mercoledì 28 dicembre 2016

E infine la TAC

[Disclaimer: non leggete questo post se non avete letto questo e quest'altro altrimenti non capite un tubo].

Alla fine, ho fatto la TAC. Che ecco, io non ci volevo andare da sola a farla, ma hanno pensato bene di anticiparmi l'appuntamento facendo saltare l'accompagnamento da parte di Fidanzato.
C'erano tante signore carine in sala d'aspetto che cercavano di rincuorarmi che tanto non è niente, mentre il reparto era ancora chiuso perché avevano si anticipato gli appuntamenti, ma li avevano inseriti durante l'ora di pausa causa festa di Natale.
"Attività sospese dalle 13 alle 14" recitava il cartello. Alle 14.05 un donnone enorme -e quando dico enorme, fidatevi che era enorme- ha sfondato la porta e fatto presente che erano le 14.05, buttando all'aria pandori e panettoni e facendo tornare sulla retta via il personale medico intento a gozzovigliare.
Ecco, lì ho pensato che forse era il caso di darsi alla fuga, ma un infermiere mi ha recuperata tirandomi per l'orecchio e portandomi dentro la stanza delle TAC.


"Togli collane, piercing, jeans"
Tolgo collana, piercing e jeans.
"Metti il grembiule che pesa 96 kg"
Metto il grembiule che pesa 96 kg che non ho manco capito a cosa servisse visto che poi hanno dovuto toglierlo.
"Infermiere, ma se c'è qualcosa di brutto me lo dite subito?"
"Si, adesso sdraiati e stai tranquilla"
Non che fossi troppo felice di vedermi passare un tubo addosso.
"Trattieni il respiro, adesso respira, ora smetti di respirare".
Poi ho visto, attraverso un vetro, medici raggrupparsi intorno ad un monitor. E lì mi è preso lo sconforto.
"Non si vede bene, ci vuole ancora un pò"
"Cosa non si vede bene?"
"Chiamate il medico"
"Ma che succede?"
"Niente, adesso è tutto finito, puoi rivestirti"
"Scusate, ma c'è qualcosa?"
"Hanno visto una massa"
MASSA. M-A-S-S-A. MASSA.
Che io non so voi, io sarò anche ipocondriaca, ma a me l'infermiere che mi dice che hanno visto una massa e hanno sentito il bisogno di chiamare altri medici non è che mi ha fatto sentire troppo bene.
"Scusate, ma mi dite cosa c'è?"
"Devi attendere che guardano bene tutte le immagini, potrebbe essere una massa tumorale".
Sono uscita piangendo disperata, ma una disperazione che credetemi io non ve la so spiegare.
Ho chiamato mia madre e le ho detto: "Mamma, ti prego venite a Roma a Natale, magari è l'ultimo Natale che possiamo passare insieme"
E mia madre -col cuore in gola- ha chiamato la clinica, hanno cazziato l'infermiere e si sono fatti spiegare da lei tutta la mia storia clinica che io gli avevo già spiegato, ma forse non avevano capito. O forse sono io che non mi so spiegare.
Con Lui ho fatto finta di niente, ma dopo sei anni insieme, mi sa che un pochino mi conosce.
"Hai la voce strana" e io sono scoppiata a piangere e ho riferito.
Per tutto il giorno la parola massa ha risuonato nella mia testa e infine Lui si è inventato una soluzione.
Sapete, io sono l'eterna indecisa.
Chiedetemi cosa voglio mangiare a cena e vi dirò che non lo so. Datemi due alternative e vi dirò che ci devo pensare e quando, dopo tre ore, me lo richiederete io vi chiederò se posso avere un pò di entrambe le cose, che tanto ancora non ho deciso. Faccio così con un sacco di cose.
Lui questo lo sa. "Visto che stai morendo, fai una lista di quello che ti vuoi portare nella tomba" e mi ha dato un post-it giallo e una penna.
Gina, la borsa Louis Vitton che tanto ho voluto e che tratto come una figlia.
Arabella, la mia mucca di peluche che ho da sempre e che ho dovuto riportare a casa dei miei perchè Fuffi ha provato ad ucciderla.
Il vestito nero di paillettes, quello da Drag Queen che resta il mio vestito preferito di sempre anche se non lo metto più perchè è troppo corto.
L'orologio, che io senza il mio orologio -lo stesso Sector da 14 anni- sono incapace di fare qualsiasi cosa.
Gli occhiali sia da sole che da vista.
Un barattolo di Nutella, sai mai.
"Amore, ma non ti puoi portare tutta questa roba"
"Io non posso scegliere. E comunque non ho finito"
Fuffi, che io senza Fuffi come faccio?
"Fuffi non lo puoi portare"
Sono passate ore. Ore a fare questa lista e, quando ho finito, alla massa non ci pensavo più.
Sono passati i giorni, le ore, i minuti. E nessuno ha chiamato.
Poi abbiamo chiamato noi.
"Signora, se era una massa e c'era il sospetto di un tumore, l'avremmo chiamata di corsa" hanno detto a mia madre.
Queste parole sono arrivate lo stesso giorno di altre parole di cui avevo parlato qui
È passato Natale, abbiamo ritirato il referto che è stato visto dal medico. 

Pare che sopravviverò. Pare che debba solo curarmi, ma che in fondo non morirò a breve.
Un problema seccante, doloroso, lungo, ma non è una massa tumorale.

E io vi chiedo scusa, chiedo scusa a chi sta molto più male di me ed è un leone perché io sono stata una pecora. Ho avuto paura.
Ho sentito la parola massa e ho smesso di ragionare.
E adesso non parliamone più, adesso non c'è più niente da aggiungere. 
Ho l'ascendente in leone e sono incline al melodramma, non è colpa mia. Però una decina di persona le ho fatte ridere quando ho raccontato della lista che ho scritto.
Rideteci su anche voi che domani inizia una nuova avventura e tocca essere belli carichi.


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martedì 27 dicembre 2016

Il circo delle domande

Ogni anno, per anni, mia nonna mi ha portato al circo il 26 Dicembre.
Io aspettavo quel giorno con impazienza, mi piaceva il circo e, adesso lo so, mia nonna faceva un sacrificio per portarmici perchè i biglietti non li regalavano di certo. E mia nonna non credo avesse uno stipendio a chissà quanti zeri.
Si, mia nonna, classe 1932, nata in un paese delle Madonie, ha sempre lavorato. Lo so che state guardando increduli lo schermo, ma i nonni che lavorano sono sempre esistiti e i miei -tutti e quattro- erano tra questi.
A Palermo il circo arrivava a Natale, lo collocavano in un piazzale vicino lo stadio, dove durante l'anno c'era un accampamento di rom.
A Natale i rom li spostavano per fare posto al circo, poi appena il circo se ne andava, tornavano lì. Non ci sono mai stati tanti rom a Palermo, quello è l'unico campo nomadi che ricordo, fatta eccezione per tre bambine che sostavano a qualsiasi ora del giorno davanti il Mc Donald's di Piazza Politeama.
Adesso quel campo nomadi non esiste più e in quel piazzale ci hanno fatto un parco verde con le panchine e i giochi per bambini, c'è sempre un sacco di gente che corre e fa sport.
Restano poche baracche dentro al Parco della Favorita di quel campo rom, ma comunque il circo lì non lo mettono più. 
Io comunque aspettavo il 26 Dicembre per andare al circo, andavamo al pomeriggio, mia madre ci accompagnava e poi tornava a riprenderci.
A cinque anni, ero convinta che il circo arrivasse ovunque a Natale e mi chiedevo come fosse possibile che fossero contemporaneamente in tante città. Ero già mezza sindacalista dentro e mi chiedevo anche come facessero a lavorare solo quelle tre settimane del periodo natalizio e a prendere lo stipendio tutto l'anno.
Ero bambina -era il periodo tra la fine degli anni '80 e i primi anni '90- e il circo era sempre pieno, se non ti sbrigavi a prendere i biglietti non trovavi posto. E noi non avremmo rinunciato al circo il 26 Dicembre per niente al mondo.
Mi piaceva il circo, mi piacevano gli animali, mi piaceva il leone che saltava dentro al cerchio e la tigre che si tirava su e faceva ciao ciao con la zampetta.


C'era anche l'elefante con il pennacchio. 
Mi piacevano da morire quelli che camminavano sospesi in aria che adesso so che si chiamano funamboli, ma ai tempi erano solo quelli che camminavano sospesi in aria.
Mi piacevano i trapezisti, un pò meno i clown, ma non mi hanno mai fatto paura. Solo che ecco, un tizio con il naso rosso e la parrucca verde non rientrava tra le cose più emozionanti della mia giornata al circo.
Un anno, organizzarono un gioco a premi per i bambini: bisognava andare lì e dirgli i nomi dei sette nani, chi li diceva tutti vinceva qualcosa, ma non ricordo cosa. Adesso voi penserete "e che ci vuole?", ma a cinque anni non è che era così scontato sapere a memoria i nomi dei sette nani.
Io comunque li sapevo -sono cresciuta a pane e cartoni animati Disney- eppure non fui la prima a dirli, quindi niente premio. Non si può vincere sempre.
Tra la fine degli anni '80 e l'inizio degli anni '90, il circo era semplicemente il circo.
Gli animali stavano al circo, nessuno si chiedeva se stessero bene o male, era normale trovare gli animali al circo. Oppure allo zoo. O, proprio come ultima spiaggia, nella savana. 
Solo che nella savana non ci si poteva andare il 26 Dicembre.
In quel periodo non c'erano i sit-in di protesta davanti al circo perchè gli animali non devono -giustamente- stare lì a saltare dentro un cerchio o a fare ciao ciao con la zampina, ma devono stare nel loro habitat naturale. 
A dire il vero, non c'erano nemmeno i vegetariani, figuriamoci i vegani, e le signore andavano in giro con la pelliccia che era segno di ricchezza. Il primo vegetariano che ho conosciuto era un mio compagno del liceo, però mangiava il tonno in scatola. 
A quei tempi era così. Non ci facevamo troppe domande.
Poi al circo io e la nonna non ci siamo più andate, non mi ricordo il motivo per cui abbiamo smesso, ma credo che improvvisamente io mi sia resa conto che forse non fosse tanto normale che un leone saltasse dentro ad un cerchio. Credo sia stato per Simba.
Nonna probabilmente certe cose le sapeva già, ma io ero la luce dei suoi occhi. E quei 26 Dicembre con lei restano comunque dei ricordi indelebili del suo amore per me.
L'anno scorso a Natale, sotto casa dei miei genitori è arrivato il circo. Ce ne siamo accorti perchè un giorno, all'improvviso, dal terrazzo abbiamo visto una giraffa.
Il suo recinto dava sulla strada -c'era solo un muretto basso basso a separarla da noi- e tutte le sere abbiamo portato Fuffi da questa giraffa. Lui poggiava le zampe sul muretto per arrivare alla sua altezza, senza mai riuscirci, e restava lì a fissarla.
Lei girava intorno e Fuffi la fissava. Poi una sera si è accorta di lui e il mio nano a pois scodinzolava.
Poi noi siamo tornati a Roma e per giorni ho chiesto a mia madre se era ancora lì. Un giorno, la giraffa se n'è andata e con lei tutto il circo.
E mi sono chiesta quando abbiamo iniziato a farci le domande che prima non ci facevamo.


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giovedì 22 dicembre 2016

Questo (santissimo e bellissimo) Natale

Stamattina alle 6.45 è suonata la sveglia. Le chiamano commissioni, io le chiamo rotture di palle.
"Vuoi che vengo con te?"
"No amore, ce la faccio". È vero, ce la faccio.
All'Agenzia delle Entrate non c'era nessuno, tra due giorni è Natale.
Tecnicamente, Natale è tra tre giorni. Per me, il 24 è già Natale.
Per la prima volta, sarà casa nostra ad ospitare i parenti. 
Sono sempre stata event manager del Natale a casa dei miei, ma questa è la nostra prima volta. Il primo Natale a casa nostra.
Mia madre, nel pacco che è arrivato qualche giorno fa, ci ha messo una tovaglia natalizia nuova di zecca, con un bel fiocchetto intorno. La nostra prima tovaglia da tavola natalizia.
Ho chiesto per giorni "cosa prepariamo?". Lui sceglie sempre le stesse cose, "Sono quelle che ti vengono meglio" mi dice. Non importa se io non mangerò granché, è Natale e io voglio cucinare per gli altri. 
Mi è sempre piaciuto cucinare ed è un pò che non lo faccio.
Ho fatto in fretta all'Agenzia delle Entrate. Sono tornata a casa e ho portato la colazione a letto ai due maschi di casa. Due biscotti a forma di osso al cane, caffè e cornetto al Fidanzato.
Abbiamo riportato delle cose a quelli che non mi avevano fatto superare il periodo di prova perchè ero stata in ospedale. "Scusate se non sono venuta prima".
"Vuoi farla adesso la spesa per Natale?"
"Si, devo prendere giusto un paio di cose"
Che poi non sono mai due cose, sono sempre di più. Adesso ho tutto, sia per la cena della Vigilia -quella a casa mia- sia per il pranzo di Natale, andremo dalla suocera e preparerò qualche antipasto e un dolce, magari portiamo anche una bottiglia di vino che a casa ne abbiamo tante, ma non le apriamo mai.
Non ci saranno i miei genitori, ma io so che sono sempre accanto a me.
Non ci sono regali sotto il nostro albero, non possiamo metterli perchè il cane pensa che un pacchetto con un fiocco sia in realtà un oggetto da squartare.
Ho chiesto tante cose a Babbo Natale quest' anno, ma ne desideravo davvero solo due.
La prima è stare bene, domani dovrebbe arrivare l'esito della tac. O forse il 27. Ce lo dicono domani mattina se è pronta o no, mi hanno fatto piangere quando me l'hanno fatta. E' da una settimana che sto molto meglio.
La seconda è più difficile da spiegare. Stavo male, ma ho affrontato una selezione per una posizione -si, nel mio amato settore broadcasting. Quattro colloqui: due in italiano, due in inglese. Un esame di logica matematica, un esame del quoziente intellettivo.
A volte piangevo per i dolori e nel frattempo dovevo studiare per prepararmi al meglio. Ho studiato l'inglese -erano anni che non parlavo in una lingua che non fosse la mia per più di sette secondi- e la matematica. Ho studiato logica che non so bene cosa voglia dire, ma mi si è aperto un mondo.
Ho studiato e mi sono sempre detta che non ce l'avrei fatta. 
In tutti questi anni, ho firmato contratti che poi sono scaduti, ho visto aziende chiudere sotto al mio naso e fare ciao ciao con la manina ai dipendenti, ho visto contratti a chiamata.
Ne ho parlato a lungo con un uomo di televisione che stimo. Credo che la stima sia reciproca. Credo che ci sia anche dell'affetto tra noi due.
È l'uomo di televisione di cui mi fido di più. Da anni, lui c'è.
Gli ho raccontato di questa selezione, di quello che mi avrebbero offerto.
Lui conosce l'azienda, io conosco lui. Avevo bisogno di un parere.
Mi ha detto che un'offerta così non dovevo lasciarmela scappare. E nel frattempo io stavo male. 
Poi la terapia ha iniziato a fare effetto, aspettiamo solo la tac. L'ho già detto, vero?
Ho una tovaglia da tavola natalizia, non ci sono regali sotto il mio albero e la terapia sta facendo effetto.
Ho la casa invasa da pandori e panettoni, torroni e torroncini, cioccolatini e biscotti natalizi.
C'è l'albero, ci sono lucine ovunque, c'è la nostra famiglia sotto forma di renne. Noi quattro, anche se questo sarà il secondo Natale in tre.


Ieri sotto il mio albero ci ho messo un contratto a tempo indeterminato. In Italia, nel 2016.
In Italia, nel 2016, quando il settore televisivo sta passando uno dei periodi più brutti della sua storia (no, non mi riferisco a quello che pensate voi).
Ieri è stato il giorno più bello della mia vita.
Mi hanno chiamata mentre raccoglievo la cacca del cane al parco. 
Ho chiamato i miei genitori, poi ho chiamato mia suocera, ho avvisato gli amici più stretti.
Ho aspettato che Fidanzato tornasse a casa, lui -solo lui- sa davvero quanto ho tribolato in questi quasi dieci anni di lavoro in televisione.
Mi ha detto di lasciare perdere la televisione, me l' ha detto tante volte. E io so che lo diceva per me.
Mi hanno detto che ci hanno visto la determinazione e l' amore per la televisione nei miei occhi. Dio solo sa quanto è vero.
Mi sono fatta un regalo di Natale bello quanto il mondo e l'ho fatto a chi mi vuole bene.
E poi ho scritto su Facebook: "Oggi è il giorno più bello della mia vita".
Lo so, lo so. Credevate fossi incinta, ma io sono un mostro che pensa alla carriera.
Ed è stato davvero il giorno più bello della mia vita. Il giorno in cui mi sono sentita davvero fiera di me che suonerà tanto megalomane, ma è la verità.
E ho capito che nulla accade per caso.


Buon Natale, davvero.
Buon Natale anche se mancano due giorni, che poi magari mi scordo di farvi gli auguri.

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mercoledì 21 dicembre 2016

Il sale della lavastoviglie (e della vita)

Mi hanno sempre affascinata le tavolette per la lavastoviglie.
In realtà, non so se si chiamano tavolette: sono quelle cose rettangolari di due colori con una sfera al centro.
Mi sono sempre incantata a guardarle queste tavolette, subisco il fascino della pubblicità e avrei voluto comprarmene due o tre pacchi per ammirarle nei momenti tristi.
Un po' come i bambini restano incantati a guardare, che ne so, le bolle di sapone, io resto incantata a guardare la sfera di queste tavolette.


In realtà, non le ho mai comprate e nessuno ha mai pensato di regalarmele. Giustamente chi volete che ci pensi che esistono persone affascinate da queste cose.
Ho scoperto qualche mese fa che esiste anche il sale per la lavastoviglie. Mi sono interrogata per capire se era il sale grosso o quello fino per poi scoprire che il sale da cucina -che io, per la cronaca, non metto da nessuna parte e tutti si lamentano che cucino sciapo- non c'entra nulla.
È proprio un sale fatto apposta.
Cercate di capirmi: io sono poraccia, la lavastoviglie non ce l'ho mai avuta e non mi sono nemmeno mai posta il problema, tanto ho la cucina piccola e i piatti non li lavo io comunque.
Fosse per me potrebbero rimanere lì fino a dotarsi di vita propria e andarsene da casa per protesta.
Comunque, ho scoperto dell'esistenza del sale per la lavastoviglie.
Succede che qualche tempo fa una mia amica -molto amica- chiude una storia importante, di mezzo c'è una casa che in realtà è sua, ma il lui della storia ci si installa finchè non si riesce a mandarlo via. 
Lui organizza il trasloco -fatto per lo più da valigie di vestiti- e lei riprende possesso della sua casa che sento un pò anche mia perchè io sono fatta così, quello che è mio è tuo, ma quello che è tuo è anche un pò mio, almeno affettivamente.
Insomma, lei riprende possesso della sua casa, si prepara la cena e poi mette i piatti sporchi nella lavastoviglie. Io ero eccitatissima per questa prima cena nella sua casa, manco fossi presente.
Va per prendere sto benedetto sale, che abbiamo capito essere importantissimo per far venire tutto pulito e brillante con la scintillina incorporata, e non trova la confezione.
Lei ammattisce perché era sicura di avercelo sto sale per la lavastoviglie e vuole, giustamente, lavare i piatti. Lei non è come me che aspetta che i piatti si stufino e cerchino una casa migliore in cui venire coccolati e lavati.
Viene poi fuori che la confezione aperta di sale per lavastoviglie, lui se l'è portata via, anche se nella sua nuova casa non sa che farsene perché era sua, l'aveva pagata lui e lo scontrino del supermercato lo dimostra.
Io non sono esperta, ma ho ipotizzato che sia una cosa che costi meno di 5€. Era aperta, quindi ha perso valore, un po' come le macchine che appena uscite dal concessionario, valgono già 2000€ di meno e tu non hai fatto nemmeno in tempo a fargli il primo pieno di benzina inaugurale.
A me sta storia del sale della lavastoviglie portato via perché "è mio e lo scontrino lo dimostra" mi ha fatto ammattire, tanto che è diventato un tormentone.
Roba che se qualcuno mi chiede come sto, io rispondo raccontando la storia del sale della lavastoviglie.
Che poi lei è buona, non come me che sono un mostro dentro e cercava di convincermi che in fondo il sale della lavastoviglie non era importante.
E certo che era importante. Glielo ripeto almeno una volta al giorno da mesi.
Ero quasi tentata di appendere uno striscione al mio terrazzo con scritto "Verità per il sale della lavastoviglie".
Alla fine, è diventata una barzelletta praticamente, nessuno ha preso sul serio il mio affetto per il sale scomparso. 
Il sale della lavastoviglie è diventato un pò il sale della vita, il metro di misura per capire quando una cosa è buona o è cattiva.
"Eh, ma questa è peggio del sale della lavastoviglie" oppure "No dai, questa è meglio, non si è arrivati a tanto".
Stamattina raccontavo delle cose a questa mia amica, noi passiamo le nostre giornate a raccontarci cosa ci succede -nel bene o nel male, soffriamo insieme e -per fortuna più spesso di quanto si creda- gioiamo insieme. Poi lei se ne esce con "Ma questa è peggio del sale della lavastoviglie" e io ho iniziato a ridere. Ma ridere di gusto. Lo scroscio (si dice così?) delle mie risate si poteva sentire fino al piano terra. E io abito al settimo, eh.

Ho pensato a questo ragazzo che si era appuntato di aver comprato una cosa così banale, così poi poteva ricordarsi di portarsela via.
Ho pensato a quante cose si fanno, solo per amore, per affetto, per piacere. E a quante invece se ne fanno solo per poterle rinfacciare al momento opportuno.
Insomma, aveva comprato il sale della lavastoviglie per farle un piacere o almeno così era sembrato, però poi c'era il prezzo da pagare. 
Lei è il sale della lavastoviglie se lo è ricomprato. Intanto continuiamo a chiederci cosa ha ottenuto lui portandosela via.
Il sale della lavastoviglie renderà anche brillanti piatti e bicchieri, ma rende arida la vita.
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domenica 18 dicembre 2016

Guida allo scellerato mondo dei blog, del blogging e dei blogger

Mettiamo che una mattina vi svegliaste con la malsana idea di aprire un blog.
O mettiamo che siate lettori assidui di blog altrui, ma non abbiate alcuna intenzione di mettere in piazza i fatti vostri.
O mettiamo che vi dia urto e fastidio quando in tv o sui giornali si parla di blogger come di miti, le cui idee debbano insinuarsi alla base delle vostre vite.
Ecco, mettiamo che rientriate in una di queste tre categorie o anche che non apparteniate a nessuna di esse, ma abbiate comunque voglia di saperne di più, vi racconto qualcosa sull'arte del blogging (che arte non é, ma fa più scena se scrivo così, no?).

Perché un blog?
Io l'ho aperto in un momento difficile della mia vita, dovevo impegnare il tempo che non passava e volevo distrarmi. Poi ho scoperto che qualcuno si divertiva leggendo le cagate quello che scrivevo e ho continuato. Amo questo blog profondamente perché è una mia creatura: io l'ho fatto, io lo cresco e io -eventualmente- potrei distruggerlo. Basta cliccare su rimuovi blog.

Come scegliere il nome di un blog?
Non può essere vero è la prima cosa che mi è venuta in mente in quel periodo difficile della mia vita, non è legato a niente in particolare, non sono costretta a scrivere solo ed esclusivamente di determinate cose se no vado fuori tema e posso dare sfogo alla mia fantasia che credetemi è tanta, tantissima.
Se aprite un blog e lo chiamate "cani belli" e poi vi mettete a parlare di come arredare una casa senza spendere una follia probabilmente penseranno che siete bipolari. E di cani belli non è che si possa parlare all'infinito.

Tutti possono aprire un blog? 
Si, tutti possono farlo.
Però, ecco, una ripassatina alla grammatica italiana prima di scrivere non farebbe male.
Lo stile nello scrivere è una cosa innata, non si impara da nessuna parte. L'uso del congiuntivo -checché ne dica l'Accademia della Crusca- bisogna conoscerlo.
Io ho un paio di persone che leggono i miei post e mi segnalano eventuali orrori ortografici o grammaticali (si, ne faccio anche io, pure se nei temi a scuola prendevo sempre 8).
Rileggere subito dopo avere scritto è utile, ma non risolutivo perché gli errori non si notano. Non sto scherzando, giuro. La mente umana ha certi meccanismi folli e questo è uno di quelli.

Perché mettere in piazza i fatti propri? Io non racconto tutto, se la mia vita fosse solo quello che c'è scritto qui, povera me. Ci sono cose che non si possono raccontare, altre che è meglio non dire, altre ancora che sono solo fatti miei, come diceva Raz Degan che, per altro, io non ho mai trovato così figo come dicevano. 
Tenete a mente che non tutte le persone che vi sono vicine potrebbero essere felici di finire sul web. 
Ho cercato di mantenere quanto più possibile intatta la mia e la loro privacy, per mesi non ho scritto quale fosse il mio vero nome, non ho mai scritto come si chiama Fidanzato (tanto ha un nome che mi sta sulle palle), né tanto meno il nome dei miei cani. Finché un giorno non ho deciso di svelare il mio (bellissimo, lo so) nome e quello dei pelosi. Ho messo anche qualche foto con la mia faccia da schiaffi in bella vista.
I nomi dei miei amici -quelli più stretti- sono finiti sul blog solo dopo aver ricevuto il loro consenso, figuriamoci le loro foto.
Ultimamente, scrivo anche di cose molto più personali e c'è un motivo: confrontarsi con persone che non necessariamente ti vogliono bene o ti conoscono, è spesso molto utile. Non si finisce mai di conoscere cose nuove e io voglio imparare quanto più possibile dagli altri.
Il punto di vista altrui spesso mi ha aiutato a vedere le cose in un modo in cui non le avrei mai potute vedere. E mi ha fatto bene.

Avere un blog è un lavoro?
Nel mio caso no, non lo è, ma credetemi che scrivere è impegnativo. Editare un post è una roba tragica: metti le foto, togli le foto, però prima falle queste benedette foto e se, come me, fai foto sfocate persino ad una banana poggiata su un tavolo, potrebbe essere un problema.
Al blog sono collegate delle pagine social, vanno curate, coccolate, mai lasciate allo sbando per più di un giorno, altrimenti sono cazzi. E non sto scherzando.
Bisogna rispondere ai commenti e alla mail. A me però piace farlo, anzi, ci rimango pure male quando ho pochi commenti e poche mail a cui rispondere (no, non è un messaggio subliminale).
Ci vogliono molte ore, moltissime. Per dedicare tempo al blog, bisogna toglierlo a qualcos'altro.
Per qualcuno un blog è un vero e proprio lavoro, ma sono pochi eletti. Credetemi.
Gli altri hanno un lavoro e anche un blog.
Altri ancora vorrebbero che il blog fosse la loro unica fonte di sostentamento, ma non tutti siamo Salvatore Aranzulla, suvvia. 
Riconoscere i propri limiti è utile.
Riconoscere i limiti del web, che ormai è colmo di blog, pure.


Si guadagna con un blog?
Si può guadagnare, ma a determinati livelli, per quanto puoi scrivere meglio di Dante Alighieri, di sicuro non ci campi una famiglia.
Esistono i cosiddetti post sponsorizzati. Praticamente, un'azienda o un'agenzia ti contatta e ti dice: "Ti do tot. cifra se parli di me e del mio prodotto".  Molte aziende ti pagano -o vorrebbero pagarti- in visibilità che, scusate, ma levatevi proprio che con la visibilità non è che ci paghi le bollette.
Io i post sponsorizzati li odio, ci sono blog che ormai scrivono solo quelli e ho smesso di seguirli.
Esiste solo un blog i cui post sponsorizzati -che sono comunque un numero congruo- mi piacciono. E anche tanto. Ma parliamo di tre blogger che sono uno spettacolo e non tutti possono essere come loro.
Ho smesso di seguire diversi blog perché non facevano altro che pubblicare post sponsorizzati e, ad un certo punto, io capisco che dovrai pur mangiare, ma diventa noioso. Il troppo stroppia.
In ogni caso, i lettori -se pubblichi troppi post sponsorizzati- ti insulteranno. E poi ti molleranno. E un blog senza lettori è una roba brutta.
In altri casi, aziende ed agenzie di scrivere per loro. Tu scrivi, loro pagano, e il contenuto lo pubblicano dove gli pare. 
Mai svendersi, però. Quello MAI. Come disse una delle tre blogger di cui sopra, la mia preferita, ma non ditelo alle altre due: "Io per 4€ non scrivo neppure un dittongo". 

Quanto costa avere un blog?
Vi diranno che dovete spendere un sacco di soldi. Dipende.
Io spendo meno di 20€ l'anno per pagare il dominio che comunque é un regalo che mi è stato fatto e che mi viene annualmente fatto da mia madre. Non pago un servizio di hosting perché non ne ho bisogno.
Ho speso qualcosina per rifare il blog, parliamo di circa 10$, considerato che la persona che si è occupata di fare il lavoro sporco non ha voluto essere pagata. Ed è brava, eh. Molto brava. 
Prossimamente spenderò un centinaio di euro per la copertina, quando sarà pronta.
Esistono comunque blog per i quali non si spende una lira, sono scelte.
Io non volevo correre il rischio che qualcun altro usasse il nome NonPuòEssereVero, è per questo che ho comprato il dominio. E ho fatto bene, considerato che successivamente qualcuno ha scritto un libro e l'ha chiamato così. Mi hanno anche chiesto di cedergli il dominio. Col cazzo che ve lo cedo.

Avere un blog fa perdere la testa?
Si, fidatevi. Ho visto gente scannarsi perché "mi hai copiato questo o quell'altro", quando di copiato non c'era palesemente nulla.
Ho visto gente sostenere che quell'altra blogger si era ispirata a lei nello scegliere il nome del proprio blog o di un post o di un'immagine che, con tutto il rispetto, ma se proprio devo ispirarmi a qualcuno, mi ispiro a qualcuno di famoso, non a chi fa 100 visualizzazioni a post a dire tanto.
Solo che magari pare brutto dire: "Scusa, ma chi ti conosce?"

Si viene copiati?
Si, succede. So che questa frase fa a pugni con quella prima, ma a volte succede davvero. Bisogna solo imparare a distinguere i viaggi apocalittici della propria mente con i reali casi di plagio.
A me hanno copiato interamente un solo post. Seleziona tutto, ctrl-c, ctrl-v. 
C'è mancato poco che gli mandassi un sicario, ma siccome sono una persona pacifica e ragionevole, dopo averli semplicemente minacciati di morte, ho ottenuto la rimozione del contenuto, ma non le scuse. Piuttosto mi hanno insultata, ma tant'è.
Conosco una blogger a cui sistematicamente rubano le foto delle figlie spacciandole per proprie. 
Ne conosco altre a cui è successo come a me. Seleziona tutto, ctrl+c, ctrl+v. 
Succede, può succedere, è un rischio che va considerato. Esistono comunque delle leggi che tutelano questi casi.

Si possono avere problemi avendo un blog?
Si, c'è poco da fare.
Non tutti quelli che ci leggono saranno d'accordo con noi, capiterà di discutere, capiterà di essere infamati di brutto.
Qualcuno si offenderà perché non parlate di lui/lei nel blog, qualcun altro si sentirà chiamato in causa anche quando, in realtà, non vi ricordate neppure come si chiama. In quest'ultimo caso vale la regola di cui sopra: "Scusa, ma chi ti conosce?".
Qualcuno vi chiederà di rimuovere dei post che lo infastidiscono. A me una volta mi hanno chiamata alle 10 di domenica sera per chiedermi di cancellare un post che offendeva un tizio che voleva addirittura querelarmi. Io quel tizio non sapevo neppure chi fosse, forse era in pieno delirio di onnipotenza. Sai mai.
Qualcun altro vi chiederà di scrivere post su un determinato argomento perché gli piace così, ma magari si potesse scrivere a comando. No davvero, magari. Io ho bisogno di tempo e ispirazione e comunque il blog è mio e ci scrivo quello che dico io.

Un blog viene letto davvero?
Io delle visualizzazioni di questo blog non mi lamento, in alcuni casi mi hanno persino stupita. C'è un post che nel giro di due ore ha fatto 30.000 visualizzazioni. Non vi dico quante ne ha fatte in totale perché non me lo ricordo, ma erano tantissime. TANTISSIME. 
É una bella sensazione, molto bella, ma perdere la salute dietro ai numeri è da pazzi.
Vi svelerò un segreto: alcuni post che ho amato particolarmente non hanno ricevuto tante visualizzazioni quanto avrei voluto, altri che invece amavo q.b. (si, come il sale o lo zucchero in alcune ricette) hanno fatto il boom. È che non tutti hanno gusti uguali ai miei e quello che piace a me non per forza piace agli altri (anche se in un mondo migliore, non sarebbe così, ma non posso farci nulla).

Un blog può portare giovamento alla propria vita?
A questa domanda rispondo con due nomi: Arianna e Samira. Chi mi segue, sa chi sono.
Senza questo blog, loro non sarebbero entrate nella mia vita. O forse si, ma con i se e con i ma non si va da nessuna parte.
Potrei nominare anche Giulia da Berlino. E un'altra decina di nomi.
Loro occupano uno spazio del mio cuore -anche bello grosso- grazie a questo blog che ci ha fatto incontrare e amare.
Ho anche dei lettori affezionati che se non commentano per più di due giorni, mi preoccupo. 
Quindi si, questo blog ha portato tanto, ma così tanto nella mia vita che mi chiedo spesso perché non ci ho pensato prima ad aprirne uno.
Una volta, ad una gara di ginnastica, mi hanno chiesto: "Scusa scusa, ma sei tu quella del blog NonPuòEssereVero?". Scusate eh, ma mi sono sentita Sofia Loren per trenta secondi abbondanti.
E poi, c'è un'altra cosa importantissima: per tutta la vita, mi hanno sfrantato le palle dicendomi che non sono né ironica né auto ironica, che non capisco le battute, che mi offendo facilmente. Ho costruito un blog sull'ironia e sull'autoironia. Come ho fatto, non lo so neppure io, ma se me lo dicono tutti, sarà vero. E mai come adesso, posso dire che quello che non può essere vero oggi, potrebbe esserlo domani. Ho imparato ad essere ironica, non è un grande traguardo?

E il Seo?
Il Seo è una brutta cosa. O forse si dice la Seo? Va beh, maschio o femmina che sia, è una brutta cosa. Facciamo che è androgino.
E' utile per farsi trovare, ma io non ci perdo la salute. Preferisco un contenuto spontaneo ad uno indicizzato perfettamente ma privo di  personalità. Sono gusti, eh.

Fine della guida. Che poi non è una guida, è la risposta a tante domande che mi sono state fatte ultimamente da amici, ma anche da sconosciuti. 

La foto del post è di Giulia Gabriele, una delle mie correttrici di bozze, che durante una sera piovosa, mentre io ultimavo un post del blog si è lasciata incantare dal riflesso di un mela morsicata sul tavolo del mio salotto.

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martedì 13 dicembre 2016

A Palermo, Santa Lucia porta le arancine

La leggenda narra che qualche secolo fa, in Sicilia, ci fu un grande carestia.
Praticamente  morivano tutti di fame.
Un giorno, la popolazione ebbe un'idea brillante: chiedere a Santa Lucia di fare il miracolo.
"Senti Santa Lucia, tu che sei tanto buona e cara, potresti gentilmente farci avere qualcosa da mangiare?".
Santa Lucia, che appunto è buona e cara, mandò una nave carica carica di frumento. Il grano, per intenderci. Quello con cui si fa la pasta e il pane.
Non è ben chiaro dove sia arrivata questa nave, c'è chi dice a Palermo, c'è chi dice a Siracusa.
Io, siccome sono palermitana e comunque la strada via mare per Siracusa mi sembra un pò più arzigogolata, preferisco pensare che la nave sia arrivata da noi.
Da dove veniva questa nave, chi era il comandante e altri dettagli logistici, non è dato sapere.
Comunque, resta il fatto che la popolazione si moriva di fame e arrivò il grano.
Quando non mangi da tanto tempo, non è che ti metti a impastare, far lievitare, cuocere e perdere tempo, quindi gli affamati decisero di bollire il grano, condirlo con un pò d'olio e mangiarlo così.
Questo grano bollito prese il nome di cuccìa.


Con il tempo, è diventato un dolce. Altro che grano bollito e condito con l'olio.
Il grano si fa ancora bollire, ma si "condisce" con crema di ricotta (di pecora e il primo che dice che la ricotta di mucca è magra e buona lo insulto personalmente) o crema di cioccolata.
Io ho passato buona parte della mia adolescenza a mangiare la cuccìa scartando il grano, finchè la mia saggia nonna non propose di evitare questo scempio dandomi da mangiare solo la crema di ricotta. Senza il grano.
Al giorno d'oggi, per tradizione, non si mangiano farinacei il giorno di Santa Lucia, banditi pane e pasta. Si mangia il riso o al massimo legumi e verdure.
Siamo tutti d'accordo che il riso bollito si mangia solo in ospedale o in caso di intossicazione alimentare e vomito frequente, vero?
Quindi i palermitani si sono attrezzati e hanno stabilito che il giorno di Santa Lucia si mangiano le arancine. Solo quelle. Accarne o abburro.
Un tempo i panifici erano tutti chiusi il 13 Dicembre, se si voleva mangiare si andava in friggitoria, al bar, in rosticceria e si compravano giusto quelle otto/dieci arancine a persona.
Adesso i panifici sono aperti e comunque vendono solo arancine.
No davvero, non scherzo. Ovunque si entri, arancine ovunque che sono leggere, tonde, armoniose, belle e profumate.
C'è anche chi le fa a casa le arancine, io sono tra questi ultimi, almeno da quando non abito più a Palermo.
La ricetta non ve la so dire perchè le arancine si fanno a occhio. Riso non bollito, ma risottato (esiste la parola risottato?), bello compatto, che si riempie di besciamella, mozzarella o formaggio, prosciutto (ma qualcuno ci mette anche la pancetta) oppure di ragù che per i palermitani è rigorosamente con i piselli. Dopodichè si fa una bella palla, si passa nella farina (ma non erano banditi i farinacei?), poi nell' uovo sbattuto e infine nella mollica (che i continentali chiamano pangrattato). Poi si frigge.
A me comunque le arancine con il ragù, che poi sarebbero quelle accarne non sono mai piaciute.
L'olio deve essere bollente, in assenza di friggitrice, si può usare anche una bella pentola riempita d'olio. Alla faccia della carestia, si usano tanti di quei litri d'olio che basterebbero per condire quel mezzo miliardo di insalate nel mondo.




Tecnicamente, per controllare che l'olio sia ben caldo bisognerebbe sputarci dentro. Io non lo faccio, ma tanto a quelle temperature che volete che sia?
Molti mettono in tavola anche il gattò di patate -che non è gatto a forno con le patate- oppure panelle e crocchè.
Palermo profuma di fritto il 13 Dicembre. Ovunque vai, senti aleggiare nell'aria quel meraviglioso profumo di frittura croccante.
Vi starete chiedendo perchè non mangiamo arancine anche il resto dell'anno visto che le abbiamo sempre, giusto?
Le mangiamo, le mangiamo. Poi adesso esistono un mezzo milione di gusti: al salmone, con la caponata, salsiccia e funghi e qualsiasi altro ripieno vi venga in mente.
Però, il 13 Dicembre si possono mangiare solo quelle. Otto/dieci a persona, come dicevo prima.
Noi palermitani abbiamo lo stomaco forte -tutti tranne me probabilmente- e possiamo mangiare tutte quelle arancine una in fila all'altra senza morire.
Per tutti gli altri non abituati, io non lo consiglio.
Molti chiamano il giorno di Santa Lucia, Arancina Day. A me questo nome sa di tascio (non provate a tradurlo con coatto perchè non rende a pieno l'idea, un tascio è un tascio).

E quindi, insomma: al nord Santa Lucia porta i regali con l'asinello.
A noi palermitani che vogliamo morire grassi e con il colesterolo alto, porta le arancine. In grandi quantità che poi pare brutto mangiare poco.


Le foto del post sono di Ina Ingrassia.

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lunedì 12 dicembre 2016

Nulla è possibile finchè non viene fatto

Il 12 Dicembre 2007, il professor Tomasino mi proclamava Dottore in Scienze e Tecnologie dell'Arte, dello Spettacolo e della Moda con voti 110 su 110 e la lode.
In quel preciso momento, sentendo quella frase, sono scoppiata a piangere. Ho abbracciato il mio relatore che, quando dovette presentare me e la mia tesi, aveva detto: "Gilda si è immedesimata in questo lavoro, ha vissuto mangiando carote per sentirsi più vicina a Bugs Bunny".
Quarantacinque minuti di discussione. 
L'attesa di quella discussione era stata tremenda, seduta in un'aula magna stracolma di gente. Tremavo, avevo paura.
Ho pensato di tirarmi indietro, mi ero svegliata alle 10 e avevo fissato il vuoto per ore. Avevo un tailleur nero, l'unico tailleur che io abbia mai avuto, una camicia verde smeraldo, una collana così bella che stento a credere che sia davvero mia. Sono ancora dentro l'armadio questi vestiti, anche se non li metto più. Stanno lì a ricordarmi di quando ero magra perché mangiavo carote per immedesimarmi in un coniglio antipatico.
Io e Bugs Bunny avevamo sofferto insieme, passato notti intere faccia a faccia dicendoci che nulla è possibile finchè non viene fatto. Noi ce l'avevamo fatta. Io con la voce tremante e lui con quella sua faccia da cazzo. Che vi pare che non lo so che è odioso?
Era stato proiettato un video, ero stata la regista di Bugs e del mio giorno, avevo creduto in quel coniglio antipatico e lui aveva creduto in me. Era scoppiata a ridere la gente, il video era stato montato ad arte. Mi avevano detto che lo avrebbero tagliato perché c'era poco tempo e invece era stato proiettato tutto.
C'era stato un applauso, un lungo applauso. Non perché io fossi un genio credo, ma perché non è da tutti presentarsi di fronte ad un commissione e mettersi a parlare di un coniglio per quarantacinque minuti, senza mai prendere fiato. Non ci credeva nessuno che avrei trovato il coraggio di parlare davvero di un coniglio, pensavano che scherzassi.
Sono sempre stata orgogliosa di quel lavoro, è la cosa più mia che esista. 
Alla fine, avevo tagliato il traguardo, avevo la casa invasa dai fiori, mio padre aveva pianto.

Il 12 Dicembre 2016, in una calda mattinata invernale, ho discusso per quarantacinque minuti di broadcasting. L'ho fatto in videoconferenza. In inglese.
Io che odio l'inglese, che tremo al solo pensiero di spiccicare due parole. Io che ho paura di non capire e di non essere capita.
Ho studiato per giorni, ho ripassato l'inglese, ho parlato con lo specchio, con il cane, con il muro e con la porta di casa di broadcasting. In inglese.
Ho esordito dicendo che il mio inglese fa schifo, di essere comprensivi, ma che volevo fare questa cosa, la desideravo.
Ho pensato di tirarmi indietro, mi sono svegliata alle sette, ho portato fuori il cane, io che fino a due giorni fa potevo stare solo sul letto o sul divano. "Cammina piano, Fuffi che mamma non ce la fa".
Ho iniziato a tremare: mi tremava la voce, la gambe, le braccia. "Non ce la faccio" ho pensato.
Mi è venuta la cacarella e non in senso letterale.
Si è bloccato il pc, era sparita la connessione, io ho cominciato a dare di matto.
Poi ho digitato un messaggio che diceva: "I am ready. Let me know when you are ready".
Non è vero, non sono pronta manco per niente.
"I am ready" mi hanno risposto dall'altra parte.
E sono partita. Quarantacinque minuti, come nove anni fa, non un minuto di meno, non uno di più.
A parlare di broadcasting. In inglese.
A rispondere alla domande, a cercare di essere chiara, comprensibile.
Non c'è stato un applauso, ma dei complimenti. Non lo so se erano complimenti sinceri, ma voglio credere di si.
Stavolta ci credevano tutti che ne sarei stata capace, ma non ci credevo io. E sbagliavo. Sbaglio spesso, sono una che fa un sacco di errori.
Non so ancora se ho tagliato il traguardo, non ho la casa invasa di fiori, ma mio padre mi ha detto che sono stata brava.

Stamattina ho preso Bugs, gli ho scattato una foto e gli ho detto che non c'è mai stato un giorno in cui non ho pensato che quello che sono oggi lo devo anche a lui.
Si è chiuso un cerchio. Il 12 Dicembre 2007 iniziavo la lunga strada verso quel mondo che sento mio, quella della televisione, solo che ancora non lo sapevo.
Il 12 Dicembre 2016 sono stata in grado di parlare in una lingua non mia di quel mondo. E Bugs era accanto a me.
Perchè nulla è possibile finchè non viene fatto.


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domenica 11 dicembre 2016

Letterina a Babbo Natale

Caro Babbo Natale,
so che sono in ritardo con la letterina, ma so anche che hai un esercito di elfi e folletti che lavorano per te che in confronto le fabbriche di vestiti in Thailandia si devono solo levare.
Ma dimmi, almeno li paghi sti folletti o sono stagisti a cui non dai un soldo?
So anche che hai mandato gente a raccontarmi che non esisti, ma non ci credo e se era una scusa per non passare da casa mia quest'anno, non sei riuscito nel tuo intento.
Se il problema è la mancanza del camino, ti lascerò la porta finestra aperta. In ogni caso, sono convinta che gli zingari che entrano negli appartamenti sfondando le grate delle migliori marche sono dei principianti.
Se pensi che io sia troppo grande per ricevere i tuoi regali, sappi che non è vero. Nel caso, rinuncia alle consegne a casa di qualche bambino che loro hanno molto più tempo di me per ricevere i regali di Natale.
Se hai paura dei cani, porta un regalo anche per il quadrupede di casa e nessuno si farà male. 
Troverai frigorifero e dispensa ben forniti qualora ti venisse fame, ti chiedo solo di non toccare la cioccolata spalmabile bio senza  ( e che non contiene nemmeno tracce di) nocciole che per comprarla ho dovuto dare via un rene. In ogni caso, fa cagare, quindi non ti perdi niente.
Il latte, a casa mia, non è senza lattosio, abbiamo biscotti di ogni tipo ricchi di olio di palma, ma le verdure -che magari puoi dare alle renne- sono tutte provenienti da Trasacco, dal campo del padre di un mio amico. Altro che il bio dei supermercati.
Se non sai dov'è Trasacco, lo capisco. Nemmeno io lo sapevo fino a qualche tempo fa.
In ogni caso, per le renne ci sono anche i croccantini del cane, in fondo sono quadrupedi pelosi pure loro.
Passiamo adesso alle mie richieste. Puoi decidere di non esaudirle tutte, ma mi offenderò da morire che a me sta moda di scrivere le letterine e poi dire che tanto Babbo Natale sceglie una sola cosa in lista non piace. Io sono figlia unica e, come tale, voglio tutto e subito.
Allora, gradirei due piante nuove per il mio terrazzo: un gelsomino e una buganvillea, ma di quella con i fiori fucsia, non viola. Mi raccomando, è un dettaglio importante.
Poi gradirei una O Bag nuova, ma senza pelliccia. A dirti la verità, a me la pelliccia della o Bag piace molto, anche se dicono che è fatta con pelo di cane cinese, ma Fuffi poi proverebbe a mangiarla e sarei costretta a metterlo in forno con le patate. E vorrei evitare.
Vorrei anche una Louis Vitton nuova, quella di vernice nera.
E vorrei che facessi una magia al mio fidanzato di modo che non mi dica che per ogni borsa nuova, devo darne via una vecchia che a me sta storia di regalare le mie cose non piace.
Vorrei una macchina nuova, mi piace molto l'ultimo modello di Smart. Si lo so, che ho schifato le Smart per tutta la mia vita, ma questo nuovo modello è tanta roba. Cambio manuale, per favore, che i miei genitori hanno speso i miliardi in guide quando dovevo prendere la patente e non vorrei che i loro sacrifici venissero gettati alle ortiche.
Anche un buono da spendere in libri, ti direi i titoli, ma magari lì al Polo Nord, hanno nomi diversi, poi ti confondi e mi porti roba sbagliata. E io sono molto selettiva con le mie letture.
Vorrei quell'affare tondo che aspira la polvere in giro per casa mentre tu stai comodamente a pancia all'aria sul divano. Prometto di invitarti a casa mia, quando lo userò per permetterti di godere del grandioso spettacolo di Fuffi che lo insegue, gli ringhia contro e cerca di sbranarlo.
Ti chiedo, infine, di avere una salute di ferro, non dico per sempre, ma almeno fino alla prossima letterina.
Ti chiedo anche che vada in porto quello che tu sai e che quello che sto studiando in questi giorni dia dei buoni frutti.
Non ti chiedo la pace nel mondo perchè sicuramente -obbligati dai genitori- te l'hanno chiesta un sacco di bambini e a me piace distinguermi dagli altri.


Ti chiedo un toy boy per la mia vicina di casa, quella del piano terra, di modo che la smetta di dire che le lanciamo acqua dal balcone per farle dispetto quando non siamo in casa, salvo poi dire che forse, ehm, era la pioggia.
Ti chiedo di mandare un centinaio di contenitori delle uova al mio vicino di casa (hai presente quelli di cartone che adesso sono difficilissimi da trovare con cui si insonorizzavano a basso costo le stanze?), quello il cui muro confina con la mia camera da letto di modo che il week end possa trombare in pace per otto ore di fila senza che a me venga da ridere per tutto il tempo, impedendomi di fare qualsiasi altra cosa.
Visto che sono una tremenda curiosona, ti chiedo anche di svelarmi il suo segreto perchè io uno che dura otto ore di fila non l'ho mai conosciuto. Per fortuna.
Se non dovesse entrarti tutto nella slitta puoi anche mandarmi quello che ti ho chiesto con il corriere, però ti prego, non usare le nostre Poste che io i miei regali li vorrei per Natale 2016, non per quello del 2020.

Con affetto e stima
Gilda

Ps. Al Fidanzato porta un buono da spendere in vestiti, rigorosamente senza di me che io di andare con lui per negozi mi sono rotta le scatole.


La foto del post è di Samira El Bouchtaoui
Babbo Natale, toglimi una curiosità: sono riuscita a scrivere il nome della mia Sami senza doverlo leggere (e l'ho anche scritto giusto) dopo mesi e mesi di tentativi. E' un miracolo di Natale o mi hai portato in anticipo, come regalo, l'intelligenza?

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mercoledì 7 dicembre 2016

La lettera di mancato completamento del periodo di prova

Io quel lavoro pubblico alla fine l'avevo accettato, avevo messo dentro ad una scatola i miei sogni, ma questa scatola non l'ho chiusa troppo bene.
Avevo deciso che ogni tanto è giusto essere razionali. 
Ieri è arrivata la lettera che non ho superato il periodo di prova perchè sono malata.
C'era scritto proprio così. "Siccome sei in malattia non puoi lavorare per noi, quindi non superi il periodo di prova". O qualcosa del genere.
Io avevo accettato questo lavoro, poi c'è stato l'ospedale, il ricovero (breve, molto breve), la diagnosi completa, ma non del tutto percéè manca ancora un esame. 
C'erano state le mie lacrime di dolore, la vergogna di non essere capace di muovere due passi senza di Lui, il supporto degli amici, la preoccupazione dei miei genitori.
Non l'ho fatto apposta, mi sentivo in colpa.
E poi è arrivata questa lettera. 
Sono andata a prenderla di persona, facendo fatica a camminare, con Lui che mi aspettava fuori perchè senza Lui, in questo periodo, sono persa.
Lei aveva la faccia mortificata, non sapeva che dirmi, io ho chiesto dove dovessi firmare. Firma per ricevuta si chiama.
"Io vi capisco, non devi sentirti in colpa"
"Mi dispiace"
"Sai, io adesso penso alla mia salute, è qualcosa di brutto"
Ho visto la sua faccia diventare bianca.
"No, non quel qualcosa di brutto che pensi tu". O quanto meno non che io sappia in questo momento che, in fondo, resto sempre un'ipocondriaca livello superstar.
"Ma cos'hai?"
"C'era scritto sul certificato dell'ospedale"
"Era un certificato dell'ospedale?"
Non ho risposto, era si un certificato dell'ospedale, è lì che mi hanno rivoltata come un calzino per cercare di capire il perchè di tutti questi dolori, il perchè non riesco più a mangiare nulla. E io quel certificato ve l'ho mandato.
Ci hanno provato a capire e ci sono praticamente riusciti. L'ultimo esame lo facciamo perchè è giusto farlo, vedremo se ci saranno novità.
Sono stati chiari: devi stare a riposo, non ti devi muovere, stai a letto, sul divano, non fare sforzi.
E io sforzi non ne ho fatti, sono rimasta a casa.
Le mie amiche sono andate a mangiare il sushi senza di me e a me veniva da piangere perché io il sushi me lo sparerei endovena, ma io so che prima o poi l'intera produzione di pesce crudo del paese me la mangerò in una sola sera perché io non posso mangiare e devo stare a casa. 
"Sai, qui è successo di aver assunto gente che si presentava solo un giorno e poi si faceva fare i certificati dal medico di base e non si faceva più vedere per mesi"
E io ho pensato alla mia dottoressa, a cui mando i messaggi su Whatsapp, che mi chiede come sto, a cui invio i referti tramite chat e che ha sempre una parola di conforto.
Penso al mio vecchio medico di base, quello di Palermo, a cui voglio un gran bene, che ha detto a mio padre che se ho bisogno anche solo di due parole per stare più tranquilla, posso chiamarlo a qualsiasi ora. Lui Whatsapp non ce l'ha. Quando l'ho dovuto lasciare ero disperata.
Nessuno di loro due ha mai fatto un certificato che dicesse che stavo male se stavo bene. 
Nessuno di loro due si è mai rischiato di dichiarare una cosa senza esserne sicuro.
"O vieni tu da noi o vengo io da te" mi hanno sempre detto.
Ho firmato questa lettera, due chiacchiere, li ho congedati con tante belle parole che io con le parole sono brava, dicono.
Lui mi aspettava, ha visto la lettera e mi ha detto che non mi vedeva con un così bel sorriso da giorni.
"Fregatene" mi ha detto Lui.
"Fregatene" mi ha detto mia madre.
"Fregatene" mi ha detto mio padre.
"Fregatene" hanno detto i miei amici.
Qualche giorno fa, un uomo di televisione -come lo chiamo io- mi ha detto che il nostro mondo è diverso da tutti gli altri. E forse aveva ragione.
Ed è stato così che oggi mi sono messa a studiare. Avevo cominciato a farlo nei giorni scorsi: pc, quaderno, libro e pigiama. 
A studiare per una posizione che ho considerato troppo su per me e, per la quale, ho dovuto già affrontare due colloqui. Un'ora abbondante di colloquio a botta. Me ne manca uno, da sostenere in una lingua che non è la mia. Io non lo so mica se reggo un'ora a parlare in una lingua che non è l'italiano.
Io che sono sempre tanto scaramantica e non dico mai un tubo a nessuno, lo sto addirittura scrivendo.
Poi sono arrivate altre due proposte, nello stesso giorno della lettera. Ho tempo, posso prima riprendermi.
Domani inizia ufficialmente il periodo natalizio, io amo l'inverno, amo il Natale.
Domani la mia amica ha organizzato la prima cena di Natale dell'anno, a prova di malata. Lo ha fatto per farmi contenta, mi ha bocciato solo il brodo di gallina che fa tanto Jiingle Bells.
Stamattina ho ricevuto un pacchetto dalla Germania con due addobbi per l'albero di cui mi sono follemente innamorata.
Mia madre mi ha chiesto di spedirle la lista con le richieste per il pacco terrone da spedirmi. Poi mi ha mandato la foto di una maglia che mi ha preso. C'è anche una collana abbinata.
Abbiamo prenotato l'hotel per Jesolo 2017 che è l'appuntamento italiano più importante dell'anno, ginnasticamente parlando si intende.
E io non so com'è che mi è presa sta botta di ottimismo in questo periodo, ma la mia prima lettera di mancato superamento di prova è già un lontano ricordo. Eppure era solo ieri.


Nb. A questo post, non sono ammessi commenti che dicono "mi dispiace", altrimenti poi mi sembra un post di autocommiserazione e mi pento di averlo scritto.
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martedì 6 dicembre 2016

La verità, quasi tutta la verità, sulla Sicilia

Quanti luoghi comuni avete sentito sulla Sicilia? 
Ve lo dico io: tanti.
E io sto qui apposta per sfatarli.

Non abbiamo l'uomo con lupara e coppola davanti la porta di casa.
Comincio così a causa di un vecchio trauma. Avevo diciassette anni, ero in un paese dell'entroterra marchigiano quando una donna di quarant'anni mi chiese se avevamo sto benedetto guardiano davanti casa con lupara e coppola.
Abbiamo l'acqua in casa, ci laviamo e cuciniamo. Annaffiamo pure le piante se per questo.
Poi forse qualcuno non ce l'ha (nessuno che conosco, però), ma nemmeno in Brasile vivono tutti nelle favelas, giusto? Quindi perchè noi dovremmo vivere tutti senz'acqua? Ah si, l'ha detto la tv.
Non ho amici mafiosi e non frequento nessun affiliato di Totò Riina. Non che io sappia comunque.
Che poi non è che la gente viene lì e ti dice: "Piacere, sono Tanuzzo, professione mafioso".
La leggenda narra di corpi di gente che avrà fatto qualche sgarro (e non a qualche industria di caffè) tra i pilastri portanti dei palazzi. Non ho però mai smurato l'appartamento di nessuno, quindi io sti cadaveri -che ormai immagino siano scheletri- non li ho mai visti.
Ci sono gli spacciatori, ma non saprei dirvi dove si trovano. Forse esiste qualche app che lo segnala.
C'è poco lavoro e conosco persone che lavorano o hanno lavorato a nero.
L'università, almeno quella di Palermo, non era tra le migliori, almeno quando la frequentavo io. Tanta, tantissima teoria e zero poca pratica
È per questo che molti di noi se ne vanno. Solo che poi, per le vacanze, vogliamo tornare.
Tornare a casa costa. Tantissimo.
Le compagnie aeree fanno cartello (no, la Colombia non c'entra niente) , a ridosso delle feste e delle elezioni i biglietti aerei sono inavvicinabili. Un biglietto aereo può costare anche 400€ a tratta.
Se lo prenotate per tempo, ve la cavate anche con 200€ a tratta.
Molte compagnie aeree sono state multate nel corso degli anni, ma non è mai cambiato niente.
Non abbiamo continuità territoriale. Abbiamo lo sconto sulle navi, per residenza o per nascita.
Lo sconto si può estendere anche a chi vive con te, ma questa è una novità, prima non si poteva.
La nave costa comunque un boato, l'ultima volta tra andata e ritorno abbiamo speso quasi 1000€. Con lo sconto, eh.
Non abbiamo treni che dal continente arrivano in Sicilia, un tempo c'erano, poi per rispetto della dignità umana li hanno tolti.
Quando diciamo Villa non intendiamo una villa a tre piani, ma Villa San Giovanni, dove si prende il traghetto che dalla Calabria porta in Sicilia, a Messina. Con l'auto, quei 3 km scarsi di traversata costano  38€, ma per i residenti c'è un forte sconto che vi cambierà la vita facendovi pagare soltanto 37€. A tratta ovviamente. A piedi, costa quanto il biglietto dell'autobus.
La compagnia di navigazione si chiama Caronte e questo fa ben intendere che voi mettete piede su quel coso galleggiante, dovete lasciare ogni speranza. Dove non si sa.
La Caronte non si ferma mai, è attiva h24, ma spesso toccherà fare la fila. 
Essere la prima macchina che non riesce ad entrare nel traghetto e deve aspettare quello successivo fa rodere il culo.
A Villa San Giovanni, fino a qualche tempo fa, c'era un bel cartello con scritto Italia che indicava, appunto che lì iniziava l'Italia, un pò come quelli che trovate a Chiasso, giusto per farvi capire di che cartello stiamo parlando.
Un pò più avanti, c'era anche un bel cartello con scritto "Benvenuti in Italia".
Se ve lo state chiedendo, là dove c'era quel cartello, ci passavano solo quelli che sbarcavano dal traghetto proveniente da Messina, passaggio obbligato.


Dopo tante proteste e tanta indignazione (sul web trovate parecchie info), è stato rimosso. A me, comunque, non dava nessun fastidio.
Abbiamo ancora il binario unico, ma stanno costruendo il secondo binario. Da qualche parte c'è già, ma diamogli tempo.
Le autostrade ci sono, ma non ovunque, e sono belle e grandi. Sono gratuite.
Le uniche autostrade che si pagano soni quelle che vanno da Cefalù a Messina e da Messina a Catania. E viceversa, eh. 
La Palermo-Messina è stata inaugurata non troppo tempo fa, prima toccava farsi la statale, passare da tanti bellissimi paesi e ci si mettevano anche sette ore. Per fare 200 km.
Quando vi riferite ad un siciliano chiamandolo siciliano, probabilmente lo irriterete moltissimo. Noi non siamo tutti uguali.
Prima di tutto, tra città e paesi passa un mondo. 
E poi, beh poi, cercate di capire. Io, per esempio, sono palermitana e non sono come catanesi e messinesi. Loro parlano brutto, per dirne una.
E dicono arancino invece di arancina. E non hanno arancine tonde o ovali, hanno arancini a punta. A PUNTA, non so se mi spiego.
E noi non abbiamo la granita, quella che trovate a Palermo la trovate anche a Milano. La granita, quella vera, la trovate a Messina e va mangiata con la brioche col tuppo. Le loro brioche sono gialle dentro, le nostre sono più chiare.


Le loro brioche sono anche più buone secondo me, ma sappiate che quest'ultima frase si autodistruggerà dopo che lo avrete letto e mai, mai, mai io ammetterò di avere scritto una cosa del genere.
I catanesi non sono nemmeno come i messinesi, provate ad andare da uno di Catania e dirgli che è come uno di Messina. Probabilmente vi sparerà, ma quel punto, sappiate che ve la siete cercata.
Io non sono nemmeno come un agrigentino, loro sono del sud, io del nord e, si sa, da che mondo a mondo, quelli del nord e quelli del sud non sono mica uguali.
Ennesi e nisseni boh, non ne ho mai visto uno, forse non esistono.
I trapanesi sono forse quelli più vicini a noi palermitani. Forse. Comunque nel dubbio noi siamo più belli.
Ci sarebbero anche Ragusa e Siracusa -che in Sicilia mancano tante cose, ma non si può dire che ci mancano le province- ma sono lontane. Molto lontane. 
Abbiamo dialetti diversi, basta spostarsi di poche decine di chilometri e parlano un'altra lingua.
Il dialetto di mia madre -che è originaria di un paese a 50 km da Palermo- è diverso da quello dei palermitani. Io sono palermitana, ma dialetto ne parlo molto poco, anche se lo capisco.
Abbiamo piatti e prodotti tipici diversi, molto diversi, diversissimi. Per dire, il pistacchio con cui tutti state in fissa è di Bronte, quello buono buono buono. 
Abbiamo paesaggi diversi, molto diversi, diversissimi. Il mare non è ovunque, ci sono anche le montagne. In ogni caso, il mare e le spiagge sono diverse ovunque, ce n'è per tutti i gusti. Al Fidanzato piacciono quelle del litorale africano, per dire.


Da qualche parte c'è anche la neve più spesso di quanto io stessa potessi immaginare.
Abbiamo pochissimi fiumi e laghi, ma tanti vulcani, attivi per giunta. La Sicilia è zona sismica, molto sismica.
Qualcosa, negli anni, è anche andato distrutto causa terremoto, a volte si è ricostruito, altre volte una bella colata di cemento (probabilmente quello risparmiato nei pilastri portanti dei palazzi di Palermo) e si ricostruisce un pò più in là.


La Sicilia è un'isola, io quindi sono isolana e ci tengo pure a mantenere questo status.
Però poi ci sono le isole dell'isola, in pratica stando a quelli che ne sanno, la Sicilia è l'isola maggiore e poi ci sono le isole minori, che sono tante. Per raggiungerne qualcuna, ci vogliono più ore di navigazione che per andare a Napoli da Palermo in nave, però il biglietto costa meno, eh.


In Sicilia, nei secoli, sono passati greci, romani (va beh, quelli sono passati ovunque), arabi, normanni, angioini, spagnoli, borboni, l'asinello, il bue e i re magi. 
C'è tanta arte, tantissima, tutta diversa. A me piacciono le cupolette rosse, per dirne una.


E io lo so che voi i siciliani ve li immaginate piccoli e neri, ma noi siamo stati dominati da chiunque -no, non mi riferisco a bondage e sadomaso- e ho idea, per dire, che arabi e normanni non abbiano proprio le stesse caratteristiche fisiche.
Quindi ecco: noi non abbiamo standard di razza, niente pedigree (però abbaiamo). Siamo mischiati, ci sono i biondi con gli occhi azzurri, i rossi con gli occhi verdi e, si, ci sono anche quelli piccoli e neri.
Ci sono anche quelli piccoli e neri con gli occhi azzurri. O verdi. Insomma, un casino.
Io sono un mix venuto male e sono chiara chiara come la neve (ma voi non lo sapete perchè spendo tanti soldi in fondotinta e fard) e ho occhi e capelli scurissimi. E le lentiggini, quelle non dimentichiamole.


Io di cose da raccontarvi ne avrei ancora tantissime, ma le dita non ce la fanno più a battere sulla tastiera.
Se avete ancora voglia di leggere, vi segnalo qui e qua e quo (manca Paperino, in effetti) trovate qualcosa su Palermo, mentre qua e qui qualcosa sulla mafia, tutto secondo il mio punto di vista ovviamente.
Appena le dita si riprenderanno, tiro fuori qualcos'altro. Lo giuro sulle arancine a punta.



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lunedì 5 dicembre 2016

Quella cosa chiamata democrazia

Una sera di Novembre del 2011, io e Fidanzato eravamo in macchina di ritorno dall'aeroporto di Ciampino. Avevamo trascorso quattro giorni a Parigi, lui non c'era mai stato, io innumerevoli volte e con perfetto tempismo, gli avevo regalato questo viaggio.
Ai tempi lavoravamo insieme, lui quel giorno era a casa di riposo, io invece ero a lavoro. Era l'11 Ottobre, le 11 del mattino. Ero andata dal capo -si chiamava Simone- e gli avevo chiesto ferie per me e per lui. "Però non gli dire niente, eh, voglio fargli una sorpresa".
Simone aveva tanti difetti, ma da questo punto di vista era un complice perfetto.
Avevo fatto i biglietti aerei, prenotato l'hotel e aspettavo le 19.30 per tornare a casa e dargli il suo regalo.
Alle 11.30, Fidanzato mi aveva telefonato: "Vieni a casa di mia madre"
"Che è successo?"
"E' morto mio padre"
E io mi ero sentita una merda.
Ero arrivata a casa di sua madre prima di lui, lo aspettavo con un nodo in gola e gliel'ho detto subito:" Ti ho preso i biglietti per Parigi un'ora fa, scusa".
A Parigi poi ci eravamo andati comunque e quindi quella sera di Novembre, eravamo in macchina di ritorno dall'aeroporto di Ciampino.
Ai tempi, nessuno di noi due aveva uno Smartphone, avevamo staccato da tutto e da tutti e ci eravamo goduti la nostra vacanza.
Avevamo acceso la radio mentre tornavamo a casa ed avevamo scoperto che il governo Berlusconi era caduto e non avevamo più un presidente del consiglio. Quello che è venuto dopo quelle dimissioni, ce lo ricordiamo tutti.

Ieri sera, ho guardato gli exit poll del referendum, non ce l'ho fatta ad aspettare il risultato definitivo, ero stanca.
"Vediamo domani che succede". Oggi è quel domani.
Stamattina mi sono svegliata alle 7, ho preparato la colazione e sono tornata a letto con la mia tazza e il mio cellulare, l'ho acceso e ho scoperto che il NO aveva vinto e che Renzi si era dimesso.
Ho guardato il video del suo discorso e mi è piaciuto quello che ha detto.
Io non parlo mai di politica, ma dovete sapere che Renzi non mi ha mai fatto troppa simpatia, ma tant'è.
E ammetto anche che ero convinta che non si sarebbe dimesso davvero, invece l'ha fatto e io ho apprezzato la coerenza. Sul serio, eh.
Ho molto apprezzato anche gli italiani che sono andati a votare che detta così, pare una minchiata, ma considerato il grande astensionismo degli ultimi anni, mi sembra comunque un grande risultato. 
Quasi il 70% degli aventi diritto, come dicono in tv, si è recato alle urne e ha espresso la propria preferenza. Tanta roba, eh.
Io a votare ci sono andata a ora di pranzo, anche se faccio una gran fatica a reggermi in piedi, ho fatto la fila e credetemi, la fila non la facevo da quando accompagnavo mia nonna a votare e avevo dieci anni.
Un signore è venuto a votare con il suo bulldog inglese che provava a leccare tutti i presenti. 
Ho scambiato due chiacchiere con una signora, in fila come me, che avrà pensato che fossi una pigra o un'ottantenne travestita da balda giovinotta, visto che ho dovuto aspettare seduta su una sedia onde evitare di collassare.
Comunque, dopo aver ascoltato il discorso di Renzi che mi è piaciuto (l'ho già detto, vero?), mi sono caduti gli occhi su tanti, troppi post di Facebook che mi hanno pure fatto passare la simpatia per l'ex sindaco di Firenze ed ora anche ex premier. Una vita da ex, insomma.
Chi ha votato NO, sostiene che chi ha votato si sia un imbecille.
Chi ha votato SI, sostiene che chi ha votato no sia un cretino.
E  sono stata gentile, eh, perchè ho letto di peggio, molto peggio, ma io sono una signorina educata e non ripeterò gli improperi letti, non su queste pagine almeno.
La verità è che se avessimo tutti la stessa opinione, non ci sarebbe bisogno di votare.
Saremmo tutti una massa di automi, programmati per pensarla uguale su tutto.
Io ho letto le ragioni del si e quelle del no prima di votare.
Ho letto la Costituzione e le modifiche che volevano fare, che noi avremo pure la Costituzione più bella del mondo, ma non so voi, io non l'ho mai letta tutta. 
Cioè, non è che sul comodino tengo la Costituzione italiana e leggo un articolo a sera. 
In questa casa, ci siamo confrontati, alla fine abbiamo votato la stessa cosa. O almeno così pare che sai mai che il Fidanzato sia un franco tiratore e ha detto di votare una cosa e poi ne ha votata un'altra. Non lo saprò mai, mi sa.
E poi chissà, magari il suo voto l'hanno cancellato gli immigrati assunti a nero per cancellare i voti e per poi spedire le gomme utilizzate all'estero, per fare sparire le tracce. 
Insomma, io non sono convinta che chi ha votato diversamente da me sia un cretino, credo solo che abbia un'opinione differente dalla mia, valida quanto la mia.
Non m'interessa granchè di come ci sia arrivato ognuno degli aventi diritto al voto (oh come mi piace citare la televisione) a quell'idea e quella scelta di voto.
Mi interessa che si possa ancora scegliere democraticamente, che si possa ancora andare alle urne e dare il proprio contributo ad una decisione che potrebbe cambiare le sorti della propria città o del proprio paese o di quello che è, a seconda del tipo di elezione.
Mi interessa che ognuno di noi possa esprimere la propria idea, nel segreto dell'urna.
Quando ho compiuto 18 anni era Aprile. A Giugno di quello stesso anno, siamo stati chiamati al voto, non mi ricordo nemmeno più per cosa, ma ricordo benissimo l'emozione della mia prima tessera elettorale che ho ancora conservata a casa dei miei genitori.


Mi ricordo che mi sono sentita importante.
Mi sono sentita grande.
 La stessa sensazione l'ho provata solo quando ho preso la patente, ad Ottobre di quello stesso anno.
Potevo votare e guidare, ero ufficialmente adulta. O almeno così mi sembrava allora.
"Quindi il mio parere conta" avevo pensato con la mia tessera elettorale nuova di zecca tra le mani. Ero anche un pò emozionata perchè, grazie a quelle elezioni, avevo rimesso piede nella mia scuola elementare, ero andata a vedere la mia classe e mi era scesa la lacrimuccia. 
Che poi, adesso, se ripenso a quella me diciottenne penso ad una cretinetta, eh.
Eppure, mi piace la democrazia, mi piace pensare che tutti possano votare ed esprimere un parere, anche una cretinetta diciottenne come ero io dodici anni fa.

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