualcuno qualche idea su come passare il tempo).
Io non lo so se andrà tutto bene, ci sono giorni che penso di si, altri che penso di no, ma davvero non si può fare niente altro che aspettare.
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giovedì 8 giugno 2017

Tutti potremmo dimenticare nostro figlio in macchina

Non ho figli. Al momento non ne voglio, non sono pronta e non so se lo sarò mai.
Mio marito, da un po' di tempo a questa parte, dice che, se mai avremo un figlio, sente che sarà una femmina. Dice anche lo stuzzica l'idea della femmina. Credo che sarebbe un buon padre, molto migliore di me come madre.
Sono spesso stanca. Altrettanto spesso vado di corsa, ci sono periodi che non mi fermo mai. A volte i pensieri mi tormentano. In quei momenti vorrei solo dormire, ma non posso.
Segno tutto sul calendario: le scadenze, gli appuntamenti, le visite mediche. Il calendario è davanti al frigorifero, quindi non posso non vederlo: ogni volta che bevo un po' d'acqua o preparo da mangiare, lui è lì a ricordarmi cosa devo fare.
Eppure mi dimentico tante cose: dimentico quello che mi dice il Marito, dimentico di comprare qualcosa, dimentico di chiamare qualcuno, perdo il burro cacao e la pinza per i capelli. Me ne ricordo improvvisamente dopo ore, ho come un'illuminazione. A volte mi sento in colpa per quello che dimentico, altre no.
Anche il Marito a volte è stanco e anche lui dimentica qualcosa.
Cerchiamo di ricordarci a vicenda le cose.
Una volta abbiamo dimenticato il cane: tornavamo da una passeggiata con i nostri due cani, siamo entrati in casa sia io che lui, uno dei due cani è entrato con noi e l'altro no. Dopo un po' ci siamo resi conto che mancava, ci guardavamo intorno, la chiamavamo, ma non arrivava. Abbiamo aperto la porta di casa e l'abbiamo trovata sul tappeto davanti la porta, sdraiata, che aspettava soltanto che qualcuno si ricordasse di lei. L'abbiamo coccolata, ci siamo sentiti in colpa, non siamo riusciti a capire come fosse stato possibile che noi tre fossimo entrati e lei fosse rimasta fuori e ancora oggi che lei non c'è più a volte ricordiamo quell'episodio e ci chiediamo come sia potuto succedere.
La verità è che può succedere di dimenticarsi qualcosa. Si, può succedere anche di dimenticarsi un figlio, così come noi ci siamo dimenticati il cane.
Voi direte che un cane non è figlio, io vi rispondo che lei era la mia vita e che il principio per le quali ci sono donne e uomini che dimenticano in auto i loro figli è lo stesso identico per cui io e Marito abbiamo dimenticato il cane fuori dalla porta.
Succede. Non dovrebbe succedere, ma succede.
Succede che la mente si offuschi. Li chiamano eventi dissociativi o disconnessioni mentali, io non ho idea di quale sia la corretta definizione medica per questo fenomeno, ma so che succede.
Ed è tremendo, è atroce, è una cosa pazzesca, ma succede.
E io non riesco a condannare questi genitori. Non riesco neppure lontanamente ad immaginare come ci si possa sentire quando ti dimentichi tuo figlio, il tuo bambino, che magari hai disperatamente voluto, cercato e quel fagottino muore. 


Non posso immaginare il dolore dei due genitori e i sensi di colpa di chi dei due ha avuto quella dimenticanza fatale.
Non voglio neppure immaginare quanto possa essere atroce morire di caldo dentro una macchina, magari sotto al sole rovente di Agosto, non lo voglio sapere, voglio tenere la testa sotto la sabbia. 
Non riesco a giudicare, non riesco a dire "Aame non succederebbe mai" e non solo perché non ho un figlio. Semplicemente non posso escludere che una cosa del genere, se avessi un frugoletto, possa capitare a me. O a mio marito che sono convinta sarebbe un padre meraviglioso.
So che non ho più vent'anni, che cerco di incastrare tutto, che corro, che ho tanti pensieri. E so anche che a volte dimentico qualcosa.
Ve lo ricordate com'era avere vent'anni? Io dormivo poco, facevo tante cose, lavoravo, studiavo, uscivo e non dimenticavo praticamente niente. Poi non so cosa sia successo.
So che ogni giorno faccio tantissimi gesti automatici, a cui non penso neppure. Li faccio e basta. E so che forse, se avessi un figlio, diventerebbe un gesto automatico anche metterlo in macchina la mattina, accompagnarlo all'asilo, andare a lavoro, poi andare a riprenderlo e così via in una successione automatica di gesti.
So che a volte uno di questi gesti automatici sfugge. E potrebbe essere una tragedia immensa.
A volte la tragedia viene evitata, altre volte no. E quando non viene evitata, credo che l'unica cosa da fare sia rimanere in silenzio e non dire mai: "A me non sarebbe successo", perché credetemi che è un attimo. E quell'attimo potrebbe bastare.
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lunedì 20 marzo 2017

Barriere architettoniche e mentali

Oggi io e il gesso festeggiamo sedici giorni insieme. A me sembrano sedici anni a dire il vero.
Non posso uscire di casa, devo stare con la gamba alta, ho continuamente la febbre, ma pare sia normale. L'auto è vietata, così come il treno, salvo rarissimi casi, ovvero le visite mediche che comportano uno sforzo non indifferente da parte del Fidanzato che mi deve caricare in macchina -rigorosamente nel sedile posteriore- manco fossi un oggetto ingombrante.
Stamattina mi hanno controllato il gesso giusto per dirmi che ancora è presto per toglierlo. Vedremo se riusciremo a sbarazzarcene per la data prevista, per sostituirlo con un meraviglioso tutore e poi decidere come procedere. Non decido io, se no un paio di opzioni le avrei già eliminate dalla lista.
Oggi ho sentito la parola chirurgo e un brividino mi ha percorso la schiena.
Nel frattempo, si è rovinato anche l'altro ginocchio e speriamo di riuscire a salvarlo prima che si rompa anche lui, ma non è questo il punto.


Cammino con le stampelle, zompettando libera e felice come una farfalla come un elefante privo di ogni forma di grazia. Ho imparato a scendere le scale, ma non a salirle.
In realtà, gli unici gradini che non posso evitare lungo il mio cammino sono quelli del mio palazzo -ben due- visto che non posso utilizzare la rampa realizzata per le sedie a rotelle e i passeggini. Il genio che l'ha progettata ci ha messo un bel dissuasore in mezzo per evitare che venga usata a sproposito: peccato che il dissuasore non è mobile, ma in cemento, quindi non ci si passa neppure con la sedia a rotelle di Barbie. Buttare via i soldi dei condomini: lo stai facendo bene, mio caro costruttore di rampe per carrozzine. 
Appena davanti il cancello esterno del mio palazzo c'è una grata e le stampelle ci si incastrano dentro, visto che i buchi sono troppo larghi. 
I marciapiedi davanti casa mia -zona bene di Roma, ci tengo a precisarlo- sono dissestati: le radici degli alberi li hanno distrutti completamente, sono quasi tutti sollevati e pieni di crepe e io faccio una fatica incredibile per fare due metri e rischio comunque di rompermi l'osso del collo.
Lo stesso vale per tutti i marciapiedi che ho incontrato nel mio cammino di stampellante e, a dire il vero, lo sapevo già prima che erano ridotti così, ma non avevo le stampelle e non mi rendevo conto.
Adesso so perché quel simpatico signore che gira in sedie a rotelle qui intorno sta in mezzo la strada e non usufruisce del marciapiede. 
Le macchine sono accavallate l'una sull'altra e quindi fatico anche a trovare un posto per scendere dal marciapiede, visto che ho bisogno di spazio per zompettare allegra con le stampelle (che con mio sommo rammarico non sono rosa) e tenere contemporaneamente una gamba tesa senza poggiarla a terra che altrimenti mi casca. Effettivamente, proprio a cinque metri dal portone del mio palazzo ci sarebbe uno scivolo per disabili, in corrispondenza delle strisce pedonali, ma ci sono sempre le macchine parcheggiate davanti, quindi non posso usarlo.
Non sono neppure riuscita ad utilizzare un paio di bagni dei bar perché non riesco a salire e scendere le scale a chiocciola che già non mi piacciono normalmente, figuriamoci con le stampelle e il gesso.
Io prima o poi le stampelle non le avrò più, prima o poi tornerò a camminare sulle mie gambe, anche se mai come adesso la strada mi sembra tortuosa e in salita, ma c'è qualcuno che sulle proprie gambe non ci camminerà mai.

Le difficoltà a spostarmi posso sopportarle. Posso sopportare anche le impetuose scalinate che non riesco ad affrontare. Le difficoltà a capire invece le tollero meno. 
Io non chiedo nulla, esco pochissimo per i motivi di cui sopra, aspetto paziente che qualcuno mi dia una mano a lavarmi e profumarmi, maledico il gesso ogni dieci minuti per fargli capire che non è ben accetto e deve trovare un'altra sistemazione quanto prima, scrivo, leggo e cerco persino di guardare la tv.  Ho sempre qualcuno che viene a trovarmi e a tenermi compagnia, anche se immagino di essere più rompicoglioni del solito. E' che ho amici educati che non me lo fanno notare quanto sono fastidiosa e molesta, probabilmente prima o poi mi presenteranno il conto e farebbero anche bene.
Sanno tutti che non mi posso muovere, i primi giorni l'auto era vietata anche per andare dal medico, piuttosto l'elisoccorso, solo che pare brutto chiamarlo per un ginocchio rotto.
Poi eh, non so se avete presente Roma. Io la amo, è la città più bella del mondo, ma oggettivamente muoversi in auto è un incubo. A parte che ci sono le buche e i sanpietrini che fanno fare bum budum al ginocchietto -e anche alle sospensioni della macchina, a dire il vero- ma il problema grande è il traffico. Provate ad attraversare la città ad ora di punta. No davvero, provateci. Tanti auguri, eh. 
Dopo quattro giorni di gesso mi arriva la richiesta di portare una cosa, ad ora di punta, dall'altra parte di Roma, con il temibile scoglio da attraversare, altro che Colonne d'Ercole. Sto parlando di Caracalla: provate a passare da lì alle otto di sera, provateci se avete il coraggio.
Avevo un'amica dalla quale andavamo spesso a cena, ma per arrivarci dovevamo passare da lì: le mandavo un messaggio quando partivo da casa e poi uno quando attraversavo Caracalla, dopo sei ore abbondanti. L'unica volta che non ho trovato traffico, mi sono commossa e ho rischiato di fare un incidente perché le lacrime mi offuscavano la vista.
Quindi, ricapitoliamo: richiesta a un'ingessata con divieto di salire in auto per evitare una serie di rischi che non sto ad elencare di portare un oggetto non di vitale importanza, ad ora di punta, dall'altra parte di Roma. La destinazione era, per altro, in ztl, quindi era necessario parcheggiare l'auto e farsi non so quanti km a piedi. Col gesso e le stampelle.
Ah, io non posso guidare, lo sottolineo perchè per qualcuno non è così chiaro, quindi ho necessità di un autista. Si, sempre lui: il povero Fidanzato. O al massimo, posso prendere un taxi.
Che poi, avrei potuto trovare qualcuno disposto a fare la traversata al posto mio, ma ditemi: chi, a ora di punta si fa tre ore di macchina nel traffico? O meglio, chi ha cuore di chiedere a qualcuno di farsi tre ore di traffico per una cosa non di vitale importanza?
La cosa divertente è che, al di là della richiesta folle, la persona che doveva occuparsi del ritiro non si è fatta trovare, non ha lasciato detto nulla a nessuno e da una ricerca, non risultava neppure essere lì.
Quando si dice l'empatia, eh.
Che poi io capisco che il ginocchio è il mio, ma fossi stata dall'altra parte, prima di chiedere ad una persona di rischiare di compromettere in modo serio le proprie condizioni di salute ci avrei pensato due volte. Anche tre, anche quattro.
Se per questo, qualcuno si è anche domandato come mai io non sia rimasta a Milano, da sola, senza potermi muovere neppure per andare in bagno, senza poter uscire per comprare le medicine o del cibo e senza assistenza sanitaria, visto che il mio medico di base è a Roma e l'ospedale che mi ha ingessata mi ha detto chiaramente che lì non mi avrebbero seguita in quanto straniera residente in altra regione.
Si, straniera perché non residente in Lombardia, ma nel Lazio.
Credo sia stato lì che io abbia capito che le barriere architettoniche mi fanno paura, ma non quanto quelle mentali perché se le prime si possono aggirare ed eliminare, le prime resteranno sempre. E mi fa paura.


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mercoledì 1 marzo 2017

Il rispetto della vita e della morte

Quando ero poco più che adolescente, una persona che ho amato e amo tuttora, nonostante non sia più qui, si è ammalata.
Una malattia brutta, cattiva. Ancora adesso, quando ci penso, ho i brividi.
A volte, ripensando a quella persona, mia nonna materna, mi viene da piangere. 
Mi chiedo se sapeva quanto l'amavo.
Mi chiedo cosa sarebbe successo se fosse stata ancora accanto a me, cosa avrebbe pensato dell'uomo che mi sta accanto. Mi chiedo cosa avrebbe provato il giorno della mia laurea.
Lei mi amava moltissimo, più della sua stessa vita, questo lo so. 
Io ero una ragazzina e non so se l'ho amata abbastanza, o meglio non so se lei lo sapeva quanto l'amavo.
Vado da lei quando posso, so che per molti è una cosa stupida, io invece vado lì, mi siede, chiacchiero, immagino le risposte e so che mi sente.
Non sono credente, ma è un modo per sentire vicina questa persona. E credetemi che, almeno per me, funziona.
A volte alzo gli occhi al cielo e le chiedo: "Ma tu che faresti in questa situazione?" e, in un modo o nell'altro, mi arriva la risposta.
Questa è una confessione molto intima, ma non è questo il punto.
Quando lei si è ammalata, mia madre le ha provate tutte. Qualsiasi cosa fosse possibile, lei l'ha provata. Anche qualcosa di impossibile, a dire il vero. Ha chiesto, ha girato, è andata ovunque. Ci ha provato. Non ci è riuscita. Ad un certo punto, ci siamo dovuti arrendere.
Lei era una bella donna, curatissima, piena di vita. Usciva, viaggiava, era piena di amiche. Era anche giovane: aveva 71 anni, ma ne dimostrava almeno dieci di meno.
Aveva un grande cruccio, quello di essere sopravvissuta al suo unico figlio maschio tanto amato e anche un po' viziato, ma aveva reagito. Era una donna con le palle.
Ha lottato, ci ha provato. Non ci è riuscita, la malattia l'ha annientata nel giro di pochissimo tempo.
Era lo scheletro di se stessa, magrissima, sofferente.
Io me la ricordo la morfina. Me la ricordo bene. E quando ci penso, mi scendono le lacrime.
Mi ricordo le trasfusioni di sangue, è stato lì che ho smesso di impressionarmi alla vista di quel liquido rosso che prima mi faceva cadere giù svenuta.
Mi ricordo una persona piena di vita che improvvisamente non si è più alzata dal letto.
Mi ricordo che per quattordici giorni non ha mangiato. Quattordici giorni senza mangiare.
Non si trovavano più neanche le vene in quei quattordici giorni.
Non c'era niente da fare, solo aspettare.
Soffriva lei -e tanto anche- e soffrivamo noi.
Non era una vita dignitosa, ammesso che vita si possa chiamare lo stare in un letto in quelle condizioni.
Non se lo meritava e non era quello che voleva.
Prima di questi quattordici giorni era stata un'escalation di sofferenze, la vita -intesa come qualcosa di bello- se n'era andata lentamente e quello schifo era culminato in quei quattordici giorni.
Lei capiva, sapeva. Soffriva e aspettava quello che stavamo aspettando tutti e che non sapevamo quando sarebbe arrivato.
Quattordici giorni non sono nulla, ci sono persone che soffrono molto più a lungo, ma quattordici giorni di sofferenza atroce agonizzando sono tantissimi per chi li vive.
I mesi precedenti erano stati tremendi. Una cosa orribile, me lo ricordo bene. Mi ricordo tutto quello che ha detto, mi ricordo bene anche questo.
Avevo diciassette anni e quando andavo a scuola la mattina avevo paura. Si, paura di non rivederla più quando sarei tornata a casa. E un giorno mi hanno chiamato e mi hanno detto che non l'avrei rivista.
Ai tempi, ero una ragazzina ve l'ho detto, pensavo fosse ingiusto che avesse avuto una fine così tremenda.
A trenta abbondanti vi dico che non è passato un giorno in cui non abbia pensato che avrei dato la mia vita per la sua, anche se non avrebbe accettato.
E visto che non avrebbe mai  accettato la mia di vita in cambio della sua, avrei dato qualsiasi cosa  perché se ne andasse un po'  prima, in modo dignitoso. 


Vorrei che quei quattordici giorni non fossero mai esistiti. Vorrei che non fossero esistiti nemmeno i cinque mesi precedenti.
Vorrei che tutti vivessimo e morissimo dignitosamente. Tutti.
Vorrei che ci fosse rispetto della vita. E anche della morte.

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venerdì 27 gennaio 2017

Giornata della memoria: si può anche restare in silenzio

La mia professoressa di lettere delle scuole medie aveva un'ottava di seno. 
Che entrassero prima le sue tette e poi il resto è la cosa che ricordo meglio di lei.
Era cattiva, una stronza fotonica direbbero gli adolescenti di oggi, ma -a ripensarci adesso- sapeva il fatto suo.
Quando voleva insegnarci qualcosa che andava oltre il programma ministeriale, prenotava la sala cinema della scuola che altro non era che un'aula un po' più grande delle altre con un televisore fissato al muro e un videoregistratore. Le videocassette le portava da casa, credo le affittasse, ma non saprei dirlo con certezza.
La sala cinema si poteva affittare per un massimo di due ore consecutive. Il primo film che ci fece vedere fu Forrest Gump, voleva farci sapere che, qualche decennio prima era esistita una cosa chiamata guerra del Vietnam ed effettivamente riuscì a suscitare la nostra curiosità, considerato anche che le due ore di sala cinema non bastarono per vederlo tutto e fu necessario tornare a distanza di qualche giorno per vedere il resto. L'attesa ci trasformò in ragazzini curiosi che facevano domande su questa guerra e lei soddisfece volentieri la nostra curiosità.
A distanza di anni, ricordo benissimo Forrest Gump, ma se posso evito di vederlo ancora. 
Ad un certo punto, ci disse che aveva prenotato la sala cinema per farci vedere un film di Steven Spielberg e per noi piccoli fan di Jurassik Park e E.T. fu una notizia meravigliosa. 
Immaginavamo extraterrestri e dinosauri e da bravi undicenni eravamo felicissimi.
Chiese il permesso ai genitori per farci vedere questo film. Il motivo l'ho capito dopo anni.
Per i bambini della tv e del cinema a colori, un film in bianco e nero fu una delusione incredibile, non capimmo. 
"Perchè questo film inizia in bianco e nero?"
"Forse il colore arriva dopo".
E in effetti, il colore prima o poi arriva, prepotente e quasi fastidioso. Pesante per gli occhi e per la mente.
Era Schindler's list.


Mi ricordo la scena in cui una donna ai lavori forzati, dentro un campo di concentramento, da un suggerimento per svolgere al meglio un lavoro. Era un architetto.
La fecero uccidere con un colpo di pistola, salvo poi dare ordine di fare come aveva detto lei.
Ricordo ogni scena, ogni singola scena di quel film. Ogni dialogo, ogni parola. Ogni fotogramma.
Nessuno fece domande. Lei non disse nulla, aspettava -credo- una reazione da parte nostra che non è mai arrivata.
Non l'ho mai più rivisto e non intendo rivederlo. Eppure da sempre è tra i miei film del cuore.
Mio padre che si ricorda qualcosa della guerra anche se era solo un bambino, quel film non ha mai voluto vederlo.
Uno zio, dalla parte di mia mamma, era stato in campo di concentramento ed era tornato a casa a piedi. Magro magro, praticamente uno scheletro, e con i pidocchi. Sua madre non lo riconobbe.
Non ha mai fatto parola di quello che aveva visto lì, se si parlava dell'argomento cambiava stanza e se in tv trovava un film o un documentario sulla questione, cambiava canale. Nessuno ha mai saputo nulla.
Mi hanno spiegato la storia in questo modo, con un film e con qualche racconto. Qualcosa l'ho imparata dai libri di storia, ma poco.
Non ho mai fatto domande io che sono curiosa come una scimmia.
Ci sono cose che non vanno chieste, ci sono cose che si capiscono e basta.
Ci sono cose di cui non è necessario discutere. Si può anche restare in silenzio.



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lunedì 5 dicembre 2016

Quella cosa chiamata democrazia

Una sera di Novembre del 2011, io e Fidanzato eravamo in macchina di ritorno dall'aeroporto di Ciampino. Avevamo trascorso quattro giorni a Parigi, lui non c'era mai stato, io innumerevoli volte e con perfetto tempismo, gli avevo regalato questo viaggio.
Ai tempi lavoravamo insieme, lui quel giorno era a casa di riposo, io invece ero a lavoro. Era l'11 Ottobre, le 11 del mattino. Ero andata dal capo -si chiamava Simone- e gli avevo chiesto ferie per me e per lui. "Però non gli dire niente, eh, voglio fargli una sorpresa".
Simone aveva tanti difetti, ma da questo punto di vista era un complice perfetto.
Avevo fatto i biglietti aerei, prenotato l'hotel e aspettavo le 19.30 per tornare a casa e dargli il suo regalo.
Alle 11.30, Fidanzato mi aveva telefonato: "Vieni a casa di mia madre"
"Che è successo?"
"E' morto mio padre"
E io mi ero sentita una merda.
Ero arrivata a casa di sua madre prima di lui, lo aspettavo con un nodo in gola e gliel'ho detto subito:" Ti ho preso i biglietti per Parigi un'ora fa, scusa".
A Parigi poi ci eravamo andati comunque e quindi quella sera di Novembre, eravamo in macchina di ritorno dall'aeroporto di Ciampino.
Ai tempi, nessuno di noi due aveva uno Smartphone, avevamo staccato da tutto e da tutti e ci eravamo goduti la nostra vacanza.
Avevamo acceso la radio mentre tornavamo a casa ed avevamo scoperto che il governo Berlusconi era caduto e non avevamo più un presidente del consiglio. Quello che è venuto dopo quelle dimissioni, ce lo ricordiamo tutti.

Ieri sera, ho guardato gli exit poll del referendum, non ce l'ho fatta ad aspettare il risultato definitivo, ero stanca.
"Vediamo domani che succede". Oggi è quel domani.
Stamattina mi sono svegliata alle 7, ho preparato la colazione e sono tornata a letto con la mia tazza e il mio cellulare, l'ho acceso e ho scoperto che il NO aveva vinto e che Renzi si era dimesso.
Ho guardato il video del suo discorso e mi è piaciuto quello che ha detto.
Io non parlo mai di politica, ma dovete sapere che Renzi non mi ha mai fatto troppa simpatia, ma tant'è.
E ammetto anche che ero convinta che non si sarebbe dimesso davvero, invece l'ha fatto e io ho apprezzato la coerenza. Sul serio, eh.
Ho molto apprezzato anche gli italiani che sono andati a votare che detta così, pare una minchiata, ma considerato il grande astensionismo degli ultimi anni, mi sembra comunque un grande risultato. 
Quasi il 70% degli aventi diritto, come dicono in tv, si è recato alle urne e ha espresso la propria preferenza. Tanta roba, eh.
Io a votare ci sono andata a ora di pranzo, anche se faccio una gran fatica a reggermi in piedi, ho fatto la fila e credetemi, la fila non la facevo da quando accompagnavo mia nonna a votare e avevo dieci anni.
Un signore è venuto a votare con il suo bulldog inglese che provava a leccare tutti i presenti. 
Ho scambiato due chiacchiere con una signora, in fila come me, che avrà pensato che fossi una pigra o un'ottantenne travestita da balda giovinotta, visto che ho dovuto aspettare seduta su una sedia onde evitare di collassare.
Comunque, dopo aver ascoltato il discorso di Renzi che mi è piaciuto (l'ho già detto, vero?), mi sono caduti gli occhi su tanti, troppi post di Facebook che mi hanno pure fatto passare la simpatia per l'ex sindaco di Firenze ed ora anche ex premier. Una vita da ex, insomma.
Chi ha votato NO, sostiene che chi ha votato si sia un imbecille.
Chi ha votato SI, sostiene che chi ha votato no sia un cretino.
E  sono stata gentile, eh, perchè ho letto di peggio, molto peggio, ma io sono una signorina educata e non ripeterò gli improperi letti, non su queste pagine almeno.
La verità è che se avessimo tutti la stessa opinione, non ci sarebbe bisogno di votare.
Saremmo tutti una massa di automi, programmati per pensarla uguale su tutto.
Io ho letto le ragioni del si e quelle del no prima di votare.
Ho letto la Costituzione e le modifiche che volevano fare, che noi avremo pure la Costituzione più bella del mondo, ma non so voi, io non l'ho mai letta tutta. 
Cioè, non è che sul comodino tengo la Costituzione italiana e leggo un articolo a sera. 
In questa casa, ci siamo confrontati, alla fine abbiamo votato la stessa cosa. O almeno così pare che sai mai che il Fidanzato sia un franco tiratore e ha detto di votare una cosa e poi ne ha votata un'altra. Non lo saprò mai, mi sa.
E poi chissà, magari il suo voto l'hanno cancellato gli immigrati assunti a nero per cancellare i voti e per poi spedire le gomme utilizzate all'estero, per fare sparire le tracce. 
Insomma, io non sono convinta che chi ha votato diversamente da me sia un cretino, credo solo che abbia un'opinione differente dalla mia, valida quanto la mia.
Non m'interessa granchè di come ci sia arrivato ognuno degli aventi diritto al voto (oh come mi piace citare la televisione) a quell'idea e quella scelta di voto.
Mi interessa che si possa ancora scegliere democraticamente, che si possa ancora andare alle urne e dare il proprio contributo ad una decisione che potrebbe cambiare le sorti della propria città o del proprio paese o di quello che è, a seconda del tipo di elezione.
Mi interessa che ognuno di noi possa esprimere la propria idea, nel segreto dell'urna.
Quando ho compiuto 18 anni era Aprile. A Giugno di quello stesso anno, siamo stati chiamati al voto, non mi ricordo nemmeno più per cosa, ma ricordo benissimo l'emozione della mia prima tessera elettorale che ho ancora conservata a casa dei miei genitori.


Mi ricordo che mi sono sentita importante.
Mi sono sentita grande.
 La stessa sensazione l'ho provata solo quando ho preso la patente, ad Ottobre di quello stesso anno.
Potevo votare e guidare, ero ufficialmente adulta. O almeno così mi sembrava allora.
"Quindi il mio parere conta" avevo pensato con la mia tessera elettorale nuova di zecca tra le mani. Ero anche un pò emozionata perchè, grazie a quelle elezioni, avevo rimesso piede nella mia scuola elementare, ero andata a vedere la mia classe e mi era scesa la lacrimuccia. 
Che poi, adesso, se ripenso a quella me diciottenne penso ad una cretinetta, eh.
Eppure, mi piace la democrazia, mi piace pensare che tutti possano votare ed esprimere un parere, anche una cretinetta diciottenne come ero io dodici anni fa.

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giovedì 27 ottobre 2016

Il mio primo terremoto

Volevo scrivere questo post, poi non lo volevo più scrivere, poi ci ho ripensato, ho cambiato idea di nuovo e, insomma, alla fine lo scrivo, ma lo faccio più per me che per voi.
Quello di ieri è stato il mio primo terremoto.
Io sono siciliana, la Sicilia è sismica -molto sismica- ma nei miei ricordi c'è solo una scossetta che mi svegliò da ragazzina, avrò avuto 13 o 14 anni. Mi svegliò, io mi agitai pensando ai mostri che erano venuti per rapirmi durante la notte e, constatato che non c'era nessun cattivone, mi rimisi a dormire.
Ieri invece ho avuto paura.
Eravamo appena rientrati a casa, io stavo sul divano, Fidanzato in bagno.
Ho sentito ondeggiare il divano e, sapete, il mio divano è nuovissimo. Ce lo hanno consegnato poco tempo fa, dopo mesi di attesa, perché quello che avevamo acquistato i primi dell'anno, uguale a questo, si era rivelato difettoso. In pratica, saltavano i piedini e si rischiava di trovarsi per terra dopo un ondeggiamento.
Io ero già arrabbiata, pensavo già alla mail di reclamo che avrei mandato al mobilificio:" Ma come? Ho aspettato mesi per la sostituzione e voi mi date un altro divano fallato?"
Solo che poi non era solo il divano ad ondeggiare, ma anche il muro. E sinceramente non ho pensato di mandare una mail di reclamo al costruttore del palazzo.
Piuttosto, essendo una persona pacata e ragionevole, ho iniziato a strillare per attirare l'attenzione del mio amato Fidanzato che nel frattempo aveva pensato che l'acqua calda gli aveva fatto girare la testa ed era per quello che ondeggiava tutto.
Mi sono spaventata. Moltissimo.
Passata la scossa, abbiamo acceso la tv, la signorina di SkyTg24 ne sapeva meno di noi, quindi ho deciso di chiamare mia madre: "Mamma, se dovessi accendere la tv e sentire le notizie, volevo dirti che noi stiamo bene, solo un po' impauriti".  E' evidente che quando distribuivano la capacità di dire nel modo giusto le cose, io ero in fila per le tette.
Nel mio palazzo sembrava di stare ad una festa: luci accese ovunque, gente che parlava con altra gente (si lo so, sembra normale, ma dove abito io sono tutti troppo snob per parlare con gli altri, quindi normale non lo è).
Io ho pensato:" Adesso ne arriva un'altra", ho preparato le nostre scarpe e il guinzaglio del quadrupede vicino la porta e ho aspettato. Non è arrivato nulla.
"va beh, dai, sarà passato, cerchiamo di capire se ha fatto danni".
Non so da voi, ma qui prima le notizie parlavano di nessun danno a persone o cose, poi nel corso della serata ci sono state novità un pò diverse. 
E poi è arrivata: la scossa più forte e più lunga. 
Io non so se è che abitiamo al settimo piano, che il nostro palazzo è vicino al fiume, su una roccia, su quello che vi pare. Ho qualche nozione di scienze della terra riguardo i terremoti, ma francamente non è che in quel momento me ne fregasse granchè.
Si, mi sono spaventata. E a poco è servito che mi dicessero che tanto a Roma non succede nulla perchè siamo lontani dall'epicentro.
Mi si stringeva il cuore vedendo le immagini di persone anziane dei paesi maggiormente colpiti, così come avevo paura di sentire un'altra scossa io stessa.
Siamo andati a letto ad un certo punto e io mi sono addormentata subito, finchè il botto di del mio porta collane da parete che cadeva a terra non mi ha svegliata. Immaginate un porta collane che pesa anche un bel po', a cui sono attaccate una quarantina di collane almeno, che cade per terra in piena notte. Sentivamo ondeggiare, ma molto piano e non abbiamo capito se era un'altra scossa o una coincidenza pazzesca. Sta attaccato al muro da anni quel porta collane e non è mai caduto.
"Amore, il nostro primo terremoto"
"Speriamo anche l'ultimo".


Un ringraziamento a tutte quelle persone che, sapendo quanto sono paurosa, hanno perso cinque minuti del loro tempo per chiedermi come stavo, se avevo sentito la scossa, se mi ero spaventata.
Grazie, davvero. 
Sono una persona orribile, ma mi fa sempre piacere avere qualcuno che si preoccupa per me.
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mercoledì 21 settembre 2016

We Want Roma 2024? Ah no, sarà per un'altra volta.

L'antefatto:
Durante le vacanze, sono andata in libreria con mia madre.
La commessa, palermitana, voleva convincermi dell'efficienza
dei mezzi pubblici romani, asserendo con convinzione
che per spostarsi dalla fermata Spagna a quella Flaminio
ci metteva poco tempo.
"Mai visti mezzi pubblici così efficienti".
Se non conoscete la metro A di Roma, controllate su una
qualsiasi mappa la distanza tra le suddette fermate.
Che poi, se prendi la metro per andare da Spagna a Flaminio e
non cammini per Via del Corso o Via del Babbuino, sei pure stronza.

Il fatto:
Oggi abbiamo detto NO alla candidatura di Roma per le Olimpiadi del 2024.

Tutto il resto:
Io sono una sportiva -col il cuore, non con il fisico- e non vi dico quanto desideravo le Olimpiadi casalinghe.
Ho promesso -e manterrò la promessa- ad una persona che per me è speciale che qualora si qualificasse per quelle di Tokyo del 2020, volerò fino a lì per vederla. Sto cominciando a mettere  i soldi da parte perché -me lo sento, oltre a sperarlo con tutto il cuore- ce la farà.
Le Olimpiadi sono qualcosa di magico. Se sono disposta a volare fino a laggiù -e io temo i viaggi lunghi in aereo- figuratevi quanto possa desiderarle a casa mia queste benedette Olimpiadi.
Si, perché Roma è casa mia. 
Sono passati anni da quando mi sono trasferita qui, ormai la considero casa. 
Ed é la città più bella del mondo, non osate contraddirmi su questo.
Ha un centro storico che levatevi proprio, nessuno ne avrà mai uno così bello.
È magica. E' nata grande e grande ha dà resta.
Non sono certa che Antonello Venditti si riferisse alla città quando cantava queste parole, ma facciamo finta sia così.
Però, c'é un però.
A Roma non abbiamo la metro, la commessa della libreria mentiva. O meglio, non abbiamo la metro come dovrebbe essere per una città di queste dimensioni.
Non abbiamo neppure gli autobus. O meglio, qualche linea l'abbiamo, con una frequenza davvero entusiasmante: un autobus ogni mezzora se va bene. 
Provate a fare uno spostamento di 10 km -che per Roma sono pochissimi- con i mezzi. Vi auguro di farcela senza intoppi e nei tempi previsti.
Vi auguro di essere più forti di me che, qualche giorno fa, ho rinunciato e me la sono fatta a piedi.
Non abbiamo le strade. O meglio, le abbiamo, ma hanno le buche -é che qui ci piace la roba ariosa, il Colosseo insegna-e si allagano quando piove. O, nella peggiore delle ipotesi, si aprono i crateri.
Abbiamo l'immondizia -come tutti immagino- e non sempre ce la ritirano. E non vi dico quanto paghiamo di tassa rifiuti perché mi parte l'embolo ogni volta che ci penso.
Iniziamo le cose e non le finiamo, vedi lo Stadio del Nuoto, la nuvola di Fuksas, l'acquario e la Metro C. Ah no, scusate, quattro fermate della Metro C sono state completate: se volete, potete fare avanti avanti e indietro perché non sono collegate con un'altra linea, però va beh, che sarà mai?



Quando finiamo le cose, poi le abbandoniamo, vedi Stadio Flaminio, o le distruggiamo, vedi velodromo.
Gli uffici funzionano male, io vi auguro di non dover avere mai a che fare con la burocrazia qui.
E quindi, alla luce di ciò, ci credo che si sono fatti la cacca addosso pensando di fare le Olimpiadi a Roma. 
Lo avrei fatto anche io probabilmente.
Però credetemi quando vi dico che è la città più bella del mondo. 
Io spero che prima o poi cambi tutto, che oltre ad essere la città più bella, diventi anche la più funzionale del mondo.
E allora ciao, tutte le altre città potete chiuderle e le Olimpiadi le facciamo noi ogni quattro anni.
E comunque, abbiamo un acquedotto da paura, ce lo invidiano tutti. 
Ma meglio che non vi dica quando e in quanto tempo è stato costruito perché se è vero che si può solo migliorare, pensando all'acquedotto non ne sono poi così sicura.


Se vi state chiedendo se sento la necessità di dire la mia su ogni cosa, la risposta credo proprio sia si. È che io, da grande, voglio fare Selvaggia Lucarelli.
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domenica 18 settembre 2016

Io non ho ucciso nessuno

Cari tutti/e,
si mi rivolgo a voi che continuate a gridare che quella ragazza che si è suicidata in seguito alla diffusione di alcuni video porno di cui era la protagonista l'hanno uccisa gli italiani, vorrei dirvi due parole.
Scusate se vi sembrerò insensibile, vi assicuro che non lo sono, ma ecco ci tengo proprio a dirvi che io questa povera ragazza non l'ho uccisa manco per niente.
Anzi, fino a cinque giorni fa, non sapevo proprio chi fosse.
Oh sì, le ho viste anche io in giro parole a caso con l'h finale, a dire il vero le ho anche usate. Parole a caso, forevah è la prima che mi viene in mente.
Sinceramente, pensavo che traessero origine da quel ruspah che leggo un po' ovunque per perculare Salvini, quello della Lega. Di associare l'h finale ad una parola casuale ad un video porno amatoriale non mi sarebbe mai venuto in mente.
Sul mio cellulare, il video di questa ragazza non è mai arrivato.
Non l'ho neppure mai visto su Facebook, condiviso da qualcuno.
Evidentemente, sono circondata da persone con un po' di sale in zucca che non passano il loro tempo a diffondere materiale pornografico a caso, del quale probabilmente non conoscono neppure l'origine.
Non ho troppa dimestichezza neppure con YouPorn. L'ultima volta che ho visto l'home page di questo sito è stato quando ho detto ad un collega che sosteneva la tesi che i luoghi di lavoro sono quelli in cui si accede più spesso a questi siti: "Eh va beh, ma guarda che i siti porno sono bloccati sul pc del lavoro" e tutta convinta ho digitato l'indirizzo. Non era bloccato. E l'abbiamo richiuso subito, già ci vedevamo licenziati.
Forse sarò bigotta, che vi devo dire, ma i filmini porno amatoriali non mi interessano granché, sono dell'idea che sia più interessante farle certe cose che non guardarle fare agli altri.
Quindi, ecco, non posso aver ucciso io una persona che non sapevo manco chi fosse.
Che poi, eh, quando ovunque ho letto di questo suicidio, sono andata a cercare chi diamine fosse, onde evitare di essere sempre quella che non sa mai nulla.
Ho letto che aveva ottenuto il diritto all'oblio e questo mi perplime perché ovunque io vedo articoli che la riguardano. Ne sto scrivendo uno anche io a dire il vero.
Solo che, scusate, io il fermo immagine del video porno incriminato non lo pubblico. Manco la foto di sta ragazza pubblico a dire il vero. E manco il suo nome.
Sto scrivendo solo per dire che, ecco, mi sono un po' stufata di rientrare nel gruppo di italiani assassini.


Mi dispiace, certo, per una ragazza che non c'è più. Dio solo sa quanta fragilità si nasconde dietro un suicidio e quanto dolore ha provato chi ha deciso di farla finita e quanto ne prova ancora chi invece è rimasto a piangere una sorella, una figlia, un'amica.
Sono anche un po' stufa di leggere che tutti facciamo video porno e, se non lo ammettiamo, siamo frustrati.
A me non piacciono granché i video porno, preferisco pensare ad altro durante l'amplesso, ma ecco: non è che mi disturbi particolarmente chi li fa. Diciamo pure che non me ne frega un tubo di chi si riprende in quei momenti. Ognuno facesse come gli pare, non mi metto ad indagare nella vita sessuale di amici, parenti e sconosciuti.
Quindi, ecco, tutto questo per dire che sì, mi dispiace enormemente, ma non mi sento responsabile. 
Scusate, eh.

Nb. Il nome della ragazza non compare volutamente nel post: io non contribuirò alla diffusione di questo nome sul web.
Non che faccia la differenza, visti i migliaia di articoli che vengono scritti ogni giorno al riguardo per aggiornarci sulla vicenda alla faccia di sto benedetto diritto all'oblio, ma questo è.
Commentate, scrivete quello che volete, ma evitiamo di dare articoli in pasto ai motori di ricerca quindi il nome evitatelo pure, tanto sappiamo tutti - compresa io che non conoscevo la storia - di cosa stiamo parlando.
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domenica 28 agosto 2016

Se la terra trema

Sono in vacanza da ormai un mese.
Non facevo una vacanza così lunga dall'estate del diploma, nel 2004.
In Sicilia, dove sono, il terremoto non è arrivato, l'ho scoperto la mattina alle 8 quando ho guardato il cellulare e ho trovato decine e decine di messaggi.
Se fossi stata a casa mia, probabilmente l'avrei sentito perchè così è stato per tutti quelli che abitano nei dintorni.
L'unica volta che ho sentito la terra tremare, in piena notte, avevo sedici anni. 
Credo che il terremoto sia una delle cose più spaventose che esistano: la terra trema e sei sopraffatto dalla paura.
Conosciamo qualcuno che era lì, nei pressi di Amatrice, la notte del terremoto, ma sta bene. Sotto choc, ma sta bene.
Altri non sono stati più fortunati.
C'è gente che scava da giorni. La speranza di trovare qualcuno ancora vivo diventa sempre più flebile, ma ci si prova lo stesso.
C'è altra gente che cura chi si è salvato, anche se le ferite dell'anima probabilmente saranno difficili da curare. Il tempo lenisce ogni dolore, dicono.
C'è chi si occupa dei bambini, alcuni sono rimasti soli e io non credo ci sia qualcosa di più brutto che restare soli al mondo.
C'è chi prepara da mangiare, chi si occupa delle tende.
L'Italia si è mobilitata in fretta, come sempre in questi casi.
Chi ha potuto ha dato una mano, chi non ha potuto non va colpevolizzato. Ognuno fa quel che può.

Qualcuno ha detto "armiamoci e partiamo", ma non è una buona idea.
Una come me, ad esempio, ad Amatrice o ad Accumuli non andrebbe a fare nulla, darebbe solo fastidio.
Non sono un'infermiera, nè un medico.
Non sono un vigile del fuoco, nè faccio parte della Protezione Civile, nè della Croce Rossa.
Sarei d'intralcio. Occuperei un posto letto di cui qualcuno ha più bisogno, non potrei nemmeno sbucciare un frutto ad un bambino perchè la frutta non posso toccarla.
Come me, ce ne sono tante di persone che probabilmente sarebbero d'intralcio.

Qualcun altro ha detto "organizzo una raccolta di vestiti o di giocattoli".
La protezione civile è satura di cose, le organizzazioni spontanee sono tanto belle, quanto probabilmente inutili. 
Ogni paese, ogni tendopoli, ogni sopravvissuto ha delle esigenze che probabilmente noi comuni mortali non comprendiamo.
Ci sono i canali ufficiali, basta chiamare chi di competenza e chiedere se serve qualcosa o se magari servirà qualcosa tra qualche tempo.
Non si può passare per portare coperte o cibo, le strade sono aperte solo per chi è del mestiere.
Ed è giusto così.

L'emergenza sangue sembra essere rientrata, ma di sangue c'è bisogno sempre.
Il sangue si conserva solo per un periodo limitato -circa 40 giorni- dopo viene buttato, quindi anche questa è una cosa che va fatta con intelligenza.

Amatrice - Orologio fermo all'ora della prima scossa
Il problema non è oggi, il problema per chi sotto le macerie ha perso tutto ci sarà anche domani.
Arriverà l'autunno, poi l'inverno e ci sarà gente che avrà ancora bisogno di tutti noi.
I comuni colpiti avranno bisogno di ripartire, proveranno a farlo e io spero che ci riescano. Me lo auguro. 
Non sarà facile, come non lo è mai in questi casi.
Non so cosa voglia dire perdere tutto, non posso capire davvero.
Però, davvero, non dimentichiamo domani quello che è successo, non dimentichiamo queste persone.


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sabato 16 luglio 2016

Foto dei morti, pornografia del dolore e insensibilità

L'ultima settimana è stata quello che è stata
Due treni si sono scontrati in Puglia: 23 morti, parecchi feriti. Corpi incastrati tra le lamiere, l'inferno.
Un folle ha ben pensato di andare addosso alla gente con un camion e di sparare a caso sulla Promenade des Anglais, a Nizza: 84 morti, di cui molti bambini. Molti dispersi, famiglie disperate.
Colpo di stato in Turchia: oltre 200 morti, non so quanti feriti. Le conseguenze del colpo di stato -che, per la cronaca, non è riuscito- le scopriremo prossimamente. Ho comunque la sensazione che i morti aumenteranno, ma spero di sbagliarmi.


Intanto, migliaia di civili uccisi nelle varie guerre sparse per il mondo, omicidi vari (che non mancano mai), incidenti stradali (anche quelli non mancano mai), bambini che muoiono di fame, seviziati, torturati. Anziani picchiati. Donne stuprate.
Se vogliamo completare il simpatico quadretto del mondo in cui viviamo, ogni giorno migliaia di animali torturati e uccisi. 
No, vi prego, non partite con la manfrina del non si paragonano animali e persone perché, se continuate a leggere, capirete il senso.
A me questo mondo piace poco ultimamente. A volte ho paura e non mi vergogno a dirlo.
Ho paura di uscire di casa e non tornarci mai più, ma la mia vita deve andare avanti, non posso chiudermi in casa.
Siamo una famiglia normale noi: apprendiamo le notizie e spesso restiamo sgomenti, le commentiamo, cerchiamo risposte che puntualmente non troviamo. Non restiamo impassibili. MAI.
Sarei ipocrita nel dire, però, che alcune notizie non mi toccano più di altre.
Le immagini di SkyTg24 del colpo di stato in Turchia mi hanno agitata moltissimo: ho un amico a Istanbul, un carissimo amico e ho cercato di mettermi in contatto con lui. Fino a quando non mi ha risposto, dicendomi che stava bene, la mia ansia è aumentata in modo esponenziale. Alla fine, era lui che tranquillizzava me, dicendomi che lì queste cose succedono.
Quando ho sentito di Nizza -ero in macchina con degli amici- ho pensato ad un'altra amica e al suo ragazzo che fino a qualche mese fa vivevano lì e che probabilmente erano sconvolti. E difatti, lo erano.
Potrei andare avanti ad oltranza, ma non è questo il punto. Non è una questione di morti di serie A e di serie B.

Un morto è un morto. Per ogni singola persona che muore, il mio cuore si stringe.
Penso alla famiglia, agli amici, a quello che quella persona non potrà fare o vedere. Penso ad un sacco di cose. A volte, mi mancano le parole e io non resto mai senza parole. Eppure, in questi casi, succede.
Probabilmente, il cuore si stringerebbe di più se a morire fosse un mio parente o un mio amico, non posso e non voglio negare che sia così. Più mi sei vicino, più probabilmente soffrirò.
Non giudico il valore che ognuno da alla vita, siamo tutti diversi, qualcuno forse più sensibile, qualcun altro più cinico. Non so cosa passa nella mente di ognuno di noi quando sente di queste stragi, di tutti questi morti.
Quello che so è che  non ho bisogno di mostrare empatia nei confronti dei morti ammazzati pubblicando foto di bambini morti.
Non ho neanche bisogno di pubblicare foto di corpi martoriati dalle lamiere di un treno distrutto, di volti insanguinati o tumefatti. 
Non ho bisogno di dimostrare quanto amo gli animali, pubblicando foto di cani torturati e uccisi.
Non ho neanche bisogno di gridare al mondo che un morto è stato considerato più morto di un altro morto (si, ho usato tre volte la parola morto, nel caso in cui non si capisse di cosa stiamo parlando) perché vive nella parte giusta del mondo. Io, per esempio, non lo so mica qual'è la parte giusta del mondo.
Non ho bisogno di farmi vedere disperata attraverso l'uso smodato di immagini che dovrebbero restare private per rispetto di chi non c'è più, ma anche di chi a chi non c'è più era davvero legato e probabilmente ha più diritto di me di veder preservato il proprio dolore. 
Sono in età fertile da un po' ormai, a morire in un attentato potrebbe essere un mio eventuale figlio e che qualcuno dia l'immagine del suo cadavere in pasto ai media e all'opinione pubblica, mi farebbe salire il crimine. Mi farebbe male, aggiungerebbe dolore al dolore e poi mi farebbe salire il crimine se vogliamo essere precisi.
E se io non ho bisogno di condividere immagini di morti per stare a posto con la mia coscienza, rispetto voi che lo fate, ma non voglio sentirmi dire che sono insensibile e che non do il giusto peso alle cose.
Il giusto peso, per me, non è la pornografia del dolore, come l'ha definita qualcuno.
Non mi sento una persona migliore nel vedere un bimbo squartato.
Non mi sento una persona migliore nel mostrare agli altri un bimbo squartato.
Rispettate questo, così come io rispetto -a fatica- il voyeurismo che tanto vi piace.

Qualcuno ha detto che le foto dei morti, meglio se martoriati, scuotono le persone. L'ho chiesto ad una persona.
Mi ha risposto che la scuotono al punto che quasi quasi cambia divano.
Era una battuta chiaramente, un modo per sdrammatizzare quel mondo che, per stare in pace con se stesso, ha bisogno di queste immagini per sentirsi vivo.
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domenica 5 giugno 2016

Il voto della domenica

Quando ero bambina, andavo a votare con mia nonna: mi facevano entrare con lei ed ero io a mettere la crocetta.
Ai tempi, si facevano file chilometriche per poter esercitare il proprio diritto al voto, in pratica l'intera giornata era occupata dal voto, visto che non tutta la famiglia votava nella stessa scuola.
Ho un ricordo meraviglioso di un referendum con ben dodici schede, mia nonna si era segnata su un foglietto cosa votare perché erano davvero troppe le preferenze che bisognava dare e aveva paura di dimenticarsene. Le dodici crocette le avevo messe io su sua indicazione, anzi su indicazione del foglietto che poi probabilmente si era auto distrutto.
Ad un certo punto, il presidente del seggio decise che ero troppo grande per entrare con la nonna, avrò avuto dodici anni e di conseguenza l'unica cosa da fare fu aspettare i diciotto anni.
Un'altra cosa bella delle elezioni, quando ero piccola, era che la mia scuola elementare era seggio elettorale, quindi avevamo le vacanze elettorali, la scuola si chiudeva il venerdì e riapriva il martedì e io, già a quei tempi, non amavo particolarmente svegliarmi presto per poi stare cinque ore seduta su un banco ad ascoltare le maestre.
Ho compiuto diciotto anni nell'Aprile 2004, a Maggio ho ricevuto la tessera elettorale a casa e i primi di Giugno ho votato per la prima volta. 
Il 2004 era l'anno in cui il Palermo tornò in Serie A dopo 33 anni di assenza, tutti amavano Zamparini che all'epoca non aveva ancora l'abitudine di esonerare allenatori come se non esistesse un domani, quindi tutti i palermitani andavano dicendo in giro che avrebbero votato per lui che, ovviamente, non era nemmeno candidato. 
Non ricordo per cosa si votasse in quella occasione, né tanto meno per chi ho votato io, ma ricordo che ero abbastanza eccitata all'idea di entrare dopo tanti anni nella mia vecchia scuola elementare e che provai ad andare in pellegrinaggio nella mia vecchia aula, ma me lo impedirono perché si votava nelle aule al primo piano e l'aula in questione era invece al secondo. La mia prima grande delusione da elettrice.
Ricordo che quando andai via da Palermo sfruttavo le elezioni come occasioni per tornare a casa a spese dello Stato, viaggiando nei carri bestiame altresì chiamati treni notte che dalla terraferma portavano, in sole venti ore abbondanti senza tenere conto delle cinque ore standard di ritardo, in Sicilia. L'unica condizione per viaggiare quasi gratis era portarsi dietro la tessera elettorale timbrata al ritorno.
Che fine abbia fatto la mia tessera elettorale palermitana non ne ho idea, immagino mia madre l'abbia conservata, visto che a me buttava tutto quello che mettevo da parte nel mio periodo da accumulatrice seriale, ma lei tiene una quantità di carta inutile in casa che manco negli archivi di Stato.


E comunque: a me l'idea di andare a votare la domenica è sempre piaciuta. 
Il lunedì mattina non è la stessa cosa.
Ho sempre avuto un'immagine delle elezioni un tantino fuori moda con la famiglia felice che si sveglia presto, fa colazione al bar, poi va a messa, va a votare (a piedi, sia chiaro) e infine torna a casa a pranzo per mangiare lasagne o anelletti al forno, arrosto o salsiccia (rigorosamente con il finocchietto, altrimenti che salsiccia è?) con le patate e poi dolci come se non esistesse un domani. Nel pomeriggio, tutti a seguire davanti la tv -rigorosamente sulla Rai- l'andamento delle elezioni.
Io la domenica non mi sono mai alzata presto se non costretta, non vado a messa e, a casa mia (quella che condivido con il Fidanzato, sia mai che mia madre abbia una crisi isterica leggendo) non credo sia mai stato fatto un pranzo della domenica. Non guardiamo neppure la Rai se per questo.
La verità è che stamattina mi sono svegliata alle 11, ma solo perché dovevo guardare le finali degli Europei di ginnastica artistica, ho atteso mezzogiorno, ho portato il caffè a letto al fidanzato, mi sono messa addosso le prime cose che ho trovato, abbiamo guinzagliato il cane e siamo andati a votare.
Il cane dentro l'urna non l'hanno fatto entrare, un po' come fecero con me a dodici anni quando mi impedirono di entrare con mia nonna. La storia, insomma, si ripete.
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lunedì 23 maggio 2016

23 Maggio 1992: chiedimi chi era Falcone

Il 23 Maggio 1992 avevo sei anni.
Sei anni e un mese esatto, a voler essere precisi. Ho dei ricordi nitidi di quel periodo: la fine della primina, l' esame per passare in seconda elementare (o fare la prima), il mese di Giugno passato al mio vecchio asilo. A casa mia lavoravano tutti: madre, padre e anche la nonna, quindi da qualche parte bisognava pur lasciarmi.
Del 23 Maggio 1992 non ho ricordi.
Così come ricordo nitidamente la strage di Via D'Amelio, non ho alcun ricordo di quella di Capaci.
Mia madre racconta che eravamo all' ippodromo, si avvicinò un ragazzo di nome Manfredi e le disse:"Signora Ezia, ha sentito cosa è successo a Capaci? Dicono che potrebbe essere Falcone".
Era Falcone. E mia madre non si chiama Ezia: si chiama Enza, mentre mio padre si chiama Ezio, ma forse per pigrizia, la chiamavano Ezia.
Non esistevano gli smartphone, non c' erano neanche i cellulari a dire il vero, ma le notizie arrivavano comunque. Confuse, magari non precise, modificate dall' effetto telefono senza fili.
Davanti l' albero di Falcone -in Via Notarbartolo, a ridosso del portone di casa sua- ci sono passata tante volte in macchina, in motorino, ma mai a piedi. 
Dieci anni dopo, il 23 Maggio 2002, in una calda mattinata, ero all' aula bunker del carcere Ucciardone di Palermo. Avevo sedici anni, andai con la scuola, quella stessa scuola che a distanza di anni dal mio diploma ha preso il nome di un altro morto ammazzato dalla mafia.
Per entrare dentro un carcere bisogna sottoporsi a controlli, perquisizioni. I documenti da presentare sono tanti. E noi eravamo anche minorenni, ma era normale: a noi, bambini degli anni novanta, le stragi di mafia ce le hanno raccontate, qualcosa ricordiamo, ci sono entrate dentro. Non ce l'ha chiesto nessuno se eravamo pronti a capire che cosa è la mafia, forse non si è mai pronti.
No, mi spiace, non è uguale se siete stati bambini negli anni novanta, ma siete nati a Brescia o a Firenze. Non per quanto riguarda le stragi di mafia almeno.


La mia compagna di banco del liceo, grande amica ancora oggi, era appena passata di là, in macchina con la sua famiglia. Un minuto dopo, il tritolo era padrone di quel pezzo di A29.
Lei se lo ricorda bene, benissimo ed è più grande di me di soli sei mesi.
Poi è successo che è morto anche Borsellino: lui lo sapeva che sarebbe morto. Ed infatti, è morto.
Da quel momento, tutto a Palermo è stato intitolato a loro due: l'aeroporto senza nome è diventato l' aeroporto Falcone e Borsellino, ma l'abitudine è dura a morire e non conosco nessuno che lo chiami così perchè per tutti i palermitani è rimasto l'aeroporto Puntaraisi dal luogo in cui si trova.
C'era anche Villa Garibaldi che all' improvviso è diventata Villa Borsellino, nonostante ci sia un' enorme statua di Garibaldi a cavallo.
Io sono convinta che rinominando luoghi, molti vogliano pulire la loro coscienza.
Sapete -e non lo dico io- Falcone lo avevano lasciato solo. Quando avevano provato a farlo fuori, nella sua casa al mare, era stato detto che il tritolo se lo era messo da solo, per farsi pubblicità. No, non sto scherzando.
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martedì 29 marzo 2016

Satana

Ieri sera guardavamo un documentario su un caso italiano di cronaca nera, non avevo visto il titolo.
Sembrava un delitto passionale di come -purtroppo- ce ne sono tanti, non solo in Italia: lui, lei, l'ex che viene attirata in casa con una trappola, l'amico che viene chiamato in piena notte aiuto, abbiamo fatto un casino che finisce la vittima a badilate. Il cadavere -che ancora cadavere non era- che viene seppellito nella serra della casa dove si è consumato l'omicidio. Li sgamano subito. Lei parla, dal letto di ospedale dove è ricoverata per un'overdose, partono le indagini.
Un padre che legge sul giornale la notizia e si presenta davanti agli inquirenti per dire che sei anni prima è scomparso il figlio, insieme ad un'amica. Viene fuori il peggio.
Mentre ascolto, mi viene spontaneo dire: "Ma sono le Bestie di Satana?"
La voce over -sembra quasi mi abbia sentito- che un secondo dopo la mia domanda, dice: "Sono le Bestie di Satana".
Me la ricordo questa brutta storia, me la ricordo dai tg, non ero poi così piccola, avevo diciotto anni quando è saltata fuori. Non ero mai stata a Milano ai tempi, adesso Milano la conosco: sento nomi familiari: Corsico, il lungonaviglio, Porta Romana, Cimiano dove andava a scuola il capo di questa setta e dove io ho lavorato per sette lunghi mesi.
Non me la ricordavo bene la storia, sono passati più di dieci anni e, ai tempi, non facevo poi così attenzione ai casi di cronaca. E' tremenda, è una delle peggiori storie mai accadute, ho visto quello che le bestie avevano dichiarato ai microfoni di Chi l'ha visto? quando i due ragazzi erano spariti, mi sono venuti i brividi. Hanno vissuto beati per sei anni, finchè non si sono fatto scoprire.
Se non fosse morta la ragazza, se uno di loro non le avesse sparato in faccia, forse non sarebbe mai venuto fuori nulla.
Stamattina mi sono svegliata, ho cercato qualcosa sulla questione, io sono fatta così, cerco sempre di approfondire.
È una delle poche storie di cronaca nera del Bel Paese dove tutti sono ancora in carcere, pare che per un paio di loro abbiano buttato via la chiave, persino lei -quella dell'inizio della storia- che di fatto non ha sparato a nessuno, ma ha le sue colpe -eccome se ne ha- è in carcere, dove resterà per altri tredici anni. 
Ma non è questo. Anche se mi vengono i brividi a scriverne, anche se -come ha detto il sostituto procuratore intervistato nel documentario- piacerebbe pensare che queste persone appartengono a un'altra specie, ma invece sono esseri umani come noi, non è davvero questo quello di cui voglio parlare.


C'è il padre, quello grazie al qual'è venuta fuori tutta questa storia ed è lui che mi ha colpita.
Questo padre si chiama Michele Tollis, è il papà di Fabio, un ragazzino di sedici anni che una sera di Gennaio del 1998 ha telefonato a casa dicendo che sarebbe rimasto a dormire a casa di un'amica.
Il padre esce di casa, corre nel locale dove sa essere il figlio, c'è qualcosa che non lo convince in quella telefonata, ma non lo trova. Lo stavano ammazzando e buttando dentro una fossa in mezzo ai boschi in quel momento, cosa che lui scoprirà dopo anni.
Questo padre -intervistato nel documentario- ha iniziato a cercare il figlio. Tutti i giorni. Tutte le sere.
Ha iniziato ad ascoltare quella musica metal  che tanto piaceva al figlio, si è vestito come lui, ha girato per locali chiedendo in giro notizie, gli hanno pure detto di smetterla di farlo se no finiva male, ma lui imperterrito ha continuato.
Quando ha sentito che quello che all'epoca era un amico -o presunto tale- del figlio aveva ammazzato una ragazza, è andato alla polizia a raccontare tutto quello che aveva scoperto in quei sei anni, a raccontare le sue sensazioni.
Il sostituto procuratore l'ha definito un racconto lunghissimo e complicatissimo.
L'assassino ha confessato, ha detto dove erano il corpo di Fabio e di Chiara, l'altra ragazza.
Michele Tollis è andato di persona a vedere quello che restava del figlio, ancora in quella buca, insieme alla moglie e alla figlia. Dai filmati originali dei Ris, si vede lui che arriva, sposta quei fili che mettono per delimitare un'area quando ci sono delle indagini in corso -quelli bianchi e rossi che, perdonatemi, non so come si chiamano- e poi guarda dentro quell'enorme fossa.
Da un altro filmato, si vede sempre lui, Michele, che fuori dal tribunale dove era in corso il processo, cerca di sedare una lite tra il padre di una delle bestie e il padre di una delle vittime. 
Sempre lì, Michele, che non si è arreso, ha cercato il figlio, ha cercato in tutti i modi di scoprire la verità e ce l'ha fatta.
Una volta -tempo fa- mi dissero che quando hai un figlio e questo scompare, preferisci trovarlo anche morto perché non sapere che fine ha fatto è infinitamente peggio. Non so se èvero, mi auguro di non scoprirlo mai.
Questo papà è un padre con le palle. Quadre. Fumanti.

Signor Tollis, ha la mia stima. Per non essersi arreso, per avere cercato -e trovato- la verità.
Lei non leggerà mai queste mie parole, lo so. Ma ci tenevo a metterle nero su bianco perché la sua persona -quello che ha fatto- mi ha colpita. 
So che questo non le darà indietro suo figlio e immagino che per un genitore sopravvivere al proprio figlio sia la peggiore delle tragedie.
Grazie.


A voi non vi perdonerà neanche Satana in persona perchè avete tradito anche lui
(Michele Tollis)


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giovedì 24 marzo 2016

La paura

Un altro attentato, questa volta a Bruxelles.
Mi chiedo se e quando toccherà a noi.
Vorrei non avere paura, ma sarei ipocrita. Ho il sacrosanto terrore che un giorno -potrebbe essere già domani- la prossima città europea coinvolta in un attentato del genere sia proprio Roma.
Ieri sera ho guardato Fidanzato e gli ho detto: "Vorrei che -se mai un giorno accadrà qui- entrambi fossimo a casa". Non che casa significhi essere al sicuro, ma vorrei che fossimo insieme. Sul divano.
Mi sconvolge quello che che sta accadendo. So che lo scopo di questi attentatori non è solo uccidere, ma anche generare paura: paura di vivere la propria vita quotidiana.
Le nostre vite sono sempre uguali: ci alziamo la mattina, portiamo fuori il cane, andiamo a lavoro, usciamo con gli amici, andiamo a cena fuori, al cinema o da qualche altra parte, facciamo una passeggiata.
Una vita normale, identica a quella di tante persone che sono morte, che sono rimaste ferite.
Uscire di casa e non rientrarci mai più scrivevo qualche mese fa, quando era stata la volta di Parigi.
E' questa la mia paura. Non rientrare a casa o non vederci rientrare qualcuno a cui voglio bene.

Si, lo so che ogni giorno nel mondo muoiono milioni di persone.
Ne sono perfettamente consapevole. E ogni giorno, ad ogni morto, mi si stringe il cuore.
Sono umana e il cuore mi si stringe di più quando a morire sono dei bambini. I bambini non dovrebbe toccarli nessuno. I bambini -che hanno una vita davanti- non dovrebbero morire, in nessuna circostanza.


Non sono ipocrita e ammetto che ho paura per la mia di vita che non vale più di quella di nessun'altra persona al mondo, ma è la mia. E ho paura anche per quella delle persone a cui voglio bene.
Se un giorno toccherà a Roma, io spero di non esserci.
Spero che la mia vita non venga stravolta.
Penso a tutte quelle persone a cui voglio bene che ogni giorno prendono la metro, vanno in centro, sono in quei posti che sono considerati sensibili.
Penso ai miei genitori che morirebbero di infarto solo ad apprendere di un attentato qui, nella città dove vive la loro bambina quasi trentenne, ma che per loro resta pur sempre una bambina.
So che la vita va avanti, che non dobbiamo avere paura, che non dobbiamo vivere nel terrore che domani possa succedere a noi.
So che bisogna continuare ad andare a lavoro, che bisogna continuare a prendere la metro, ad uscire, ma è impossibile non pensarci.
So che sono umana. E che questa è una debolezza, ma lasciatemela avere questa debolezza.
E lasciatemi sperare che non accada nulla. Tutto qui.


La foto del post è di Beata Lenkiewicz.
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