giovedì 11 agosto 2016

Quando il cibo ti uccide

In questi giorni, è stata presentata una proposta di legge che mira a perseguire penalmente quei genitori che impongono ai minori di sedici anni una dieta priva di elementi essenziali per la crescita sana ed equilibrata del minore stesso.
È evidente che la proposta di legge vuole colpire quei genitori che impongono ai propri figli una dieta vegana.
Non mi soffermo ad analizzare il veganesimo perchè, francamente, mi interessa molto poco quello che mangiano gli altri, almeno finchè non vengono a rompere le scatole a me.
Da qualche parte sul web, ho scritto, in risposta ad un articolo sulla questione, che trovo -in linea generale- sbagliato che un genitore imponga qualsiasi cosa ad un figlio che, non lo vorrei dire, non è una sua proprietà, ma prima di tutto una persona.
Comprendo l'impossibilità per un pargolo di dieci mesi di spiegare in modo accurato alla mamma cosa vuole o non vuole mangiare, anche se mia madre racconta sempre che io ero già un'emerita rompiscatole già nei primissimi mesi di vita.
È passata alla storia quella volta in cui mia madre, proprio a dieci mesi, voleva propinarmi le pappine insapore e io ho azzannato una sogliola intera, piangendo infastidita quando era finita e nessuno si premurava di darmene un'altra. Accuratamente spinata, ovviamente.
Una serie di madri si sono schierate a favore dell'imposizione nei confronti dei figli di quelli che vogliono i genitori, che sia la scelta della scuola, dello sport o, viene da se, dell'alimentazione.


Ad un certo punto, una di queste mamme, ha tirato fuori il sacrosanto diritto di un genitore di imporre delle cure, facendo un discorso per me un tantino troppo elaborato da capire ad Agosto mentre sono in vacanza e ho spento il cervello, se legate all'alimentazione.

Ho una patologia legata al cibo, non è un segreto.
Una patologia che, da quindici anni, tre mesi e quattro giorni condiziona la mia vita.
5598 giorni.
799 settimane e 5 giorni.

Esattamente metà della mia vita. 
Una vita di m***a da questo punto di vista, anche se nessuno -a parte i miei genitori e il fidanzato- lo direbbe mai.
Quando si dice allergie alimentari, la gente pensa che al massimo ti vengono le bolle e ti gratti un po'. 
Nel mio caso -e in quello di qualche altro sfigato- non è così (qui per saperne di più).
È un attimo che non si respira più, che i polmoni ti fanno ciao come le caprette di Heidi e poi si ferma anche il cuore. Nel frattempo, l'intero corpo smette di rispondere e si perdono, man mano, tutti i riferimenti: i cinque sensi ti salutano a poco a poco e, ve lo assicuro, non sono sensazioni troppo piacevoli.
Esiste un farmaco che può rallentare o fermare tutto questo, se si ha la prontezza di auto somministrarselo (o si trova qualche baldo giovane volenteroso, ma io ancora non l'ho trovato), a patto e condizione di correre comunque in ospedale.
Io, per scelta, ho sempre abitato nei pressi di un ospedale, il mio criterio di valutazione di una casa -che sia da prendere in affitto o da acquistare- è sempre stato condizionato dalla vicinanza o meno di un ospedale.
Vengo portata in ospedale, in codice rosso, circa una volta al mese.
Una volta che mi hanno dato un codice giallo alto mi sono pure offesa.
Non mangio tantissimi alimenti, così come non mangio alimenti che potrebbero contenere anche solo un traccia di moltissimi altri alimenti.
Rischio ogni istante a causa della contaminazione, mi basta che qualcuno non abbia lavato una padella con cui ha cotto qualcosa a cui sono allergica a 495° per almeno sette ore di fila e compariranno le caprette che fanno ciao.
Se un cibo entra in contatto con un altro cibo (basta che si trovi all'interno dello stesso frigorifero) a cui sono allergica, arrivano le caprette.
Mi sono sensibilizzata ad una proteina contenuta praticamente in tutti i cibi del creato e devo dosare la misura in cui ingerisco i vari alimenti che contengono questa proteina nel corso di una stessa settimana, dello stesso mese, dello stesso anno, altrimenti caprette.
Caprette ovunque. Ah no, erano i polmoni che facevano ciao come le caprette. Insomma, ci siamo capiti.
Nonostante questo, io mangio. E sono anche cicciotella, come le atlete del tiro con l'arco.
Vivo una vita normale, anche se, intorno al cibo, ruota buona parte della nostra esistenza.
E qui torniamo alla parte iniziale del mio discorso: io ho sempre scelto autonomamente come affrontare questo problema. I miei genitori non si sono mai permessi di imporre nulla relativamente alla mia alimentazione e al modo in cui ho deciso di curarmi, ammesso che di cura si possa parlare.
Io sono peggiorata con gli anni, eh.
All'inizio non era così.
A dire il vero, va sempre peggio, ogni tanto quando arrivano le cattive notizie mi faccio anche un piantarello. Esco sempre piangendo dai controlli, a dire il vero.
Oh certo, sono stati i miei genitori ad armare una lotta senza uguali quando ero adolescente per farmi riconoscere una serie di tutele che ai tempi non esistevano, ma erano -oltre che i miei genitori- anche i miei tutori legali e io ero minorenne. Stavo per compiere quindici anni.
Nessuno di noi ha realmente scelto l'allergologo che mi ha avuto in cura per 14 anni e mezzo. All'epoca, nell'unico reparto di allergologia di un ospedale pubblico a Palermo, c'era solo lui. Negli anni, però, sono stata io a confermare, anno dopo anno, la mia scelta di affidarmi a lui.
Abbiamo consultato diversi specialisti -o sedicenti tali, visto che siamo incappati anche in alcune fregature- e sono stata io a scegliere di non vederli mai più.
Una volta dissi proprio: "Mamma, a me questi rimedi da sciamano del Dottor Tal de Tali, mi sembrano inutili, non mi interessano".
"Ok" fu la risposta.
Quel sedicente medico è rimasto, nei secoli dei secoli, lo Sciamano. Lo chiamo ancora così, quando capita di parlarne.
Quando mi fu proposto di entrare in un programma di sperimentazione -o di fare la cavia, come ho sempre detto io- sono stata io a scegliere di non prendere nemmeno in considerazione l'idea. Con delle motivazioni che all'epoca -ma anche adesso, in realtà- mi sembravano valide.
Quando hanno proposto ai miei genitori -io ero minorenne- di fare un percorso riabilitativo, sono stata io a dire che non se ne parlava proprio. Negli anni, dopo che alcune persone ci hanno provato con risultati non solo scarsi, ma anche rischiosi per la propria vita, la mia scelta si è dimostrata giusta.
I miei genitori hanno cercato ovunque una possibilità di restituirmi la vita che avevo prima sperando che qualche parte esistesse una cura o qualcosa di simile, sono stata io  a dire di smettere di cercare, nella speranza, però, che un giorno la medicina faccia dei passi avanti tali da permettermi di mangiare di nuovo quanto meno la Nutella e le fragole.


Sono stata io a scegliere di cambiare allergologo e ospedale per una questione logistica, più che per altro. L'allergologo l'ho scelto io.
A trent'anni suonati, però, ai controlli semestrali, ci voglio andare con la mamma, ma questa è un'altra storia.
Sono io, ogni giorno, a scegliere come gestire la mia alimentazione e lo faccio adesso, che sono adulta, così come lo facevo quando ero adolescente.
Le mie scelte sono sempre maturate dopo aver valutato con dei medici super competenti la situazione e dopo aver, ovviamente, indetto riunioni a cui tutti i membri della famiglia sono costretti a partecipare. 
Guardandomi indietro, so di avere fatto scelte sbagliate a volte, di essere stata poco attenta altre volte, ma l'ho fatto con la mia testa.
Nessuno mi ha mai imposto delle cure o delle scelte al riguardo, nemmeno quando ero minorenne.
E sono fiera di avere dei genitori che non hanno mai pensato che imporre sia la soluzione giusta per curare un figlio  che ha già delle difficoltà oggettive.
Forse, da adolescente, se mi avessero imposto qualcosa, avrei mangiato un kg di Nutella per dispetto, non rendendomi conto che il dispetto l'avrei fatto in primis a me stessa.
E invece, adesso, riesco persino a controllare la bava in stile Mastino Napoletano quando vedo qualcosa che vorrei mangiare, ma non posso.

6 commenti:

  1. Mi piacerebbe saperne di più della tua patologia. Vorrei sapere come si riesce a gestire nella vita di tutti i giorni il problema e a condurre una vita il più possibile normale.

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    1. Ho rigirato la domanda a mia madre che ha risposto:"Stando attenti e mantenendo l'autocontrollo" ;)

      Nel dettaglio, comunque, per come affronto io il problema è sufficiente stare appunto molto attenti. Nello specifico, per fare degli esempi concreti: evitare il supermercato nel periodo in cui ci sono pesche e simili (che per me rappresentano il problema maggiore), mandando qualcun altro a fare la spesa. Se si compra altra frutta o verdura che posso mangiare (poca, ma esiste), va disinfettata e lavata accuratamente e poi sbucciata da qualcun altro. Se devo sbucciarla da me, utilizzo i guanti (Quelli per lavare i piatti, per intenderci).
      Bisogna leggere tutte le etichette (e ovviamente accontentarsi, quasi tutto ultimamente contiene la dicitura "potrebbe contenere frutta a guscio" e io sono allergica a tutta la frutta a guscio), quindi in generale si perde molto tempo a fare la spesa.
      Non potendo comprare molte cose, bisogna autoprodurle.
      Si mangia da amici o parenti solo se sanno affrontare il problema perchè, nelle loro cucine, non ci deve essere traccia di molti alimenti: non tutti chiaramente sono disponibili (ed è comprensibile) e, negli anni, ho smesso di frequentare inevitabilmente alcune persone.
      Posso dirti, però, che sin dai tempi della scuola di persone che si sono fatte in quattro ce ne sono state, piuttosto cucinavano a parte.
      Mangiare fuori è un problema: si chiede, spiegando il problema, ma spesso se ne fregano comunque. Io di solito odoro il cibo quando mi arriva e cerco di capire se può essere contaminato (so che fa ridere, ma è vero). In molte occasioni, si litiga, ma di solito quando mi arrabbio perchè palesemente se ne sono fregati di quello che gli ho detto, interviene un responsabile che rimette in riga chi ha sbagliato perchè cmq per un ristorante sarebbe un problema se gli morissi là dentro :P
      A cena fuori cmq ci andiamo relativamente poco e sempre negli stessi posti di cui ci fidiamo.
      Per le contaminazioni di cibi che sembrano puliti, non si può ancora fare nulla purtroppo, si spera sempre vada tutto bene e se non va bene si corre in ospedale. Mi hanno raccontato che una sera, dovendomi portare in ospedale, piangevo chiedendo di non farmi morire e la mia amica ha guidato come manco Nuvolari :P
      A lavoro, bisogna sperare di incontrate colleghi intelligenti, ma mi è successo di un collega che ha provato a mandarmi all'altro mondo perchè, forse, pensava scherzassi. Così come mi è successo di un ex compagno di scuola che x farmi dispetto (non rendendosi conto della situazione) mi ci ha praticamente mandato all'altro mondo e si è beccato una denuncia penale (io ero minorenne, hanno gestito tutti i miei e secondo me sono stati pure troppo buoni):
      Chi ti sta vicino deve rinunciare a mangiare quello che non puoi mangiare tu, in casa determinati alimenti non ci possono proprio entrare e cmq se, per esempio, il mio fidanzato toccasse determinate cose e poi toccasse me sarebbe un problema.
      I miei mangiano (da quando vivo lontana da loro) molte cose che io non posso mangiare, ma poi bisogna trattare la casa in modo che non ci sia la minima traccia, che ne so, su una maniglia piuttosto che in frigo.
      Non si può cmq imporre al resto del mondo di adattarsi, quindi piuttosto che rischiare, spesso si sceglie di non andare in determinati posti per evitare rischi.

      In ogni caso, io sono davvero cicciotella e mi piace mangiare. Conduco una vita praticamente normale e, spesso, quando nuove conoscenze sentono, dopo magari uno o due mesi che mi conoscono, che ho questo problema restano sgomenti per come, finchè non glielo dico io, non si noti nulla ;)
      Il grosso non lo faccio io che sono molto tranquilla, ma chi mi sta vicino perchè, per loro, è sicuramente fonte maggiore di stress e preoccupazioni. Oltre al fatto che ci vuole grande amore per rinunciare a qualcosa per qualcun altro :)

      Spero di essere stata esaustiva, purtroppo non ho il dono della sintesi ;)

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    2. Grazie mille della spiegazione. Non avrei mai immaginato che una persona allergica non potesse nemmeno entrare in un supermercato, pensavo che bastasse non ingerire certe sostanze e che nei casi più gravi bastasse non usare le stesse pentole per cucinare. Trovo che sia un argomento molto interessante e credo che molte persone, come me, siano ignoranti.

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    3. È normale non saperlo: c' è poca informazione al riguardo (nonchè molta confusione con le intolleranze) e poi non tutti gli allergici hanno questi problemi per fortuna ;)
      Cmq, giuro che raccontato sembra molto peggio di com' è realmemte :)

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  2. Ti capisco benissimo, io sono allergica alle proteine del latte (e non c entra con l intolleranza al lattosio ma vallo a spiegare),ma io ne soffro da quando sono nata...qualche shock anafilattico e varie crisi respiratorie ma per fortuna in frigo non mi danno fastidio le contaminazioni. Molte volte discuto con amici o parenti perché non capiscono la paura di assaggiare un cibo quando ti dicono che non contiene gli allergeni, non sanno cosa vuol dire stare con l ansia per un ora per vedere se é tutto ok e altre cose che ben saprai...come dico sempre loro: a me é toccata l allergia, almeno lasciatemela gestire come so! ☺ ti mando un abbraccio,

    Laura.

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    1. Non ti invidio per niente, dicevo proprio un paio di giorni fa che se fossi allergica alle proteine del latte sarebbe la fine. Per altro notavo che anche il latte, come la frutta a guscio, è ovunque.
      È proprio vero cmq:lasciteci gestire come sappiamo.
      Un bacio grande :)

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