La mia professoressa di lettere delle scuole medie aveva un'ottava di seno.
Che entrassero prima le sue tette e poi il resto è la cosa che ricordo meglio di lei.
Era cattiva, una stronza fotonica direbbero gli adolescenti di oggi, ma -a ripensarci adesso- sapeva il fatto suo.
Quando voleva insegnarci qualcosa che andava oltre il programma ministeriale, prenotava la sala cinema della scuola che altro non era che un'aula un po' più grande delle altre con un televisore fissato al muro e un videoregistratore. Le videocassette le portava da casa, credo le affittasse, ma non saprei dirlo con certezza.
La sala cinema si poteva affittare per un massimo di due ore consecutive. Il primo film che ci fece vedere fu Forrest Gump, voleva farci sapere che, qualche decennio prima era esistita una cosa chiamata guerra del Vietnam ed effettivamente riuscì a suscitare la nostra curiosità, considerato anche che le due ore di sala cinema non bastarono per vederlo tutto e fu necessario tornare a distanza di qualche giorno per vedere il resto. L'attesa ci trasformò in ragazzini curiosi che facevano domande su questa guerra e lei soddisfece volentieri la nostra curiosità.
A distanza di anni, ricordo benissimo Forrest Gump, ma se posso evito di vederlo ancora.
Ad un certo punto, ci disse che aveva prenotato la sala cinema per farci vedere un film di Steven Spielberg e per noi piccoli fan di Jurassik Park e E.T. fu una notizia meravigliosa.
Immaginavamo extraterrestri e dinosauri e da bravi undicenni eravamo felicissimi.
Chiese il permesso ai genitori per farci vedere questo film. Il motivo l'ho capito dopo anni.
Per i bambini della tv e del cinema a colori, un film in bianco e nero fu una delusione incredibile, non capimmo.
"Perchè questo film inizia in bianco e nero?"
"Forse il colore arriva dopo".
E in effetti, il colore prima o poi arriva, prepotente e quasi fastidioso. Pesante per gli occhi e per la mente.
Era Schindler's list.
Mi ricordo la scena in cui una donna ai lavori forzati, dentro un campo di concentramento, da un suggerimento per svolgere al meglio un lavoro. Era un architetto.
Mi ricordo la scena in cui una donna ai lavori forzati, dentro un campo di concentramento, da un suggerimento per svolgere al meglio un lavoro. Era un architetto.
La fecero uccidere con un colpo di pistola, salvo poi dare ordine di fare come aveva detto lei.
Ricordo ogni scena, ogni singola scena di quel film. Ogni dialogo, ogni parola. Ogni fotogramma.
Nessuno fece domande. Lei non disse nulla, aspettava -credo- una reazione da parte nostra che non è mai arrivata.
Non l'ho mai più rivisto e non intendo rivederlo. Eppure da sempre è tra i miei film del cuore.
Mio padre che si ricorda qualcosa della guerra anche se era solo un bambino, quel film non ha mai voluto vederlo.
Uno zio, dalla parte di mia mamma, era stato in campo di concentramento ed era tornato a casa a piedi. Magro magro, praticamente uno scheletro, e con i pidocchi. Sua madre non lo riconobbe.
Non ha mai fatto parola di quello che aveva visto lì, se si parlava dell'argomento cambiava stanza e se in tv trovava un film o un documentario sulla questione, cambiava canale. Nessuno ha mai saputo nulla.
Mi hanno spiegato la storia in questo modo, con un film e con qualche racconto. Qualcosa l'ho imparata dai libri di storia, ma poco.
Non ho mai fatto domande io che sono curiosa come una scimmia.
Ci sono cose che non vanno chieste, ci sono cose che si capiscono e basta.
Ci sono cose di cui non è necessario discutere. Si può anche restare in silenzio.
Sono d'accordo; e non parlo solo di questo episodio storico.
RispondiEliminaMa anche delle piccole cose della nostra vita.
Cambiando discorso, immagino lo shock della classe... da Spielberg ci si aspetta sempre qualcosa di magico, e poi ti arriva questa mazzata.
Io lo vidi una sera, frequentavo il ginnasio, il giorno dopo se ne parlò in classe...
Moz-
Eravamo bambini, non ce lo aspettavamo in effetti.
EliminaPer altro, dopo poco la prof. rincarò la dose con "Il colore viola" (altro capolavoro).
Fu comunque molto istruttivo, ma me ne sono resa conto da poco.
La vita è bella l'ho visto per la prima volta alle elementari, ho pianto molto alla fine. Me l'ha fatto vedere la maestra delle elementari, mentre Schindler's list l'ho visto alle superiori. Entrambi i film non ho nessuna intenzione di rivederli, preferisco ascoltare le interviste ai sopravvissuti.
RispondiEliminaIo vidi "La vita è bella"val cinema, sempre alle medie. Dopo così tanti anni, non saprei ancora dire cosa ne penso.
EliminaLe interviste le ho viste/sentite anche io, mi fanno venire i brividi.
Questo giorno, tutto quello che leggo a riguardo mi fa star male, mi riempie gli occhi di lacrime. Eppure insisto e non voglio girarmi dall'altro lato.
RispondiEliminaRicordo quando ci fecero vedere il film a scuola.
È giusto non girarsi dall' altro lato, anche se a volte ci vuole fegato :)
EliminaCerti argomenti forti trattati a scuola ti rimangono dentro anche se non ci pensi più. Fanno parte del nostro modo di pensare e agire. Ti scavano dentro. Si è quel che si è anche per quei testi,poesie, canzoni e film proposti dagli insegnanti.
RispondiEliminaVero. Quello che si studia a scuola, soprattutto se non sotto forma di pagine da studiare su un libro, resta impresso nella mente in modo particolare.
EliminaDa insegnante di francese , dal momento in cui l'ho visto io per la prima volta, ho sempre proposto ai miei studenti, chiaramente in originale, un film francese "Train de vie". Fatto in chiave allegorica si arriva alla fine che ti chiedi è la realtà o un sogno collettivo. Comunque lascia l'amaro in bocca, fa pensare tanto e non me ne voglia chi ama Benigni, l'idea , secondo me, l'ha presa per La vita è bella, da questo film.
RispondiEliminaTrain de Vie io non l'ho visto o almeno non lo ricordo :(
EliminaUno dei capolavori sul tema...crudo da morire ma che ti resta impresso nel cuore. L'ho visto parecchie volte...l'ho adorato per quanto triste e come un pugno nello stomaco...da qualche tempo però sarà cambiata la mia sensibilità m non riesco più a vederlo...
RispondiEliminaSecondo me è il miglior film sul tema (e ne ho visti tanti), ma è "duro" da morire.
EliminaMio Papà aveva un numero tatuato sul braccio. Lo salvarono gli americani. Si era salvato perché lo presero quasi a fine guerra; aveva 15 anni. Non parlava mai di quel periodo, noi non chiedemmo mai e penso non chiese neppure mamma. Una sola volta ci disse una cosa che non scorderò mai: " Non provo odio per quei soldati era la guerra. Mi domando però, come abbia potuto la gente, girare la faccia e tacere quando ci portavano via come bestie"
RispondiEliminaIn passato, in alcune discussioni, è capitato di chiedersi come mai la gente non intervenisse o proprio si girasse dall'altra parte.. l'unica spiegazione plausibile è che avesse paura di qualcosa o quanto meno io non ne trovo un'altra...
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