sabato 9 aprile 2016

Università si o università no? Questo è il problema

Io vorrei iscrivermi all'università: da un paio d'anni sono tentata di mettermi a studiare ingegneria, anche se so che analisi mi renderebbe la vita un inferno.
Mi piacerebbe anche fare un master in giornalismo, d'altronde a diciotto anni la mia prima scelta era stata l'Istituto superiore di Giornalismo che poi avevo miseramente abbandonato per iscrivermi alla triennale in Scienze e Tecnologie dell'Arte, della Moda e dello Spettacolo, ovvero il famigerato Dams.
Non so se studierò mai ingegneria o se farò sto benedetto master, io d'altronde sono quella che dice che l'università -fatta eccezione per pochi, pochissimi corsi di laurea- non serve a una beneamata mazza (e sono stata educata, non era mazza la parola giusta) e rabbrividisco quando qualcuno mi dice che -ebbene si- dopo la triennale vuole fare anche la specialistica.
Io ho preso sia la laurea triennale, sia quella specialistica.
A 23 anni mi ero tolta dalle scatole l'una e l'altra, ma non perché sono un genio, ho fatto la primina, quindi l'università l'ho iniziata a diciotto anni spaccati e, si insomma, 18 + 5 =  23.
Era il 2004, la crisi non c'era, iscriversi all'università era il minimo richiesto per spaccare il mondo. O almeno così dicevano. Chi lo diceva non me lo ricordo.
La scuola non mi piaceva, l'idea di svegliarmi all'alba, andare lì, stare seduta cinque ore, con professori che manco mi facevano simpatia, mi pesava. Tantissimo.
L'università, invece, era bella.
Io, alla triennale, ho frequentato pochissimo le lezioni: storia e critica del cinema e drammaturgia al secondo anno; organizzazione ed economia dello spettacolo, elaborazioni di immagini e suoni riconoscimento e visioni artificiali e legislazione dei beni culturali al terzo.
Il primo semestre del primo anno me lo ricordo come un continuo conoscere gente, chiacchiera di qua, chiacchiera di là. Poi mi sono chiusa in casa a studiare, davo esami come un treno, ma studiavo tantissimo. Mi sedevo alle 8 del mattino, facevo pausa per pranzare e finivo alle 8 di sera.
Per qualche esame, al secondo e terzo anno, ho cominciato a svegliarmi alle 5 del mattino.
Qualche furbata l'ho fatta: per l'esame di lingua e traduzione inglese non avevo toccato libero, andai lì con quello che mi ricordavo dal liceo -d'altronde ho pur sempre fatto il liceo linguistico- e presi 28; per storia contemporanea ripassai qualcosa dal libro delle superiori, non comprai mai il libro richiesto dal professore, d'altronde la storia quella è, ma lessi il libro sul fascismo che parlava praticamente solo delle amanti di Mussolini e così mi feci una cultura su chi andava a letto con  chi durante il ventennio e presi 30.
L'esame per cui studiai di più fu anche quello in cui presi un voto più basso, nonchè l'unico che diedi in ritardo al secondo anno anche se era materia del primo: psicologia delle arti, una materia che ancora adesso non so di cosa tratti. L'assistente voleva convincermi a tornare un'altra volta, non aveva senso accettare un voto basso con una media alta, ma io quasi mi misi a piangere supplicandolo di scrivere quel 23 sul libretto e lasciarmi andare a casa. Non ho mai festeggiato tanto in vita mia per un esame.
Io sono una persona ansiosa e il culmine dell'ansia l'ho raggiunto durante quei tre anni, stavo sempre male, mi veniva un malanno dietro l'altro: dormivo poco, lavoravo per mantenermi e studiavo. Studiavo tanto, tantissimo.

A Luglio 2006, chiesi la tesi -un anno e mezzo prima la sessione prevista per la laurea, a  Luglio 2007 ero a Bologna per fare il colloquio d'ammissione alla specialistica, a Dicembre 2007 mi sono laureata e a Gennaio 2008 stavo già frequentando la specialistica, con gli esami del primo semestre da recuperare perché mentre io finivo la triennale, i miei compagni di corso già seguivano le lezioni.
L'ansia, a quel punto mi era passata.
Il periodo più bello della mia vita, ad oggi, è quello da studentessa fuori sede: studiavo, davo esami come un treno, ma ero rilassata. Ero anche felice.
L'estate non studiavo, quella era fatta per tornare a casa e divertirsi, a Natale non studiavo e frequentavo le lezioni. Mi divertivo pure a frequentarle, eravamo pochi ed eravamo tutti -più o meno- amici. Dopo le lezioni, uscivamo, andavamo in giro.
Erano i tempi in cui facevamo serata con 2€ in tasca e andava bene così. A volte, i 2€ erano da dividere in tre o in quattro.
Lavoravo, ma nemmeno troppo.
In un anno e mezzo ho dato ventuno materie, ho finito gli esami a Luglio 2009  e poi mi sono riposata. Ho lavorato alla tesi, con molta calma, ed è venuto fuori anche un bel lavoro, ho fatto i conti e ho deciso di laurearmi l'ultima sessione utile per non finire fuori corso, ovvero Marzo 2010 perché di correre e vivere d'ansia mi ero rotta le scatole.
Il giorno della laurea, mi chiesero -dopo una discussione durata una mezzora- come mai la tesi l'avessi intitolata God Save The Drag Queen e io, con la faccia da schiaffi che mi porto dietro da sempre (e che non potrei cambiare nemmeno volendo) risposi: "Perché se ce la Dio, ce la facciamo tutti".
Mi fecero l'applauso. No davvero, non sto scherzando. Deve essergli piaciuta quella risposta.


E poi niente, subito dopo la laurea, ho trovato il lavoro che sarebbe diventato il mio lavoro, quello di tecnico televisivo, per il quale la laurea non serve a niente.
Ho avuto colleghi con la terza media, non per questo meno bravi di me a svolgere quel lavoro.
Ho avuto colleghi con il diploma, anche loro non per questo meno bravi di me a svolgere quel lavoro.
Ho avuto colleghi laureati, non per questo più bravi di quelli con la terza media e il diploma.
A nessuno gli è mai importato della laurea. 
Una volta sola, un capo mi ha chiesto:"Ah, ma tu sei laureata?"
"Si"
"E in cosa?"
"Cinema, Televisione e Produzione Multimediale"
"Ma dai, che bello, non lo sapevo".
E' scritto sul curriculum. Lo stesso curriculum che lui aveva in mano -e che guardava continuamente- il giorno che feci tre ore di colloquio.

Nb. Io il tocco non l'ho mai avuto. Ho avuto una corona d'alloro con il nastro bianco, visto che bianco era il colore della facoltà. Mia madre ha da poco trasferito la mia corona nella parte del balcone di casa sua adibito a lavanderia e quando ho fatto le mie rimostranze mi ha detto che perde foglie e che comunque, essendo il balcone quello della cucina, se le serve qualche foglia per cucinare, le è più comodo prenderla.

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giovedì 7 aprile 2016

Quando la televisione rimaneva spenta la sera

Quando mia madre era bambina, le trasmissioni televisive, ad una certa ora, finivano.
Nero e arrivederci a domani.
L'ho già detto: dire nero in messa in onda è come dire bomba in aereo. Eppure, ai tempi -c'erano ancora i dinosauri forse- il nero era normale in alcune fasce orarie.
C'era un solo canale, poi è arrivato il secondo e poi il terzo. 
Non esisteva lo zapping, non c'era la pay tv -che è arrivata quando io ero bambina, non c'era l'on demand.
La televisione non era a colori, era in bianco e nero
Poi, non so esattamente quando, le cose sono cambiate e la tv, piano piano, ha iniziato a trasmettere h24, 365 giorni l'anno. 366 nei bisestili.
E i lavoratori della tv -che sono tantissimi- hanno iniziato a lavorare la sera, la notte, i festivi.
Sono nate le reperibilità: io l'ho avuta la reperibilità ed è una cosa orrenda. Per chi è ansioso come me, avere la reperibilità significa guardare il cellulare per 48 ore, sai mai che suoni, non andare in posti dove il cellulare potrebbe non prendere, dormire con un occhio chiuso e uno aperto, rigorosamente con la tuta sulla sedie e le scarpe a fianco la porta di casa, avere la lucidità di vestirsi, uscire di casa e guidare anche nel pieno della notte, possibilmente senza schiantarsi al primo incrocio, arrivare a lavoro maledicendo chi si è sentito male ed essere subito operativi.
Il mio contratto diceva che, in caso di chiamata durante la reperibilità, entro un'ora dovevo essere a lavoro. Ai tempi, abitavo a 40 km dal posto di lavoro, praticamente avevo solo il tempo della strada. Ad un certo punto, cominciai a mettermi a letto direttamente con la tuta, tenerla sulla sedia faceva perdere tempo prezioso.
Una volta, durante la reperibilità andai a fare un concorso, ero l'unica con il cellulare sul banchetto, guardata a vista dalla commissione esaminatrice. Erano stati magnanimi, probabilmente perchè non avevo uno smartphone e non potevo andare su internet a cercare eventuali risposte alle domande.
In ogni caso, non passai nemmeno la prima fase del concorso.
Mi piace pensare che ero troppo stanca -non dormendo da ore- per concentrarmi, ma forse ero semplicemente troppo ignorante rispetto agli altri. 
Comunque, tutta questa pappardella per dire che non è sempre stato così, non abbiamo sempre lavorato h24, esistono per altro realtà piccole in cui il turno di notte non esiste, ci sono quelle sei/sette ore in cui si è scoperti e si prega affinchè non succeda nulla. 
Ci sono anche mansioni per cui non è previsto lavorare la notte e i festivi e, anche lì, si prega affinchè non succeda nulla. 
Nel tempo, è cambiato qualcosa: sono aumentati i canali, è cambiata l'offerta (che risponde comunque ad una domanda, altrimenti non sarebbe cambiata), è stato necessario aumentare il personale tecnico affinchè la trasmissioni fossero garantite sempre. SEMPRE.
Non salviamo vite umane, non c'è bisogno di tenere la tv accesa sempre e comunque, anche solo per avere compagnia (che poi, che compagnia è?) e noi ci siamo adattati. 

Di recente, leggevo una polemica sul fatto che i negozi e i supermercati non dovrebbero aprire la domenica -il che per quanto mi riguarda andrebbe pure bene, io la domenica lavoro, quindi di certo non vado in giro per negozi e la notte o lavoro o dormo- perchè non salvano vite umane.
Ho fatto una domanda: "Ma voi la televisione tra le 18 e le 9 del mattino o la domenica o il giorno di Natale, la guardate?"
La risposta è stata si, ovvio, che fai non guardi "Una poltrona per due" il giorno di Natale? E la sera che fai, non accendi la tv? 
Ci mancherebbe.
Solo che la tv non salva vite umane e si da per scontato che chi lavora in tv debba lavorare h24, 365 giorni l'anno, il che a me va benissimo, eh. Se mi togliessero i turni e mi facessero lavorare da lunedì a venerdì dalle 9 alle 18 probabilmente ne morirei.
Così come tanti anni or sono è cambiata la domanda ed è stato necessario, per noi tecnici, cominciare a lavorare h24, 365 giorni l'anno, sta cambiando anche in altri settori. 
Piovono proteste, insulti, la frase "noi non salviamo vite umane e dobbiamo stare con la famiglia". E gli altri? Chi se ne frega!
Ma allora qual'è il metro con cui si decide che determinate categorie possono -come dite voi- rinunciare al tempo con la famiglia, alla lasagna a casa dei nonni la domenica, alla gita fuori porta nel week end, al proprio letto durante la notte e altre invece sia mai, non esiste proprio?
Che poi, sarà un caso, ma la televisione fu inaugurata proprio di domenica, il 3 Gennaio 1954. Per dire, eh.


Per ulteriori approfondimenti sul tema, qui un post sul lavoro domenicale.

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martedì 5 aprile 2016

Morsi di cane

Io rimpiango i morsi che non ho dato.
(Snoopy)


Abbiamo un paio di amici che dicono che dovremmo regalarci un viaggio a Lourdes.
Prima o poi lo faremo, anche se temo che neanche  quello possa aiutarci.
Fidanzato e Cane Gnappo sono stati aggrediti e  morsi da un cane.
Sotto casa nostra c'è un grande parco, molto bello e curato, dove ogni giorni ci sono decine e decine di persone: passeggiatori di cani, gente che non ha un divano in casa e preferisce correre per motivi che non mi sono del tutto chiari e bambini. Milioni di bambini. C'è un'area adibita a parco giochi, io passo il mio tempo a bramare le altalene, ma niente: ci sono sempre milioni di bambini che non mollano le altalene nemmeno sotto il diluvio incessante, il terremoto, l'invasione delle cavallette.
Comunque, parlavamo del cane che ha aggredito Fidanzato e Cane Gnappo.
Io ero a casa, in pigiama. Suona il citofono. "Scendi subito". Panico.
Sono corsa giù, in pigiama.
Io dormo in pantaloncini corti anche in pieno inverno. Ed è con quelli che sono scesa.
Ho avuto l'accortezza di mettermi le scarpe e non scendere con le pantofole a forma di unicorno però.
Trovo Fidanzato e Cane Gnappo moribondi. 
Succo della storia: Fidanzato e Cane Gnappo erano al parco, Cane Gnappo annusava in giro, Fidanzato lo guardava annusare. Da circa trenta metri parte un cane, ovviamente senza guinzaglio, il padrone era intento a scattare fotografie (non si capisce bene a cosa visto che, a parte gli alberi e le altalene, non c'è un tubo da fotografare). Il cane punta altri due cani che scappano, il padrone se la ride, il cane a questo punto vede Cane Gnappo e ringhiando lo prende per il collo. Cane Gnappo ci ha provato a difendersi -a quanto mi riferiscono- ma lui è un cane scemo, ha paura di qualsiasi cosa, figuriamoci di un cane ringhiante e aggressivo. Fidanzato prova a salvare Cane Gnappo, cade per terra, prende un morso. 
Interviene un ragazzo che cerca di salvare Cane Gnappo, riuscendoci. 
Il padrone dell'aggressore stava lì a ridere.
Fidanzato, grande spavento a parte, ci ha rimesso un dito, Cane Gnappo un orecchio. 
Il padrone del cane, ovviamente, non ha nemmeno chiesto scusa. E, a noi, che siamo sempre molto tolleranti, è scattata una molla e abbiamo deciso di fare qualcosa.


Esiste una legge che vieta di tenere liberi i cani, se non in aree apposite.
Oltre alla legge, esiste il buon senso: un cane è pur sempre un cane, agisce per istinto e non si può mai sapere come reagirà in determinate situazioni. In un posto dove ci sono altri cani, altre persone e soprattutto dei bambini, tenere un cane libero è una pazzia.
Se al posto di Cane Gnappo e di Fidanzato, c'era un bambino di tre anni, probabilmente finiva male. E poi si urlava alla tragedia.
Cane Gnappo lo teniamo sempre al guinzaglio (e tenevamo al guinzaglio anche Cane Nero, persino quando aveva il tumore e potevamo portarla fuori solo in braccio) e, come due poveri scemi, più spesso di quanto potremmo, lo carichiamo in macchina, ci facciamo dieci km e lo portiamo all'area cani più vicina (chiamala vicina!) per poterlo fare correre in tutta tranquillità
All'area cani, teniamo gli occhi spalancati, uno dei due è sempre vicino a lui perché non si sa mai.
Ad oggi, Cane Gnappo ha preso un sacco di morsi, ma non ne hai mai dati. Sto scemo.
Uscire di casa con lui è angosciante perché, sotto casa, è pieno di cani lasciati liberi in barba alla legge e al buon senso che, spesso e volentieri, ci corrono contro. Qualcuno vuole solo giocare, ma a me da noia comunque perché faccio tanta fatica a spiegare al povero Gnappo guinzagliato che la sua mamma non lo tiene al guinzaglio perché è cattiva, ma vuole solo rispettare la legge ed evitare spiacevoli inconvenienti.
Sai mai che con la sfiga che abbiamo se lasciassi il cane libero di fare come gli pare,  mi dribbla una novantenne al parco che cade per terra, si rompe il femore, i parenti ci fanno causa, poi la vecchietta muore e ci arrestano per omicidio, Cane Gnappo rimane da solo, non sa mettersi la pappa nella ciotola in modo autonomo, muore anche lui di stenti e privazioni e ci aumentano la pena per incuria nei confronti del nano di casa. 
Io, che sono notoriamente una persona simpatica, ho imparato a dire ai padroni strafottenti che il mio cane morde. Si lo so, non è credibile, ma di solito funziona.
A volte insistono che il loro cane è buono e che può quindi molestare il povero Cane Gnappo che vorrebbe solo annusare in giro, senza rotture di scatole. Oltre a Cane Gnappo, molestano anche la sua mamma che vorrebbe solo passeggiare in pace.

Vi prego, non ditemi che il vostro cane è buono.
Anche il mio lo è.
Vi prego, non ditemi che il vostro cane ha bisogno di sfogarsi.
Anche il mio ne ha bisogno.
Vi prego, non ditemi che i negozi hanno finito i guinzagli.
Esiste internet e i negozi on line.
Vi prego, non ditemi che potete come vi pare.
Perché la nostra libertà finisce dove inizia quella altrui.



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