mercoledì 30 marzo 2016

Di Mtv, anniversari, segni del destino e Ginnaste Vite Parallele

Esattamente un anno fa a quest'ora mettevo piede, per la prima volta, nella messa in onda di Mtv Italia.
Non so se è un caso -mi piace pensare che sia stato un segno del destino- ma la prima cosa che ho sentito appena entrata lì dentro è stata Spinning di Alyssa Atherthon, una canzone che probabilmente il 90% del mondo non conosce, ma che io -e non solo io- conosco benissimo.
Mi sono girata e su tutti i monitor di quello che tutti chiamano Mtv, ma che per me resterà nei secoli Italia o al massimo One c'era Ginnaste.
Non c'è voluto molto perchè venisse fuori che a me piaceva la ginnastica artistica.
Non c'è voluto molto perché dicessi che a me piaceva la ginnastica, ma che Ginnaste era tutta un'altra cosa. 
Durante il colloquio, mi chiesero se conoscevo Mtv, è una domanda normale, viene sempre fatta ovunque. Risposi di si, io Mtv lo conoscevo per altri programmi che ormai non esistono più da un pezzo, ma che Ginnaste lo guardavo.
Non vi dico cosa ho detto dopo, ma si insomma, se mi hanno assunta, è evidente che devon oaver apprezzato la sincerità.
Ho rivisto le quattro serie di Ginnaste talmente tante volte che potrei recitarle a memoria, visto che -per altro- da quel momento, tutti i controlli qualità sono toccati a me  e mi pare pure giusto, io mi guardo Ginnaste e voi i film horror che io ho paura e poi non dormo la notte.
Non ho mai amato particolarmente Ginnaste perché dava una visione un po' distorta della ginnastica e poi insomma, la tv -l'ho sempre detto- inganna. Se volete lasciarvi ingannare.
Ma una cosa devo dirla: senza Ginnaste i palazzetti sarebbero ancora vuoti, non si saprebbe un tubo -come era anni fa- e forse tante cose non sarebbero accadute.
D'altro canto, ho passato serate intere a spiegare ai miei colleghi -e non solo a loro- che c'era tanto altro, li ho costretti a vedere gare su gare.
Senza Ginnaste non ci sarebbero le Carlottiter, le Ferrariter e un altro mezzo milione di gruppi di fan sfegatate che, quando superano lo scoglio dei dodici anni durante i quali sono particolarmente moleste, sono comunque una mano santa per uno sport che da sempre -ma non per sempre- è considerato uno sport minore.
Non ci sarebbero state il boom di iscrizioni ai corsi di ginnastica artistica che, in qualche modo, hanno un minimo rimpinguato le casse della Federazione che non sarà certo diventata ricca, ma è pur sempre meglio di niente.


Nella sede centrale di Milano di Mtv è pieno di cartonati giganti di Ginnaste, c'è  Ginnaste ovunque, ho sempre bramato quei cartonati, volevo appenderli in salotto, a dimostrazione che in certe cose sono un po' idiota anche io, ma giustamente non me li hanno mai dati.
Sono rimasta piacevolmente sorpresa quando ho notato che un'intervista ad una ginnasta -che mi piaceva anche tanto, ma che adesso si è ritirata- era stata fatta nella terrazza della serra di Mtv che è un posto magnifico, mi è sempre piaciuto molto ed è forse l'unico motivo per cui non mi dispiace -quelle rare, rarissime volte, andare in sede centrale che mi ha sempre fatto un po' antipatia, forse perché sono una comodista e lì non potevo arrivarci con la macchina.
Quindi si, insomma, Ginnaste non è stata poi un'idea così malvagia, anzi.
Non mi sono mai espressa al riguardo, ma stavolta -sarà che ricorre questo anniversario un pòo' malinconico, tocca dirlo. E lo dico.

Adesso la ginnastica è possibile vederla grazie alla Federazione Ginnastica d'Italia e poi presto arriverà una grande cosa che si chiama RTT2020. Una grande idea portata avanti da persone che stimo (e a cui voglio bene, ma questo non diteglielo eh, che devo mantenere il mio ruolo da cattivona).
E arriverà un giorno in cui di ginnastica si parlerà ovunque, lo so, lo sento.


La foto del post è di Mtv.


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martedì 29 marzo 2016

Satana

Ieri sera guardavamo un documentario su un caso italiano di cronaca nera, non avevo visto il titolo.
Sembrava un delitto passionale di come -purtroppo- ce ne sono tanti, non solo in Italia: lui, lei, l'ex che viene attirata in casa con una trappola, l'amico che viene chiamato in piena notte aiuto, abbiamo fatto un casino che finisce la vittima a badilate. Il cadavere -che ancora cadavere non era- che viene seppellito nella serra della casa dove si è consumato l'omicidio. Li sgamano subito. Lei parla, dal letto di ospedale dove è ricoverata per un'overdose, partono le indagini.
Un padre che legge sul giornale la notizia e si presenta davanti agli inquirenti per dire che sei anni prima è scomparso il figlio, insieme ad un'amica. Viene fuori il peggio.
Mentre ascolto, mi viene spontaneo dire: "Ma sono le Bestie di Satana?"
La voce over -sembra quasi mi abbia sentito- che un secondo dopo la mia domanda, dice: "Sono le Bestie di Satana".
Me la ricordo questa brutta storia, me la ricordo dai tg, non ero poi così piccola, avevo diciotto anni quando è saltata fuori. Non ero mai stata a Milano ai tempi, adesso Milano la conosco: sento nomi familiari: Corsico, il lungonaviglio, Porta Romana, Cimiano dove andava a scuola il capo di questa setta e dove io ho lavorato per sette lunghi mesi.
Non me la ricordavo bene la storia, sono passati più di dieci anni e, ai tempi, non facevo poi così attenzione ai casi di cronaca. E' tremenda, è una delle peggiori storie mai accadute, ho visto quello che le bestie avevano dichiarato ai microfoni di Chi l'ha visto? quando i due ragazzi erano spariti, mi sono venuti i brividi. Hanno vissuto beati per sei anni, finchè non si sono fatto scoprire.
Se non fosse morta la ragazza, se uno di loro non le avesse sparato in faccia, forse non sarebbe mai venuto fuori nulla.
Stamattina mi sono svegliata, ho cercato qualcosa sulla questione, io sono fatta così, cerco sempre di approfondire.
È una delle poche storie di cronaca nera del Bel Paese dove tutti sono ancora in carcere, pare che per un paio di loro abbiano buttato via la chiave, persino lei -quella dell'inizio della storia- che di fatto non ha sparato a nessuno, ma ha le sue colpe -eccome se ne ha- è in carcere, dove resterà per altri tredici anni. 
Ma non è questo. Anche se mi vengono i brividi a scriverne, anche se -come ha detto il sostituto procuratore intervistato nel documentario- piacerebbe pensare che queste persone appartengono a un'altra specie, ma invece sono esseri umani come noi, non è davvero questo quello di cui voglio parlare.


C'è il padre, quello grazie al qual'è venuta fuori tutta questa storia ed è lui che mi ha colpita.
Questo padre si chiama Michele Tollis, è il papà di Fabio, un ragazzino di sedici anni che una sera di Gennaio del 1998 ha telefonato a casa dicendo che sarebbe rimasto a dormire a casa di un'amica.
Il padre esce di casa, corre nel locale dove sa essere il figlio, c'è qualcosa che non lo convince in quella telefonata, ma non lo trova. Lo stavano ammazzando e buttando dentro una fossa in mezzo ai boschi in quel momento, cosa che lui scoprirà dopo anni.
Questo padre -intervistato nel documentario- ha iniziato a cercare il figlio. Tutti i giorni. Tutte le sere.
Ha iniziato ad ascoltare quella musica metal  che tanto piaceva al figlio, si è vestito come lui, ha girato per locali chiedendo in giro notizie, gli hanno pure detto di smetterla di farlo se no finiva male, ma lui imperterrito ha continuato.
Quando ha sentito che quello che all'epoca era un amico -o presunto tale- del figlio aveva ammazzato una ragazza, è andato alla polizia a raccontare tutto quello che aveva scoperto in quei sei anni, a raccontare le sue sensazioni.
Il sostituto procuratore l'ha definito un racconto lunghissimo e complicatissimo.
L'assassino ha confessato, ha detto dove erano il corpo di Fabio e di Chiara, l'altra ragazza.
Michele Tollis è andato di persona a vedere quello che restava del figlio, ancora in quella buca, insieme alla moglie e alla figlia. Dai filmati originali dei Ris, si vede lui che arriva, sposta quei fili che mettono per delimitare un'area quando ci sono delle indagini in corso -quelli bianchi e rossi che, perdonatemi, non so come si chiamano- e poi guarda dentro quell'enorme fossa.
Da un altro filmato, si vede sempre lui, Michele, che fuori dal tribunale dove era in corso il processo, cerca di sedare una lite tra il padre di una delle bestie e il padre di una delle vittime. 
Sempre lì, Michele, che non si è arreso, ha cercato il figlio, ha cercato in tutti i modi di scoprire la verità e ce l'ha fatta.
Una volta -tempo fa- mi dissero che quando hai un figlio e questo scompare, preferisci trovarlo anche morto perché non sapere che fine ha fatto è infinitamente peggio. Non so se èvero, mi auguro di non scoprirlo mai.
Questo papà è un padre con le palle. Quadre. Fumanti.

Signor Tollis, ha la mia stima. Per non essersi arreso, per avere cercato -e trovato- la verità.
Lei non leggerà mai queste mie parole, lo so. Ma ci tenevo a metterle nero su bianco perché la sua persona -quello che ha fatto- mi ha colpita. 
So che questo non le darà indietro suo figlio e immagino che per un genitore sopravvivere al proprio figlio sia la peggiore delle tragedie.
Grazie.


A voi non vi perdonerà neanche Satana in persona perchè avete tradito anche lui
(Michele Tollis)


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lunedì 28 marzo 2016

Dieta VS resto del mondo

Sono a dieta.
No, non la dieta dell'ananas o quella della yogurt.
Una dieta di quelle dove sai cosa devi mangiare e quando.
È una dieta abbastanza simpatica -a parte quando c'è da mangiare il tonno al naturale che non darei nemmeno al mio peggior nemico- dato che non c'è praticamente nulla di pesato. E si mangia.
Però, c'è sempre un però. Bisogna rispettare fedelmente quello che c'è scritto: se ci sta la bistecca ti mangi la bistecca, non la sostituisci con la frittata.
Io DEVO stare a dieta, non mi diverte, non mi piace, ma devo.
E la dieta l'ho rispettata anche ieri che era Pasqua, facendo un applauso alla mia forza di volontà. 
Mia suocera ha fatto le lasagne. 
Ora, le lasagne di mia suocera non sono semplici lasagne. Sono LE LASAGNE.
Quando le porta in tavola è necessario inchinarsi di fronte a cotanta magnificenza culinaria.
Mia suocera è bolognese. E tira la sfoglia a mano, verde perchè a Bologna le lasagne sono verdi, fa una besciamella che ti si scioglie in bocca mentre la bilancia urla pietà e il ragù, che ve lo dico a fare?
Guardare le lasagne di mia suocera e non mangiarle è l'atto di coraggio più grande che abbia fatto in vita mia. Chiaramente, LE LASAGNE le ho sognate la notte. Buone, belle, morbide.
Io avevo preparato il tiramisù. Poi dopo pranzo ne ho fatto un altro per mia nipote.
Che fai? Non lo prepari il tiramisù alla nipotina che vuole fare un dolce per il compleanno del fidanzato?
Chiunque passava assaggiava la crema di mascarpone: "Ah, come la fai tu la crema di mascarpone". Lo so. E' buona. E' molto buona. Non come le lasagne della suocera, ma vale la pena ingrassare per mangiarla la mia crema di mascarpone.
E niente: io l'ho solo guardata.
E poi è arrivato l'altro nipote: "Zia, mi apri le uova di Pasqua?"
"E certo cuore di zia, te le apro tutte le ventisette uova di Pasqua che hai ricevuto"
Fammi annusare un pò la cioccolata va.
Ma guarda, le uova di Pasqua sono sempre piene zeppe di nocciole, pasta di nocciola, tracce di nocciola e queste ventisette no. Le potrei mangiare tutte. Karma, dimmi, ce l'hai con me?


Stare a dieta è una gran rottura di palle.
Non puoi mangiare quello che vuoi quando vuoi. Ma DEVO e mi adeguo.
Nell'ultima settimana sono state più le persone che mi hanno detto mangia, ma che ti frega che quelle che mi hanno detto come sei brava a non mangiare nei giorni di festa.
Stando ai commenti del popolo avrei dovuto saltare la dieta il sabato, per Pasqua, per Pasquetta, il mercoledì a pranzo, il giovedì a merenda. Anche il lunedì a colazione che, si sa, il lunedì è un giorno triste è quindi bisogna combatterlo mangiando.
Avete ragione. La dieta è una brutta cosa. Molto brutta. Lo so.
Ma non ci posso fare nulla.
E' difficile rispondere di continuo: "Eh guarda, devo seguirla la dieta". Butta giù. Non aiuta. 

Che poi, pensate positivo: se siete seduti a tavola con me e io non mangio, c'è più cibo per tutti voi che non mi sembra una cosa da sottovalutare.
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venerdì 25 marzo 2016

L'evento dell'anno: il mio trentesimo compleanno

Ho sempre avuto un problema con il trentesimo compleanno, che ormai si avvicina inesorabile.
Sarà che a 29 anni e 365 giorni (che poi, sarebbero trent'anni) non potrò più partecipare ai concorsi Rai -ammesso che escano- che sono sempre stati il mio chiodo fisso da quando ho memoria, sarà che il 2 è un numero che mi è simpatico e abbandonarlo così mi fa soffrire, ma questo problema ce l'ho. E non è un segreto.
Manca meno di un mese, non chiedetemi di contare i giorni che faccio fatica a fare i conti, anche quelli più elementari.
E ho chiaramente cominciato a molestare chiedere in modo gentile, garbato e assolutamente non insistente: "Cosa mi regalate?" allegando liste che i seienni alle prese con la prima letterina a Babbo Natale mi fanno un baffo.
Qualora vi interessasse, ho chiesto le Converse -un nuovo modello uscito un mese fa- che si aggiungerebbero alle novantasei paia già possedute, la bicicletta rosa che chiedo da secoli e nessuno mi regala mai e un albero di limoni, quello che si tiene nel vaso e che starebbe benissimo nel mio terrazzo. L'albero di limoni ha gettato tutti nello sconforto, loro negano, ma io so che si domandano cosa hanno fatto di male per meritarsi una fidanzata o una figlia (a seconda dei casi) che chiede alberi di limoni in dono per il trentesimo compleanno.
Alla lista regali, si aggiunge l'annosa questione festa.
"Non festeggio" ho detto convinta di ciò che stavo affermando.
"Andiamo a cena fuori" ha suggerito il genitore maschio alfa.
"Si, andiamo al ristorante tal de tali" ha suggerito la genitrice.
"Mangiamo la paella che a Fidanzato piace" ha aggiunto il genitore maschio alfa.
L'ultima volta che ho mangiato la paella l'ho vomitata. E comunque, il compleanno sarebbe il mio, non quello di Fidanzato. Per dire, eh.
"Non la voglio la paella"
"Ma è buona"
Sul ristorante non ci siamo messi d'accordo, ho comunicato un laconico le faremo sapere alla genitrice e mi riservo di decidere in seguito.
"Che torta vuoi?" ha domandato quindi la genitrice.
"Voglio la Devil"
"Ma la Devil non piace a nessuno"
A me si, madre, è la mia torta preferita, voglio quella. Se nessuna la mangerà, la finirò io. Tutta.
"Vorrei trenta candeline, non quelle odiose candeline a numero"
"Sono troppe, quindi prendiamo il numero"
Il compleanno sarebbe sempre il mio e io odio le candeline a numero, da sempre.
E comunque, cosa significa esattamente che le candeline sono troppe? Che sono vecchia?
Hai quasi settant'anni madre, attenta a te, che per il prossimo compleanno ti piazzo tutte le candeline una per una sulla torta che non ne basta una grande quanto Piazza del Popolo.
"Vuoi invitare gli amici a casa per brindare e mangiare la torta dopo cena?"
"No, genitrice, non ho voglia di fare una festa"
(A meno che gli invitati non si presentano tutti con un albero di limoni)
"Sicura?"
"Sicura, madre, grazie del pensiero, festeggiamo io, tu, papà, Fidanzato, il cane, il gatto e la iena"
"Lula non è una iena, è una gatta affettuosissima" ha risposto mia madre mentre la gatta la azzannava perchè lei tardava a darle da mangiare.
Poi è passato un giorno, poi due, e niente: sono tornati alla carica con sta benedetta paella.
Io, nel frattempo, ho mandato inviti a centinaia di persone. Perchè sono una persona coerente e soprattutto decisa. Non cambio mai idea.


"Tuo padre per i miei trent'anni mi ha regalato un orologio d'oro" ha concluso la madre, guardando la lista di cose desiderate.
"L'albero di limoni costa meno, quindi, per favore, regalatemelo".
Poi grattugio l'orologio d'oro e glielo metto nel vaso, sai mai che crescano pepite d'oro al posto dei limoni.
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giovedì 24 marzo 2016

La paura

Un altro attentato, questa volta a Bruxelles.
Mi chiedo se e quando toccherà a noi.
Vorrei non avere paura, ma sarei ipocrita. Ho il sacrosanto terrore che un giorno -potrebbe essere già domani- la prossima città europea coinvolta in un attentato del genere sia proprio Roma.
Ieri sera ho guardato Fidanzato e gli ho detto: "Vorrei che -se mai un giorno accadrà qui- entrambi fossimo a casa". Non che casa significhi essere al sicuro, ma vorrei che fossimo insieme. Sul divano.
Mi sconvolge quello che che sta accadendo. So che lo scopo di questi attentatori non è solo uccidere, ma anche generare paura: paura di vivere la propria vita quotidiana.
Le nostre vite sono sempre uguali: ci alziamo la mattina, portiamo fuori il cane, andiamo a lavoro, usciamo con gli amici, andiamo a cena fuori, al cinema o da qualche altra parte, facciamo una passeggiata.
Una vita normale, identica a quella di tante persone che sono morte, che sono rimaste ferite.
Uscire di casa e non rientrarci mai più scrivevo qualche mese fa, quando era stata la volta di Parigi.
E' questa la mia paura. Non rientrare a casa o non vederci rientrare qualcuno a cui voglio bene.

Si, lo so che ogni giorno nel mondo muoiono milioni di persone.
Ne sono perfettamente consapevole. E ogni giorno, ad ogni morto, mi si stringe il cuore.
Sono umana e il cuore mi si stringe di più quando a morire sono dei bambini. I bambini non dovrebbe toccarli nessuno. I bambini -che hanno una vita davanti- non dovrebbero morire, in nessuna circostanza.


Non sono ipocrita e ammetto che ho paura per la mia di vita che non vale più di quella di nessun'altra persona al mondo, ma è la mia. E ho paura anche per quella delle persone a cui voglio bene.
Se un giorno toccherà a Roma, io spero di non esserci.
Spero che la mia vita non venga stravolta.
Penso a tutte quelle persone a cui voglio bene che ogni giorno prendono la metro, vanno in centro, sono in quei posti che sono considerati sensibili.
Penso ai miei genitori che morirebbero di infarto solo ad apprendere di un attentato qui, nella città dove vive la loro bambina quasi trentenne, ma che per loro resta pur sempre una bambina.
So che la vita va avanti, che non dobbiamo avere paura, che non dobbiamo vivere nel terrore che domani possa succedere a noi.
So che bisogna continuare ad andare a lavoro, che bisogna continuare a prendere la metro, ad uscire, ma è impossibile non pensarci.
So che sono umana. E che questa è una debolezza, ma lasciatemela avere questa debolezza.
E lasciatemi sperare che non accada nulla. Tutto qui.


La foto del post è di Beata Lenkiewicz.
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mercoledì 23 marzo 2016

Cadere, rialzarsi: quella volta che ho avuto paura, tanta paura.

Non sono io che ho scelto di amare la ginnastica artistica. È lei che ha scelto me.
Si è insidiata piano piano nel mio cuore e l'ha conquistato, anno dopo anno, tra un Europeo e un Mondiale, passando per le Olimpiadi.
Ero consapevole del fatto che la ginnastica è uno sport pericoloso. So che basta una piccola distrazione e si cade giù. E che quando si cade giù basta un attimo per farsi male.
Si, ecco, di questo ne sono sempre stata consapevole. 
In tutti questi anni, avevo assistito dal vivo soltanto ad una caduta e no, non era una caduta qualsiasi. A cadere e farsi male era stata la mia preferita, quella che forse non sarà la più forte del mondo, ma che a me piace. Tanto, tantissimo. E non è un segreto questo mio amore smisurato per la sua ginnastica. Era caduta, si era rialzata e aveva deciso di non continuare l'esercizio. Mi si era stretto il cuore a vederla cadere, ma non avevo avuto paura perché quando si rialzano, si tira sempre un sospiro di sollievo. Sono forti queste ragazze, non è una botta o una frattura a fargli alzare bandiera bianca. Reagiscono, lottano e tornano più forti di prima.


Spero sempre, però, di non assistere ad una butta caduta. Spero sempre che non cadano. Perchè no, non se lo meritano: tutte quelle ore in palestra sin da quando sono bambine non dovrebbero mai essere ricambiate con una caduta. MAI.
E poi è successo: è successo che il mondo si è fermato. Non il mondo fuori dal palazzetto forse, ma quello dentro si.
E' successo che un attimo prima si chiacchierava, si rideva, si scherzava. 
E l'attimo dopo assistevamo a una delle più brutte cadute che io abbia mai visto: un piede che scivola, una caduta sul collo, Carlotta (si, proprio lei, Carlotta Ferlito, l'idolo di migliaia di ragazzine) che non si rialza. Istanti di panico.
Dai Carlotta, tirati su.
Vorrei raccontarvi che non ho pensato al peggio, che non ho avuto paura che una botta di quel tipo proprio sul collo potesse creare danni irreparabili, ma non sarebbe vero. 
Ho avuto paura, mi sono scese le lacrime, ho abbracciato Silvia -lei che a Carlotta è tanto legata e che aveva una faccia che non saprei descrivere- e ho aspettato.


Poi si è sentito un pianto. Era un pianto disperato, di quei pianti che quando li senti ti si stringe il cuore. Ma non stavolta. Stavolta quel pianto significava che Carlotta era cosciente.
L'hanno portata a un metro da noi, proprio dietro al tavolo della stampa. 
Lei era lì, immobile, circondata dal medico, dai suoi genitori e da qualcun altro.
La sua mamma era agitata. Io ho pensato che se fosse stata mia figlia a stare immobile su quel lettino dopo una caduta del genere, io sarei morta.
L'attesa dell' ambulanza a me è sembrata infinita.
Poi l'hanno portata via. Ci siamo guardati e ci siamo detti:"Jesolo è finito qui". 
Dopo qualche ora, è arrivata la notizia che Carlotta stava bene. Un pò ammaccata, ma nulla di grave per fortuna. 
E io ho pensato a quanto paura avessimo preso tutti.
E che Carlotta, la stessa Carlotta che ci ha fatto morire di paura, è quella che fino a qualche minuto prima girava in campo gara sorridente, sempre gentile, sempre disponibile con tutti.
La stessa Carlotta a cui il giorno prima avevo chiesto un autografo per una bimba -proprio io che odio chiedere gli autografi- e che non solo aveva fatto l'autografo, ma si era anche premurata di chiedere il nome della bimba e scrivere una piccola dedica.

Sei una forza della natura Carlotta, lo sai.
E ancora una volta lo hai dimostrato.


Le foto del post sono di Marco Mastracco e Antonella Di Ciancia.


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giovedì 17 marzo 2016

La storia di Fuffi, il mio cane da caccia dal nome orribile

Cane Gnappo, la star di casa e di questo blog, in realtà si chiama Fuffi.
Si, lo so: è un nome orrendo.
No, non ho scuse: il nome gliel'ho dato io. E ne ero anche parecchio orgogliosa.
L'infermiera che gli ha tolto i punti quando un Maremmano gli aveva quasi sfondato la calotta cranica, quando le abbiamo detto il nome del suo paziente, balbettava qualcosa tipo: "Ehm, che stano nome".
"Lo puoi dire che fa cagare, ne siamo consapevoli".
Con il tempo, mi sono resa conto che forse sarebbe stato più opportuno chiamarlo Vandalo o Tempesta. O Satana. O Delinquente senza possibilità di redenzione, solo che poi risultava troppo lungo e chiamarlo solo Deli forse era pure peggio di Fuffi.
Fuffi è un cane da caccia, la madre -quella biologica, eh- era sicuramente un po' mignotta visto che è venuto fuori un cane multicolore, un pò Beagle, un po' Setter.
Quando arrivò a casa aveva quindici giorni: noi non sapevamo, non potevamo immaginare, non eravamo al corrente. No, noi non sapevamo cosa significa avere un cane da caccia.
Lui a caccia non ci va. Dubito che potrebbe, anche volendo, visto che ha paura persino dei gatti. E delle api. E di tutto quello che respira e si muove.
La sua indole resta però quella del segugio criminale: lui non mangia, non fa le passeggiate, non gioca, non dorme. No, lui annusa.
Lui non segue il cuore o il cervello. Lui segue il suo naso. 
Noi guardiamo la tv, mangiamo, dormiamo e in sottofondo c'è sempre il rumore del suo naso. 
Lui ti sveglia odorandoti, sposta la coperta col naso, si infila sotto, si mette a dormire e continua ad odorare. MENTRE DORME.
Lui non mangia il contenuto della ciotola. No. Lui lo odora. E non mangia un tubo.
Ho chiamato veterinari, psicologi, educatori, San Pietro perché lui non mangia. 
Si vede che non ne ha bisogno. 10 kg di gnappitudine, una massa muscolare che se potessi lo iscriverei al campionato canino di body building e non ha bisogno di mangiare. Spilucca ogni tanto, tra un'annusata e l'altra.
Portarlo fuori è una missione. Centinaia e centinaia di euro spesi in collari, pettorine e guinzagli che lui ha annusato e poi sgranocchiato.  Nemmeno quattro anni di età e giù ventidue  guinzagli, centoventisette pettorine e novantasei collari. Le sgranocchia quando provi a mettergliele, ingaggiando una lotta all'ultimo sangue. 
E poi inizia la passeggiata: lui va dove lo porta sto benedetto naso, cerca la preda - che di solito è una formica - ti tira, ti butta per terra.
Chiama un educatore mi hanno detto.
Chiama l'esorcista mi ha detto l'educatore.
Deve correre, deve sfogarsi. Noi camminiamo per ore. E lui non è mai stanco.
Lo portiamo in area cani, lo liberiamo e lui corre. Avanti e indietro.
C'è stata quella volta in cui un ragazzo mi disse che la sua cagnolina lo avrebbe fatto stancare presto. Dopo tre ore abbondanti, la cagnolina era stramazzata al suolo, mentre Fuffi continuava a saltare. Su e giù, tra un' annusata e l'altra. 
Mi sono offerta di pagare il rianimatore per la cagnolina, se fosse stato necessario.
Lui, cane da caccia, quando sente un odore che lo incuriosisce (ovvero qualsiasi odore possibile e immaginabile) parte e non lo prendi più. Non ti ascolta. Se ne frega. Lui deve trovare quello che cerca. 
E' testardo e capoccione. Non lo convinci che è una cosa è come dici tu.
"Fuffi, amore mio, ti assicuro che sono più vecchia di te ed è come dico io"
"Bauuuuu bauuuu bauuuu"
"Fuffi, credimi"
"Bauuuuuuu"
Zampate, mugugni, lamenti. Sembra che lo si voglia uccidere quando provi a convincerlo di una cosa.
Ha sempre ragione lui. 
É possessivo, appiccicoso, molesto, iperattivo.


Solo che tra un'annusata e l'altra, nonostante abbia tutti i peggiori difetti di un cane da caccia, resta il nostro grande amore.
E poi, suvvia, lui è un delinquente, ma io gli ho dato un nome che fa schifo, quindi 1 a 1 e palla al centro.
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sabato 12 marzo 2016

Le supermamme (che crescono gli idioti di domani)

Premessa: sono stata invitata ad una conferenza sulle allergie alimentari come esperta.
 In pratica, dovevo raccontare quindici anni di vita da allergica. E così ho fatto.
Mi hanno anche fatto l'applauso, pure bello lungo, a volerla dire tutta.
E poi, tra il pubblico, c'era lei: la supermamma. Mamma di pargolo allergico che sa tutto della vita, ma proprio tutto tutto.
E io ho pensato a quante supermamme ci sono al mondo. E ai poveri figli incapaci di stare al mondo che stanno crescendo.


-Il mondo deve adeguarsi a mio figlio, non è mio figlio che deve adeguarsi al mondo.
E poi c'era la marmotta che confezionava la cioccolata. Ed era, ovviamente, una cioccolata piena di nocciole.
Stupida marmotta, dovevi confezionarla senza pasta di nocciole che il figlio della signora non le può mangiare.

-Io cambierò le istituzioni, non sono io che devo evitare che mio figlio muoia per uno shock anafilattico, ma loro.
E nel frattempo che le cambi, tuo figlio muore.
Fai bene a lottare, eh, ma quando tu -madre- non hai preservato tuo figlio, le istituzioni al massimo ti manderanno una corona di fiori.

-Io lavoro. E ho due figli. Quindi sono migliore di altri.
In effetti, al mondo, non c'è nessun altro che lavora. E nessun altro che cresce dei figli.
La continuità della specie è nelle tue mani.

-Noi non abbiamo cambiato la nostra vita. Sono gli altri che devono cambiare la propria vita per stare con mio figlio.
Povero bambino, destinato a restare da solo per il resto della vita.

-Nessuno ha problemi come quelli di mio figlio.
Hai ragione. Al mondo nessuno ha problemi d'altronde.

-Io sono contenta che mio figlio sia malato. Sono una donna fortunata perchè lotto e posso mostrare quanto sono forte.
Deciditi: nessuno ha problemi così o sei contenta di avere problemi?
Io comunque non vorrei questi problemi, eh. Contenta tu che tuo figlio possa morire da un momento all'altro, contenti tutti.

-Io passo cinque ore a scuola con mio figlio per non farlo sentire diverso dagli altri.
Seduta nel banco con lui? Ma non lavoravi?
Comunque è ovvio che non si sentirà diverso, d'altronde tutti i genitori stanno seduti nel banco con il figlio a scuola in prima elementare (si chiama ancora scuola elementare o nel frattempo ha cambiato nome?).

-Io lotto per mio figlio. Nessuna madre lo fa come me.
Ringrazia che non ti ha sentito mia madre, altrimenti ti dava un destro in faccia che la capoccia ti faceva un triplice giro sul collo e poi rotolava al suolo facendo bum bum badabum.

E quindi niente. La bionda supermamma che è l'unica che sa fare la mamma e che sta insegnando al pargolo che il mondo deve girare intorno a lui, sta sicuramente crescendo un figlio equilibrato. E io sono una brutta persona a pensare che crescere un bambino così sia una tragedia.
Piccolo, sappi che io ti sono vicina. Mi dispiace per te che stai crescendo da completo idiota convinto che il mondo debba girare intorno alle tue necessità.
Ti do una bruttissima notizia: il mondo fa un pò come gli pare. E tu un giorno ti dovrai adattare.
E non potrai andare in giro a dire che tu sei migliore di altri o stai peggio di altri.
Perchè ci sarà sempre qualcuno migliore di te. E anche qualcuno che sta peggio di te.
Sarà una doccia fredda, lo so.



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giovedì 10 marzo 2016

Codice rosso

Alla fine è successo ancora.
È successo che gli occhi sono diventati rossi, che il labbro si è gonfiato, che le mani sono diventate rosse anche loro, che il prurito ha invaso tutto il corpo. E' stato un attimo: il prurito che peggiora, il labbro che comincia a penzolare, il respiro che inizia a mancare e poi la corsa in ospedale e il codice rosso.
Non si impara mai a convivere con le allergie alimentari. MAI.
Si crede di avere imparato, si crede di poter vivere una vita normale, ma poi succedono queste cose e tutte le certezze crollano.
Una fetta di carne alla brace, un po' di riso in bianco. Alimenti mangiati sempre.
Io non so se siete mai finiti in pronto soccorso in codice rosso. Per me non è la prima volta.

Io comunque stavolta riuscivo ancora a parlare, tanto da ripetere -come un disco rotto- che avevo degli shock anafilattici pregressi sul groppone, che avrei dovuto farmi l'adrenalina che porto sempre con me, ma che nel momento stesso io con cui ho capito che stava arrivando il black out, non ho trovato il coraggio di auto iniettarmi un farmaco del genere. L'unico coraggio che ho trovato è stato quello di prendere 4 mg di cortisone che non sono serviti a nulla.
Poi lì, nella parte del pronto soccorso destinata ai codici rossi, mi hanno preso la vena e hanno buttato giù altri 40 mg di cortisone e mi hanno attaccata al respiratore perchè io da sola non riuscivo a respirare.
È passata la dottoressa, mi ha guardata e ha visto che stavo forse un po' meglio, ma non bene: il labbro continuava a penzolare, la pancia e la mani erano completamente viola. Io respiravo, ma non da sola. E hanno buttato dentro altri 500 mg di cortisone. CINQUE GRAMMI E MEZZO DI CORTISONE.


Se accanto a me ci fosse stato un cavallo, sarebbe collassato molto prima di arrivare a cinque grammi e mezzo.
Io invece nulla. Stavo lì, a guardare i miei compagni di avventura.
Io con i miei cinque grammi e mezzo di cortisone, attaccata ad un respiratore, con delle grandi occhiaie e un labbro che finalmente cominciava a tornava normale, ero quella che stava meglio e con i miei occhini scuri guardavo cosa succedeva, in silenzio.
C'era Mario, un signore novantenne con il Parkinson che continuava a staccarsi il suo di respiratore e a chiedere un caffè. Gli hanno detto che era notte e che il caffè si prende la mattina. Io il caffè a Mario lo avrei portato.
C'erano gli infartati, era pieno di gente infartata. Il cardiologo avrà fatto avanti e indietro decine di volte.
C'era una signora che pensava di avere un principio di infarto, ma alla fine nulla, aveva solo la tosse. E no, non sto scherzando. Voleva andare a casa la signora, le hanno detto che avrebbe dovuto firmare.
A me hanno detto che mi avrebbero ricoverata e io non ho battuto ciglio, ho solo chiesto che avvisassero chi era fuori ad aspettarmi.
Non avevo il cellulare e nemmeno l'orologio, non sapevo da quante ore ero lì, ma sapevo che se era passata più di un'ora -tempo in cui di solito ti buttano fuori dal pronto soccorso se è una reazione  allergica normale e non grave- chi era fuori stava iniziando ad agitarsi.
La signora mi guardava, lei voleva andare a casa, io invece ho accettato passivamente che mi dicessero "ti ricoveriamo". 
È arrivata la dottoressa. "Vuoi andare a casa?"
L'infermiere napoletano che facevo fatica a comprendere, continuava a dire che ero intollerante e i suoi colleghi cercavano di spiegargli che io non sono intollerante, ma allergica. E io mi chiedevo in che mani ero. Lui pensava che non fosse nulla di grave, non aveva idea, rideva quando ho detto degli shock anafilattici e continuava a chiedere se sapevo cosa fosse uno shock anafilattico. 
Vorrei non saperlo, amico. Davvero.
"Vuoi andare a casa?"
"Io faccio quello che dite voi, Dottoressa".
"Come ti senti?"
"Ho sonno, ma sto meglio, grazie".

C'era una signora con un'insufficienza respiratoria grave, hanno chiamato il rianimatore.
Sono arrivati altri infartati. Era pieno di infartati.
E' tornata la dottoressa, ha detto all'infermiere che ero l'unica che non si lamentava.
Ero anche l'unica sotto i settant'anni. Ed ero drogata di cortisone.
Il cavallo sarebbe stramazzato al suolo e io ero ancora lì a guardare il mondo intorno a me.
Mi hanno lasciato dormire, mi hanno sistemato la barella per farmi stare comoda. 
Hanno tirato su la sponda della barella per evitare che cadessi giù.
Un uomo si lamentava,  urlava. Non so cosa avesse.
Loro, i medici e gli infermieri, continuavano a fare avanti e indietro tra tutti quei codici rossi.
Io ero sempre quella che stava meglio, nonostante il respiratore. Poi me l'hanno tolto.
Ho ricominciato a respirare da sola, il labbro era tornato normale, il colore della pelle era di nuovo bianco sbiadito e non rosso, niente più prurito.
"Se vuoi ti mandiamo a casa"
"Davvero, decidete voi, mi fido".
"Oppure ti ricoveriamo"
"Va bene, come preferite"
Alla fine, hanno deciso di mandarmi a casa. Le funzioni vitali erano di nuovo a posto.
"Devi fare ancora cortisone, ti scriviamo tutto"
"Ok, posso portarmi via la mascherina? Tanto è usa e getta, no?"
"Portatela pure"
"Grazie"
"La prossima volta fai l'adrenalina, hai rischiato grosso"
"Ok, ci proverò"

 Sono uscita da lì.
"Ho chiesto, ma non mi hanno detto nulla"
"Avevo detto di avvisarti che ero ancora viva"
"Cos'hai in mano?"
"La mascherina, mi hanno attaccato al respiratore, volevo fartela vedere"
"Andiamo a casa, amore, sei stanca"

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martedì 8 marzo 2016

Donne du du du

Alle donne che lavorano, che scelgono la carriera, a quelle che restano a casa ad accudire i figli.
Alle donne che crescono i figli da sole facendo da mamma e da papà, a quelle che hanno un uomo accanto con cui smazzarsi le paturnie della vita.
A quelle che hanno un uomo pigro, che pretende di essere servito e riverito a cui un sonoro calcio in culo non farebbe male, a quelle che hanno un tuttofare in casa e stanno beatamente spaparanzate sul divano.
Alle donne che fanno i tortellini e il pane in casa, a quelle che si limitano a comprare i Quattro salti in padella (che comunque, per la cronaca, sono buoni, anche se a quella cifra ci compro un rene nuovo).
Alle donne di oggi, ma anche a quelle di domani.


Alle donne che lottano per la propria vita, a quelle che hanno la vita facile.
A quelle donne che hanno il coraggio di denunciare un uomo violento, a quelle che fortunatamente non sanno cosa sia la violenza.
Alle donne che hanno realizzato i proprio sogni, a quelle che prima o poi lo faranno.
Alle donne belle, a quelle brutte. A quelle grasse e quelle magre.
Alle donne che pensano a tutto da sole -e chi se ne frega se il marito ha perso la testa per un'altra- e a quelle che hanno bisogno di un sostegno.
Alle donne che hanno problemi alimentari, a quelle che sono perennemente a dieta, a quelle che invece stanno bene così. Anche a quelle che hanno un metabolismo da paura e mangiano, mangiano e sono sempre perfette.

A mia madre che è una grande donna.
A mia nonna che era una donna ancora migliore e che ha combattuto fino alla fine contro uno dei mali peggiori che esiste, che non si è arresa, che ha avuto l'ultimo pensiero lucido per me.
All'altra mia nonna che, se fosse viva,  oggi compirebbe la bellezza di 101 anni e che devo ringraziare ogni giorno per il nome che porto.
A mia suocera che sarà pur sempre la suocera, ma senza la quale non avrei un uomo meraviglioso al mio fianco.
Alle mie amiche, splendide, una per una, che ci sono. Sempre.

Buona Festa della Donna. 
Che sia ogni giorno la Festa della Donna.



La foto del post è di Samira El Bouchtaoui.
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martedì 1 marzo 2016

Survivor

È arrivato Marzo, Fidanzato sta bene, si sta riprendendo dall'intervento.
Marzo è un mese che mi piace, mi sembra di essere già in estate, anche se so che verrà la bufera di neve.
Febbraio è finito con Leonardo Di Caprio ha vinto l'Oscar, il primo della sua vita, ormai non ci credeva più nessuno e con Vendola che si è comprato un bambino che è una cosa che non mi è piaciuta molto, forse era quasi meglio quando i comunisti i bambini se li mangiavano.
Sono sopravvissuta a questo Febbraio perchè ho qualcosa che molti hanno.
Ha fatto i capricci Fidanzato, ho fatto fatica a sopportarlo, lui i capricci non li fa mai, ma stavolta li ha fatti. E io ho poca pazienza. Quando sono stanca, poi, non ne ho per niente.
Io però, in questi giorni difficili, ho avuto questo qualcosa che è vero che ho sempre, ma di cui mi accorgo soprattutto in momenti come questo.
Ho due genitori meravigliosi che, nonostante non siano più due ragazzini, hanno fatto armi e bagagli e sono venuti a casa nostra. Hanno fatto anche da arbitro in una lite -o qualcosa del genere- non dandomi ragione, nonostante io sia la figlia e quindi in teoria avrebbero dovuto darmi ragione per quello, ma amen.
Mia mamma ha cucinato cose buone, di cui da anni mi spiega la ricetta, ma che c'è poco da fare: a me non vengono uguali nemmeno se ci metto tutto il mio impegno e la mia buona volontà.
Mio padre si è mangiato le cose buone cucinate dalla mamma.
"Papi. E io?"
"Tu non hai fame".
"Ah".
Il cane si è goduto i nonni perchè se è vero che mia nonna, quando ero bambina, mi cucinava sempre l'uovo strapazzato con il tonno che mia madre si rifiutava di prepararmi, è altrettanto vero che Cane Gnappo, quando ci sono i nonni, si trasforma da aitante cane da caccia tutto muscoli, a palla di lardo canina ricoperta di pelo.
"Povero cucciolo, non vedi che ha fame?"
"Ti sembra giusto non dare il broccolo al cane? Lo sai che gli piace tanto"
"Ho comprato una fornitura di bastoncini per i denti per il cane"
Sarebbe cosa buona e giusta non dargliela tutta insieme la fornitura annuale di bastoncini, ma le nonne, si sa, non si contraddicono mai. E poi mia madre è come me: ha sempre ragione.
Lei un pò più di me, a dire il vero.
Senza i miei genitori non so come faremmo, non solo questa volta, ma sempre.
Loro ci sono, qualsiasi cosa accada. Non ci lasciano mai.

E poi ci sono gli amici.
Io ho degli amici meravigliosi, che sono venuti in ospedale a coccolare il Fidanzato, che mi hanno portato fuori il cane, che hanno assecondato il mio bisogno estremo di mangiare giapponese, che si sono presentati alla nostra porta con una bottiglia di crema di limoncello fatta in casa (che poi, la crema di limoncello che fa la mia amica Celeste è la più buona crema di limoncello che esiste al mondo), che mi hanno ascoltata, assecondata, sopportata.
Senza chiedere nulla in cambio.
Non mi chiedete dove li abbiamo trovati questi amici, sono arrivati ed io ringrazio -ogni giorno- che la cicogna li abbia lasciati davanti la porta di casa mia. O forse sono io che sono stata lasciata davanti la porta di casa loro.


Sono fortunata per tutto quello che ho.
Se sono sopravvissuta a questa ennesima difficoltà è merito di tutte le persone che mi circondano e che mi vogliono bene.
E quindi io vi ringrazio: perchè potreste volere bene a tantissime altre persone al mondo e invece avete scelto me.


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