La quarantena é finita da ormai dieci giorni e sembra quasi che il coronavirus non sia mai esistito, almeno qui. L'unica cosa che me lo ricorda sono le mascherine e qualche sporadica fila al supermercato: fila che ormai non supera più i dieci minuti.
Ero convinta che la fine delle restrizioni avrebbe portato ad un aumento pazzesco dei contagi e ad una chiusura ancora più serrata, invece sbagliavo e spero -dico davvero- di continuare a sbagliarmi.
Sono andata dal parrucchiere e dall'estetista, ho preso appuntamento per tre tatuaggi, sono tornata in palestra, ho rivisto gli amici -anche se ancora ne manca qualcuno all'appello- e la vita ha ricominciato a scorrere più o meno come prima. Tra due giorni andrò per la prima volta a cena fuori e da lunedì tornerà praticamente tutto uguale a prima, con la differenza che quando ci eravamo fermati avevo addosso vestiti invernali e adesso ho quelli estivi. Ho anche qualche chilo in meno, ma era prevedibile, e un sacco di mascherine bellissime.
Una cosa che continuo a dire é che a me la quarantena non é pesata poi così tanto, per alcuni versi non mi é proprio dispiaciuta e a casa mia sono stata più che bene. E no, non ho una casa grande, prima che vi venga in mente di dirlo né tanto meno ho la piscina in terrazzo (anche se stavo pensando di comprarne una gonfiabile, ma questa é un'altra storia).
Ho programmato le vacanze, in Italia, anche se ho ancora il dubbio che non sarà possibile farle, ma diciamo che man mano si vedrà.
Non credo che da tutta questa storia ne siamo usciti migliorati, eh.
Ho visto, in questi due mesi, gente impazzire perché non poteva andare in metro. Giuro.
Sarà che io i mezzi pubblici li ho sempre odiati, ma la mancanza della metro non l'ho proprio capita. Capisco la mancanza degli amici, dei genitori, dei nonni, persino quella del cornetto e cappuccino al bar, ma non quella della metro.
Ho sentito tatuatori arrabbiarsi perché venivano considerati meno importanti dei medici e non era giusto.
Sono tatuata, non vedevo l'ora di poter fissare gli appuntamenti di cui sopra (uno in particolare, fuori regione), ma non ho capito il nesso tra le due professioni.
Ho letto complotti che in confronto le scie chimiche sembrano quasi una cosa plausibile.
Ho però provato un sentimento misto di compassione (lo so, la compassione non é una bella cosa) e solidarietà verso tutti quei liberi professionisti, quei proprietari di negozi e via dicendo che non potevano lavorare. Avevo il timore che qualche attività non riaprisse perché non tutti sarebbero stati in grado -e non per colpa loro- di superare questa chiusura forzata.
Sotto casa mia é solo una l'attività che non ha riaperto, le altre si e ogni volta che passo davanti quella saracinesca, sarà che conoscevo i proprietari -come credo sia normale nel proprio quartiere- mi prende un po' male. Erano un padre e un figlio che avevano aperto da relativamente poco, mi sono chiesta che fine avessero fatto, ma non ho avuto il coraggio di chiedere ai negozianti intorno.
Ho ricominciato a fermarmi a fare due chiacchiere con i negozianti qui intorno quando passo, per due mesi ho salutato solo i ragazzi della pizzeria, praticamente gli unici che erano aperti, anche se solo per il domicilio prima e per l'asporto poi.
Non mi convince del tutto il fatto che c'è davvero tanta gente, io non credo di avere mai visto così tanta gente in questo quartiere, al parco sotto casa non si può proprio camminare e sono anni che abito qui, se fosse stato sempre così probabilmente me ne sarei accorta.
Questi due mesi e mezzo di lockdown a me hanno portato bene, ho ricevuto solo buone notizie, dalle più piccole alle più grandi. Una in particolare, ricevuta il giorno del mio compleanno, mi ha praticamente svoltato la quarantena e un pochino anche la vita, ma ce ne sono state altre che mi hanno resa particolarmente felice e, insomma, io l'ho sempre detto che il karma esiste e, in effetti, non si é smentito neanche stavolta.
Mio padre mi ha raccontato per tutta una vita le cose che io studiavo sui libri di storia, il mio nove in storia a scuola e il trenta all'esame di storia contemporanea all'università li devo in buona parte a lui.
Mi raccontava il dopoguerra, gli anni del boom economico e un sacco di altre cose e -devo dire- che un conto é leggere le cose sui libri di storia, un altro é sentirle raccontare da chi se le ricorda.
Mi sono chiesta spesso cosa avrebbe detto mio padre del coronavirus, del lockdown e via dicendo, ma mi sono anche detta che un giorno magari racconterò io queste cose ai miei figli come lui faceva con me. Che forse questo é un pensiero stupido, ma é stato davvero il pensiero più ricorrente di questi due mesi e mezzo.