giovedì 28 gennaio 2016

Siamo una famiglia?

Noi non siamo sposati.
Non abbiamo figli. Abbiamo un cane. Nel nostro cuore, abbiamo anche un altro cane che ci ha lasciati quasi un anno fa, ma che resta parte integrante della nostra famiglia.
Siamo una famiglia perché, nella gioia e nel dolore, ci sosteniamo. Sempre.
Nei momenti bui, difficili, tristi c'eravamo noi due e nessun altro.
Siamo una famiglia perché il successo di uno è il successo di entrambi.
Siamo una famiglia perchè gioiamo insieme quando qualcosa va bene. E soffriamo insieme quando qualcosa va male.
Siamo una famiglia perché ci sosteniamo, ci appoggiamo l'uno all'altra. E sappiamo che quel sostegno, dall'altra parte, lo troveremo sempre.
Siamo una famiglia perché le nostre cose non escono dalla porta di casa nostra. Le risolviamo, le affrontiamo. Noi due.
Siamo una famiglia perché quello che è dell'uno è anche dell'altro.
Mai abbiamo pensato che ci fosse qualcosa di mio e di tuo. Tutto quello che abbiamo -che siano soldi, oggetti, macchine- è nostro. Qualche riserva giusto sul cibo, ma quella è un'altra storia.
Siamo una famiglia perché, quando era il momento di prendere una decisione, ci siamo seduti a tavolino, abbiamo discusso, magari qualche volta anche alzato la voce, ma abbiamo deciso sempre insieme.
Siamo una famiglia perché abbiamo tanti progetti, molti li abbiamo realizzati e tanti altri contiamo di realizzarli prima o poi.
Siamo una famiglia perché non ci siamo mai arresi.
Siamo una famiglia, perché oltre all'amore, c'è affetto, stima, complicità.
Ridiamo insieme, ci vogliamo bene, siamo fieri l'uno dell'altra.


Ci sposeremo, forse un giorno. Avremmo dovuto farlo tempo fa, ma le cose, si sa, non vanno mai come si spera, l'agguato è sempre dietro l'angolo.
Prima o poi lo faremo.
Ma nel frattempo, ci siamo sempre considerati una famiglia. Una famiglia strana, ma d'altronde quale famiglia non lo è.
E tutto il resto, non conta.


Nb. Ho chiesto, seriamente, a Fidanzato perchè secondo lui siamo una famiglia.
"Perchè ci sopportiamo" è stata la sua risposta.
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martedì 19 gennaio 2016

Bambini? No, grazie

Quando ero bambina, frequentavo con i miei genitori un ristorante abbastanza chic dove si mangiava benissimo.
Ancora oggi, che quel ristorante ha chiuso perché il proprietario ha fatto i soldi e si è aperto un chiosco in Jamaica, ho l'acquolina in bocca ripensando ai loro primi e ai loro dolci.
Il proprietario mi adorava e, in occasione di un cenone di San Silvestro passato lì, non volle che mio padre pagasse il conto anche per me perché la mia cena era un suo regalo.
E io mangiavo anche a cinque anni, oh se mangiavo.
I miei genitori mi hanno insegnato a stare seduta composta, a non lanciare forchette o piatti, a non urlare e, per usare un francesismo, a non rompere i coglioni. Quanto meno se non sei il parco giochi o in un agriturismo attrezzato per bambini, un po' di sana educazione non guasta, sosteneva (e sostiene tuttora) la mia saggia madre.
Un giorno dei conoscenti dei miei genitori, dissero a mia madre che gli avevano rifiutato l'ingresso in questo ristorante con i loro due pargoli, educatissimi, che, in una precedente occasione si erano tolti le scarpe e avevano iniziato a camminare sul tavolo, per poi lanciare le tagliatelle al ragù in giro per il locale. Parbleù, ma che sarà mai lanciare del cibo in giro?
Se lo avessi fatto io, mia nonna mi avrebbe lasciata digiuna per un mese perché il cibo non si spreca, si mangia. Per dire.
Qualche giorno fa un ristorate di Roma ha scritto un bel cartello "i bambini non sono graditi". Sempre sia lodato. Dov'è questo locale? Voglio andarci subito.
Io amo i bambini -meglio noti come regazzini in quel di Roma, si con la e e non con la- rigorosamente quelli altrui, ma li amo. Sono belli, paffuti, rosa, morbidi e profumati.
Ma no, non amo i cinquenni che corrono avanti e indietro per i ristoranti.
Non amo i bambini che fanno lo sgambetto ai camerieri.
Non amo i bambini che urlano come se fosse l'ultima prova d'onore delle loro corde vocali.
Non amo i bambini che lanciano il cibo.
Non amo i bambini che vengono al tuo tavolo e si appiccicano come manco il Bostik forte.


Quelle sere che riesco ad andare a mangiare fuori, che non sono prigioniera del buio della messa in onda, che non mi devo svegliare alle cinque la mattina dopo, io voglio stare tranquilla.
Vado al ristorante perché mi secca cucinare. Ecco, l'ho detto.
Di solito, guardo Fidanzato, lui guarda me, io lo riguardo con il labbrino tremulo, poi rivolgo uno sguardo triste a affranto alla cucina e lui, da bravo principe azzurro, mi dice:"Che dici? Mangiamo fuori?"
E io, a quel punto, sono già pronta, vestita, pettinata, truccata e con la borsa al braccio.
"Dove andiamo?"
"Dove ti pare"
Il top è quando andiamo in quei ristoranti in cui arriva l'omino dei cappotti, ti aiuta a svestirti, ti sposta la sedia e poi porge due menù, uno con i prezzi per lui e uno senza prezzi per lei. Poi va beh, io prendo quello con i prezzi perché a me piace leggere quanto costa la roba da mangiare, sai mai un giorno apro un ristorante e lo chiamo Chez Gilda. 
Lì di bambini urlati non ce n'è traccia. Sempre sia lodato.
Quindi, dicevo: io vado a cena fuori perché non mi va di cucinare. E perché mi voglio rilassare. E non voglio rotture di scatole. Come il Grinch.
Voglio stare seduta, tranquilla, a chiacchierare con l'amato compagno di vita, mangiare cose buone. Al massimo, voglio alzarmi solo per lavarmi le mani, ma se mi portassero la ciotolina con l'acqua al tavolo, sarebbe pure meglio.
Le urla le vado a sentire allo stadio, la corsa ad ostacoli la vado a fare alla pista di atletica nell'anno 2000 mai.
Si certo lo so che sono bambini, ma mi hanno riferito che esistono anche bambini educati che non molestano il prossimo. E che esistono anche bambini che, per due ore, possono restare a casa con i nonni, con degli amici (dei genitori, non dei bambini che si sa, l'unico che può rimanere da solo a casa è Kevin di Mamma, ho perso l'aereo), con una baby sitter, con un fratello maggiore (e, mi auguro, maggiorenne).
I figli delle mie cognate sono disposta a tenerli io a casa mia legati ad una sedia se loro vogliono concedersi una sera al ristorante. Mia suocera chiamava mio nipote Tempesta, per dire.
E mi hanno anche detto che ai bambini non si perdona tutto. Un bambino maleducato e strafottente sarà un adulto maleducato e strafottente di domani. Che educherà figli altrettanto maleducati e strafottenti.
So anche che ci sono bambini maleducati con genitori che le hanno provate tutte. Vi porgo tutto il mio affetto e il mio cordoglio, ma il figlio è il vostro, non mio.
Ci sono i neonati che piangono. No, con quelli non mi arrabbio. Il pianto di un neonato stanco che vorrebbe essere a casa sua e invece è al ristorante alle 23 mi fa stringere il cuore. I genitori del neonato che non rispettano il pargolo, invece, mi fanno stringere le budella.

Ci sono luoghi per bambini e luoghi dove i bambini sarebbe il caso non portarli. Soprattutto per loro stessi.
E poi, sarebbe bene educarli questi benedetti bambini.

Nota: qualche tempo fa, Fidanzato era in treno per tornare a Roma da Milano. Un pargolo seienne si è calato i pantaloni e ha fatto la cacca nel bel mezzo del corridoio. I genitori non hanno fatto una piega e alle rimostranze dei controllori hanno risposto che il nano è abituato così. 


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domenica 17 gennaio 2016

L'incontro tra mamma e suocera

Premessa: io ho una nipote bellissima. Ha quindici anni ed è davvero bella, oltre che educata, gentile, simpatica. No, non lo dico perché è mia nipote, ma è davvero fantastica.
Credo che sua madre, ovvero mia cognata, non potesse chiedere di meglio.
Ieri mattina mia nipote mi ha mandato un messaggio:"Mi puoi accompagnare da una mia amica?"
E certo amore mio che ti accompagno.
"Ma solo se non hai impegni"
Poi mi ha riscritto per dirmi che la sua amica abitava in un posto difficile da raggiungere, quindi si sarebbero viste in stazione in questo paese fuori Roma, quindi era meglio che prendesse il treno. E allora le ho detto che comunque l'avrei accompagnata in stazione vicino casa e poi da lì avrebbe preso il treno.
Mia nipote era a casa di mia suocera, quindi dovevo andarla a prendere lì.
Con me c'era mia madre, che è stata qualche giorno qui da noi, quindi che fai? Vai dalla suocera e non entri un attimo per un saluto? La madre la lasci in macchina?


Ora, è vero che io e Fidanzato stiamo insieme da cinque anni (che poi, in realtà, saranno cinque tra due mesi, ma mi affatica dire 4 anni e dieci mesi), ma le nostre mamme non si erano mai sentite.
Qualche volta avevano parlato al telefono, ma era ormai qualche anno fa.
No, non siamo brutti e cattivi che non le abbiamo mai fatte conoscere, ma ci sono dei problemi logistici non indifferenti visto che abitano a 1000 km di distanza. E meno male, aggiungerei.
E quindi c'è stato il primo incontro.
Ovviamente, Fidanzato era a lavoro, quindi sono andata da sola.

Io fumo, quindi dopo il caffè ho acceso una sigaretta.
Madre:"Ma non puoi non fumare?"
Suocera:"Fumare ti fa male, ma poi, Fidanzato non aveva smesso?"
Madre:"No, non ha smesso, l'ho visto fumare"
Suocera:"La sigarette puzzano e fanno male"
Madre:"Smettila di fumare!"
Suocera:"C'è puzza di fumo"
Madre:"Io non capisco che ci trovate nel fumare"
Gilda (dopo dieci minuti di questa agonia):"Già prese singolarmente siete due rompiscatole, insieme siete una cosa tremenda"
No, non hanno taciuto. Sono andate avanti per mezzora, finchè mi sono arresa, ho dato loro ragione e tanti cari saluti.
E quindi alla fine, madre e suocera vanno -al momento- d'accordo.
Fidanzato mi ha scritto per sapere come fosse andata.
Gli ho risposto che adesso che c'è stato l'incontro ci dobbiamo sposare sul serio e non possiamo più temporeggiare.
"Amò mi hanno tormentato per le sigarette" ho aggiunto.
"Ah, va beh, allora tutto bene".

Nb. La scelta della foto non è casuale, quel tipo di cactus si chiama cuscino della suocera.

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giovedì 14 gennaio 2016

Care Mamme, a volte vi stimo (ma non quando sottovalutate i problemi)

Io leggo molto. Divoro libri come se non esistesse un domani, leggo giornali, ogni mercoledì compro Topolino, leggo articoli in giro per il web e -ebbene si- leggo anche i commenti sui social.
La maggior parte di questi insulti commenti sono scritti da mamme.
Mamme che si scannano per allattamento fino a diciotto anni si, allattamento al massimo due giorni no; mamme che si insultano perché un figlio nato con parto cesareo è un figlio di serie B e incredibile, ma vero, se non partorisci con dolore meriti la pubblica gogna (che poi il pargolo non si ricorderà nemmeno com'è uscito dalla pancia di mammà è secondario); mamme che si insultano perché lavorare con un figlio è disdicevole e non lavorare è essere delle nullità.
Mamme che insultano altre mamme insomma.
Io, care mamme, vi stimo. Vi stimo perché essere mamma non è facile, perché comporta dei sacrifici, perché forse non avrete più delle belle tette e vi ritroverete una pancia molliccia e cadente, perché spesso siete costrette a lasciare il lavoro, perché a volte avete gravidanze non facili, neonati problematici e mariti gelosi del pargolo. Vi stimo e allo stesso tempo vi trovo delle imbecilli quando vi scannate tra di voi perché ogni mamma ha il diritto di crescere il proprio figlio come meglio crede.
Però, c'è un però.
Leggo di mamme che si scannano per tutore si, tutore no, doppio pannolino si, doppio pannolino no.
Mamme che si rifiutano di curare i loro figli perché il tutore sarebbe invalidante. A sei mesi, un'età di cui non si hanno ricordi.
Sto parlando di displasia dell'anca.
Ne sto parlando con le orecchie che mi fumano.
Con la parola invalidante che mi rimbomba nelle testa.

Facciamo un passo indietro: le anche sono una delle prime cose che viene controllata ad un neonato.
Se si fanno questi controlli è perché la displasia dell'anca è purtroppo molto diffusa.
Nei neonati viene curata in modo semplice e indolore con il doppio pannolino o con un tutore che tiene le gambine cicciose divaricate curando, in modo naturale, il problema.
Ci vuole tempo, qualche mese o, in alcuni casi, addirittura un anno, ma permette di vivere bene per il resto della vita.
Per alcune mamme, il doppio pannolino o il tutore sono invalidanti e no, non si può rovinare la vita -che poi, in realtà, è solo qualche mese-  ad un neonato, quindi è giusto che la malattia -perché questo è- faccia il proprio corso. IL PROPRIO CORSO.
Conosco un bambino di cinque anni a cui è stata diagnostica una displasia congenita bilaterale del grado più grave. A cinque anni, quindi non curabile con un tutore o il fantomatico doppio pannolino.
Una diagnosi tardiva di un problema che, preso in tempo, sarebbe stato curato con buona pace di tutti.
Sul motivo per cui questa diagnosi è stata fatta così tardi non mi dilungo.
Questo bambino, dai cinque ai dieci anni ha subito cinque operazioni. In anestesia totale. Ogni singola operazione è durata ore, molte ore.
La prima operazione era programmata in un ospedale pubblico, ma non è mai stato trovato il posto in sala operatoria per questo bambino, quindi l'unica soluzione era rivolgersi ad una clinica privata.
Dieci, venti milioni di lire ad operazione. E dieci milioni, negli anni '80, erano tanti soldi.
Oh si, lo so che la salute non ha prezzo, lo so bene. Ma non tutti nascono miliardari.
Dopo ogni operazione, questo bimbo ha portato il gesso per almeno sei mesi. SEI MESI. Passati a letto, ad annoiarsi, saltando la scuola, aiutato da un compagnetto di classe a non rimanere troppo indietro rispetto agli altri.
Questo bimbo amava il calcio, ha sempre detto che sarebbe diventato un calciatore. A calcio non ci ha mai potuto giocare perché le sue anche malandate non lo hanno mai permesso.
Questo bimbo ha sempre zoppicato, gli altri bambini lo chiamavano Gambadilegno, anche se una gamba di legno non ce l'ha mai avuta. Ha delle lunghe cicatrici, una a destra e una a sinistra che, a volte, a distanza di anni, sanguinano ancora.
Le cinque operazioni non hanno risolto il problema. Il medico che lo ha operato è sempre stato chiaro con i suoi genitori: non è guarito, gli stiamo solo permettendo di camminare, ma un domani si dovrà intervenire ancora.
Non so quanto questo bimbo abbia sperato che quel domani non arrivasse mai.
So però che quel domani è arrivato, inesorabile, allo scoccare dei trent'anni del bimbo.
Il bimbo, ormai uomo, un giorno non ha più camminato.
E' stato portato in ospedale. Poi da uno specialista. Aveva il femore in necrosi, oltre alle anche completamente fuori asse, consumate, distrutte.
Gli è stato detto che o si operava o, nel giro di poco, non avrebbe camminato. Mai più.
Si è operato, ha messo due protesi. Ha fatto l'intervento ad entrambe le anche contemporaneamente.
Vorrei raccontarvi di quanto schifo facciano i drenaggi, i cateteri, le ferite che un'operazione del genere lascia.
Vorrei raccontarvi che non è stato possibile aprire ancora le cicatrici già presenti perché già troppo compromesse e che è stato necessario aprire da un'altra parte, creando altre due cicatrici, altrettanto lunghe e orribili.
Vorrei raccontarvi dei mesi di riabilitazione, della fatica di questo bimbo cresciuto e di chi gli stava accanto. Vorrei raccontarvi di quei mesi in cui la vita si è fermata, in cui non si poteva andare al lavoro, non si poteva uscire, non si poteva nemmeno fare una doccia, allacciarsi le scarpe, sedersi su una sedia.
Vorrei raccontarvi che è stato facile, ma no, mi spiace, è stato orribile. È stato pesante, doloroso, difficile e costoso. Si, costoso. Perché l'intervento e la riabilitazione sono costati circa 100.000€. E se i 100.000€ non ce li hai o non hai un'assicurazione sanitaria, ti attacchi.
La vita migliora, ma non si guarisce mai. Le protesi vanno revisionate, si fanno controlli, si è invalidi per sempre. No, non sei mesi -il tempo di permettere al tutore di guarire un neonato affetto da displasia. PER SEMPRE.
Si, certo ci sono dei privilegi. Insieme alla displasia vinci la possibilità di diventare invalido civile e litigare con l'Inps per tutta la vita. Voglio dire: chi non vuole passare ore ed ore allo sportello invalidi civili dell'Inps? È il sogno segreto di tutti, no?
Vinci una pensione da 258€ (che adesso credo siano 278€, ma non sono molto informata al riguardo) al mese che, voglio dire, coprono sicuramente il costo delle operazioni. Avanzano anche soldi per comprare il gelato.
La pensione, se lavori, te la tolgono ovviamente perché, abitando in un paese i cui stipendi sono notoriamente molto alti e dovendo sostenere spese elevatissime per non finire in sedia a rotelle, hanno paura che poi con quelli che avanzano ci vai a prostitute (che nel frattempo, essendo il bimbo cresciuto, sono cambiate le priorità).
Vinci un codice che ti accompagnerà per sempre che indica che sei invalido, un tesserino con scritto che sei invalido e un milione di fogli con su scritto la percentuale di invalidità.
E anche una bella dicitura che quell'invalidità è permanente e immodificabile. IMMODIFICABILE. Invalido per sempre.


Care mamme, quando decidete che la displasia del vostro bimbo deve fare il suo corso, questo è quello che potrebbe succedergli. Quello che si prospetta davanti a lui, a voi.
Questo bimbo che conosco adesso ha 32 anni ed è la persona con cui ho scelto di condividere la mia vita.

Per tutti i dettagli dell'ultima operazione qui il link al post.

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mercoledì 6 gennaio 2016

Andavo a scuola il sabato

Io andavo a scuola il sabato.
Per cinque  anni, ogni santo sabato mi sono svegliata alle 8 per andare a scuola.
Entravamo alle 8,30 ed uscivamo alle 13,15.
Il venerdì sera non uscivo. Al massimo, nei venerdì particolarmente eccitanti, studiavo matematica perchè -chi faceva l'orario ci voleva evidentemente molto male- e per cinque lunghi anni, ogni santo sabato ci ritrovavamo un'ora di matematica.
Eravamo una classe di piccoli geni, ma la matematica non faceva per noi.
Al liceo linguistico si facevano solo due ore di matematica e, nel caso della mia classe, erano stati aboliti i compiti scritti dopo un primo disastroso tentativo al primo anno.
Chiedendo agli studenti del liceo linguistico "perché avete scelto questa scuola?", una delle risposte più gettonate era perché non si studia la matematica", seconda solo a "perché si fanno ogni anni viaggi d'istruzione all'estero", non so se mi spiego.


È successo che, durante le feste natalizie, sono andata a cena con alcune mie compagne di classe.
A questa cena erano presenti Fidanzato e anche il fidanzato di una mia compagna.
Com'è normale che sia, abbiamo cominciato a ricordare gli anni della scuola, finchè i due malcapitati hanno chiesto che cavolo di classe fosse. Ci hanno definito delle delinquenti.
A parte che c'erano anche dei maschi -2 su 25 al quinto anno- comunque eravamo studiosi. Molto studiosi.
Alla maturità. parecchi 100, moltissimi voti sopra l' 80, giusto un paio di 60.
Era già la maturità in centesimi, non quella in sessantesimi.
È successo che al terzo anno, il professore di religione fu benedetto dalle sue amabili studentesse con acqua e sale. Cosa ci facesse un pacco di sale in una classe è un dettaglio, ma la spiegazione c'è ed è anche plausibile: una ragazza si era fatta il piercing alla lingua e per disinfettarlo si era portata dietro una bottiglia d'acqua e il pacco di sale. Per fare degli sciacqui.
Il professore in questione, da quel momento e per un lungo periodo, cominciò ad entrare in classe con il crocifisso in mano. Nel senso che prima entrava il crocifisso con cui sperava di redimerci, poi entrava lui.
Era un bravo professore, ma si chiamava Santo. E non ti puoi chiamare Santo e insegnare religione.
E' anche successo che qualcuno desse fuoco a qualcun altro. E andavano di moda i vestiti -orridi- in acrilico 100%. 
E che durante un'ora di matematica si consumassero partite all'ultimo sangue a shangai (avete presente il gioco, no?).
Cosa ci facessero i bastoncini di shangai in una classe, non è dato sapere.
Oltre ai bastoncini di shangai, avevamo anche tappezzato il muro in fondo con le nostro foto da bambini, quando ancora eravamo belli e innocenti.

Al quarto anno era anche successo che ci mandassero otto persone di un'altra classe.
Durante la cena, una di queste otto persone ha detto:"Gilda non ci voleva".
Ero una bulla a quanto pare. E comunque è vero che non erano molto gradite, anche se faccio fatica a spiegarmi il motivo visto che sono tutte persone che sento tuttora e che mi sono simpatiche.
Il primo giorno di scuola di questo quarto anno, la professoressa di inglese aveva deciso che dovevamo dividerci in gruppi per fare non so cosa. 
Le otto ovviamente si erano fatte due gruppi per i fatti loro e la professoressa aveva tuonato che o ci mischiavamo spontaneamente o sarebbe intervenuta.
La professoressa è la stessa che se dicevi una parola in italiano durante le sue lezioni, ti faceva pagare 10 centesimi di multa e ti buttava fuori.
Ed è anche la stessa che quando abbiamo disertato in massa un suo compito in classe non presentandoci  a scuola, ha convocato tutti i genitori. Avevamo tutti 18 anni (o meglio, avevano tutti, le uniche minorenni eravamo io ed un'altra ragazza), mancavano un paio di mesi alla maturità e lei ci fece venire tutti accompagnati come dei tredicenni al primo anno. No dico, ma come si è permessa?

Di compito in classe ne avevamo disertato un altro -quello di filosofia.
Ora, per comprendere la situazione, è necessario sottolineare che la professoressa di filosofia era cattivissima. 
Quindi, dicevo, in otto avevamo disertato questo compito, me compresa.
"Ci facciamo interrogare e tanti cari saluti".
Il giorno dopo, lei ci fece presente che gli assenti avrebbero fatto il compito comunque.
Corsa a studiare tutto il programma, saltando ovviamente le tre domande che aveva fatto nel compito che avevamo disertato. E ovviamente lei ripropose le stesse tre domande, identiche.
Lei era la stessa che, facendo recuperare il debito dell'anno precedente a una compagna, la chiamò alla cattedra e le chiese di ripetere quello che aveva scritto nel compito, ma lei non lo sapeva.
Tuonò verso chi, secondo lei, aveva scritto quel compito (e aveva ragione), il giorno dopo ci interrogò e mise 3 a tutti i colpevoli.

La professoressa di italiano aveva l'abitudine di ripetere "Ma, ma, ma Gildaaaa!", anche quando a scuola non c'ero andata. Lei mi rimproverava, così, a caso.
Ogni tanto, diceva che potevamo ridere per cinque minuti. Lo faceva pensando che così avremmo smesso di ridere come capre. Di fatto, noi ridevamo come matti per cinque minuti, poi allo scoccare del sesto minuto la facevamo finita.
Qualcuno -in altre occasioni- fu anche buttato fuori per ridere in pace. 
Qualcun altro ancora si auto buttava fuori dalla classe perchè offeso con il professore.

In classe c'erano due gemelle -diverse tra loro, una per altro aveva i capelli lunghi e l'altra corta- ma la professoressa di italiano non le distingueva mai.
Quando le gemelle hanno compiuto 18 anni abbiamo fatto recapitare un classe un enorme mazzo di fiori per loro, raccomandandoci con il fioraio di farlo arrivare ad un orario preciso per evitare l'interrogazione di francese. Il fioraio tardò tre minuti e noi eravamo tentati di buttarci dalla finestra. A parte le ignare gemelle che ovviamente non sapevano nulla.

È anche successo che la professoressa di francese ci dicesse di andarci a friggere nell'olio bollente, ma a fuoco lento così avremmo sofferto di più.
Però come ci ha insegnato la grammatica lei, nessuno mai.
Ci alzavamo persino in piedi quando entrava.

I compiti in classe di latino li facevamo tutti insieme, un pezzo di versione per uno e le versioni erano sempre perfette. Quando devi tradurre un rigo e non una versione intera, vorrei ben vedere.
In mezzora consegnavamo le versioni ed era otto per tutti.
Abbiamo utilizzato lo stesso metodo alla maturità: tutti la stessa risposta ad una domanda della terza prova che, però, disgraziatamente, era sbagliata.
Sul muro della classe -al terzo anno- campeggiava una scritta minacciosa:deadline che significa scadenza, ma non puoi scrivere deadline e mettere ansia a degli adolescenti. 
Se non rispettavamo le scadenze, venivamo fustigati.
Ma tanto noi ridevamo. Sempre. Continuamente. Per qualsiasi cagata.
E alla fine, dai, siamo venuti su bene.
Ve l'ho detto che eravamo dei geni. E come tutti i geni, eravamo anche folli.

E comunque, l'orario di tutta la scuola lo faceva la mia professoressa di filosofia. Per dire, eh.

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martedì 5 gennaio 2016

Legàmi: il mio portasigarette Alviero Martini

Io mi affeziono alle cose.
Do un nome a quasi tutto: oggetti, piante, la macchina.
Da anni, avevo una pochette di Alviero Martini che lo so che state pensando che sono brutte le cose con le cartine geografiche, ma io ne vado matta.
Ne avevo parlato qui, c'è anche una sua foto.
Avevo diciassette anni appena compiuti quando la comprai.
I soldi me li aveva dati mia nonna, che all'epoca era già malata e ci avrebbe lasciato da lì a poco.
L'avevo comprata a Ferrara, ero con la Sabry che so che la Sabry per voi non vuol dire nulla, ma per me la Sabry è un punto fermo importante.
E' la ormai ex moglie di un collega di mio padre ed ha una età che è una via di mezzo tra la mia e quella di mia mamma, quindi è amica di entrambe.
Ho sempre adorato la Sabry, anche se la vedo poco.
Sarà che è identica ad una Barbie, ma la Sabry non puoi non amarla.
Insomma, eravamo andate insieme a comprare questa pochette -anche la Sabry ce l'aveva- e da allora io me la sono sempre portata dietro. Ovunque.
Viveva con me a Palermo, poi si è trasferita a Bologna, ha vissuto a Londra e ormai era una pochette romana.
Ha visto Dublino, Parigi, Berlino, Madrid, Praga.
Ha girato l'Italia in lungo e in largo.
Ovunque andassi, lei era con me.
Dentro, da qualche anno a questa parte, ci tenevo il tabacco, le cartine e i filtri.
Quando lavoravo insieme a Fidanzato, avevo l'abitudine di lasciarla sul bancone della regia. Lui entrava, si rollava una sigaretta e se ne andava senza dirmi nulla. Ma io lo vedevo, eh.
Quante volte sono uscita di casa solo con lei, buttando dentro la patente e qualche soldo, senza portare altro.
Chiunque abbia passato con me anche solo due ore, la mia pochette se la ricorda bene tanto eravamo inseparabili.
Era distrutta. Si era scurita, perdeva fili ed era anche un pò proletaria.
Ai tempi, Alviero Martini non costava quanto costa adesso e non era un brand poi così fine. Non c'era neanche uno straccio di fodera interna dentro le cose, l'interno era lasciato grezzo.
E lei era grezza, un pò come me.

Oggi l'ho persa.
Ce l'avevo, ne sono sicura.
Sono scesa dalla macchina, ma quando sono risalita e la cercavo, non c'era più.
Ho dato di matto, ho svuotato la borsa, mi sono accostata e ho rivoltato la macchina come un calzino, ho chiamato il negozio dove ero entrata per chiedere se ci fosse.
Non contenta, sono tornata indietro sfidando il traffico della Colombo, ho percorso quei pochi metri dal luogo dove avevo parcheggiato al negozio, sono entrata nel negozio, ho guardato sotto le macchine. E ovviamente pioveva.
Immagino che chi mi ha vista, avrà pensato che fossi appena fuggita dal manicomio.
Alla fine, rassegnata, ho chiamato Fidanzato, poi mia madre.
E infine, ho scritto alla Sabry. Mi manda la sua.
Che non sarà la stessa cosa, ma almeno piango con un occhio solo.
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lunedì 4 gennaio 2016

Aliexpress: il segreto della felicità

Se siete alla ricerca della chiave per il Paradiso, posso dirvi dove trovarla.
No, non sto scherzando. Io so dove risiede la felicità. E siccome sono tanto buona e giusta, voglio condividere con voi questo segreto.
La chiave della felicità é l'account su AliExpress.
Non sapete cosa è AliExpress?
È un sito cinese, ramo d'azienda di Alibaba, che vende cose assolutamente inutili a prezzi ridicoli di cui -se disgraziatamente fate un primo acquisto- scoprirete di non potere più fare a meno.
In pratica, c'era una volta un cinese -tale Jack Ma- che in barba a tutti quelli che pensano che i cinesi hanno come unico scopo della vita quello di aprire ristorante fuori dai confini del loro paese- si inventò una compagnia che riunisce, su piattaforma online, tantissimi produttori cinesi che vendono all'estero.
AliExpress vende al dettaglio, prevalentemente in Europa, le boiate di cui sopra.
Si trova di tutto. Pensate ad una cosa e tramite Aliexpress potrete averla a casa: gioielli, abbigliamento, sex-toy, oggetti per la casa -molti dei quali non si capisce a che servono, ma questo è secondario, giocattoli, oggetti elettronici, roba per lo sport, soprammobili.
Il tutto -nella maggior parte dei casi. per pochi spiccioli.
Si trovano anche cose un attimo più costose, ma sempre a prezzi molto più bassi che in Italia.

Però, c'èun però.
Se é vero che la maggior parte delle cose hanno costi di spedizione gratuita, è altrettanto vero che generalmente ci vogliono almeno quaranta giorni per vedersi consegnare il preziosissimo -a livello emotivo, si intende- pacchettino. E questo pacchettino probabilmente non sarà tracciabile, quanto meno fuori dai confini della Cina.
Quello che ho capito è che i pacchetti partono quasi tutti da Hangzhou che, tra l'altro, è la città dove ha sede la compagnia, poi potrebbero anche scrivere Fuck City nel track del pacchetto è per me sarebbe perfettamente identico visto che la geografia della Cina non è esattamente tra le cose che conosco meglio.
I giorni, come dicevo, sono almeno quaranta, ma potrebbero essere anche sessanta, quindi probabilmente quando arriverà il prezioso pacchetto vi sarete persino dimenticati di averlo ordinato, soprattutto se, presi dalla smania compulsiva di AliExpress, avrete ordinato altre cento cose pensando forse che così facendo, magicamente, qualcosa sarebbe arrivato in tempi brevi.
A volte, poi, i pacchetti si perdono.
I venditori, di solito, in questi casi, rimborsano -in circa quindici giorni- ma toccherà aprire una disputa che a me sa tanto di lotta nel fango con il cinesino di turno. E a quel punto, soffrirete. O se soffrirete. Quanto soffrirete. Perché se è vero che riavrete i vostri 50 centesimi, non avrete tra le vostre mani quell'indispensabile porta spugne in (finto) pvc con le margheritine disegnate sopra.
Non potete nemmeno fare acquisti superiori ai 22€ perché, in questo caso, probabilmente, vi toccherà pagare la dogana, il cui importo è di circa il 30% il valore del pacchetto perché bisogna metterci l'Iva che in Cina non c'è, ma in Italia si più le spese di sdoganamento.
Alcuni prodotti non possono, in teoria, essere acquistati, per esempio i giocattoli, a meno che non abbiamo il marchio CE.
Quello autentico, non fate i furbi. Se hanno il marchio CE contraffatto non vale.
Per alcune tipologie di prodotto ci sono poi costi da pagare anche se non si superano i 22€, come ad esempio i cosmetici. Vero è che io non sono sicura che riuscirei a mettermi un fondotinta acquistato dalla Cina, ma tant'è.

Si può pagare con carta di credito, con PostePay, ma non con PayPal. I cinesi, si sa, sono avanti .e questo Jack Ma deve essere anche più avanti degli altri- e si sono inventati AliPay che quando ho sentito il nome a me sembrava la versione tarocca di PayPal, ma pare sia affidabile.
E poi, bisogna sottolineare una cosa: gli standard qualitativi italici sono alti. E noi, volenti o nolenti, siamo italici, quindi abbiamo -ben impressi nella nostra mente anche senza volerlo- questi standard qualitativi.

I cinesi hanno standard qualitativi più bassi, giustificati anche dai prezzi.
Questo non significa che la merce sia brutta, ma che spesso si potrebbero avere delle sorprese.
Quando si ordina abbigliamento, bisogna anche tenere conto che i cinesi sono piccoletti e le loro taglie sono diverse dalle nostre.
Una M italiana, per esperienza, corrisponde ad una XXL di AliExpress, a volte -se siete sfigati- anche ad una XXXL, il che potrebbe seriamente compromettere la vostra autostima.
La mia di sicuro.
Nelle foto è spesso indicato che il prodotto che vi arriverà potrebbe differire in minima parte da quello in foto. Il minima parte è un concetto astratto su AliExpress: potrebbe significare che davvero le differenze potrebbero essere minime, così come potrebbe significare che vi mandano un'altra cosa che però è di un colore simile. Come in tutte le cose della vita, bisogna avere culo.
Le modelle che indossano i loro vestiti sono delle fighe da paura con una taglia XS italica (corrispondente probabilmente ad una L cinese), ma vista che la qualità non è quella di Prada, occhio che magari su una taglia più grande la resa potrebbe essere, ehm, un attimo differente.


Io comunque l'abbigliamento lo evito.
Se quello che arriva non è conforme a foto e descrizione, si può aprire una disputa -come quando il pacchetto non arriva- ed ottenere un rimborso totale o parziale. Molti venditori effettuano il rimborso totale solo se gli viene rispedita la merce, ma la spedizione è a carico di chi compra e non sono convinta che spedire in Cina sia molto economico.
Le dispute sono in inglese, so che molti scrivono in italiano tanto poi il cinesino utilizzerà Google traduttore, ma come minimo facendo così si rischia che Google traduttore traduca "l'abito non mi piace" in "tua madre è una stronza" causando una crisi politica ed economica tra l'Italia e la Cina di entità stratosferiche, quindi io preferisco scrivere in inglese.
Ad ogni modo, la mia vita è rifiorita da quando ho decine di collane ed orecchini pagati al massimo 1€, per non parlare di quanto mi sia commossa con la macchinetta che toglie i peli dai vestiti facendo uouououououououououuo e del portauova da viaggio. Tutte cose indispensabili senza le quali la mia vita sarebbe stata inserobabilmente vuota.

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sabato 2 gennaio 2016

Se avete regalato un cane a Natale

Io lo spero, ci credo, mi auguro che non abbiate messo un cucciolo dentro ad una scatola con il fiocco rosso.  
Sapete, io i fiocchi rossi proprio non li posso soffrire, tutt'al più intorno ad una macchina -se un'Audi ancora meglio- ma se lo avete fatto io non vi giudico. No, non lo faccio, lo giuro.
Dovete però sapere che un cane è per sempre. Finché morte non vi separi.
E probabilmente, a meno che non abbiate 92 anni, sarà il cane a morire prima di voi. E saranno lacrime amare, ma questa è un'altra storia.
Dovete anche sapere che un cane non è un oggetto, non è come una pista per le macchinine o come la cucina giocattolo.
Tutti i bambini vogliono un cane per Natale. O per il compleanno. O come regalo di promozione.
A Natale, però, sono tantissimi i genitori che presi dalla sindrome del siamo tutti più buoni regalano un cane ai loro bimbi. Che poi, ovviamente, del cane non si prendono cura.
E no, non è colpa loro, come potrebbe d'altronde un pargolo di quattro anni prendersi cura di un cane da 50 kg?
Comunque: se l'avete regalato, ora respirate.


Il cane piscerà. Tanto. Ovunque.
Non imparerà a comando a non pisciare ovunque, soprattutto sul divano in chesterfield. O sul tappeto persiano. Ma tranquilli: se avete preso un maschio ci metterà qualche mese ad alzare la zampetta e ad annaffiare muri e tende.
Dovrete portarlo fuori. Si, anche se piove. Anche se nevica. Anche se ci sono 40° all'ombra. Anche se avete la febbre. E no, non lo faranno i pargoli quattrenni perché non possono prendersi questa responsabilità. E comunque, non avranno la forza di tenere un cane che tira.
No, non tirano solo i cani da 50 kg. Provate a prendere un cane minuscolo da caccia.
Si lo so che l'avete preso per fare giocare il pargolo e non avete intenzione di andare a prendere le volpi in giro, ma i cani da caccia tirano. Oh, se tirano. Hanno una forza che gli viene dal naso.
Tra uno sniff e uno snuff, se non state attenti, vi butteranno per terra.
E no, non importa se avete il giardino. A parte che avere il prato all'inglese ricoperto di cacca non è una bella cosa -soprattutto quando il quattrenne si rotolerà sull'erba e poi si accomoderà sul divano puzzolente come il culo di una mucca con la diarrea- ma il cucciolino che adesso vi sembra tanto tenero e dolce, dovrà uscire comunque. E forse, prima o poi, sarete costretti ad ingaggiare una lotta all'ultimo sangue per mettergli il guinzaglio.
Poi l'amabile cucciolo comincerà a mordicchiare tutto quello che gli capita a tiro: pantofole, vestiti, telecomandi. Ed ebbene si, anche il tavolo da pranzo del '600. No dai, magari tutto il tavolo no, ma le gambe del tavolo si. E' una forma d'arte anche la gamba mozzicata, che vi credete?
E farà disastri. O se farà disastri. Il fiocco rosso che avete messo intorno al cucciolino a Natale sarà solo un ricordo lontano. Molto lontano.
A breve, avrete davanti un piccolo demonio che distruggerà tutto quello che gli capita a tiro e che butterà tutto per terra. Si, anche le cose fragili. Cosa volete che ne sappia il cucciolino che il bicchiere di vetro se cade, si rompe?
E, quando tornerete a casa stanchi dal lavoro, non potrete nemmeno rimproverarlo perché il cane o lo becchi in flagranza di reato o ciao, lui ha già dimenticato tutto. E sarà pronto per un nuovo disastro, più distruttivo del precedente.
Ci saranno peli ovunque. No, non importa se avete scelto un cucciolo a pelo corto, i peli li perderà comunque. Saranno sul divano, sui vestiti, sul pavimento.
Forse si ammalerà e dovrete tenergli la zampa mentre il veterinario lo visita.  Veterinario che, tenete bene a mente, non è gratis, così come nemmeno le medicine. E sappiate che le medicine veterinarie non sono mutuabili, inutile che minacciate di morte il farmacista. Però potete portarle in detrazione sul 730 dell'anno successivo.
Il cane mangerà. E dovrete ricordarvi di dargli da mangiare, di tenere la ciotola dell'acqua sempre piena. Con acqua fresca. Che poi magari l'ormai ex cucciolo sarà uno schizzinoso e li sono cazzi. Ma cazzi amari proprio.

Se avete regalato un cane a Natale al vostro pargolo e siete pronti a tutto questo, allora sappiate che riceverete in cambio -per tutta la vita- tante leccate, coccole, amore.
Sappiate che non sarete mai soli e le passeggiate sotto la pioggia non vi sembreranno affatto brutte.
Quando avrete la febbre, forse sarete disperati all'idea di dover comunque portarlo fuori, ma in cambio avrete qualcuno sul letto con voi che vi terrà compagnia finché non sarete guariti.
Sappiate che tutto quello che il piccolo devastatore distruggerà, probabilmente ad un certo punto lo avreste buttato comunque. E magari il cane ha solo anticipato le vostre intenzioni perché, ebbene si, sa leggervi nel pensiero.
Sappiate anche che molto probabilmente diventerete completamente cretini, comincerete a parlare con il cane che ad un certo punto vi abbaierà contro per rinfacciarvi il fiocco rosso. E avrà, ovviamente, ragione lui.

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venerdì 1 gennaio 2016

1 Gennaio: ode a chi oggi lavora

Ci siamo svegliati tardi stamattina e- tanto per cambiare- ci siamo ritrovati a fare le cose di corsa: fai il letto, sistema i vestiti che stanotte erano stati buttati a casaccio un po' ovunque, dai una parvenza d'ordine alla casa, prepara il pranzo, mangia, prendi il caffè. E poi Fidanzato è uscito.
Oggi lui lavora, io invece me la sono fatta franca e quindi sto a casa da sola. O meglio con il cane che, essendo notoriamente un animale da compagnia, dorme.
Preferisco di gran lunga andare a lavoro nei giorni di festa che stare a casa da sola, ma tant'è.
Sono dovuta uscire un attimo -avevo bisogno di un farmaco urgente che non poteva aspettare domani, nè tanto meno lunedì- e, intorno a me, c'era la desolazione. DESOLAZIONE VERA. 
Ho incontrato gli spazzini -ah no, si dice operatori ecologici, altrimenti non è politically correct- e i pompieri. Ho urlato buon anno, dopo aver abbassato in fretta e furia il finestrino della macchina. 
Mi avranno preso per matta.
Sono entrata in farmacia e ho augurato buon anno anche ai due farmacisti, due uomini di mezza età che probabilmente avranno lasciato a casa mogli e figli.
Poi sono andata al bar perchè dovevo prendere dei filtrini. Anche lì c'era poca gente che consumava o comprava qualcosa, ma tanta gente che lavorava. Ho augurato buon anno anche a loro.
E, infine, me ne sono tornata a casa.

E allora, in questo Primo Gennaio, un pensiero lo rivolgo a chi lavora, a chi si è tirato su dal letto e ha lasciato a casa fidanzati, mogli e mariti, figli, genitori. 
A chi lavora in tv -alle quali va sempre il mio primo pensiero perché sono una di loro- perché la tv non va da sola. C'è dietro così tanto lavoro che nemmeno io, fino a qualche anno fa, riuscivo ad immaginarlo.
A chi lavora nei cinema, nei teatri e nei musei perché quando vi sarete ripresi dalla serata di ieri e deciderete di fare qualcosa di tranquillo, loro saranno lì a farvi il biglietto, a vendervi pop-corn e patatine, a mandare in play il film.
A chi lavora negli hotel e poco importa se siete clienti che resteranno una settimana o solo due ore perché, si sa, chi tromba a Capodanno, tromba tutto l'anno. 
A chi lavora alle giostre perché quando -magari tra un pò- deciderete di portare i vostri bimbi a fare un giro sull'autoscontro, loro saranno lì.
Agli spazzini che puliscono il delirio che si è fatto ieri -giuro che ho visto chili di calendari del 2015 che qualcuno avrà ben pensato di buttare dalla finestra- e, nel caso della mia zona, quelle maledette foglie che sono ovunque.
A medici, infermieri e a tutti coloro che lavorano nel settore medico che oggi avranno una giornata difficile, come tutti i sabati sera e come tutte le festività, tra incidenti e tra persone -purtroppo ancora troppo- che hanno riportato danno sparando botti. A loro che oggi -come tutti i giorni- daranno cattive notizie, che renderanno triste a qualcuno questo giorno di festa, ma ne daranno anche di buone, restituendo a qualcun altro la speranza di una vita migliore. A loro che faranno nascere i vostri figli, che accudiranno i vostri cari, che avranno per voi una parola di conforto.
Ai veterinari che soccorreranno i vostri animali e magari gli salveranno la vita.
Ai farmacisti che sono lì a vendervi un farmaco di vitale importanza o i cerotti o qualsiasi altra cosa.
Ai vigili del fuoco, ai poliziotti, ai carabinieri e a tutte le forze dell'ordine per i quali oggi è un giorno come un altro.
A chi lavora in bar e ristoranti che oggi sono aperti, che vi prepareranno un caffè o un piatto di fettuccine all'astice, che vi porteranno una forchetta pulita, che apparecchieranno e sparecchieranno tavoli, che laveranno piatti e tazzine.
A chi lavora con gli animali perché, sapete, gli animali, esattamente come noi, mangiano tutti i giorni e non solo nei giorni feriali.
Agli operatori di call center che - in molti casi- risponderanno anche oggi per aiutarvi a risolvere un problema, per aumentare i giga della vostra connessione, per capire perché la bolletta della luce è così alta, per aiutarvi con la prenotazione di un aereo.
A chi lavora nelle navi e in porto , in aeroporto e sugli aerei, sui treni e in stazione per permettervi di viaggiare anche oggi che è festa.
Agli autisti degli autobus che probabilmente si troveranno gli autobus vuoti, ma che comunque devono circolare.


A chi lavora nei negozi che oggi sono aperti, anche se io non ne ho visti, ma non escludo che ci siano, magari in centro.
A chi lavora nei supermercati che ormai -qui, ma credo anche in tutte le città d'Italia- sono aperti h24 7 giorni su 7, di modo che, se come me, vi rendete conto di non avere carta igienica quando vi serve urgentemente, potete correre a comprarla. 
A chi lavora nelle redazioni dei giornali perché i giornali -anche se adesso le notizie le leggiamo su internet- devono uscire e per uscire, ci deve essere qualcuno che scrive, che li impagina, che li stampa. E anche a chi i giornali li consegna alle edicole alle tre del mattino.
A chi oggi non lavora, ma è reperibile. Vi assicuro che la reperibilità è una delle peggiori disgrazie dell'umanità, visto che tanto non si può fare nulla, si soffre di crisi paranoico-compulsive per paura che il cellulare non prenda, si spenga, la suoneria non sia abbastanza alta.
E a tutti coloro che non ho nominato perché, perdonatemi, ma non mi siete venuti in mente. 
Se c'è qualcuno che oggi -come tutti i festivi- lavora è perché qualcun altro usufruirà di quel servizio. E il lavoro di uno servirà a tanti.
Se è vero che quello che si fa a Capodanno si fa tutto l'anno, vi auguro di lavorare per i prossimi 366 giorni, di non perdere il lavoro, di non vedere chiudere la vostra azienda all'improvviso.

E, se proprio siete disperati all'idea di lavorare oggi, pensate alle maggiorazioni festive. 
Io, quelle rare volte che mi viene la tristezza, penso a quelle.


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