domenica 28 febbraio 2016

Perché non bisogna mai svendere la propria professionalità

Qualche tempo mi ha contattata un'agenzia interinale.
"Pronto, parlo con Tizia?"
"Si, sono io, mi dica"
"Salve, siamo stati incaricati dall'emittente televisiva nazionale e piena di soldi di cercare un tecnico di messa in onda. Stai lavorando al momento?"
Noto che la copia che hai del mio cv l' hai letta accuratamente.
"Si, sto lavorando, ma valuto eventuali proposte".
Mi fissano un colloquio conoscitivo in un giorno e ad un orario in cui proprio non posso andare perché ho il dentista fissato da secoli.
"E, ma se non vieni, perderai qualsiasi occasione futura di fare un colloquio".
E va beh, spostiamo il dentista, tanto ho i denti perfetti e poi sono scaramantica come poche io. Sai mai che sia la proposta lavorativa che potrebbe cambiarmi la vita.
Vado a questo colloquio conoscitivo per scoprire con sommo orrore che si tratta di un colloquio di gruppo e che sono l'unica che ha esperienza come tecnico di messa in onda. I ragazzi però sono simpatici.
Capisco al volo di quale emittente televisiva stanno parlando, lo dico alla selezionatrice, ma non può dirmi se ho ragione o meno.

L'agenzia mi richiama dopo qualche giorno dicendomi che la capa delle risorse umane dell'emittente televisiva nazionale e piena di soldi vuole incontrarmi. Sono l'unica selezionata per questo incontro, il che se da una parte aumenta il mio ego, dall'altra mi fa pensare che la selezione è stata fatta un po' ad muzzum visto che nessuno aveva esperienza e quindi difficilmente sarebbero stati chiamati.
Due ore di colloquio, mi chiedono anche quanti peli ho in testa, sono quasi sfiancata, nonostante riuscire  sfinirmi è complesso. Di solito, sono io che sfinisco con le mie chiacchiere.
Mi mostrano la messa in onda, l'emittente era quella che pensavo.
Mi richiamano dopo qualche settimana per chiedermi se nel pomeriggio posso andare a fare un colloquio con il responsabile del broadcasting e dico che mi dispiace, ma sono fuori città e che rientrerò dopo qualche giorno, ma che se hanno urgenza posso organizzarmi diversamente.
Alla fine, mi fissano questo ulteriore colloquio dopo tre giorni, arrivo puntuale. Che poi, puntuale è una parola grossa visto che, come sempre, sono arrivata in anticipo e ho aspettato in macchina.
Cinque minuti prima dell'orario previsto per questo ulteriore colloquio, entro,  dico chi sono e lascio il documento. Aspetto un'ulteriore ora e va beh, saranno impegnati penso.
Fare un colloquio con un responsabile tecnico è bellissimo, a differenza dei colloquio con chi si occupa di risorse umane che di televisione e reparti tecnici non sa un tubo ed è angosciante cercare di parlare delle proprie esperienze utilizzando termini semplici che tutti possano comprendere senza sembrare una cretina.
Colloquio di due ore. Aridaje, direbbero a Roma.
Mi dicono che vorrebbero farmi iniziare in una determinata data e io dico che non dovrebbero esserci problemi, salvo il tempo di lasciare il lavoro ed organizzarmi un attimo perché ho tanti difetti, ma sono una persona corretta,
L'agenzia -che aveva fatto da intermediario- si complimenta, loro giustamente ci prendono un bel po' di soldi per aver trovato la persona giusta al momento giusto.
Poi spariscono. Passa la data fissata, provo a telefonare, ma non mi rispondono. 
Mando allora una mail, ma niente: non rispondono nemmeno a quella.
Mi metto l'anima in pace, un po' amareggiata, ma è lì che succede l'inimmaginabile: la stessa emittente televisiva chiama Fidanzato per un colloquio.
Loro non sanno che Fidanzato è il mio fidanzato. A me cadono le braccia.
Riprovo a chiamare -sfoderando la mia amabile faccia di c**o- ma non ottengo risposta.


Una mattina, dopo due mesi, mi dimentico di accendere il cellulare.
Tanto precisa sul lavoro quanto un disastro in tutto il resto. Fidanzato, i miei genitori e i miei amici comunque mi vogliono bene lo stesso, quindi va bene così.
Trovo decine di chiamate, addirittura una mail in cui mi chiedono se possono iniziare a lavorare per loro la tal data. Non fanno parola della buca clamorosa di qualche tempo prima.
Ok, riproviamoci. Vi do fiducia.
Il giorno prima della presunta data di inizio chiedo notizie, ma niente: spariti ancora.
Mi contattano dopo qualche giorno, hanno posticipato la data di inizio, mi chiedono se posso andare a firmare il contratto.
A questo punto non ci credo più, ma gli dico comunque che va bene.
Mi danno finalmente un appuntamento per questa fantomatica firma di questo fantomatico contratto che ormai mi sembra il Sacro Graal.
La mattina stessa, quando manca pochissimo all'appuntamento, mi dicono che lo posticipano ancora.
Non mi chiamano, ma mi mandano una mail per dirmelo.
Respiro, non rispondo subito.
Ho aspettato il giorno dopo per rispondere a questa mail.
"Non mi interessa più, grazie. Non è la prima volta che vi comportate così. Il rispetto, professionale e personale, è sempre dovuto. Saluti".

Choosy? Forse.
Snob? Chi lo sa.
Ma ecco, io la mia dignità non la svendo.
Sono stata paziente, disponibile, ma quando è troppo è troppo.
So che è difficile trovare tecnici di messa in onda con esperienza, così come so che ormai non assumono più persone da formare per motivi che non conosco.
So che molti rifiutano. So che in molti casi, quando -in diverse emittenti in cui ho lavorato- si cercava un tecnico di messa in onda piuttosto facevamo gli straordinari fino a morire perché non si trovava nessuno, vuoi per la mancanza di esperienza, vuoi perché ai turni H24 dicono quasi tutti di no.
Perché se è vero che tu mi stai offrendo un lavoro, è vero anche che tu quel lavoro non lo sai fare, mentre io si. Tu hai bisogno di me tanto quanto io di te. Per dire.

Nb. Qualche tempo fa avevo scritto questo post. Qualcuno si era indignato, qualcun altro si era meravigliato, qualcun altro ancora non ci aveva proprio creduto.
Ero stata tanto troppo generica probabilmente.
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sabato 27 febbraio 2016

Aborto, divorzio e ancora unioni civili: perché non si sceglie più?

Sono nata in Italia nel 1986 da genitori italiani, quindi sono cittadina italiana.
No no, fermi tutti: con questa introduzione non sto proclamando la mia superiorità su eventuali altre razze, sia mai che qualcuno l'abbia pensato.
È solo per dire che sono nata in un paese dove è consentito abortire e divorziare visto che, prima che io nascessi, qualcuno -tra cui, ad esempio, anche i miei genitori, aveva deciso che in Italia fosse lecito abortire e divorziare.
Non ho mai saputo, quindi, cosa volesse dire vivere in un paese dove abortire e divorziare siano due cose non consentite, nè tanto meno ho vissuto il dramma degli aborti clandestini che mietevano tante vittime (e che non escludo siano scomparsi del tutto, ma tant'è).
Io sono favorevole all'aborto o meglio, sono favorevole alla libertà di scelta di ogni donna o di ogni coppia.  Sono contraria al ricorrere all'aborto come forma di contraccezione, ma questa è un'altra storia.
Sono favorevole anche al divorzio, anche se ammetto che conosco pochissime persone divorziate, ma moltissime separate. Non so perchè molti scelgano di non proseguire con il divorzio dopo una separazione, ma francamente mi interessano poco le scelte altrui.
L'importante è che si possa scegliere.
Fonti certe (mia madre) mi informano che divorzio e aborto, così come -nello stesso periodo- i referendum abrogativi relativi ad ergastolo e porto d'armi hanno causato un macello all'interno dell'opinione pubblica, visto che trattandosi di temi particolari è comprensibile che ciascuno la pensi a modo proprio.
Io vorrei tanto che il mio pensiero fosse riconosciuto come verità assoluta, sia chiaro. Se così fosse, mi risparmierei milioni di litigate con tanto di tirate di capelli (e io di capelli ne ho tantissimi, ma proprio tanti tanti, chili e chili di capelli che ormai vivono di vita propria), ma devo rassegnarmi che non verrà mai riconosciuta la mia assoluta ragione su tutto, quindi mi limito ad avere sempre ragione dentro casa mia visto che sono l'unica donna e quindi, come tale, ho sempre ragione.
A me sta toccando assistere al macello causato dalle unioni civili, solo che stavolta non c'è nessun referendum. Sarebbe stato tanto più semplice se fossimo stati noi cittadini a scegliere, evitando così discussioni inutili ovunque.

Ieri si è scatenata una discussione allucinante su Facebook, sulla bacheca del povero Fidanzato appena dimesso dall'ospedale. La condivisione di un link di quelli che fanno ridere e basta (o nel mio caso, suscitano invidia per cotanta inventiva). Un tizio ha cominciato a insultarlo -così, a caso.
Alla discussione mi sono unita io e altri quattro amici. E niente, ci siamo presi i peggiori insulti, nonostante di base l'idea fosse la stessa.
A discussioni del genere ho assistito spesso. Molto spesso.
Persone che la pensano in modo differente o talvolta, in modo identico, ma proprio non si capiscono che si insultano. A volte a vicenda, altre volte uno solo dei contendenti che insulta l'altro o gli altri, ma comunque in generale volano insulti.
Prendiamo la questione unioni civili. 
Mettiamo che io sia contro i matrimoni tra persone dello stesso stesso per un motivo qualsiasi, giusto o sbagliato che sia. Mettiamo che io argomenti la mia motivazione che probabilmente sarà inverosimile, ma resta comunque una motivazione.
Mettiamo che il mio interlocutore mi inizi a insultare dandomi della omofoba cicciona quattrocchi di m***a (gli occhiali non li porto più, ma un pò di ciccia ce l'ho), io magari sarò pure omofoba (per avere espresso un'idea?  Dov'è finita la libertà di espressione?), ma lui mi sta discriminando per ben due patologie: la miopia (o l'astigmatismo, o quello che vi pare) e per l'obesità (no, giuro, non sono obesa) che magari è anche dovuta a un problema di salute. Quindi non è meglio di me, anzi, forse è pure peggio.
Oppure mettiamo che sia favorevole all'aborto e che mi ritrovi a parlare con qualcuno assolutamente contrario e che questo, ascoltate le mie idee, decida che io, essendo un'assassina (non so se avete mai parlato con qualcuno del Movimento per la vita, ma vi assicuro le discussioni finiscono tutte con questo tipo di insulti) e lui, per punirmi, decida di sfregiarmi la faccia con l'acido. Chi dei due è peggio dell'altro?
Ho riflettuto a lungo su questa cosa. E sono arrivata alla conclusione che non fanno scegliere noi cittadini con un referendum perché siamo troppo impegnati ad insultarci l'un l'altro sui social network, per qualcosa che altro non è che un'idea. E, in teoria, le idee andrebbero sempre e comunque rispettate.
Un tempo, eravamo un paese moderno dicono  i giornali. Un tempo eravamo addirittura in grado di scegliere. Poi niente, è arrivato Facebook.



Per il mio punto di vista sulle unioni civili cliccate qui.

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martedì 23 febbraio 2016

In salute e in malattia

Quando l'hanno portato in sala operatoria, io ho chiesto alle infermiere dove fosse il blocco operatorio.
Al piano -1 mi hanno detto.
Con estrema calma, sono andata al bar, ho preso un caffè e ho fumato una sigaretta. Mentre fumavo, ho avvisato i miei genitori, mia suocera e le mie cognate che se l'erano portato via.
E poi sono andata davanti la porta del blocco operatorio, mi sono seduta per terra e ho aspettato.
Stamattina avevo messo un paio di jeans che mi piacciono tantissimo, ma che sono stretti e soprattutto non sono elasticizzati, quindi non riuscivo ad incrociare le gambe. Come una contorsionista, ho provato ad incrociarle tirandole con le mani, ho messo il cellulare in carica -c'era una presa proprio lì- ed ho aspettato. Seduta per terra, a due metri dalle sedie della sala d'attesa vuota.
Non mi sono mossa. Passavano infermieri, medici, barellieri e mi guardavano.
Poi si è avvicinato un ragazzo e mi ha chiesto se anche io stessi aspettando qualcuno.  Gli ho risposto di si ed abbiamo iniziato a chiacchierare.
Aspettava la moglie, operata d'urgenza. A casa avevano un bimbo di undici mesi, lasciato ai nonni. Era una gravidanza gemellare, ma uno dei bimbi non ce l'aveva fatta. Il bimbo che hanno a casa -l'ha chiamato così- era nato di 1,600 kg ed era stato ricoverato al Policlinico Gemelli e il parcheggio a pagamento era carissimo.  Mi ha raccontato dei quattro fratelli della moglie, di casa loro, dei suoi genitori. Io non ho detto nulla perché si chiacchiero tanto, ma so anche ascoltare. E lui era più nervoso di me.
Abbiamo deciso di fermare due barellieri - un ragazzo e una signora- per chiedere se sapevano qualcosa. Ci hanno chiesto i cognomi e sono tornati dopo due minuti a dirci che entrambi avevano finito. Adesso bisognava solo aspettare che potessero essere portati in reparto.
Dopo mezzora sono usciti nuovamente dalla porta del blocco operatorio, il ragazzo ha detto:"Adesso faccio felice uno di voi due". Ho visto Fidanzato.
Ho saluto il mio nuovo amico. "In bocca al lupo" gli ho detto.


A Roma, danno tutti del tu. Il lei non esiste. Non so perché e a me, francamente, va bene così.
"Puoi toccarlo, parlagli".
Mi è scesa la lacrima a vederlo addormentato con le labbra secche e queste bende giganti sul viso e le ho ricacciate indietro perché lui dice sempre che non ce n'è motivo. Va in sala operatoria con il sorriso, sempre.
Siamo arrivati su, in camera. 
Mi sono seduta, la stanza era in penombra, lui ha cercato la mia mano e io gliel'ho stretta.
"Amore, ti hanno messo il pigiama al contrario".
Io odio le cose al contrario, le cose storte. Ho un bisogno paranoico di raddrizzarle. Subito.
Non ha detto nulla, ancora un pò addormentato e mi ha stretto la mano. Per ore, sono rimasta così, con la mano stretta alla sua. 
Amore, sono qui.
Sono brutto? mi ha chiesto, ad un certo punto.
Con tutte quelle bende, le flebo, mille tubi.
No amore mio, sei bellissimo, come sempre.
Il compagno di stanza, operato stamattina, con un brutto drenaggio che faceva capolino da dietro un orecchio ha detto:" Alessà, per le mogli semo sempre belli, loro ci amano comunque".

Ho stretto la mano. E ho pensato che a Roma - non so per quale motivo- sei moglie e marito sempre e comunque, non importa che tu lo sia davvero. 
In salute e in malattia.

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sabato 20 febbraio 2016

Convivenza e ospedale: ancora una volta in sala operatoria

Ancora una volta mi ritrovo ad essere quella che aspetta fuori dalla sala operatoria.
Quella che, in teoria, non ha alcun diritto e che non potrebbe nemmeno aspettare fuori.
Ancora una volta ho trovato persone disponibili, gentili e alle quali del fatto che io sia sposata o meno frega un tubo.
Hanno chiamato me per dirmi che l'attesa era finita e si rientrava in sala operatoria, io ho chiamato lui e ho riferito. A quel punto, si è messo lui in contatto con l'ospedale.
Poi lo hanno richiamato, gli hanno dato la data dell'operazione che è troppo vicina e che mi ha mandato completamente in confusione e lui gli ha detto che doveva un attimo sentire il parere della fidanzata. La fidanzata che manda tutto avanti, in questi casi, che fa avanti e indietro dall'ospedale, che ha bisogno di qualcuno che la rassicuri e le dica che andrà tutto bene.
E alla fine gli ho chiesto "ma tu sei d'accordo alla donazione degli organi?" e lui mi ha risposto "penso di si".
Penso di si. Non è un si, non è un no.


Gliel'ho già chiesto tante volte, ma lo richiedo ogni volta, sia mai che abbia cambiato idea.
Io, ogni volta, ho paura che lui muoia. È questa la verità.
Detto così, fa sorridere probabilmente, ma è la mia più grande paura.
Paura che qualcuno esca dalla sala operatoria e mi dica che c'è stato un problema, che ci hanno provato fino alla fine a risolverlo, ma non ci sono riusciti.
Ho paura dell'anestesia, ho paura degli imprevisti.
Non ho paura dei medici, sono convinta che loro fanno, in ogni occasione, tutto il possibile per far si che tutto vada a buon fine. Ma sono umani e può succedere qualsiasi cosa.
Io non posso farci nulla se ho questa paura, se aspettare fuori mi devasta, se preferirei andarci io in sala operatoria. L'ho detto tante volte che se potessi, prenderei il suo posto.
Lui ride. Ride quando mi vede così in ansia perché mi trova buffa.
Abbiamo due caratteri completamente diversi: tanto ansiosa io quanto tanto sereno lui.
Lui lo sa che io piangerò disperata quando me lo porteranno via, pensando che potrebbe essere l'ultima volta che lo vedrò, così come sa che parlerò con i medici - in questo caso una simpatica dottoressa bionda- con il cuore in gola aspettandomi notizie nefaste e quando mi diranno che è andato tutto bene, piangerò comunque.
"Perché non mandi qualcun altro?" mi hanno chiesto. Perché sono io l'altra metà della mela. E anche perché le cose riportate non le capisco, perché temo il telefono senza fili.
E quindi va così, ancora una volta.


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venerdì 19 febbraio 2016

Essere una fidanzata mostro: istruzioni per l'uso

Noi -io e Fidanzato intendo- non abbiamo un anniversario.
Ad un certo punto, stavamo insieme. Siamo sempre stati insieme e quindi abbiamo stabilito la data del primo bacio come data di anniversario.
Io quella data la so, la conosco. Eppure ogni anno me ne dimentico. 
Non festeggiamo anniversari, mesiversari, giorniversari, oreversari. Perché io, fidanzata mostro, mi dimentico.
C'è stata quella volta che, il giorno dell'anniversario, ho pianificato il trasloco. Alla fine la sera, non avevamo nemmeno l'acqua calda a casa nuova, eravamo distrutti, non c'era niente da mangiare e non avevamo nemmeno il letto.
Non faccio regali a San Valentino, al compleanno e a Natale perché me ne ricordo il giorno prima se va bene, il giorno stesso di norma e il giorno dopo nei casi peggiori. E' più forte di me.
Non faccio mai sorprese perché non ne sono capace. A volte le architetto queste benedette sorprese.
Me le studio nel dettaglio. mi procuro l'occorrente, poi gli telefono e glielo racconto.
"Sai amore, ti ho organizzato una sorpresa".


Una volta, per l'anniversario, volevo andare da una parte, avevo organizzato tutto, poi il giorno prima mi ero ricordata di chiamare il posto per sapere gli orari. Ed era chiuso. Chiusura stagionale. 
La più bella sorpresa che gli ho fatto era un viaggio per Parigi. Avevo studiato tutto anche in questo caso, ero andata dal capo -ai tempi lavoravamo insieme- e gli avevo chiesto le ferie per entrambi.
Quel giorno io ero a lavoro e lui no, era di riposo.
Avevo detto al capo:"Mi raccomando, non gli dire niente".
Il capo era mio complice.
Avevo comprato i biglietti aerei e prenotato l'hotel.
Due ore dopo, mi aveva chiamato per dirmi che era morto suo padre. E io volevo morire.
La sera gli avevo detto che, ehm, capivo che non era il momento adatto, ma io volevo solo fargli una sorpresa. 
Un'altra volta volevo tornare a casa senza dirgli nulla -era il periodo che lavoravo a Milano. Era un'idea carina la mia: mi sarei fatta trovare a casa quando sarebbe tornato dal lavoro. Solo che poi mi ero accorta che le mie chiavi di casa erano a Roma e non potevo aspettarlo fuori dal cancello fino alle due di notte.
Un'altra volta ancora gli avevo comprato un regalo per Natale, credo il primo della storia e avevo cercato di arrivare a casa prima di lui per nasconderlo. Solo che poi mi ero fermata a comprare il regalo di Natale anche ai cani, quindi avevo fatto tardi e quando ero arrivata a casa lui era lì e il regalo gliel'avevo dato direttamente. "Aprilo che nel caso non ti sta lo andiamo a cambiare prima della ressa post natalizia".
Un mostro.
Sono talmente mostro che anche quando le sorprese me le fai lui, io le rovino.
Volevo una determinata borsa e lui era andata a comprarmela. Solo che io avevo controllato l'estratto conto e avevo visto che aveva speso quei soldi in quel negozio. E ovviamente non sono riuscita a fare finta di niente, ero troppo eccitata all'idea della borsa per non dirle nulla. E l'ho chiamato.
Allora lui, dopo un pò, di borsa me ne aveva presa un'altra -stessa marca, ma modello diverso- e l'aveva nascosta nell'armadio, a Milano. Io ero tornata a casa dal lavoro, avevo aperto l'armadio e avevo trovato il pacco. E nella foga, invece di abbracciarlo, gli avevo dato una manata sull'occhio: prima era diventato rosso, poi nero, poi il sangue, poi il pronto soccorso.
E quindi niente, alla fine, ho smesso.
Che poi, è anche fortunato: avere una fidanzata mostro non è da tutti.
E alla fine, quello che conta è l'amore.

Sono talmente mostro che qualche sera dovevo andarlo a prendere al lavoro. All'una.
Me l'ha ripetuto dieci volte.
E poi niente, c'è stata l'invasione delle cavallette, poi anche la pioggia di meteoriti e alle 00.55 ero ancora dall'altra parte della città.

Mi sono giustificata dicendo -ed è vero- che quando avevo guardato l'orologio era mezzanotte. E poi non so che è successo.



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domenica 7 febbraio 2016

La nipotina di rosa vestita

Aspetto una nipotina. Una bellissima e profumatissima nipotina.
Che é sarà bellissima e profumatissima lo so perché la mamma è bella e quindi la mia nipotina non potrà che essere stupenda.
Anche le due zie, per la cronaca, sono bellissime.
Scoprire di aspettare una nipotina -per l'appunto, bellissima e profumatissima- mi ha gasato come poche cose. Ve l'ho detto, io non faccio figli, ma i figli degli altri mi piacciono da morire.
E quindi è iniziata la ricerca dei doni da portare come una regina màgia alla piccolina, che nascerà tra un sacco di tempo, ma bisogna comunque portarsi avanti.
La rete mi ha offerto una quantità di spunti incredibile.
Copertine rosa, cullette rosa, passeggini rosa, pannolini rosa.
Il tutto nella variante rosa con paillettes, rosa con perline, rosa con fiocchi, rosa con disegni, rosa chiaro, rosa scuro, fucsia.
E poi i vestitini e le scarpine.

Avete mai visto i vestiti per le bimbe? Avete mai notato quanto sono belli?
Io sono impazzita a guardare vestitini, se solo ci fosse stata la taglia li avrei presi per me.
Io non ho nulla contro i maschietti sia chiaro, ma il sogno di ogni zia è avere una nipotina femmina, da spupazzarsi, a cui regalare roba rosa con piume e paillettes, fantasticare su quando sarà grande.
L'idea di giocare con le Barbie, poi, ha acceso la scintilla nei miei occhi.
"Nipote, taglieremo insieme i capelli alle Barbie".
E avrai la casa rosa, il camper rosa, il cavallo rosa, lo scooter rosa. Compriamo anche la villa sull'oceano. Rosa.


E anche un Ken magari che io non ce l'ho avuto e le mie Barbie si accoppiavano con gli orsi di peluche.
E giocheremo anche con le Polly Pocket. Esistono ancora, vero? Se non esistono più stai tranquilla nipotina che zia resuscita le sue, nascoste da qualche parte in cantina.
Ci vestiremo di rosa e giocheremo con Barbie e Lelly Kelly.
Avrai anche un sacco di fiocchetti da mettere sui capelli.
E gli orecchini. Non sai quanti orecchini ti regalerà la zia. E anche l'altra zia, anche se gli orecchini non li porta.
E collane e braccialetti.
Le zie ti coccoleranno sempre e sarà da noi che potrai venire quando mamma e papà ti faranno arrabbiare. E lo faranno, fidati di me.
Sarai la bimba più bella di tutte, nipotina.


E poi niente: la nipotina ha il pisello.
Fango e micromachines.
Le fanno le micromachines rosa?

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sabato 6 febbraio 2016

Il rispetto del dolore di una donna

Ho trascorso un pomeriggio al reparto di ginecologia.
No, non per me. Ero in visita ad un'amica.
Stanza da quattro pazienti, un caldo atroce, tanto che qualcuno, ad un certo punto, ha spalancato le finestre.
Un letto era vuoto, finchè non hanno portato una ragazza -non so dire quanti anni avesse- rannicchiata. Al seguito, quello che doveva essere il suo fidanzato o suo marito.
La ragazza aveva appena subito un raschiamento perchè il cuore del suo bimbo aveva smesso di battere.
Non conosco questa coppia, non so la loro storia, non so quanto avessero desiderato questo bimbo, ma lo sguardo di lui trasmetteva dolore. Dolore per la perdita di un figlio e probabilmente dolore nel vedere la sua compagna così rannicchiata, un po' sicuramente per il dolore fisico e probabilmente anche per il dolore del cuore.
Non deve essere facile, deve essere un dolore atroce.
Quando ti dicono che non c'è più nulla da fare immagino si provino sensazioni tremende.
Nella stanza, qualcun altro era felice, tempo di buone notizie, tempo di bimbi perfettamente sani nelle pance delle loro mamme.
Chi era felice cercava di contenere la propria gioia nel rispetto di quella coppia.
Noi siamo andati fuori ad abbracciarci per una buona notizia, quando siamo rientrati parlavamo piano per non disturbare loro. Perché il dolore di quella coppia andava e va rispettato.
Ho pensato a quanto non fosse giusto che una donna che sta provando un dolore così grande debba essere costretta a dividere la propria stanza con chi, invece, è felice per qualcosa che a lei la felicità l'ha tolta.
Poi sono andata a fare pipì. E ho attraversato un corridoio pieno di stanze vuote, più piccole, letti che non erano occupati da nessuno.


Ho pensato che sarebbe stato giusto dare a quella coppia uno spazio solo per loro, senza dover assistere alla gioia di qualcun altro. Uno spazio per stare tranquilli, in un momento difficile.
Si lo so che la vita va così, che sono cose succedono. Solo che sono solo cose che succedono, finchè non succedono a noi.
E ogni donna avrebbe diritto al rispetto del proprio dolore, così come ogni uomo.


La foto è di Photo Lisart di Elisabetta Sampugnaro


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mercoledì 3 febbraio 2016

Unioni civili, adozioni e manfrine varie

Ci ho pensato tanto. Tantissimo
Avevo già espresso la mia opinione qui, ma oggi la esprimo ancora una volta.
E' un argomento troppo importante per fare finta che non esista.
Io sono a favore delle unioni civili. Chi vuole contrarre matrimonio, indipendentemente dall'orientamento sessuale, deve essere assolutamente libero di farlo.
Non sono convinta che il vincolo del matrimonio cambi l'amore che c'è all'interno di una coppia, ma il mio è il punto di vista di una persona privilegiata. Sono privilegiata perchè posso scegliere.
Scegliere di sposarmi e quindi regolarizzare la mia posizione, scegliere di non farlo e vivere bene comunque. Mi basta svegliarmi una mattina, andare in comune, pagare due marche da bollo e, a quel punto, avrò un marito. E lui avrà una moglie.
Sono una rompiscatole comunque, quindi, di fatto, al povero Fidanzato non cambierebbe nulla.
E nemmeno a me cambierebbe nulla: lui continuerebbe a tirarsi la coperta la notte, costringendomi a dargli le gomitate mentre dorme per avere ciò che mi spetta, ovvero la mia parte di coperta.
Parliamoci chiaro: a me dei gusti sessuali delle persone non importa un fico secco. No davvero, è una cosa che non riesce a interessarmi.
Sei uomo e ti piacciono le donne? Bene.
Sei donna e ti piacciono gli uomini? Bene.
Sei uomo e ti piacciono gli uomini? Bene.
Sei donna e ti piacciono le donne? Bene.
Che siate donne o uomini, l'unica cosa che mi importa è che non vi piaccia il mio di uomo.
Per il resto, amatevi e siate felici. Sempre.

Se l'Italia non ha ancora approvato le unioni civili tra persone dello stesso sesso, un motivo c'è. E' una parola di sei lettere. Comincia con la C di Como.
Io non sono esattamente una persona religiosa e non sono esattamente una persona che ha molta stima per la Chiesa, ma la Chiesa esiste e ce l'abbiamo dentro casa.
E avercela dentro casa, non gioca a nostro favore.
Sarebbe bello che la Chiesa non interferisse nelle questioni del nostro paese, ma non so se questo accadrà mai.
Se un giorno accadrà, farò il bagno dentro Fontana di Trevi per festeggiare, in barba alla polizia, al vivere civile e a qualsiasi legge vieti di fare il bagno nelle fontane pubbliche. Al massimo, mi arresteranno e sarò fuori nel giro di tre ore.


Passiamo alla questione adozioni.
Per me, le adozioni sono un tema scottante. Molto scottante.
E non le adozioni omogenitoriali. Tutte le adozioni.
Adottare, in Italia, è un processo lento e faticoso che richiede nervi saldi e una buona dose di sopportazione che, per dire, io non ho.
Io manderei tutti a quel paese dopo mezzora che mi stanno addosso. Anzi, forse a mezzora non ci arriverei.
Credo che l'adozione non sia per tutti.
C'è gente che può e gente che non può. Io, per esempio, non potrei.
Non avrei la forza, il coraggio, la tenacia, la pazienza.
Non riuscirei ad essere giudicata, setacciata, indagata.

No, non ho nulla da nascondere, non ho scheletri dentro l'armadio, ma io questa sono.
Non so neanche se, in futuro, potrei essere una brava madre.
Tempo fa, qualcuno mi ha detto che Fidanzato sarebbe un papà fantastico. Io non sono proprio stata nominata, come se, nel caso, il figlio se lo facesse da solo. Ma questo è.
Ecco, l'ho detto: non credo che tutti possano essere dei buoni genitori.
E questo non ha nulla a che vedere con l'orientamento sessuale. Non è questione di essere gay o etero.
E' che prima di avere un'etichetta sulla base del sesso della persona con cui ci accoppiamo, siamo persone e le persone -fortunatamente aggiungerei- non sono tutte uguali.
Ogni caso, andrebbe preso singolarmente, ogni coppia andrebbe valutata per quello che è.
Ho letto un post di recente in cui c'era scritto che gli etero non sono genitori migliore dei omosessuali perchè, d'altronde, la Franzoni è eterosessuale.
Io, da eterosessuale, con tutto il rispetto, non mi identifico con una signora che è stata condannata per l'omicidio del figlio di tre anni. Che lei sia etero o meno, resta il fatto che è un'omicida. Anzi, un'infanticida che, per quanto mi riguarda, è pure peggio. Non che sia meglio uccidere un adulto, ma uccidere un bimbo indifeso, per di più sangue del proprio sangue, mi da dei brividi che difficilmente riuscirei a spiegare.
Questa classificazione di genere mi fa ribrezzo: il voler a tutti i costi distinguere le categorie in base alle scelte sessuali.
Etero buoni, gay cattivi da una parte e gay buoni, etero cattivi dall'altra.
Eh no, non è così che funziona. SIAMO PERSONE. Persone tutte diverse l'una dall'altra, alcuni sono buoni, altri cattivi. E siccome la vita non è una favola, non è detto che alla fine siano sempre i buoni a vincere.
Direi comunque che tutta sta manfrina sulle adozioni non è necessaria visto che il tipo di adozioni di cui si parla sono le adozioni del figlio del partner.
Io ho un figlio, tu sei il mio partner, ma non il padre del figlio e vuoi riconoscerlo e adottarlo. Questo è, per farla breve.
L'adozione del figlio del partner, in Italia, è consentita soltanto all'interno del matrimonio.
Se io avessi un figlio, Fidanzato non potrebbe adottarlo. Qualora Fidanzato venisse elevato allo step successivo, ovvero quello di Marito, invece potrebbe farlo.
Se le coppie dello stesso sesso non possono (ancora) sposarsi, vien da se che non possono nemmeno adottare il figlio del partner. Logico, non fa una piega.
Sono dell'idea che le conquiste si ottengano un passo per volta e che, una volta ottenuto il diritto di sposarsi, verrebbe probabilmente da se anche il diritto di adottare il figlio del partner.
Ovviamente, tutto il (legittimo) casino che è stato fatto per ottenere il diritto di sposarsi, è passato in secondo piano perchè sono state messe in mezzo le adozioni e, come sempre in questi casi, i diritti dei bambini.
Capirai, i diritti dei bambini hanno risvegliato anche Madre Teresa di Calcutta, visto che per diritti dei bambini si intende quella cosa che si tira fuori quando non si sa più che dire.
Io penserei prima alle unioni civili e, una volta ottenute quelle, penserei al resto.
Sono dell'idea, però, che adottare il figlio del compagno non sia per tutti. Etero o gay che siate.
C'è chi può e chi non può, dipende dal singolo e non dall'orientamento sessuale.
Così come non è per tutti, riuscire ad amare il figlio di un compagno, avuto da una precedente relazione. Cenerentola docet.

Impariamo a non farci la guerra. Impariamo a non dire che le nostre scelte, di qualsiasi tipo, sono migliori di quello di un altro. Impariamo a rispettarci l'un l'altro per quello che siamo e non per il sesso della persona con cui andiamo a letto. Davvero.
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martedì 2 febbraio 2016

Il buco nero dei colloqui di lavoro

Nel corso della mia vita, ho sostenuto diversi colloqui di lavoro, quasi sempre per aziende molto importanti, nazionali e internazionali.
Ho un profilo professionale particolare, che si fa fatica a trovare e questo, di questi tempi, non è un male. 
Di solito, funziona così: chiamano e io rispondo.
"Pronto, buongiorno, parlo con Gilda?"
"Si, sono io, mi dica"
"Chiamo da nome azienda, abbiamo un suo curriculum, vorremmo invitarla per un colloquio".
E quindi, mi dicono il giorno e l'ora, mi chiedono se sono disponibile e finisce lì.
I più precisi, spesso inviano una mail con tutti i riferimenti, ti scrivono persino le indicazioni per raggiungere il posto con i mezzi pubblici, ti indicano il bar più vicino sai mai arrivi in anticipo e vuoi un caffè. E poi richiamano per confermare l'appuntamento, sai mai che te ne dimentichi.
Ad oggi, non ho mai dimenticato un colloquio.
I più paranoici ti chiamano diciotto volte al giorno, per essere sicuri di averti già chiamato e cominci a pensare che qualcosa non va perché o sono squilibrati o i corridoi dell'azienda inghiottono le persone con sommo godimento di Federica Sciarelli.
Fatto il primo colloquio, che di solito dura circa un'ora/un'ora a mezza, ti richiamano dopo qualche giorno per fissarne un secondo, al quale -probabilmente- sarà presente qualcun altro, nel mio caso questo qualcun altro è di solito il responsabile tecnico.
E lì si inizia a fare sul serio: di solito è il colloquio in cui si parla di soldi, di tipologia di contratto e di turni. E poi partono milioni e milioni di domande tecniche, estremamente complesse anche se hai le macchine davanti, figuriamoci se devi andare a memoria. 
Io ho dalla mia parte ho che sono una chiacchierona e argomento ogni risposta.
Una volta, ad un secondo colloquio, mi chiesero se conoscessi una determinata strumentazione e io, quasi mortificata, risposi di no. "Mi spiace, mai sentita".
Quella roba non esiste, era una domanda trabocchetto, solo che io non lo sapevo.
Se avessi risposto di si per fare la figa, mi avrebbero probabilmente preso a martellate sulle gengive.
Dopo il secondo sfiancante colloquio, di solito ce n'è un terzo. Anche questo dura un paio d'ore.
Domande su domande. Che viene spontaneo chiedersi a cosa gli serve chiederti quattro volte la stessa cosa a distanza di dieci minuti tra una domanda e l'altra. Forse temono di stare colloquiando persone bipolari che potrebbero cambiare risposta così a caso, nel giro di pochi minuti.
Forse è un test psicologico subdolo e io non me ne sono mai resa conto.
Alla fine del terzo colloquio, di solito, ti dicono "Ci vediamo giorno tot. per la firma del contratto" o "Ci vediamo giorno tot. per la lettera d'impegno, che serve se devi dare le dimissioni da un'altra parte". I più intraprendenti ti dicono "Ci vediamo giorno tot. per il tuo primo giorno di lavoro, vieni dieci minuti prima così firmiamo il contratto". A dimostrazione che loro hanno già deciso se assumerti dopo i primi cinque minuti del primo colloquio, ma niente: devono farti soffrire per giorni, ore e minuti, mettendoti sotto torchio.
I più crudeli fanno anche un quarto e un quinto colloquio e lì è la morte. Perché se dopo il terzo colloquio mi conoscete meglio di mia madre, dopo il quinto mi conoscete persino meglio dell'Onnipotente, lui che vede tutto e sa tutto.


Succede - a me quanto meno è successo- che dopo il primo colloquio non ti chiamino più. 
Io di solito mi porto sfiga da sola, visto che esco dall'azienda dicendo "Non mi chiameranno mai, non è una posizione adatta a me", domandandomi come mai mi abbiano chiamata, visto che bastava leggere il curriculum con buona pace di tutti. 
Mi è successo una volta: cercavano un ingegnere delle telecomunicazioni madrelingua inglese. Serviva la conoscenza di una serie di sistemi per il video on demand che effettivamente conoscevo, ma non di certo come li avrebbe potuti conoscere un ingegnere. 
Sul madrelingua inglese stendiamo un velo pietoso.
E si che mi avevano detto che di ben cinquecento curriculum pervenuti, ne avevano selezionati una decina. Ah. Pensa gli altri candidati chi erano. Probabilmente Topolino e Pippo che volevano sabotare i rivali di sempre. 
Comunque, ovviamente mai più sentiti.  E se li avessi sentiti, mi sarei stupita.
Succede anche però, che dopo l'appuntamento per la firma del contratto spariscano. No, davvero, diventano irreperibili, inghiottiti da un buco nero. L'azienda chiude, cambia sede, si trasferiscono su Saturno. Io di solito non chiamo mai, ma magari, sai mai, hai dato le dimissioni e rischi di trovarti in mezzo ad una strada, quindi diventa comprensibile provare a chiamare per capire cosa è successo. Ma niente. Si fanno negare al telefono. Se ti presenti in azienda, ti dicono che quella persona (o quelle persone) non lavora più lì, che ha avuto un incidente ed è morta. 
Poi la incontri per strada e ti chiedi se è un sosia o se la reincarnazione è possibile. 
E li saluti:"O salve, si ricorda di me?"
"Come sta? So che aveva avuto un terribile incidente mortale"
"Adesso sto bene, sa mi avevano dato per clinicamente morto, ma poi (alza gli occhi al cielo) il miracolo".
A bello, stai cercando di rubare a casa del ladro.
"Capisco, sono contenta che adesso stia bene, tanti cari saluti a lei e famiglia"
"Spero di rivederla presto"
"Io no, stronzo".
E niente, insomma, a me la sparizione il giorno della firma del contratto  genera ansia e fastidio. Molta ansia e fastidio. Istinti omicidi quasi.
Mettiamo che tu, azienda, abbia cambiato idea perché hai trovato qualcuno migliore di me, con più esperienza, più simpatico, con i capelli più lunghi o che sia figlio di qualcuno, puoi chiamarmi e dirmelo. 
Magari mi dispiacerà, ma comunque accetterò di buon grado la tua decisione, senza pensare che la tua azienda è seria quanto la signorina con le tette al vento e il perizoma che staziona vicino casa mia da mezzanotte in poi. 
Che poi magari, la signorina è davvero seria e io la sto usando come termine di paragone, sbagliando. 
Ma magari fingersi morti no, dai. Magari sarebbe più chic dire, che ne so, che avete perso il numero di cellulare perché un virus ha formattato tutti i pc. E non avevate stampato copia del curriculum perché avete a cuore le sorti della Foresta Amazzonica. Così, per dire.

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lunedì 1 febbraio 2016

Consigli per una coppia felice (o almeno credo)

Ci sono storie che durano e storie che non durano.
Non esistono segreti per fare durare una storia, ci sono tante variabili, ma, ecco, sono giunta alla saggia conclusione che ci sono degli aspetti che contano per essere felici in due. Contano molto.


Ecco quali sono secondo me:
-Non rompersi le palle a vicenda. Niente scenate, niente piazzate, niente isterismi. Si può discutere anche con aplomb.
Ad ogni modo, basta convincere il lui della coppia che la donna ha sempre ragione. Prima o poi se ne convincerà, garantito.
-A ciascuno i propri spazi. Uscire ognuno con i propri amici non ha mai ucciso nessuno.
Quando si esce da soli sarebbe bene non passare la serata attaccati al cellulare a mandare messaggini smielati in cui si evidenzia la totale mancanza, per quelle tre ore, di baci, abbracci, coccole, bla bla bla.
E niente coprifuoco da parte di chi resta a casa: quello dei genitori quando avevamo quindici anni è più che sufficiente.
-Sincerità. Si lo so che la verità può fare male, ma meglio una verità scomoda che una bugia rassicurante. Anche perché le bugie hanno le gambe corte, vengono sempre fuori e, a quel punto, il punto uno non avrebbe senso di esistere.
-Attenzioni. Le piccole attenzioni fanno bene al cuore e fanno sentire amati. Portare il caffè a letto, fare trovare la tavola apparecchiata, ricordarsi di buttare l'immondizia sono cose piccole piccole che non richiedono sforzi, ma che regalano un sorriso.
-Trovare il tempo per l'altro. Si lo so, abbiamo tutti una vita frenetica, siamo stanchi, il lavoro ci uccide e di tempo non ce n'è mai abbastanza. Ma una serata speciale insieme fa bene che sia una cena, un film abbracciati sotto la coperta di pile (che nel mio caso viene puntualmente rubata dal cane) o un passeggiata per i vicoli della città.
-Se si hanno figli, ogni tanto lasciare i bimbi ai nonni. O alla baby sitter. E godetevi l'altro come una coppietta. Io, ai nonni, gli ho lasciato persino il cane. E i nonni in questione, sono ben felici di occuparsi del nano peloso se vogliamo fare un week end fuori senza pensieri.
Se non avete nonni a disposizione, chiedete a degli amici fidati perchè se dovete partire preoccupati di aver lasciato il pargolo (o, appunto, il cane) nelle mani sbagliate, tanto vale restare a casa.
-Non chiudersi in un mondo fatto solo di voi due. È bello stare insieme dentro una stanza con tutto il mondo fuori per una settimana, al massimo due, magari all'inizio della storia. Poi non va più bene.
Coltivate le amicizie, uscite in compagnia, non trascurate la famiglia, non date buca agli amici ripetutamente perché un domani vi ritroverete soli e comincerete a non bastarvi più.
-Fare progetti. Avere un obiettivo comune, qualcosa da realizzare a lungo termine, unisce la coppia. Ci si sente sicuri del fatto non è un gioco, ma una relazione seria.
Poi oh, se domani trovate il compagno/marito a letto con la segretaria, i progetti possono sempre andarsene a quel paese.
-Sostenere l'uno le passioni dell'altro. Fidanzato ama il calcio (che piace anche a me, è un uomo molto fortunato): andiamo insieme allo stadio, guardiamo insieme le partire, parliamo di Calcio mercato. Io amo la ginnastica artistica: lui viene con me alle gare, rinuncia a stare con me quando io alle gare ci vado da sola, segue con me le competizioni internazionali in tv, mi sostiene quando soffro (sempre), fa domande sulla situazione, tifa.
-Non tentare di cambiare l'altro. Se dopo cinque anni insieme, non vi va più bene che si lavi i denti producendo chili di schiuma bianca, non ci potete fare niente. In fondo, non è niente di trascendentale e direi che si può serenamente soprassedere.
Tentare di costruire una persona a vostra immagine a somiglianza non ha senso.
Ricordate il motivo per cui vi siete piaciuti, innamorati e avete portato avanti la storia.
-Sostenersi. Nei periodi difficili, pesanti, che sembrano non finire mai dividere i problemi è una mano santa. Se il peso lo si porta in due, peserà meno.
Questo discorso non vale per le casse d'acqua: se il peso lo porta solo lui, è meglio.
-Ridere. Fino alle lacrime, fino a farsi venire il mal di pancia. Ridere come due scemi.
Non smettere mai di farlo. Perchè la felicità è dietro l'angolo, basta solo volerla.


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