sabato 23 luglio 2016

Lo chiamano Karma: di quando ci hanno rubato la macchina

Stanotte ci hanno rubato la macchina.
Siamo orrende persone e di macchine ne abbiamo avevamo due: la mia -piccolina, di poche pretese, ma che personalmente ho sempre amato più di un figlia- e quella di Fidanzato, più nuova della mia, più costosa, più grande e sicuramente tenuta meglio che ci mancava poco e la portava a dormire nel letto con noi.
Ho sempre insultato la macchina di Fidanzato perchè parla. No, davvero: ci entravi dentro e lei partiva con "buongiorno", "buonasera", "spero che la tua settimana stia andando bene", "spero tu abbia passato una bella giornata", "vuoi telefonare a qualcuno che ti faccio il numero?", " hai caldo?", "hai freddo?".
E quindi, insomma, l'hanno rubata.
Ieri sera c'era, stamattina non c'era più.

Ho chiamato i vigili -sai mai l'abbiano rimossa per motivi misteriosi- e anche tutti i depositi di Roma e dintorni, ma niente. Rubata.
E allora è scattata la missione denuncia alle autorità competenti. Si dice così, no?
Un'ora abbondante di attesa per fare la denuncia con una me scalpitante perchè ero uscita di casa conciata nel peggiore dei modi.
Una volta ottenuto il foglio di denuncia -dove il carabiniere ha anche sbagliato ad indicare il colore, quindi ci toccherà tornare in caserma- ho provato a contattare l'assicurazione, che però il sabato pomeriggio è chiusa. E allora ho mandato una mail, allegando la denuncia, così intanto io li ho avvisati e lunedì mattina proverò a richiamarli.
Poi ho dovuto bloccare il Telepass che era dentro la macchina. L'hanno bloccato solo temporaneamente, per il blocco definitivo devo inviare copia della denuncia e del documento di identità.
Che problema c'è? Datemi l'indirizzo mail e vi mando tutto subito.
"Eh no, solo via fax, non abbiamo una mail".
Ok, manderò tutto via fax lunedì che qui intorno -sarà che è una quartiere residenziale di quelli chic dove difatti, ad esempio, non rubano le macchine- è tutto chiuso.  L'unico negozio aperto è il fruttivendolo sotto casa che non chiude mai, solo a volte la notte, ma il fax non ce l'ha.
Bisogna anche andare alla Motorizzazione (o all'Aci) a dirgli:"Ehi, mi hanno rubato la macchina, non pagherò più il bollo perchè ne ho perso il possesso, potete iscriverla nel registro delle macchine rubate?" E loro vi diranno di si -con i loro tempi che di solito sono biblici- a patto e condizione che sborsiate un pò di soldi che mi pare ovvio che non solo ti rubano la macchina e già vorresti uccidere tutti con il lanciafiamme, ma devi spendere quella piotta abbondante per fare sapere al mondo che te l'hanno rubata.
E va beh, c'est l'Italie.
Sono già stata avvisata del fatto che l'assicurazione prima di un tot. di mesi - più o meno se ne parlerà nel 2017- non ci risarcirà.


Noi facciamo anche parte di quella schiera di sfigati che ha necessariamente bisogno di due macchine: lavoro su turni in una città che i mezzi pubblici non sa neanche cosa siano.
E quindi niente, scriverò una lettera al signor Karma per renderlo edotto del mio disappunto nei suoi confronti.
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domenica 17 luglio 2016

Perchè i media "snobbano" la ginnastica?

La ginnastica é uno sport a conduzione familiare, lo dico sempre. Ci si conosce tutti, ci si vuole bene, magari non sempre per carità, ma bene o male,  a livello nazionale, le facce che vedi ad una gara sono quelle.
Si parla poco di ginnastica, non quanto io vorrei, ma vi assicuro che un tempo era peggio.
Negli ultimi anni, è stato fatto un lavoro importante sulla comunicazione. So per certo che ci sono decine di persone che si sbattono per far si che qualcuno ne parli: c'è la Federazione Ginnastica d'Italia che sta facendo un gran lavoro, ci sono fotografi e giornalisti che si fanno in quattro, molti mossi da una grande passione. Io sono tra questi ultimi: se mi sono avvicinata a questo sport è per passione, poi ho iniziato a scriverne e sono anche riuscita a convincere qualcuno -non con l'uso della violenza, lo giuro- che è uno sport fantastico, forse un pò difficile da capire, visto che c'è un codice dei punteggi abbastanza complesso, ma insomma un po' per volta, si è riusciti a dare tutta una serie di informazioni che un tempo non c'erano.
Le grosse testate sportive non ci dedicano ancora le pagine che dedicano al calcio, ma arriverà anche quel momento prima o poi. 

Le gare nazionali sono organizzate da un comitato organizzatore, non direttamente dalla Federazione Ginnastica. Rileggete questa frase, ripetetela ad alta voce, è un dettaglio importante.
L'ufficio stampa federale é comunque sempre presente, si occupano della diretta streaming e di un sacco di altre magagne, di solito sono sempre gli ultimi ad andarsene dal palazzetto e, spesso e volentieri, il loro lavoro continua anche in hotel. Mandano i comunicati stampa, corteggiano i giornalisti e cercano di agevolare il loro lavoro e via dicendo.
Abbiamo quindi chiarito che comitato organizzatore e Federazione hanno due ruoli diversi all'interno di una gara e che i due ruoli non vanno confusi.
Mi é capitato in passato di trovare delle falle nella gestione dei media da parte del comitato organizzatore ed è bastato rivolgersi al capo ufficio stampa federale per aver risolto il problema nel giro di poco. E io sono una che si lamenta, eh. Se qualcosa non va bene, lo faccio presente, sempre con modo e con garbo, tanto alla fine c'é sempre una soluzione.
Siamo appena tornati da quella che per me é l'ultima trasferta della stagione: i Campionati Assoluti di ginnastica artistica e trampolino elastico.
Per l'artistica femminile questi Assoluti valevano come Trials Olimpici, c'erano nomi di un certo tipo, Vanessa Ferrari ha vinto il settimo titolo assoluto di carriera (e gli ultimi Assoluti li aveva fatti nel 2012) riuscendo a commuovere persino me quando ho sentito il Nessun Dorma e ho visto la posa finale del suo esercizio al corpo libero. Si decideva la riserva della squadra e beh, io non sarò atleta, ma so che tutti vogliono andare alle Olimpiadi e sperano sempre di essere dentro la squadra che partirà: a me évenuto il magone per la ginnasta che avrà -per l'ennesima volta oserei dire- l'onere di essere la riserva di una squadra che è una buonissima squadra, tanto che se potessi la porterei io a nuoto a Rio e mi caricherei in spalla anche la sua allenatrice che ci regala sempre tante risate.

Io ho fatto tre ore di coda in autostrada. Due macchine ribaltate, una a Firenze e l'altra a Modena, non hanno reso il viaggio esattamente piacevole. Siamo arrivati a tre minuti dall'inizio della gara e non è mai bello quando arrivi stanca, sudata e con il fiatone perché ti sei fatta una corsa pazzesca dal parcheggio all'ingresso.
Una tizia, che poi mi hanno detto essere una del comitato organizzatore, si è avvicinata, mi ha guardata con disprezzo e mi ha detto:" E tu chi sei? Non hai un abbigliamento consono!".
A parte che ho un accredito al collo, esiste modo e modo di chiedere le cose.
Scusa anche se non ho fatto in tempo a passare in hotel perchépurtroppo non posso permettermi il lusso di arrivare a fine gara perché comunque il mio lavoro devo farlo e per farlo devo vedere la gara.
Che poi un paio di pantaloncini a metà coscia e una maglia non siano un abbigliamento consono è un tuo punto di vista che non ho richiesto e che potevi fare a meno di darmi. Oltre al fatto che, in linea di massima generale, si da del lei ad una persona adulta che non si conosce.
Mia mamma, santa donna,  mi ha insegnato che, per altro,  quando ci si rivolge ad una persona sconosciuta quanto meno ci si presenta: "Salve, sono Tizia Caia, il mio ruolo qui è questo" e ci si rivolge con educazione perché non sai mai chi hai davanti, ma questa è un'altra storia.
Ho lasciato perdere, ero stanca e poi se partivo in quarta avrei rischiato di essere poco educata, ma è stato davvero un episodio poco edificante.
Alle gare sportive di un certo tipo di solito c'è una sala stampa con degli schermi di modo che si possa vedere cosa succede in campo gara, ovviamente in questo caso non c'era. E fin là amen.
Ma se poi non posso stare da nessuna parte, non mi posso avvicinare al campo gara perchè bisogna stare lontani dagli atleti  e tutta una serie di altre piccole cose che sommate rendono il tutto abbastanza insopportabile, c'è un problema.
"Houston, mi sentite? Abbiamo un problema!!"
Che poi, se un giornalista deve prendere una dichiarazione come fa? Telefona all'atleta? E se non ha il numero?
E se un fotografo deve fare delle foto, ma non può stare da nessuna parte, come le fa? Fotografa il muro della sala stampa?
Un paio di fotografi dopo il primo giorno sono andati via, tanto non riuscivano a lavorare.
Il secondo giorno, un'altra educatissima facente parte del comitato organizzatore, si è avvicinata a noi. 
"Qui non ci potete stare". Il qui in questione era la tribuna stampa che poi va beh, c'erano le ragazzine urlanti e comunque non avevi un tavolo o una presa di corrente, ma almeno potevi stare seduto. Il tutto urlando.
A parte che, presentati che io non ti conosco perché mentre io ho l'accredito con il mio nome e cognome scritti sopra, tu no, quindi io non so chi sei, perché urli? 
"Signora, e dove dovremmo stare?"
"Qui no perché la gente ha pagato"
Gli spalti erano praticamente vuoti, ma poi, cosa c'entra?
"Signora, se la stampa da fastidio, non c'è problema, ditelo che ce ne andiamo al mare invece di stare qui a non potere lavorare e morire di caldo".
Silenzio. Poi di nuovo urla. La stampa, a quanto pare, dava fastidio. 
Che poi, noi non saremo giornalisti de La Gazzetta dello Sport, ma comunque stiamo lavorando, che ti piaccia o no. E devi mettermi in condizione di lavorare. Se invece l'unico scopo é ostacolarmi perchè evidentemente non ti piace che si parli di ginnastica e che la gente conosca questo sport, basta dirlo e davvero la prossima volta andiamo al mare.
Se addirittura in sala stampa mi ritrovo il pc spostato perché le hostess tacco 15 devono bivaccare lì per farsi il caffè, abbiamo un altro problema.  
Prossima volta potremmo pensare di portare una tenda e accamparci fuori dal palazzetto con un tablet per vedere la diretta streaming federale che probabilmente è meglio.



Ho riflettuto molto prima di scrivere questo post. Sono delusa e amareggiata.
Di ginnastica si parla poco, troppo poco, io vorrei che ne se parlasse più di qualsiasi altro sport, ma non è così. Non pretendo che le nostre ginnaste finiscano sulle confezioni dei cereali Kellog's tanto sono popolari come accade negli USA, ma vi assicuro che si meritano un posto nel mondo dello sport che conta. Credetemi sulla parola.
Si meritano articoli, foto, spazio in tv. Se lo meritano per tanti motivi. 
Quando la gente sente che mi piace la ginnastica, prima storce la bocca, poi piano piano capisce: mi ascolta, cerca di comprendere. 
Molti giornalisti di testate importantissime -Gazzetta e Corriere, ad esempio- trattati a pesci in faccia se ne sarebbero andati senza tanti fronzoli. probabilmente avrebbero scritto peste e corna, magari avrebbero messo in mezzo anche chi non c'entra.
Ribadisco il concetto che la Federazione fa un lavoro enorme per fare parlare di ginnastica. Un lavoro per cui probabilmente sarebbero necessarie almeno dieci persone e che invece fanno in tre. Posso mettere la mano sul fuoco che nessuno del comitato organizzatore ha detto loro "tratteremo la stampa e i fotografi in malo modo" perchè se lo avessero fatto probabilmente non sarebbero vivi.

La foto del post è di Aryanna Lanzi.

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sabato 16 luglio 2016

Foto dei morti, pornografia del dolore e insensibilità

L'ultima settimana è stata quello che è stata
Due treni si sono scontrati in Puglia: 23 morti, parecchi feriti. Corpi incastrati tra le lamiere, l'inferno.
Un folle ha ben pensato di andare addosso alla gente con un camion e di sparare a caso sulla Promenade des Anglais, a Nizza: 84 morti, di cui molti bambini. Molti dispersi, famiglie disperate.
Colpo di stato in Turchia: oltre 200 morti, non so quanti feriti. Le conseguenze del colpo di stato -che, per la cronaca, non è riuscito- le scopriremo prossimamente. Ho comunque la sensazione che i morti aumenteranno, ma spero di sbagliarmi.


Intanto, migliaia di civili uccisi nelle varie guerre sparse per il mondo, omicidi vari (che non mancano mai), incidenti stradali (anche quelli non mancano mai), bambini che muoiono di fame, seviziati, torturati. Anziani picchiati. Donne stuprate.
Se vogliamo completare il simpatico quadretto del mondo in cui viviamo, ogni giorno migliaia di animali torturati e uccisi. 
No, vi prego, non partite con la manfrina del non si paragonano animali e persone perché, se continuate a leggere, capirete il senso.
A me questo mondo piace poco ultimamente. A volte ho paura e non mi vergogno a dirlo.
Ho paura di uscire di casa e non tornarci mai più, ma la mia vita deve andare avanti, non posso chiudermi in casa.
Siamo una famiglia normale noi: apprendiamo le notizie e spesso restiamo sgomenti, le commentiamo, cerchiamo risposte che puntualmente non troviamo. Non restiamo impassibili. MAI.
Sarei ipocrita nel dire, però, che alcune notizie non mi toccano più di altre.
Le immagini di SkyTg24 del colpo di stato in Turchia mi hanno agitata moltissimo: ho un amico a Istanbul, un carissimo amico e ho cercato di mettermi in contatto con lui. Fino a quando non mi ha risposto, dicendomi che stava bene, la mia ansia è aumentata in modo esponenziale. Alla fine, era lui che tranquillizzava me, dicendomi che lì queste cose succedono.
Quando ho sentito di Nizza -ero in macchina con degli amici- ho pensato ad un'altra amica e al suo ragazzo che fino a qualche mese fa vivevano lì e che probabilmente erano sconvolti. E difatti, lo erano.
Potrei andare avanti ad oltranza, ma non è questo il punto. Non è una questione di morti di serie A e di serie B.

Un morto è un morto. Per ogni singola persona che muore, il mio cuore si stringe.
Penso alla famiglia, agli amici, a quello che quella persona non potrà fare o vedere. Penso ad un sacco di cose. A volte, mi mancano le parole e io non resto mai senza parole. Eppure, in questi casi, succede.
Probabilmente, il cuore si stringerebbe di più se a morire fosse un mio parente o un mio amico, non posso e non voglio negare che sia così. Più mi sei vicino, più probabilmente soffrirò.
Non giudico il valore che ognuno da alla vita, siamo tutti diversi, qualcuno forse più sensibile, qualcun altro più cinico. Non so cosa passa nella mente di ognuno di noi quando sente di queste stragi, di tutti questi morti.
Quello che so è che  non ho bisogno di mostrare empatia nei confronti dei morti ammazzati pubblicando foto di bambini morti.
Non ho neanche bisogno di pubblicare foto di corpi martoriati dalle lamiere di un treno distrutto, di volti insanguinati o tumefatti. 
Non ho bisogno di dimostrare quanto amo gli animali, pubblicando foto di cani torturati e uccisi.
Non ho neanche bisogno di gridare al mondo che un morto è stato considerato più morto di un altro morto (si, ho usato tre volte la parola morto, nel caso in cui non si capisse di cosa stiamo parlando) perché vive nella parte giusta del mondo. Io, per esempio, non lo so mica qual'è la parte giusta del mondo.
Non ho bisogno di farmi vedere disperata attraverso l'uso smodato di immagini che dovrebbero restare private per rispetto di chi non c'è più, ma anche di chi a chi non c'è più era davvero legato e probabilmente ha più diritto di me di veder preservato il proprio dolore. 
Sono in età fertile da un po' ormai, a morire in un attentato potrebbe essere un mio eventuale figlio e che qualcuno dia l'immagine del suo cadavere in pasto ai media e all'opinione pubblica, mi farebbe salire il crimine. Mi farebbe male, aggiungerebbe dolore al dolore e poi mi farebbe salire il crimine se vogliamo essere precisi.
E se io non ho bisogno di condividere immagini di morti per stare a posto con la mia coscienza, rispetto voi che lo fate, ma non voglio sentirmi dire che sono insensibile e che non do il giusto peso alle cose.
Il giusto peso, per me, non è la pornografia del dolore, come l'ha definita qualcuno.
Non mi sento una persona migliore nel vedere un bimbo squartato.
Non mi sento una persona migliore nel mostrare agli altri un bimbo squartato.
Rispettate questo, così come io rispetto -a fatica- il voyeurismo che tanto vi piace.

Qualcuno ha detto che le foto dei morti, meglio se martoriati, scuotono le persone. L'ho chiesto ad una persona.
Mi ha risposto che la scuotono al punto che quasi quasi cambia divano.
Era una battuta chiaramente, un modo per sdrammatizzare quel mondo che, per stare in pace con se stesso, ha bisogno di queste immagini per sentirsi vivo.
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venerdì 15 luglio 2016

Il registro elettronico e la violazione dei diritti umani dello studente

Ho scoperto ieri sera dell'esistenza del registro elettronico nelle scuole.
Inutile sottolineare che, ai miei tempi, a scuola a momenti non c'erano nemmeno i gessetti, figuriamoci i tablet.
Mi è stato spiegato che questo registro elettronico contiene tutto: le assenze, le note, i voti.
Una violazione dei diritti umani dello studente di scuola superiore, insomma.


Ho finito la scuola nel 2004 -dodici anni fa, quindi- e credo che la prima cosa da imparare fosse come riprodurre fedelmente la firma del/dei genitore/i.
Mia madre ha una firma complessa, mio padre invece -santo uomo- una firma che si compone di due linee posizionate vicine dalle quali è possibile comprendere soltanto le iniziali: la sua firma è estremamente semplice da riprodurre. Credo per questo motivo, la firma apposta sui libretti delle giustificazioni era quella di mia madre.
Anni e anni di esercizio, mi hanno permesso di saper fare la sua firma meglio di lei, tanto che sono quasi certa che -nel caso in cui le due firme venissero messe a confronto- sarebbe lei ad essere considerata la falsificatrice.
Ad ogni modo, io faccio parte di quella fetta di studenti ai quali bastava dire:"Mamma, non voglio andare a scuola" fornendo adeguata giustificazione del motivo per cui il mio letto mi sembrava più invitante del banco per non andarci. Però, ecco, almeno una volta nella vita tutti non siamo entrati a scuola e i genitori non lo hanno mai saputo.
Tutti quelli della mia generazione conoscono perfettamente i metodi di trasformazione di un 3 in un 8, di un 2 in 7 e dell'aggiunta di mezzi voti random che, si sa, il mezzo voto è indicativo di un professore brutto e cattivo che non ha voluto premiarci come meritavamo.
Tutti sappiamo che apporre una R sopra il nome di un assente è cosa buona e giusta per fingere un ritardo dimenticato per sbaglio dal professore tonto, conosciamo i metodi di cancellazione delle note sul registro.
I livelli più alti conoscono anche le forme di falsificazione del pagellino -che mi chiedo a questo punto se esista ancora. A me lo spiegarono al terzo anno di liceo: cancellare voti con bianchetto su fotocopia del pagellino, apporre nuovi voti, fare firmare pagellino  con voti nuovi, cancellare con bianchetto voti nuovi, rimettere voti vecchi, rifotocopiare. Insomma, una cosa del genere, io non l'ho mai dovuta fare, ma di esperti di questa arte ne ho conosciuti parecchi.
L'arte dell'omettere era roba comune: dopo il compito in classe, fingere che il professore non li avesse ancora riportati per nascondere un voto non esattamente brillante. Quelli che padroneggiavano meglio l'arte drammaturgica potevano addirittura fingere indignazione e sdegno verso il professore che dopo quattro mesi non aveva ancora riportato il compito in classe corretto.

Qua invece pare che il professore non abbia il registro di classe, l'appello lo faccia leggendo una lista di nomi sul tablet, inserisca le assenze e -in tempo reale- il genitore possa collegarsi da casa (o dal lavoro o dallo smartphone anche se è in quel momento è in India) e scoprire alle 8.15 del mattino che l'amato pargolo non è dove dovrebbe essere. Quindi, in buona sostanza, nessuna fuga al mare mattutina perché tanto vieni colto in flagranza di reato quando al mare non ci sei ancora arrivato, senza poter usare come scusa nemmeno il ritardo dell'autobus perché c'è l'app pure per controllare quello.
Niente voti falsificati o omessi, solo un triste destino fatto di genitori che sanno il tuo voto prima di te perché -udite, udite- spesso i voti vengono inseriti prima sul registro elettronico e solo dopo viene riportato in classe il compito corretto.
I quadri non si vanno più a vedere a scuola, se sei promosso o bocciato lo scopri (o meglio, lo scoprono i genitori prima di te) tramite il registro elettronico. A me piaceva andare a scuola a vedere i quadri perchè non solo vedevo i miei voti e i bocciati della mia classe, ma mi facevo anche i fatti delle altre classi.
E poi, conosco un sacco di gente che ha informato i genitori della bocciatura solo dopo le vacanze estive onde evitare di non farsi le vacanze con gli amici o di essere rinchiuso in casa senza poter andare al mare. Si, ai miei tempi esistevano anche questo tipo di punizioni.
Mia madre, dopo un pagellino non troppo entusiasmante in terzo liceo, voleva mandarmi in collegio. Un collegio femminile, con le suore.

Innformazioni dettagliate sulla questione me le ha fornite la  sorellina di una mia amica, è nata nel '99 e non si ricorda la lira, ma è comunque tanto carina.
Mi ha anche detto che hanno un cellulare finto da consegnare quando entrano in classe all'insegnante: lo scopo è quello di non fargli usare i social network durante le ore di lezione.
Ovviamente li usano comunque -tanto il cellulare che consegnano è appunto finto- e si parlano da un banco all'altro usando Facebook e Whatsapp.
Pare che i bigliettini -che spesso venivano intercettati- non si usino più.
Io, lo ammetto, fino a qualche tempo fa pensavo che i nati dopo il '90 non esistessero. Un'invenzione dei media.
Poi non so come, è successo che mi sono trovata un amichetto nato nel 92, ho dovuto rivalutare la loro esistenza e da lì si è aperto un mondo nel quale, dicono, esistono anche nati nel '99 e registri elettronici che violano i diritti umani dei poveri studenti.
L'amichetto del 92, che ci tiene che io precisi che è bello e simpatico, ma che -aggiungo io- non cerca fidanzata perchè io non sono ancora pronta a scoprire che anche a questa età fanno queste cose, ha detto che quando andava a scuola lui non si portava la mela alla maestra, ma non c'erano nemmeno i tablet, quindi non ho ancora avuto modo di capire quando è successo tutto questo.
Mentre scoprivo questo universo parallelo, un altro amico -che ha fatto la maturità in sessantesimi, ci lanciava gli scarafaggi addosso. C'est la vie.


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sabato 9 luglio 2016

"Siamo ancora vivi": di come il 9 Luglio 2006 siamo stati tutti Campioni del Mondo.

Si, lo so. So tutto.
I calciatori sono undici cretini che rincorrono un pallone in mutande.
Che poi, che uomini frequentate che portano mutande altezza ginocchio?
Non sanno cosa sia la vera fatica.
Invece chi lavora in ufficio si.
Ma c'è sempre un ma nella vita.
Era il 9 Luglio 2006, esattamente dieci anni fa.
Io avevo vent'anni, frequentavo l'università. 
Di com'era avere vent'anni dieci fa, ne avevo già parlato qui, ma non è questo il punto.
Il Mondiale di calcio è pur sempre il Mondiale di calcio.
Saranno anche undici cretini in mutande che rincorrono un pallone, ma a me piace guardarli. Se poi corrono in maglia azzurra, mi piace ancora di più. 
Mi piace l'Inno di Mameli, rigorosamente cantato con la mano sul cuore. Sarò fuori moda, ma mi piace.
I miei genitori mi raccontavano del Mondiale del 1982, della tripletta di Paolo Rossi contro il Brasile, di Bergomi che aveva 18 anni e sembrava più vecchio di adesso, di Italia - Germania Ovest 3 -1, di Pertini che gioca a carte con Bearzot, Zoff e Causio sull'aereo di ritorno dalla Spagna.
Ma non ero nata e sentirsi raccontare una cosa non è come viverla.



"È il 9 di Luglio del 2006, dall'Olympiastadion di Berlino, è Italia-Francia, è la finale" diceva Caressa. Erano le 20,30 credo. 
Mi sembra ieri: la traversa sul rigore tirato da Zidane che sembrava non essere gol e invece era gol, il gol di Materazzi,  il gol in fuorigioco di Toni che dai, quando ha segnato stavamo già festeggiando sentendoci la coppa in tasca, la testata di Zidane a Materazzi che ci hanno fatto anche una statua.
I calci di rigore che io lo so che tutti gli italiani, in quel momento, hanno pensato che non avremmo mai vinto perché si sa, l'Italia ai rigori non è mai troppo fortunata. 
Ai tempi non c'era gente che faceva strani balletti o prendeva in giro con gesti strani portieri di altre nazionali prima di tirare un calcio di rigore.
Barthez non mi ha mai fatto troppa simpatia, i pelati non mi piacciono, è questa la verità. 
Mi ricordo Pirlo e De Rossi quando ancora non avevano la barba lunga che manco Babbo Natale.
Anche Buffon era un giovane di belle speranze.
Sto ancora aspettando che Totti batta il rigore. In realtà, non l'ha mai battuto, d'altronde era uscito. Io intanto continuo ad aspettare ancora oggi che sono passati dieci anni.
Mi ricordo Cannavaro immobile: no, non si è mai mosso durante quegli infiniti calci di rigore. MAI. 
Era Pirlo, Materazzi, De Rossi, Del Piero, Grosso la sequenza dei rigoristi? Ricordo bene, vero?
Mi ricordo Trezeguet disperato. Barthez vicino al palo della porta cercando di trovare il modo più indolore per suicidarsi. I francesi comunque non sono simpatici. L'abbiamo pensato tutti.
Mi ricordo Lippi che si perde gli occhiali, i capelli di Camoranesi che cascano sul campo, tagliati dai compagni.



Io un giorno lo racconterò ai miei figli di com'è bello vincere il Mondiale di calcio, di come è bello scendere in strada e fare casino. 
Racconterò loro di Fabio Grosso che magari non era proprio il più grande giocatore di calcio del mondo, ma ce lo ricordiamo tutti, nessuno escluso.
Racconterò di quei tizi appesi al camion del macellaio, quello a cui di solito sta appesa la carne. Mi chiedo se si siano fatti male. Ricordo la  gente sopra le fontane, sopra le pensiline degli autobus. 
Si lo so, non è proprio un grande esempio di civiltà, ma sono quelle cose che ti rubano comunque un sorriso e che ti ricordi per sempre.
C'era il tricolore ovunque.


Racconterò di come, in momenti come questi, si è tutti amici in un mondo fatto di brutture. 
Racconterò di come mi sono colorata la faccia.
Ai miei figli, mostrerò la gloriosa, ovvero quella gigantesca bandiera tricolore che comprai poco prima della finale, la stessa bandiera per cui ci ho rimesso la schiena.
Racconterò di come è stato bello sentirsi per un attimo campioni del mondo perché si è vero, non l'ho vinta io la Coppa del Mondo, il mio conto in banca non è cambiato, sono sempre undici cretini che rincorrono un pallone, ma è stato bello.
Dirò ai miei figli - se mai ne avrò- che devono crescere felici, che devono studiare scegliendo quello che desiderano, che possono amare chiunque vogliano, che sarò sempre al loro fianco, che vorrei girassero il mondo, praticassero uno sport, leggessero tanti libri, imparassero a nuotare e ad andare in bicicletta. 
Gli dirò anche che vorrei che una volta vedessero l'Italia vincere il Mondiale, come è successo a me il 9 Luglio del 2006. Dieci anni fa, che prima o poi diventeranno vent'anni fa, poi trenta, poi quaranta. Ma quella festa lì non me la dimentico. 

"Abbracciamoci forte e vogliamoci tanto bene"



Postilla:
Il 10 Luglio 2006 avrei dovuto sostenere l'esame di drammaturgia musicale. 
Decisi che per quella sessione estiva, avrei dato altri tre esami, incastrandoli in modo che se l'Italia fosse arrivata in finale, io la finale l'avrei potuta vedere serena senza l'ansia da notte prima degli esami che nel mio caso significava insonnia, palpitazioni, diarrea e chi più ne ha più ne metta.
Alcune compagne di università decisero di dare quell'esame, tanto figuriamoci se l'Italia arriva in finale e nel caso, la partita alle undici è bella che finita.
L'Italia vinse il Mondiale e loro andarono comunque a sostenere l'esame, con la faccia dipinta col tricolore completamente sbattuta dopo una notte di festeggiamenti. Io non ero con loro, me l'hanno raccontato.
Il professore non si presentò, era fermamente convinto che nessuno studente sarebbe andato a fare l'esame. La verità è che probabilmente era stato anche lui a festeggiare.
Io quell'esame lo diedi il 28 Febbraio 2007, fa parte dei magnifici sette, ovvero gli esami dello sprint finale, quello stesso sprint finale che mi costò un quasi esaurimento nervoso.
"Ventotto, accetta?"
"Si professore, sa questo esame volevo darlo a Luglio scorso, ma ho passato la notte al pronto soccorso perchè ho avuto un brutto incidente di macchina".
"Ha fatto bene a non venire, la salute prima di tutto"
Non ho mentito eh, ho solo omesso l'orario di arrivo in ospedale. 

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venerdì 8 luglio 2016

Addii al nubilato di dubbio gusto

Arriva l'estate e la gente inizia a sposarsi. Si sposano tutti, proprio tutti, anche quelli che non avresti mai detto perchè troppo brutti, troppo stupidi, troppo qualsiasi cosa.
La gente si sposa e se gli chiedi "perchè ti sposi?" ti risponde "perchè è bello" e lì cascano le braccia.
Ho la bacheca di Facebook invasa di foto di addii al nubilato, conti alla rovescia, foto in vestaglia, foto durante il trucco, foto durante il parrucco, foto durante la cerimonia, foto durante la cena, foto della prima notte di nozze, foto del lenzuolo sporco di sangue.
Però, c'è un però.
I vostri abiti da sposa sono tutti magnifici, io amo gli abiti a meringa, ma vanno bene anche quelli a sirena che non ho mai considerato granchè perchè consapevole del fatto che mi starebbero male. Molto male.
Le torte a pieni mi piacciono un sacco, più grandi sono e meglio è, sono un pò coatta io, mi piacciono le cose un attimo tamarre, nonostante gli insulti che puntualmente ricevo da genitori, Fidanzato e amici.
Mi mette un pò d'ansia il fatto che tutti i miei coetanei ormai sono sposati o stanno per, che sono pieni di figli, ma posso ancora accettare il fatto che siamo cresciuti, che non andiamo più a scuola e nemmeno all'università.
Il problema vero sono gli addii al nubilato. Vedo addii al nubilato ovunque, uno peggio dell'altro.
Soprassediamo sulle spose bendate e con un pezzo di tulle bianco in testa avanzato dalla prima comunione di nonna Abelarda, posso farmi una ragione anche di questo. Sono una persona comprensiva.
Sui cazzi finti però non transigo. 
Sui cazzi finti con appeso il cartello RIPENSACI, TI PERDERAI QUESTO meno che mai.
Non fa ridere. Ho visto più piselli finti nelle ultime tre estati scorrendo le bacheche di Facebook che non se avessi passato tutti i week-end dentro ad un sexy shop.
Piselli finti dai 2 ai 45 cm.
Corone con piselli finti, bracciali con piselli finti, corone con piselli finti, torte con piselli finti in pasta di zucchero, pizze a forma di pisello, accendini a forma di pisello finto. Migliaia di piselli finti ovunque. Che poi, non costano manco poco i piselli finti. Amiche, il giorno che mi sposerò, risparmiate i soldi per i piselli e portatemi ad Amsterdam. O a Barcelona. O a Frosinone piuttosto.
Poi ci sono gli spogliarelli. A me non piacciono gli spogliarelli, due bicipiti me li guardo anche a casa mia, ma de gustibus... se però allo spogliarello si tenta di infilare un pisello finto dentro la mutanda zebrata del povero malcapitato che probabilmente fa lo spogliarellista per pagarsi l'università c'è un problema. Un enorme problema.
Si chiama abuso di cazzo finto e andrebbe punito dalla legge con la reclusione da 30 a 50 anni.


Sposatevi che sposarsi è bello, molto bello. 
É bello condividere la propria vita con qualcuno, affrontare insieme gioie e dolori, svegliarsi la mattina con accanto la persona che si ama.
Ma  siate consapevoli che se i vostri uomini andassero in giro con una quantità abnorme di vagine finte durante il loro addio al celibato, li mollereste sull'altare.


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domenica 3 luglio 2016

Mai dire mai: storia di un corso che mi ha insegnato un sacco di cose

C'è stato un momento della mia vita in cui ho deciso che volevo imparare qualcosa di (quasi) nuovo, così a caso.
Sono anni che mi sento ripetere che dovrei seguire un corso di quello che mi piace e puntualmente ho sempre trovato una scusa.
Poi non so cosa è successo e di fatto mi sono ritrovata iscritta ad un corso, ho mandato i documenti che mi hanno chiesto e, il giorno prima, ero lì a ripetere a me stessa:"Ma che ci vado a fare?"
Ho deciso comunque di provarci e ho raccolto gli ultimi consigli di mia madre:"Non parlare subito troppo, stai zitta più possibile, fai parlare gli altri, non rincoglionirli dopo cinque minuti".


A me la gente non piace. No, non sono gentofobica, è che a me piace stare a casa mia con i miei amici e so bene che non lo direste mai, ma a me questa cosa di fare amicizia con gente nuova e magari pure interagire non mi è mai piaciuta granché.
Aspettative sul corso pari a zero, quel lunedì mattina di quasi due mesi fa, mi sono svegliata all'alba, mi sono lavata e vestita con una sola idea: quella di conquistare l'ultimo banco, possibilmente il posto nell'angolino. Tablet, cellulare, caricabatterie, il pranzo che sia mai che poi mi tocca andare a mangiare con la gente e far scoprire a tutti che sono una disagiata che non può mangiare un tubo, magari mi prendono pure un giro e sarò costretta a mangiare loro per eliminarli.
E poi magari sono tutti più piccoli di me, magari tutti nati dopo il '90 e quelli nati dopo il '90, si sa, non esistono.
L'incubo degli incubi si è materializzato quando sono stata costretta a dire chi ero e cosa facevo: va beh, diciamo pure della televisione (qui per saperne di più), ma non nominiamo Mtv. Omettiamo pure la ginnastica, il blog, le interviste sul giornale che poi pensano che sono una mitomane.
Sei giorni su sette, nove ore al giorno. Alle 9. No insomma, non è un corso che fa per me.
E difatti, il primo giorno, tornando a casa in macchina ho chiamato la mamma per dirle:"Uau, mi piace un sacco, l'insegnante è figa, dice un sacco di cose interessanti".
"Ci torni?"
"Si".
Ci sono tornata, infatti.
Che non mangio un tubo lo hanno scoperto dopo tre giorni perché sono dovuta andare al controllo per le allergie (qui per saperne di più). Ditemi voi  se ne faccio quattro l'anno e uno di questi quattro deve cadere proprio durante il corso. A 300 km da Roma che mi serve una giornata intera per andare,  farmi vivisezionare e tornare.
Nel frattempo, avevamo iniziato a lavorare in gruppo, il primo gadget da regalare alla gente stava per essere un teschietto con gli occhi a mandorla con un bottoncino che quando lo premi dice "essele o non essele" e da lì è scoppiato l'amore. Non con tutti, eh. 


È nato il gruppo whatsapp e poi siamo diventati dei bulli. Non so quando è successo, non è colpa mia e comunque ho trovato un paio di persone più bulle di me. I primi giorni, ad una delle bulle in questione, avevo anche detto che mi trasmetteva tranquillità. Chiaramente sbagliavo.
Nel giro di poco -corso a parte- ho imparato che esiste gente che lancia soldi a caso per intimidire gli altri, che anche i vegetariani sono simpatici, che la gente alta è molto cattiva con quella bassa, che esiste un mondo fuori dal Gra e che gli abitanti di quei posti sono pure simpatici, che anche la gente nata dopo Cernobyl in fondo non è male.

Mi sono spinta verso i confini del nulla, in un viaggio a Palestrina (no, non Palestina, Palestrina) in piena notte che ancora mi chiedo come i cinghiali non ci abbiano ucciso. Ho anche scoperto che chi nasce a Palestrina ha G274 nel codice fiscale, mentre io che sono nata a Palermo ho G273.
Ho imparato che se dici a chi mangia gallette che è sfigato, quello il giorno dopo ti saluterà e quello dopo ancora ti dirà "oi" che dai su, ma oi lo dici a tua sorella, non a me.
Ho snobbato quelli nati dopo il '90 per tutta la vita e, alla fine, mi sono fatta fregare, ma non posso dire di più perchèého pur sempre una reputazione da difendere.
Ho maniato cibo napoletano come se non esistesse un domani e le coronarie sono ancora a posto. Una menzione speciale va al Casatiello con la sugna. E io che pensavo che la sugna fosse un'invenzione dei media, un pò come Roma Nord.
C'era anche la pazza del corso, eh. Un giorno ha sbattuto la porta e se n'è andata, ma poi -disgraziatamente- è tornata. Lei rinnegava il mio ruolo di creatrice di gadget inutili fighissimi. Mi ha anche detto che sarò una pessima madre se un giorno non sacrificherò la mia vita per dare ai miei figli delle pesche per merende. Ha anche chiamato i capi del corso per dire che eravamo bulli. 
Ha ragione, oh se ha ragione. Siamo dei bulli. Bulli belli però.
Abbiamo sventato colpi di stato, tentativi di emarginazione di persone a cui vogliamo bene. 
Abbiamo avuto due insegnanti: la seconda, ad un certo punto, ha chiamato i capi del corso per dire che quelli dell'ultimo banco ridevano di lei. Non posso dire se è vero o meno, ma posso dire che lei non si veste di nero perché gli angeli non vogliono. E poi ti chiedi perché ridiamo.
Il corso è finito ieri e, alla fine dei conti, è stato costruttivo: ho imparato un sacco di cose e ho anche insegnato agli altri che un uomo vero insegue porci e se li mangia vivi. 
Io non so se rivedrò mai gli altri, se tra qualche mese ci vorremo ancora bene, se avremo modo di spiegare ad altri ancora che inseguire porci è cosa buona e giusta, ma so che è stato bello.
E mi è scesa anche la lacrimuccia. 
Perché è stato tutto un po' più bello in questi quasi due mesi.


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