mercoledì 28 ottobre 2015

Fare l'amore sulla finestra

Ad un certo punto della mia esperienza milanese, mi sono trovata a condividere l'appartamento con una coinquilina.
Sono anni che non condivido casa con qualcuno che non sia Fidanzato e i nostri cani, ma cosa volete che sia? Ho vissuto con diverse persone, qualcuno un po' migliore di qualcun altro, ma non essendo mai in casa e facendo dei turni un po' particolari, alla fine, andava bene così, visto comunque che non avevo scelta.
La tizia non si è presentata nel migliore dei modi, visto che dopo un paio di giorni che era in casa, mi ha svegliata nel cuore della notte perché non sapeva aprire la porta, ma che ve lo dico a fare? Allora, spiegale come si inserisce una chiave nella toppa, come si gira una chiave, tutte cose che, insomma, i miei genitori mi hanno insegnato a otto anni, ma non è mai tardi per imparare.
La tizia non era neanche troppo pulita: piatti sporchi sempre e comunque, immondizia abbandonata nel corridoio, ma anche li: portare pazienza  che tanto prima o poi, questa pessima avventura milanese finirà.
Ad un certo punto, è comparso anche un fidanzato che, come nel peggiore degli incubi, è venuto praticamente a vivere lì. Poco educati i due, visto che avevano fatto della cucina il loro quartiere generale ed era diventato impossibile anche prepararsi un panino, ma bisogna porgere l'altra guancia, no?
E sorvoliamo anche su questo fidanzato che era sempre lì, che faceva la pipì in giro per il bagno (io lo giuro, mai vista fare una cosa del genere a Fidanzato, se no non sarebbe Fidanzato), che abbandonava la sua biancheria sporca anch'essa in giro per il bagno, come la pipì.
Insomma, mia madre aveva anche conosciuto la tizia e me l'aveva detto:"Da una che spegne le cicche di sigarette sul bidet e poi non lo toglie, cosa vuoi aspettarti?" ma io comunque avevo poca scelta, per tutta una serie di motivi pensare di trovare casa a Milano per un paio di mesi era abbastanza impossibile. E si che ci ho anche provato.

Ma il top è stato raggiunto una sera.
Ero a casa, dopo un'infernale giornata di lavoro, un turno pessimo (in termini di orario, cosa avete capito?), ma la gioia -immensa gioia- di una trasferta il giorno dopo per una gara di ginnastica che sarebbe durata ben due giorni.
Due giorni di ginnastica, si sa, aprono il cuore, quindi ero felice.
Stavo amabilmente chiacchierando con due amiche su whatsapp e mi è venuta sete. Molta sete.
Io, sia chiaro, ho sempre una bottiglia d'acqua sul comodino, visto che bevo quanto un cammello (che però, alla fine, l'acqua la conserva, io invece bevo quanto un cammello ogni cinque minuti), ma volevo l'acqua fredda. Mi avvio, quindi, verso la cucina e noto la luce accesa e la porta a soffietto aperta a metà. Non sento rumori, ma anche se fosse, chi se ne frega.
Una doverosa premesse è che in cucina c'era una finestra e questa finestra dava su una strada molto trafficata, sia in termini di auto che di pedoni. A tutte le ore del giorno e della notte. Vuoi i negozi, vuoi i bar, vuoi la fermata del tram, un sacco di gente. Sempre.
E mi è capitato diverse volte che qualcuno guardasse in direzione finestra. Probabilmente non volevano guardare me, ma essendo alla mercé dei passanti, ci sta che cada l'occhio. Normale e comprensibile. Quindi, come mi ha insegnato la mia santa madre, non si sta nudi davanti la finestra perché chiunque potrebbe vederti e pare brutto. Molto brutto. Poi magari ti fanno anche una foto e finisce su internet e allora ciao reputazione. Magari è un'idea un po' fantasiosa, ma non si sa mai. Meglio prevenire che curare.
Dicevo quindi: avevo sete e ho deciso di andare a prendere l'acqua fredda in frigo.
Entro in cucina e, come nel peggiore degli incubi, i due si stavano accoppiando sulla finestra, culo al vento verso la strada. Lei comodamente seduta sulla finestra e lui che spingeva. Bum bum bum. Ma come state?


Io però avevo sete, quindi ho detto "scusate" e l'acqua l'ho presa comunque. Volete che la mia sete sia meno importante del vostro amplesso?
Non che i due abbiamo detto nulla, lui si è giusto un attimo girato e ha continuato. Che io davvero capisco che sia difficile smettere di fare una cosa che ti piace, ma magari a me sarebbe caduta la faccia per terra. E avrei stentato a raccoglierla.
Ho immaginato cori pakistani di voyeur sotto casa. Cori cinesi. Cori delle sciure milanesi.
"Dateci dentro alè oooooo".
E cosa potevo fare io? Ho preso il telefono e ho chiamato di corsa mia madre per raccontarle dell'accoppiamento finestrato. Fidanzato, mannaggia a lui, dormiva già, quindi ho dovuto attendere la mattina dopo per fargli presente che, non per colpa mia, mi sono trovata davanti un pisello vagante.
Io capisco, davvero, che quando si sta insieme da poco si diventa scemi. Ma a settant'anni in due, forse accoppiarsi in una stanza dove sai che potrebbe entrare in qualsiasi momento un'altra persona lo eviterei. A meno che non ti piace farti guardare, chi lo sa.
Io mi sono anche un pò vergognata eh. Giusto il tempo di cominciare a ridere come una disperata.

E poi uno si chiede perchè non ne potevo più di tutto quello che mi circondava a Milano.
Ve l'avevo detto che con calma, avrei raccontato tutto, una volta sana e salva a casa mia, no?
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martedì 27 ottobre 2015

Vicini di casa

Non ho vissuto abbastanza in questa casa da conoscere i miei vicini e solo adesso sto imparando, piano piano, chi sono. Con calma, molta calma che io faccio fatica anche a ricordarmi la faccia di Fidanzato a volte.


Ho scoperto che il mio vicino di muro guarda film a tutto volume, ma proprio un volume altissimo che li sento perfettamente anche io. Se guardiamo la stessa cosa, sento meglio il volume della sua tv che quello della mia. 
Diverse volte mi hanno detto che Sky guadagna tantissimo con i film porno e io, donna di poca fede, mi sono sempre chiesta chi fossero quegli scemi che comprano a caro prezzo film porno su Sky quando sul web si trova di tutto gratis. Adesso lo so: il mio vicino di casa è uno di questi.
Non sono troppo esperta in materia di film porno a dire la verità, ma se qualcuno sa dirmi cosa ci mettono dentro in un'ora e mezza di film gliene sarò grata per sempre.
Per il resto, nulla da dichiarare sugli altri vicini, tutti educati, tutti che salutano, tutti che fanno le feste a Cane Gnappo.
Nella vecchia casa, avevamo invece la vicina di casa squilibrata. Molto squilibrata.
Tutto iniziò dopo un mese che abitavamo in quella casa: io avevo la febbre, stavo abbastanza male ed ero a letto moribonda pensando di non arrivare al giorno dopo; Fidanzato, invece, era a lavoro.
Saranno state le 10 di sera e suona il campanello, io mi trascino fino alla porta non so con quali forze e mi trovo davanti questa signora che mi dice di smetterla con la festa in corso perchè era un giorno infrasettimanale .
"Signora, non c'è nessuna festa, io sto anche abbastanza male, se non le dispiace me ne torno a letto".
Dopo qualche giorno, un sabato notte, saranno state le 5, stavamo dormendo beatamente ed è suonato il citofono in modo parecchio insistente. Io che sono abbastanza paranoica ho pensato subito alla polizia che mi comunicava che era morto qualcuno e dovevo andare a riconoscere il cadavere. D'altronde, chi volete che suoni alle 5 di mattina alla porta se non polizia o carabinieri per darti una notizia nefasta o per arrestarti (ma non è il nostro caso)?
Era sempre lei, che chiedeva di smetterla con la festa in corso.
Dire che mi è salito il veleno è dire poco, se consideriamo che la domenica, a casa nostra, è un giorno lavorativo e che il nostro sonno, da bravi turnisti, è preziosissimo.
Dopo un paio di giorni, ho scoperto che aveva citofonato per lo stesso motivo ad un'altra vicina di casa, incinta al settimo mese che, per lo spavento, a momenti finisce in ospedale.
Passano ancora dei giorni e la vicina urlante mi informa che Cane Gnappo aveva violato la sua privacy, camminando sulla ringhiera del balcone, larga circa tre cm, era entrano in casa sua e li aveva spiati e lei, per proteggere la sua intimità, l'aveva riportato a casa. 
Cane Gnappo che, oltre a non essere un gatto è un cane e non cammina su 3 cm di ringhiera, soffre di vertigini, roba che se lo prendi in braccio e ti avvicini al terrazzo comincia a piangere disperato.
Per mesi, la signora ha urlato quasi tutte le notti perché c'erano delle feste con milioni di invitati rumorosi. Il tutto, ovviamente, quando noi non eravamo in casa. 
Che poi io magari le feste le avrei fatte davvero, ma non c'era fisicamente lo spazio, la casa era piccola e in quel salotto, al massimo, ci entravamo in sei. 
Un giorno Fidanzato si è arrabbiato perché non ne potevamo più di questa tizia che ci svegliava nel cuore della notte e le ha urlato contro, a quel punto è intervenuto il compagno, ma non capivamo una parola di quello che diceva: parlava solo in un dialetto strettissimo del sud (che però non era siciliano, se no quanto meno qualcosa avrei capito) urlando come un disperato per sta storia delle feste.
Dopo ancora qualche mese, il compagno è sparito e la signora ha smesso di immaginarsi le feste.
Nel frattempo, gli altri vicini si sono separati e, immaginate che fortuna, abbiamo avuto il privilegio di sentire ogni singola discussione sull'amante brutta e cattiva. Ad un certo punto, sapendo che avevano due figli, volevo chiamare i carabinieri perché ho pensato che stessero per uccidersi e che mi sarei ritrovata a dire ai giornalisti: "erano delle così brave persone". No, per carità, questo no.
Nessuno è stato ucciso, i bambini stavano bene e anche loro, ad un certo punto, hanno smesso di urlare.
Poi, per fortuna, abbiamo cambiato casa e, film porno a parte, siamo tranquilli.


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lunedì 26 ottobre 2015

La televisione inganna (se volete lasciarvi ingannare)

Quando ero bambina, ero convinta che ci fosse una telecamera che riprendesse delle cose e che quelle cose accadessero spontaneamente esattamente come spontaneamente io la mattina mi alzo dal letto, bestemmio in aramaico antico perchè ho freddo, sonno, voglia di tornare a letto, vado a lavoro, mangio, vado in bagno, compro vestiti, porto fuori il cane, mangio un sacco di cose che poi si piazzano sui miei fianchi già abbastanza generosi, chiamo mia madre quaranta volte al giorno.
Ero convinta che persino i film funzionassero allo stesso modo: telecamere, un tizio che riprende e questi che si amano, si lasciano, fanno pazzie, muoiono, resuscitano nel giro di due ore.
Poi sono cresciuta e la tv ho smesso di guardarla. mi viene il mal di testa anche solo a pensare di accenderla sta benedetta televisione, potrei anche non averla a casa per quanto mi riguarda O forse potrei non averla se non avessi un Fidanzato che senza le partite non vivrebbe, ma tant'è.
Il tg non lo guardo, i reality meno che mai, i programmi di chiacchiere -come li chiamo io- non ne parliamo. Poi però sono anni che questi programmi sono costretta a guardarli comunque, se non altro perchè qualcuno dovrà pur metterli in onda e tra quei qualcuno ci sono anche io. 
Il cervello di un messinondaro è geniale: mettere in onda senza ascoltare pur avendo l'audio a palla.
Ho cambiato emittenti, ho conosciuto gente che ha lavorato pressochè ovunque, ho una panoramica di tutto l'emesso degli ultimi vent'anni che ci potrei scrivere un libro. Io, ma qualcun altro più di me. Di fatto, però, se lavori in un'emittente televisiva non puoi dire nulla e, in un certo senso, è giusto così. Esistono delle clausole di riservatezza che ti impediscono di dire qualsiasi cosa.
Tante volte ho visto programmi prima della prima tv e ho giustamente taciuto. Io come un altro mezzo milione di persone.


Tante altre volte mi sono resa conto di cosa c'è dietro la televisione e me lo sono tenuta per me. NO, non sto parlando di chissà quali magagne, ci mancherebbe altro.
Credo però che sia evidente e palese a tutti che dietro la televisione ci siano dei meccanismi particolari che di fatto non presentano la realtà, ma una distorsione di essa o comunque solo una parte di essa. Quello che vogliono fare vedere.
È come se io -o qualsiasi altra persona normale- uscissi di casa solo con borse e scarpe firmate, le unghie sempre perfette e poi andassi alla Caritas a prendere i pacchi con i viveri e dormissi su un giaciglio di paglia perché non c'ho una lira. A voi, fuori dalla porta di casa mia, faccio vedere quanto sto bene, quanto sono piena di soldi e vi nascondo l'altra faccia della medaglia, ovvero la povertà.
Non so se l'esempio è azzeccato, ma almeno ci ho provato a farvi capire cosa intendo.
Qualsiasi essere vivente dotato di almeno tre neuroni si renderebbe conto che la tv è così. O almeno io, avendo molta fiducia nel genere umano, ho sempre pensato che lì fuori ci siano un sacco di geni pronti a capire cosa stanno guardando.
Quello che vedete è quello che vogliono farvi vedere. Sta a voi guardare, analizzare e portare a casa, senza prendere per oro colato ogni santa cosa viene proposta in tv.
Sicuramente ci sono messaggi più veri di altri. Ci sono professionisti seri e professionisti meno seri. Ci sono giornalisti, autori, conduttori che probabilmente tengono a raccontare tutta la verità, nient'altro che la verità (ma non dicono lo giuro in tribunale).
Esiste una cosa chiamata Auditel che raccoglie dati sull'indice di ascolto televisivo. Da questi dati, di fatto, si stabilisce quanto piace o non piace un determinato programma. Se piace, attira pubblicità. La pubblicità costa soldi, molti soldi. Il costo della pubblicità varia a seconda del programma e dell'orario.
In una fascia oraria, non ci può essere più di un tot. di pubblicità, pena una multa salatissima. Questa cosa complicata, che io ci ho messo anni a capire, si chiama affollamento.
Ora, quale sarà mai lo scopo di un'emittente televisiva privata? Attirare pubblicità e fare soldi. E' la legge del mercato.
E come fare per attirare pubblicità, aumentare gli ascolti, fare share?
E come aumentare gli ascolti? Mandare in onda qualcosa che incuriosisce, fare lo scoop, dare una notizia che gli altri non hanno dato, trasmettere un programma che tiene col fiato sospeso.
E come fare a incuriosire? Ecco, appunto.
Ma questo il pubblico dovrebbe saperlo. Dovrebbe sapere prendere le informazioni della tv per quello che sono, immaginare che dietro ci siano tante cose che non conoscono e che nessuno gli dirà mai e andare avanti.
Solo che non tutti lo fanno.
Meditate gente, meditate.
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sabato 24 ottobre 2015

E adesso si va a Rio de Janeiro (a fare le Olimpiadi)

Se ripenso alla giornata di ieri, mi vengono in mente solo due parole: ansia e lacrime.
Ho sofferto una giornata intera. A volte mi rendo conto che vi può sembrare impossibile che uno soffra così per una cosa del genere, eppure vi assicuro che è possibile.
È difficile descrivere delle sensazioni, so solo che alla fine della giornata mi sono sentita come mi sentivo dopo un esame all'università, ovvero stanca perché l'adrenalina mi stava piano piano abbandonando.
Una lunga giornata iniziata alle dieci del mattino, con due compagne inseparabili, Rossana e Arianna, a cui va tutto la mia riconoscenza per la sopportazione, anche se tocca ammettere che è un do ut des perchè in realtà non lo so mica chi stava peggio.
A loro due si aggiungono altre due persone, Marianna e Silvia, per l'altrettanta sopportazione dei miei messaggi isterici e privi di senso.
La verità è che quando si guarda un Mondiale si hanno delle certezze. Certezze che, a conti fatti, quando si riflette, ci si rende conto che non si possono avere perché se esiste uno sport incerto, questo è proprio la ginnastica artistica. L'errore è dietro l'angolo, ci vuole un secondo a cadere giù e buttare via una gara. 
 Solo che questi ragionamenti, così profondi, si riescono a fare solo quando ci sono le altre, mai quando ci sono le nostre ragazze. Lì subentrano un sacco di cose.
Mettete in conto che magari con le ragazze uno ci ha anche parlato, fatto due chiacchiere, magari anche quattro e quindi diventa tutto più difficile. Essere obiettivi non sempre è facile, nel bene o nel male. E poi, subentra la questione dell'ansia, quell'ansia terrificante che in questi casi non abbandona mai. Mannaggia a lei!!!
La giornata di ieri, dicevo, è cominciata con uno schieramento di tutto rispetto: due pc uno a fianco all'altro e il cellulare che serve sempre. Diretta solo per alcune nazioni e, per una volta, la botta di fortuna: l'Italia nella stessa suddivisione della Russia, il che significa che la Russia è una nazione per la quale c'è la diretta, quindi, dai qualcosa dell'Italia faranno anche vedere e questo va già bene, considerato che la qualifica dello scorso mondiale l'ho seguita solo tramite un sito di punteggi aggiornato alla stessa velocità dell'andatura di una tartaruga zoppa, ma tant'è che quando non c'è di meglio, ci si accontenta.
Quindi, ricapitoliamo: diretta, sito dei punteggi e Twitter che anche lì ci trovi i punteggi e magari arrivano prima di quelli del sito. Follia pura.
Quattro suddivisioni davanti, noi in quinta, quindi otto squadre prima di noi.
Tra le certezze di cui parlavo prima, un tot. di squadra che sarebbero potute andare davanti a noi e farci piangere lacrime amare perchè solo le prime otto squadre al mondo ottengono la qualificazione diretta alle Olimpiadi. Otto squadre su ventiquattro. VENTIQUATTRO. Un' enormità di squadre brutte e cattive pronte a soffiarci il pass olimpico con le unghie e con i denti.  No perchè poi davvero, ad un certo punto, io le immaginavo come degli enormi zombie cattivi le avversarie tanto ero in ansia.
A metà giornata avevamo una Romania disastrosa e un Giappone e un Canada che mi avevano quasi fatto spavento, una Gran Bretagna che ciao, è andata in testa e poi noi. Le altre non erano poi così preoccupanti, ma sai mai quello che può succedere.
E poi siamo arrivate noi. Una pazza malata (io, non loro). Roba che quando riuscivo a vederle urlavo:"Le ho visteeeeeeeeeeee!!!!!", roba che quando è passato Enrico (che è il nostro direttore tecnico nazionale, il Conte del calcio per intenderci, solo che Enrico è molto più simpatico) sembravo pazza:"Ho visto Enricoooooooooo!", roba che durante la nostra rotazione a corpo libero sentivo le musiche delle ragazze e non le inquadravano, quindi soffrivo pensando "e mo' che succede?" e cercavo di interpretare gli applausi del pubblico. 
Poi è successo che mancava un punteggio ed eravamo quarte dopo il Giappone. E, in fondo, poteva andare bene anche così, ma no. A noi non è bastato. E' successo che queste ragazze sono incredibili, e credetemi che è vero, e siamo andate in terza posizione. TERZA POSIZIONE. Con dopo solo due nazioni che sicuramente ci sarebbero passate davanti (una è già passata stamattina, l'altra vedremo, anche se, trattandosi degli USA, i dubbi sono pochi) quindi un quinto posto.
Rapido calcolo di chi altro ci sarebbe potuto passare davanti, ma la calcolatrice proiettata sulle rotazioni future diceva che la qualificazione è nostra. NOSTRA. Con una bellissima gara, con solo due errori che onestamente vanno anche bene, con un punteggio al volteggio che, ragazzi miei, quando l'ho letto, mi veniva da piangere.


Volete sapere se ho pianto? Si, un pianto liberatorio, un pianto di felicità, un pianto di non ci credo.
Io ve lo dico sempre che la ginnastica artistica vi può regalare tante emozioni, qualcuno l'ho convinto, qualcuno forse lo convincerò, chi lo sa. Non potete immaginare quante. Non potete immaginare quanto questa cosa mi abbia resa felice, manco ci fossi salita io sugli attrezzi, manco ci andassi io a Rio de Janeiro.
Però signori e signore, posso dirlo: io (e un sacco di altra gente, della maggior parte dei quali potrei dire nome e cognome) era come se fossimo lì ed è come se andremo a Rio. Perchè voi non potete immaginare quanto sia grande la famiglia ginnastica e quanto sia bella.


Erika, Vanessa, Carlotta, Elisa, Tea, Lara grazie. Davvero.


Le foto del post sono di Filippo Tomasi e di Ginnastica Artistica Italiana.

E c'è una cosa che vorrei aggiungere: Silvia, i tuoi tweet mi hanno provocato una tachicardia che vorrei dirti che non puoi immaginare, ma non sarebbe vero. Ad un certo punto, ho pensato fossi impazzita. Mi hanno chiesto come facessi a sapere che fossi tu e ho risposto che il tuo stile lo riconoscerei tra mille al mondo. Beh, grazie anche a te, di tutto.
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venerdì 23 ottobre 2015

Misteri Olimpici: il velodromo di Roma

Ieri io e Fidanzato abbiamo deciso di portare Cane Gnappo -ormai noto come cane delinquente- al Laghetto dell'Eur. A me quel laghetto piace tanto, l'ho evitato per un periodo qualche tempo fa, ma solo perchè ero rimasta scioccata una notte quando abbiamo assistito, per caso, alle ricerche del cadavere di un ragazzino che è poi stato trovato la mattina dopo.
Camminando, ci siamo fermati a guardare un'area che avevamo visto tante volte, ma che di fatto non avevamo mai realmente guardato. È un'area verde abbastanza grande, completamente recintata con le catene ai cancelli. Abbiamo notato che al centro aveva una forma vagamente ad anfiteatro romano, quindi abbiamo iniziato a fantasticare su un teatro che magari era stato lì chissà quando.
Guardando attentamente i cancelli, ci siamo resi conto che c'erano delle ringhiere sparti coda, come quelle che ci sono alla fiera per intenderci, quindi abbiamo pensato che, appunto, era un luogo che era stato aperto al pubblico.
A Fidanzato quel posto non diceva nulla, non riusciva proprio a ricordare cosa ci fosse e quindi sono cominciate le ricerche.
Abbiamo scoperto che una volta lì c'era il Velodromo Olimpico. Siamo stati certi che il posto fosse proprio quello quando, circumnavigandolo, abbiamo visto che un lato dava su Via del Ciclismo. Dai, non poteva essere mica un caso. A Roma non fanno nulla per caso.
Il Velodromo Olimpico è stato realizzato per le Olimpiadi del 1960 e utilizzato fino al 1968. Poi il nulla.


L'impianto è stato abbandonato, dopo essere stato utilizzato per un periodo di tempo solo per degli allenamenti perchè, pare, che ci fossero delle problematiche strutturali.
Non sono né un architetto né un ingegnere, non ho idea di quale fossero i problemi, soprattutto se consideriamo che fino a ieri non sapevamo nemmeno della sua esistenza.
A partire dagli anni novanta, sono stati presentati diversi progetti di demolizione e, difatti, il 24 Luglio 2008 (con calma, d'altronde siamo in Italia), il Velodromo Olimpico è stato fatto esplodere.
Pare che fosse pieno di amianto e che con l'esplosione, programmata, questo amianto sia stato liberato nell'aria. Di contro, qualcuno ha detto che l'amianto che è stato ritrovato durante lo smaltimento delle macerie non fosse stato ritrovato nell'area del velodromo, ma lì vicino e che tutte le parti in amianto erano state precedentemente rimosse.


Non so nulla di questa storia, ho appena cominciato a documentarmi perchè mi intrigano queste cose di Roma che non conosco. E mi incuriosisce il fatto che Roma riserva sempre delle sorprese!
Quello che mi è venuto in mente lì per lì è che spreco!. Costruisci un velodromo, spendendo chissà quanti soldi, lo usi per otto anni, poi lo abbandoni e, ad un certo punto, lo demolisci.


L'area è attualmente chiusa, ai cancelli ci sono appunto catene e immagino che quelle chiavi, nel frattempo, siano andate perse. No davvero, immagino la scena qualora decidessero di aprire quei cancelli:
"Dove sono le chiavi?"
"Nel cassetto della scrivania"
"Ma non ci sono"
"Ma come no? Dieci anni fa c'erano!"
"Sai che facciamo?"
"Cosa?"
"Facciamo esplodere anche i cancelli".
Nel frattempo, io e Fidanzato abbiamo cominciato a fantasticare su tutte le mille cose che ci faremmo se solo potessimo decidere noi. Abbiamo anche ipotizzato di avere tanti soldi e comprarcela quell'area. Ci si potrebbero fare un sacco di cose belle e poi, oltre ad essere molto grande, è anche in una zona bellissima.
Ho chiesto a qualcuno che vive a Roma da decenni, che a Roma ci è anche nato, ma niente: nessuno ha memoria di sto benedetto Velodromo. Nessuno. Quanto meno tra le persone che conosco io.
Sembra quasi un mistero. Eppure sono certa che qualcuno ne sa qualcosa in più. Devo solo trovare questo qualcuno.

Per onor di cronaca: oggi io e Cane Gnappo siamo tornati a dare un'occhiata.
Davanti ad uno degli ingressi c'è un distributore di benzina ed evidentemente una matta con cane al seguito ha attirato l'attenzione del benzinaio tanto che mi ha chiesto:
"Signorì, che sta a guardà?"
"Eh, guardavo quest'area, ho letto che prima c'era il Velodromo"
"No signorì, ma che velodromò, ce stanno l'arberi, che non li vede?"
"Ehm si, vado che è tardi. Arrivederci".

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giovedì 22 ottobre 2015

Una settimana fa: il rientro a Roma

È una settimana che sono a casa, a Roma.


Una settimana senza turni, senza alzatacce alle sei del mattino, senza notti, senza cibo spazzatura, senza assalti alle macchinette in preda alla fame delle tre di notte.
Una settimana senza il buio dell'emissione, senza monitor, senza loghi che spariscono, senza emergenze. Niente di niente.
Senza colleghi (e qui partono i fuochi d'artificio). Tranne qualcuno. In fondo, qualcuno che mi manca c'è. Pochi, pochissimi, molto pochi, quasi nessuno. Immagino che non li rivedrò mai più.
Vorrei raccontare che mi dispiace, ma sarebbe vero fino ad un certo punto.
Mi sono ripresa la mia vita.
Sono tornata a sorridere.
A fare lunghe passeggiate con il mio cane
A godermi Fidanzato e casa mia.
Ho sempre amato il mio lavoro. Credo di non sapere fare altro.
E non sono molto brava a stare a casa senza fare niente. Quindi mi sono inventata un sacco di cose da fare coinvolgendo la mia famiglia strana, ho prenotato un biglietto aereo per Palermo, ho fatto la spesa per un esercito, ho fumato sigarette guardando il panorama dal mio terrazzo.
In fondo, non è colpa mia se, spazio per noi, nella mia azienda non ce n'era più. Succede.
E in fondo non capita tutti i giorni di lavorare per un'azienda che ti paga per stare a casa. Sono certa che molti mi invidiano. E in fondo, mi invidierei anche io se fossi un'altra persona.
E forse adesso, a mente lucida, capisco anche il perchè di alcune scelte.
Ma sono felice. Non sono mai stata così felice in vita mia.
L'aspettativa finirà, bisogna già guardare oltre, ma ho ancora un po' di tempo. E quel tempo voglio farlo mio.
Di tempo ne ho perso anche troppo.
Ho passato la mia vita a inseguire tante cose, a riempire un curriculum già troppo pieno, a cercare il mio posto nel mondo senza rendermi conto che questo posto nel mondo ce lo avevo già.
So schiacciare pulsanti. No, forse dovrei dire che so quale pulsante premere e in quale momento farlo. Mi piace troppo questo lavoro e, ma questo l'ho già detto, è la cosa che mi riesce meglio fare (a questo punto, magari qualcuno dirà: figuriamoci le altre). So fare una diretta. Mi esalto ancora come il primo giorno quando il mio nome comprare su un titolo di coda. Mi esalto ancora di più quando il mio nome lo legge qualcuno che conosco e me lo dice. Fidanzato li fotografa tutti i titoli di coda con il mio nome, abbiamo un book fotografico di titoli di coda. Ho video di backstage di dirette, foto di macchinari.
Qualcuno mi ha detto che dovrei uscire da questo ambiente, dovrei provare l'esperienza di avere una collega, parlare di unghie e capelli invece che di tette e culi. Dovrei. Ma non so se lo farò mai.
L'ho già detto che mi piace proprio questo lavoro? Che mi piace quello che faccio?
Non vedo l'ora di abbracciare i miei genitori, proprio loro che mi hanno sostenuto ogni secondo, che hanno asciugato le mie lacrime a distanza.
Voglio sposarmi. Finire di arredare casa mia. Riposarmi. Non mettere quattro sveglie la mattina per paura di non riuscire a svegliarmi (per la cronaca, mai successo) per un po' di tempo. 
No, non farò un figlio nel frattempo. Me l'hanno già detto in quindici.
Voglio passare il Natale a casa con la mia famiglia. Sono anni che non succede.
Voglio fare l'albero, oggi ho visto le prime decorazioni nei negozi e volevo comprarle tutte.
Voglio riprendere il lavoro, da un'altra parte.
Come si dice? Nuovo lavoro, nuova vita? Non si dice così?
Facciamo che da oggi si dice.



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mercoledì 21 ottobre 2015

Di terrorismo e vaccini

Non so cosa sia giusto e cosa no.
Non ho figli, quindi, lo ammetto, non mi sono mai posta il problema. Non ho mai preso decisioni per qualcuno che non fosse in grado di decidere per se, fatta eccezione per il cane.
Io sono stata vaccinata. Nel cassetto del comodino della camera da letto dei miei genitori -una camera da letto bellissima con i mobili di giada verde- c'era il mio libretto dei vaccini. Immagino ci sia ancora.


Ho avuto la pertosse a dieci mesi, ancora non ero stata vaccinata per quella malattia.
Mia madre racconta sempre che all'ospedale dei bambini mettevano tutti i bambini con le malattie infettive nella stessa stanza, indipendentemente dalla malattia infettiva che avevano. Mi sono presa la gastroenterite e mia madre mi ha portato via dall'ospedale, prima che mi prendessi qualcos'altro e ci rimanessi secca. Sono stata curata, sono guarita.
L'unico inconveniente è che, prima di prendere la pertosse, avevo iniziato a dare segni di voglio camminare e quell'inconveniente mi aveva fatto regredire. Sarà per questo che sono così pigra, chi lo sa.
A sei anni ho preso la varicella.
A ventitre mi sono conficcata un chiodo arrugginito su una gamba e mio padre, ancora prima di chiedermi come stavo, mentre io telefonavo al becchino di fiducia della mia famiglia, ha urlato:"Figlia, sei vaccinata contro il tetano?". Sono vaccinata, faccio persino i richiami.
Per anni, da bambina, sono stata infastidita dal fatto che tutti i grandi avessero il bollino sul braccio, quello del vaccino contro il vaiolo. Ultimamente, ho costretto i miei colleghi a mostrarmi il braccio e sto benedetto bollino ce l'avevano solo in due, con mia somma disperazione. Io voglio il bollino sul braccio, voi siete vecchi, dovete averlo. Niente, non ce l'avevano. 
Pare che ad un certo punto, il bollino abbiano smesso di farlo perchè il vaiolo sia stato debellato. Almeno questo succedeva qualche decennio fa.
Mi hanno raccontato che quando c'era la leva militare obbligatoria, appena ti arruolavi, ti facevano una puntura e non ti ammalavi per dieci anni. "Chissà che roba era" mi hanno detto.

Conoscevo una ragazzina quando vivevo a Palermo. Camminava male.
Mi hanno raccontato che aveva la poliomielite. Ai miei tempi, il vaccino per la polio lo facevamo tutti. Io non ne so molto di questa malattia, non sono un medico, so che sono stata vaccinata e che c'era quella ragazzina che aveva avuto una reazione avversa al vaccino. Almeno così mi dissero. Non so se questa cosa fosse vera, per lei mi dispiaceva molto perché camminava male, era l'unica cosa che agli occhi di una quattordicenne era evidente. Adesso penso che se anche fosse vero che era malata a causa di una reazione avversa al vaccino, lei era IL caso. Una goccia nel mare. 
Ma io so che quando sei la goccia nel mare ne soffri. Così come so che una goccia nel mare non è la verità assoluta.
E se fossi stata io quella goccia nel mare? Chi può dirlo come avrei reagito io o mia madre o mio padre? Chi può sapere come sarebbe stata diversa la mia vita?
In questa casa, cosa significa avere un problema invalidante lo sappiamo bene. Ci abbiamo sbattuto il muso. Ce lo sbattiamo ogni giorno. E so cosa significa, ogni tanto, pensare con i sè e con i ma. 
Io la guerra contro i vaccini non la capisco, ma appunto sarà che non sono madre. Al massimo, mi pongo il problema del richiamo dei vaccini dei cani. Se non vaccini il cane, manca poco che ti arrestino.
No, io la guerra continuo a non capirla.
Comprendo la necessità, il dovere e il diritto di informarsi, sapere a cosa si va incontro. Pretendere visite approfondite per vaccino, capire se il proprio figlio ha un qualche problema che potrebbe acuirsi o manifestarsi in seguito ad un vaccino. Comprendo la necessità di sapere.
Ma sapere sul serio. Informarsi con chi è competente, con chi ha studiato. Io non ho studiato medicina, non ho idea di tante cose. Per questo mi affido ai medici.
Se pensassi che i medici sono in combutta con le case farmaceutiche per avvelenarci tutti, non vivrei più. Ci sono sicuramente medici bravi e medici meno bravi, medici in buona fede e medici in mala fede. Probabilmente è così perchè, ebbene si, i medici sono esseri umani e, come tali, sono fallibili come professionisti e come persone. Ma che vogliano a priori il male dell'umanità, mi spiace, non riesco a crederlo.
Sono anche dell'idea che le case farmaceutiche guadagnino più soldi dalle malattie che non dai vaccini, ma questa è una mia opinione, ovvero un'opinione di chi, ancora, non si è trovato nella posizione di dover vaccinare un figlio.
Sono contraria, quello si, all'informazione tramite internet, in cui io trovo solo del gran terrorismo psicologico e, soprattutto, molta maleducazione.
Hai vaccinato? Stronza.
Non hai vaccinato? Stronza.
Come la fai, la sbagli. 
Sono preoccupata, lo ammetto, da tutti questi bambini che muoiono di malattie di cui fino all'altro ieri non si moriva perchè eravamo tutti vaccinati. 
Sono preoccupata all'idea del domani che troveranno i miei eventuali figli, nel bene o nel male.
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lunedì 19 ottobre 2015

Quattro cose di Milano che non ho capito

Sono passati mesi, sono tornata a casa, ma ci sono dei dubbi su Milano che non sono riuscita a togliermi e che sono lì che fanno capolino nella mia mente.

-Il traffico pazzesco.  Ora, non è che io scenda dalla montagna del sapone. Al traffico sono abituata.
Poi, che io sia una donna fortunata e che nella mia vita abbia (quasi) sempre avuto la fortuna di andare contro traffico è un'altra storia, ma  sto traffico pazzesco a Milano proprio non l'ho capito.
Milano ha una rete di mezzi pubblici efficientissima, personalmente ho avuto un solo piccolo inconveniente quando -causa lavori- hanno soppresso un linea e si sono dimenticati di metterne una sostituiva, ma era tarda serata e ci può anche stare. Per il resto, come dicevo, mezzi efficientissimi, a tutte le ore. Ma ciò nonostante, io non ho mai visto così tanto traffico in vita mia.
La distanza tra la casa dove abitavo e il lavoro era di circa sette chilometri che nella mia concezione romana delle distanze significa che praticamente lavoravo sotto casa. Eppure, traffico a tutte le ore, anche la mattina alle 6. Sempre tutto bloccato, sono riuscita a impiegare tre e ore e mezza una mattina per rientrare a casa con somma disperazione. Tre ore e mezza per sette chilometri.
Al che, la mia concezione romana del mondo mi ha fatto pensare che fosse successo qualcosa -d'altronde una volta mi era capitato anche a Roma di impiegarci quattro ore per farne venti- ma in quel caso era franato non so cosa e materialmente non c'era da dove passare, almeno finchè non è stato risolto il problema.
Di norma, per quei sette chilometri, in orari non di punta, ci voleva almeno un'ora. ALMENO.
Io, giuro, i primi giorni chiamavo Fidanzato e gli dicevo:"Ma è pazzesco!!".
Non oso immaginare cosa fosse successo se mi fossi trovata ad attraversare quei sette chilometri ad ora di punta, davvero. Magari in una curiosa congiunzione astrale fatta di uscita delle scuole e rientro dal lavoro.
Quindi, non capisco: perchè con dei mezzi che funzionano così bene, c'è questo traffico allucinante?

-La raccolta dei rifiuti. Anche in questo caso: Milano è una città pulita, l'odioso camion della pulizia stradale passava ogni sera (non facendomi dormire, ma tant'è), eppure (almeno nella zona dove abitavo e in quella dove lavoravo) la raccolta dei rifiuti non viene fatta con i semplici bidoni piccoli e discreti lasciati davanti i cancelli e i portoni dei palazzi in base al giorno. Che ne so, qui a casa mia, per esempio il Mercoledì e il Sabato ritirano la carta (è l'unico che so con certezza, gli altri devo leggerli). Lì no. Sacchi enormi, giganti, stracolmi di immondizia lasciati sui marciapiedi, a partire dalle sei del mattino, finchè gli omini dell'immondizia non passano a ritirarla. 
Eppure, i bidoncini carini ci sono in ogni condominio, quindi davvero, non ho capito.

-La lotta tra Roma e Milano perenne. Ogni volta che qualcuno mi sentiva parlare per la prima volta aveva la necessità di ricordarmi che Milano è più bella di Roma. Al che io ho sempre risposto che a me sembrano due città molto diverse e che comunque, frega niente, io sono palermitana.
Milano è una bellissima città, con pregi e difetti. Al pari di Roma, bellissima anche lei, con pregi e difetti. Due città estremamente differenti, non ho trovato grandi cose in comune. Quindi io proprio questo voler a tutti costi metterle a confronto, non l'ho capito.
Un giorno stavo chiacchierando con una persona, si parlava dei Fori Imperiali.
"Pure a Milano abbiamo le rovine romane e sono più belle di quelle di Roma, vai a vederle e poi non vorrai mai più vedere il Colosseo". Ah.
Un po' come se un romano dicesse: "Pure a Roma abbiamo una chiesetta carina con una statuetta in cima, vieni a vederla e il Duomo, beh, lo schiferai". A questo punto, autorizzerei il milanese a dare un destro in faccia al romano. Sui denti. Fino a fargli sanguinare.
Quindi, anche qui, non ho capito. Ma perchè mettere a paragone continuamente due città che sono entrambe belle, ognuna a modo loro? Non è che se ci sono due città belle in Italia(oserei dire anche qualcuna in più), la mia vita finisce, eh.



-La concezione delle distanze. Un giorno mi hanno detto che un posto dove sarei dovuta andare era lontanissimo. Ma proprio tanto lontano. A quel punto, ho cercato su Maps e ho scoperto che il posto lontanissimo in questione era a 12 km. Io capisco il traffico pazzesco di cui sopra, ma 12 km è vicino, non lontano
Un altro giorno mi hanno detto che la distanza casa-lavoro era enorme. ENORME. I sette km di cui sopra una distanza enorme?
Ora, noi abbiamo festeggiato per giorni quando Fidanzato ha cambiato sede di lavoro e dai 45 km di prima (no, non lavorava fuori Roma e no, non abitiamo fuori Roma, io sono una di quelle che pensa che fuori il Raccordo sia Ciociaria) ai 17 di adesso, andando a raccontare in giro che lavora dietro casa (tempo di percorrenza: meno di 15 minuti che a noi sembra un successo enorme). 
Abbiamo festeggiato anche quando io sono passata dai 46 di prima ai 14 di dopo. Enorme festa. 
Champagne, ostriche, fuochi d'artificio. Abbiamo messo il papillon al cane. 
Quindi, per l'ennesima volta, non ho capito. Perchè distanze normali sono considerate enormi? 

Ditemi cosa mi sfugge, vi prego. Aiutatemi. E vi sarà grata per sempre.
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domenica 18 ottobre 2015

Ho pianto: il ritorno definitivo a Roma

Quando l'ho vista, sono scoppiata a piangere in un pianto disperato, liberatorio.
Ho chiamato Fidanzato, che ha sentito che stavo piangendo. Poi ho chiamato mia madre e anche lei si è resa conto che stavo piangendo. Sono scoppiati a ridere entrambi.
No, non sto parlando di chissà quale cosa.
A farmi scoppiare in un pianto disperato è stata la vista della barriera di Roma Nord. Un casello autostradale. 
Ho pianto per un casello autostradale, cosa che se mai dovessi avere dei figli, mi guarderò bene dal raccontarglielo, onde evitare che smettano di rispettarmi e vadano in giro a raccontare:"Ho una madre cretina".
È stato un viaggio breve quello che da Milano mi ha portata a Roma, 600 km tirati al massimo, con pause talmente brevi che sembrava quasi che avessi paura che Roma la prendessero e la spostassero se avessi perso tempo.
Continuavo a chiamare genitori e Fidanzato: sono a Parma, sono a Bologna, sono a Firenze, sono nel Lazio. E poi il pianto disperato.
Roma è il posto che chiamo casa, il posto che amo, il posto dove mi piace essere.


Sono stati quasi sette mesi pesanti, difficili.
Non sono né la prima né l'ultima che per lavoro si trova costretta ad andare via da casa per un periodo e, devo dire, che all'inizio non è stato così difficile. Certo, mi mancava casa mia, mi mancava Fidanzato, ma andava bene così.
Io ho sempre amato il mio lavoro, mi piace farlo e, da quello che dicono, mi riesce anche abbastanza bene.
Poi è arrivata la vendita del canale, lo spettro della chiusura, ho avuto delle discussioni non troppo belle con un paio di colleghi (che, ancora oggi, se mi chiedete il motivo, non so dare una risposta) ed è diventato tutto più pesante.
Fino al giorno in cui il reparto è stato chiuso.
È stata una cosa improvvisa, non che non ce lo aspettassimo, ma ecco, se ci avessero detto che dall'oggi al domani sarebbe finita così, credo gli avrei riso in faccia.
Quando me l'hanno detto, era meno di una settimana fa, sono tornata a casa e ho impacchettato sette mesi di vita milanese, senza pensarci un secondo e, quando è stato possibile, ho preso la macchina e sono partita.
Il giorno prima della partenza ho firmato una carta che diceva che sono ancora dipendente dell'azienda, ma potevo non andare a lavoro perché il mio reparto non esiste più con la condizione che comunque, in qualsiasi momento, l'azienda può chiamarmi e dirmi di tornare indietro. Non sarà per sempre, so già di dover tornare per alcune cose, ma va bene così.
Quando sono arrivata a casa mia, mi guardavo intorno come una bambina.
Era ancora tutto lì, come lo avevo lasciato e come lo avevo sempre trovato durante quelle brevissime toccate e fuga di questi mesi.
Ho continuato a guardare la mia consolle piena di trucchi che manco il più fornito dei negozi, concepita perchè ci sia sempre la luce e io possa truccarmi in tutta tranquillità.
Ho guardato il mio terrazzo  che è una delle cose più belle del mondo. 
Il mio armadio, la mia cabina armadio (si lo so, una cosa dovrebbe escludere l'altra, ma siamo fatti così), il mio divano, il mio bagno con i rubinetti viola, la mia cucina piena di utensili inutili.
Il mio fidanzato e il mio cane, che hanno avuto la pazienza di andare avanti mentre io non c'ero.
Sono stati mesi duri. Per tanti, troppi motivi. 
Ad un certo punto, facevo il conto alla rovescia come quello dei carcerati con le lineette sul muro. 
E adesso sono a casa. Ed è proprio vero, dove c'è famiglia, c'è casa.

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martedì 13 ottobre 2015

Cara Amica, ti scrivo

Si lo so, era Caro Amico ti scrivo, ma non me ne vorrà il buon vecchio Lucio se scrivo ad un' amica e non ad un amico.
Dicevo: ciao Amica, so che la mattina, quando arrivi a lavoro, sei tra le prime a leggermi (anche se  prima di leggermi, di solito, mi scrivi il buongiorno).
Quando faccio quel tanto odiato turno di mattina cerco sempre di anticiparti e mandartelo io per prima.
Poco importa chi arriva prima, Amica. L' importante è sapere che ci sei. Sempre.
Tranne la sera. Si lo so che non è colpa tua se al calar del sole devi andare a dormire, mentre io vivo di notte.
Sai, mi sono ricordata com' è cominciata. È stato quando avevo chiesto in giro se qualcuno voleva raccontarmi un' emozione legata alla ginnastica. Mi avevi raccontato delle tue bambine.
Poi avevamo iniziato a scriverci. Ero a lavoro quella mattina, mi avevi raccontato del tuo di lavoro e io ero un pò indecisa se dirti o meno dove lavoro. Poi, parola dopo parola, avevo pensato che eri diversa e che potevo dirtelo. Tu lo sai perché non dico mai dove lavoro, quanto meno non alle persone che conosco tramite il mondo della ginnastica. È che ho sempre un po' paura, per la storia di Ginnaste Vite Parallele. È che lo so che è curioso, ma è un caso. Il lavoro, Ginnaste e la ginnastica sono cose separate. E tu avevi capito.
Non mi ricordo quando sei diventata importante, ma so che non potrei fare a meno di te.
Poi mi hai detto che avevi un coniglio di nome Radja. E no, cavolo. Non è possibile.
Io sono innamorata da sempre di un tizio di nome Radja. Non potevo aver chiamato il coniglio così per lo stesso Radja.
E alla fine era venuto fuori che entrambe tifavamo Roma, che entrambe avevamo questo amore per Nainggolan, solo che tu sei più squilibrata di me.
E no, nemmeno Fidanzato mi aveva mai fatto una cronaca minuto minuto di una partita, mentre io disperata non potevo vederla.
E poi hai iniziato a raccontarmi della casa che stai costruendo, io mi sono innamorata del cancello, mi hai mandato tutte le foto del safari che hai fatto, mentre io aspettavo che avessi una connessione wi fi per leggere quello che ti scrivevo, sei venuta a Milano per me, hai assecondato le mie voglie di caffè seduta alla Terrazza della Rinascente vista Duomo, mi hai sempre resa partecipe di tutte le cose strane che ti capitano a lavoro e, lo ammetto, quando ti sei trovata di fronte persone normali, ci sono rimasta male.

Mi mancherai Amica. Anche se so che non ci vediamo abbastanza perché è vero che siamo vicine, ma non troppo, ma presto saremo ancora più lontane. Ma non importa perché non bastano i km per farmi smettere di dirti buongiorno ogni mattina. Ci sono cose inspiegabili e,ogni volta, quando sarà possibile, faro il conto alla rovescia per vederti.
Ti voglio bene amica, anche se i tuoi capelli dovessero puzzare tutti i giorni come quando hai fatto quel trattamento strano che tanto ha fatto disperare te e tanto ha fatto ridere me.
Dicono che non è la quantità che conta ma la qualità. Ecco, tu sei la qualità.
Da adesso a per sempre.
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domenica 11 ottobre 2015

"Arrivare" ovvero la Novara Cup da un altro punto di vista

Caro lettore,
so che farai fatica a capirmi, ma ti chiedo di provarci, di leggere fino in fondo e provare a immedesimarti. Se non riuscirò a farti capire anche solo una piccolissima parte di quello che provo, avrò fallito.
Vorrei tu immaginassi quanto mi emoziona ogni volta varcare l'ingresso di un palazzetto. E' difficile da spiegare, ma sai, non è solo una gara. A me piace l'atmosfera da grande famiglia, mi piace arrivare al palazzetto e tuffarmi in quell'atmosfera da grande famiglia (no, non la fiction in onda su Rai Uno) che solo la ginnastica può darti. No, non è come andare allo stadio, non ci sono poliziotti che ti perquisiscono, non ci sono tornelli da oltrepassare. C'è la gioia di arrivare e trovare volti noti, persone a cui vuoi bene, che stimi, ma che vivono sparse per l'Italia e che non puoi vedere quando vuoi. Vorrei dirti di venire almeno una volta nella vita ad una gara di ginnastica e vedere quanta gente riesce a muovere questo sport che ancora non mi rassegno al fatto che sia uno sport minore, che mi piaccia o meno. Scoprirai che di minore non ha nulla e capirai perché ci sono tutti questi squilibrati.
Vorrei dirti che non importa se non capisci nulla di punteggi e di difficoltà perché il punto non è questo. Io ci ho messo anni a capire il codice dei punteggi (che comunque cambia ogni quattro anni quindi nell'eventualità potresti pure dire che ti sei confuso con i codici precedenti), ma mi emoziono comunque ogni volta. E le emozioni, si sa, non hanno prezzo.
Adesso prova a guardare con i miei occhi. A me piace arrivare, abbracciare, salutare, prendere in giro qualcuno, sentirmi chiedere come sto e chiederlo a mia volta. Mi piace fare avanti e indietro tanto che i guardiani, come li chiamo io, ogni volta mi dicono:"ah, ma sei sempre te". Mi piace sentire un accento fiorentino che imita il mio mezzo romano, si mi piace davvero.
Vorrei che vedessi quanto è grande la macchina ginnastica, vorrei che ascoltassi i nostri discorsi.
Sai, a Novara, eravamo tutti un pò tesi, mancano quindici giorni al Mondiale e penso che fossimo tutti pronti a buttarci sotto ad un treno se qualcuna delle nostre ragazze si fosse fatta male. E invece è andato tutto bene, abbiamo delle ragazze splendide.
Gli esercizi, se vuoi vederli giusto per farti un'idea, li trovi su YouTube. Quello che non troverai da nessuna parte è altro.
Ho visto le nostre ragazze urlare tutte insieme alla fine dell'esercizio al corpo libero di Lara.


Le ho viste darsi una mano a vicenda in ogni momento.


Ho visto Vanessa abbracciare un'amica alla fine del suo esercizio. Un abbraccio bello, sincero. E quest'amica non è un'amica qualunque, è una persona che c'è sempre, che le segue, che non si perde una gara, che alla fine della giornata è stanca, ma felice. Un pò come tutti quelli che seguono la ginnastica. Squilibrati e stanchi, ma felici.


Ho visto Lara tirare fuori la grinta, quella grinta che sappiamo tutti che ha, ma che oggi serviva più che ogni altro giorno.


Ho visto Enus fare l'esercizio che aspettavamo. E vorrei dire che sono contenta. Gliel'avevo detto alla fine degli Assoluti: "C'è ancora Novara". E così è stato.


Ho visto Carlotta fare le smorfie. Perché, ecco, Carlotta è una di cui molti parlano male, magari avrà anche tanti difetti, io questo non lo so, ma osservandola da vicino potrai vedere tante cose belle.


Ho visto Erika fare un sorriso quando davanti a lei, mentre era sul podio, c'era la sua nipotina.
Ho visto due delle nostre ragazze, Elisa e Carlotta, sul podio individuale e quando le segui, giorno dopo giorno, e poi le vedi lì, dietro solo alla vice campionessa del mondo, non puoi che essere felice.


E mi sono quasi commossa quando sul podio è arrivata Martina che oggi non gareggiava. Sul podio ci è arrivata saltellando perchè ha un piede ingessato, ma la squadra è squadra è anche se non ha gareggiato, quel secondo posto è anche suo. Vederla lì sorridente, nonostante tutto, è una cosa che non si può spiegare.


Ho visto le ragazze della nazionale rumena farsi forza a vicenda, sostenersi. Vorrei aver saputo un pò il rumeno per capire cosa si dicevano.



Ho visto tanti abbracci tra atlete di nazionali differenti.


Mi sono emozionata perchè, per la prima volta, in Italia c'era Larisa.  E vederla lì a un passo da me è stato un mix di emozioni inspiegabile.


Caro lettore, so che ti ho confuso dicendoti dei nomi che non sai di chi sono. Lo capisco.
La ginnastica è fatta di persone prima che di atlete. C'è un mondo dietro agli esercizi. Ed è proprio quel mondo che fa si che quegli esercizi esistano. Una grande macchina che si muove. Un sorriso, un incoraggiamento, un abbraccio. Non so se altrove si trovano queste cose.
Io la ginnastica non l'ho scelta. E lei che ha scelto me. E' arrivata nella mia vita in modo prepotente. Ed è nato un grande amore. Un amore intenso, inspiegabile.
Ogni gara è una grande emozione.
La ginnastica è corrersi incontro quando si arriva, un abbraccio veloce alla fine della gara perchè c'è un papà che aspetta per prendere il treno.  E' incontrarsi in bagno per caso e sorridere. E' essersi accorti che mancava qualcuno e chiedersi cosa è successo. E' scattare una foto a qualcun altro senza che se ne accorga e mandargliela subito dopo sul cellulare anche se siete seduti vicini. E' una mamma che esulta.
E' sole, cuore, amore. Arrivare e non volersene mai andare. 
No, non mi aspetto che qualcuno capisca. Dovete vederlo con i vostri occhi.


Le foto del post sono di Aryanna Lanzi.

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venerdì 9 ottobre 2015

Volli, fortissimamente volli

Voglio il gelato di Giolitti. Non quello dell'Eur, ma quello del centro che per me Giolitti è quello e basta.
Voglio fare colazione da Palombini e poco importa se fare colazione lì costa 10€. A me piace Palombini, è il mio bar preferito da sempre. Mi piace osservare la Groviera seduta ai tavolini di quel bar, costi quel che costi.
Voglio ordinare un cornetto e non una brioche.
Voglio la gricia del Rubbagalline, anche perché la Gricia non la considera nessuno, ma per me vince 3 a 0 su Carbonara e Amatriciana.
Voglio andare a Santa Maria in Trastevere al tramonto che ha un fascino particolare. E voglio continuare ad evitare Trastevere la sera perchè non mi piace la calca.


Voglio continuare ad arrabbiarmi perché i semafori di Viale Trastevere sono oggettivamente troppi.
Voglio sedermi a Piazza Trilussa con Michi e Vitto tutte le sere della mia vita. E voglio continuare ad affermare che Roma sud è meglio di Roma nord, tanto siamo due contro una e quindi abbiamo sempre ragione noi. E poi a me che Martina Dell'Ombra dice che a Roma sud ci sono i poracci non è che frega molto, anche perché a bella, a quelli che abitano dove abito io gli spicci casa proprio, tu e tutta Roma nord.
Voglio il tiramisù di Pompi, quello di Via Albalonga. Perchè a me andare da Pompi piace proprio, anche se il tiramisù lo faccio meglio io.
Voglio sedermi sui gradini della scalinata di Trinità dei Monti  a fumare una sigaretta, guardando Via Condotti piena di giapponesi con le loro macchine fotografiche e i bastoni per i selfie che io dico: ma come state?
Voglio andare a Piazza Venezia, guardare l'Altare della Patria e affermare che è stupendo, prendendomi regolarmente gli insulti di Fidanzato che non lo trova poi così bello come dico io. 
Voglio scoprire gli orari del cambio della guardia al Vittoriano che sono anni che dico che mi informerò e poi non lo faccio mai.
Voglio andare a vedere lo spettacolo delle marionette al Gianicolo. E aspettare mezzogiorno, quando tirano fuori il cannone e sparano.
Voglio scavalcare di notte il cancello dello Zodiaco e guardare Roma dall'alto.
Voglio andare a Campo de' Fiori e fermarmi a fissare il cinema Farnese pensando che cinema come quello non ne esistono più.
Voglio lamentarmi dei sanpietrini. E poi lamentarmi quando qualcuno dice che sarebbe il caso di rimuoverli.


Voglio vedere i miei nipoti quando mi pare. Ve l'ho mai detto che ho quattro nipoti, due maschi e due femmine? E che sono tutti belli?
Voglio avere sempre il supplì insieme alla pizza. E anche se è bassa e moscia, a me la pizza romana piace lo stesso, sarà che mi sono abituata.
Voglio la pizza bianca con la mortadella. E voglio insultare Fidanzato perchè mangia continuamente la pizza rossa che io davvero, già non concepisco la Margherita, figuriamoci la pizza senza manco la mozzarella.
Voglio continuare a sorprendermi ogni volta che passo davanti al Colosseo la sera e lo vedo illuminato.
Voglio continuare a dire che San Lorenzo non mi piace e andarci lo stesso.
Voglio infilare la testa tra le sbarre del cancello del Verano e dire che prima o poi troverò tutte le tombe che voglio vedere. E poi non farlo mai ovviamente.
Voglio affacciarmi dal mio terrazzo e guardare la torre della Telecom.
Voglio portare Cane Gnappo al parchetto dello Stardust ogni giorno e guardarlo mentre fissa tartarughe e papere.
Voglio sorprendermi ogni volta che vedo San Pietro e i Fori Imperiali.


Voglio andare al Campidoglio a Pasqua che non so perchè mi piace andarci a Pasqua, sarà che le oche mi ricordano i pulcini che fanno tanto atmosfera pasquale.
Voglio che il giovedì sia il giorno degli gnocchi. Perchè dai su, gli gnocchi si mangiano il giovedì, non il lunedì o il venerdì. Dove si è visto mai?
Voglio sentire l'odore del mare quando mi pare che è vero, sarà anche un brutto mare, ma chi se ne frega?
Voglio passare da Garbatella e dire a Fidanzato ogni santa volta:"Ti ricordi?". E quando se lo scorda? 
Voglio sentire gli  e i ma che davero?. 
E niente. Quando sarò a casa, voglio amare Roma perchè mi è mancata. Perchè è proprio vero che capisci la bellezza di quello che hai quando non ce lo hai più, anche solo per poco tempo.
E anche se non abbiamo più un sindaco, sta per cominciare il Giubileo e si scatenerà l'inferno, io non vedo l'ora di tornarmene a casa mia. E poi, dai secondo me Marino ci ripensa. Ha venti giorni per ritirare le dimissioni, volete vedere che torna?

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giovedì 8 ottobre 2015

La paura spiegata a me stessa

Negli ultimi mesi, ho imparato cosa è la paura.
La paura che ti gela il sangue, che ti fa tremare, che ti fa pensare al peggio.
Io, quando ho paura, perdo la dimensione della realtà. Nella mia mente si aprono scenari apocalittici, comincio a pensare al peggio e mi si chiude il cervello (ammesso che io ne abbia, ma questa è un'altra triste storia).
Io qui ci sono venuta da sola. Anche a Roma ero arrivata da sola. E anche a Bologna.
L'unica volta che ho avuto paura a Bologna è stato quando mi hanno ricoverato d'urgenza a causa dell'appendicite, ma c'erano i miei amici con me e la mattina dopo, in fretta e furia, è arrivata mia madre.
A Roma non credo di avere mai avuto paura. Ho sempre avuto accanto una persona che si è fatta carico di qualsiasi cosa potesse farmi stare male, che mi ha aiutata, sorretta, spronata. Sempre.
E' difficile non avere paura quando quella persona non è fisicamente con te. 
E' difficile non avere paura quando le persone che ami più al mondo e che per te darebbero la vita puoi sentirle vicine solo tramite il telefono. Loro si stanno facendo in quattro per sostenermi, a turno, a volte insieme. Non potrei chiedere dei genitori e un fidanzato migliori.


Da quando sono qui ho imparato a convivere con la paura che qualcuno entrasse in casa. A volte ricordo quando ho sentito girare la chiave nella serratura mentre dormivo. Ricordo che ero paralizzata a letto, pensando al peggio. Non ho avuto il coraggio di alzarmi e prendere, che ne so, un coltello. Ma se anche avessi trovato il coraggio, poi non avrei mai trovato il coraggio di usarlo, anche se mi fossi trovata davanti il più spietato dei serial killer. Non basta cambiare una serratura per smettere di rivivere certi momenti.
Ho imparato anche a convivere con la paura di andare in un posto che mi genera ansia, dove ci sono persone che mi mettono paura, che minacciano. Non ho la lucidità di comprendere se le minacce sono reali o se è solo un modo un po' bullo di porsi.  E non riesco a capirlo perché ho paura.
Davanti a certe situazioni mi tremano le gambe, temo il peggio, non sono in grado di valutare se effettivamente c'è un pericolo o meno.
Mi rendo conto che la paura è una cosa incontrollabile. Non possiamo controllare le nostre sensazioni e probabilmente chi ci genera paura di questo se ne accorge. Chi genera paura, sa di generarla, ha uno scopo che è quello di annientare la persona che ha di fronte.
Ho imparato a sorridere di fronte alla paura, ma le gambe che tremano non si fermano comunque.
E ho imparato a contare. A contare i giorni che mi separano dalla fine di tutto. Contarli uno ad uno. La luce in fondo al tunnel. Sapere che io, a differenza di altri, vedrò la fine di tutto quello che temo, mi da la forza di non cedere, di non crollare.
A volte immagino che chi mi fa paura tiri fuori un coltello e mi ammazzi. Razionalmente so che non succederà, ma in quei momenti non riesco a pensare ad altro.  
È difficile, è un problema, ma passerà perché, come mi piace dire, c'è sempre la luce in fondo al tunnel.
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lunedì 5 ottobre 2015

Tutte le domande da (non) fare a chi lavora in televisione

Mi fa sempre un po' sorridere, a volte mi arrabbio, altre mi lamento come se non esistesse un domani.
Ho un lavoro full time che mi impegna parecchio, ma quando esco dal lavoro, smetto di indossare i panni del tecnico di messa in onda (qui per saperne di più) e mi limito e essere una persona apparentemente normale. Tra le due persone, probabilmente, ci sono in comune solo i piercing e i tatuaggi, ma questi ultimi solo perché non posso toglierli e metterli a piacimento.
Non guardo la tv, tanto sono certa di essere tra le persone che ne guardano più al mondo, anche se a casa non la accendo mai. Sono intellettuale io e leggo i libri, vado alle mostre e, ebbene si, vado anche al museo. Oppure non faccio un tubo, il che non guasta mai.

Eppure succede sempre.
Mi chiamano e mi chiedono i biglietti per gli eventi.
"Hai i biglietti per gli EMA 2015?".
"Hai quelli per gli Mtv Music Awards?".
No, non li ho perché non lavoro per Ticket One e comunque, gli Mtv Music Awards sono gratuiti con accesso libero. Andate, sopportate un po' di calca e tac, sarete tra il pubblico.
"Mio cugino ha girato un videoclip amatoriale, puoi mandarlo in onda?"
 Certo, come no. Posso anche farlo passare tutti i giorni tutto il giorno.
"Non riusciamo a rintracciare mia nonna, è andata a fare la spesa e adesso non risponde al cellulare da ore, puoi mandare in onda la sua foto?". Certo come no.
A parte che io mi sto ancora chiedendo -e tormento tutti con questo dubbio esistenziale- in base a cosa scelgono i servizi da mandare in onda. Perché alcuni delitti hanno 483928 servizi dedicati in tutti i tg nazionali e altri non vengono neppure mai nominati? Perché il servizio sugli anziani e il caldo va in onda a loop per tutta l' estate, anche se piove e fa freddo, e altre notizie te le devi cercare con il lanternino nei meandri del web? Mistero. 
"Mi puoi fare incontrare Mentana, la Della Chiesa, Maria De Filippi o, udite udire, Barbara D'Urso?". Certo come no. Solo che io non li conosco, al massimo qualcuno l' ho incontrato nei corridoi oppure l' ho visto in video. Certo, magari su più monitor, ma sempre in video. Quindi magari poi se li incontro per strada non li riconosco nemmeno perché si sa che la tv ingrassa e magari in realtà sono tutti magrissimi.
"Puoi farmi diventare famoso?". Certo, ma anche io voglio diventare famosa, quindi mi sa che sarebbe un po conflitto d' interesse.
"Puoi svelarmi in anteprima questo o quel programma così ci ricavo dei soldi?". Certo come no, poi però quando l' amministratore delegato si presenta alla mi porta con la frusta chiodata mi difendi tu. Mai sentito parlare di riservatezza? Oltre al fatto che no, non ve lo direi comunque.
"Ci regali i prodotti che vengono venduti nelle televendite?".Certo come no, d'altronde tutti abbiamo un' amica commessa e ci vestiamo gratis.
Sono disposto a pagare per sapere, fare, andare in onda. E io, da anni, firmo clausole che dicono che se solo accetto una caramella per qualsiasi motivo legato anche lontanamente al mio lavoro vengo lasciata sotto il pavimento (che ha le piastrelle che si alzano) per un mese senza cibo né acqua.
E comunque, manco fossi una prostituta che prendo soldi e posso essere importunata per strada. Che poi dai, manco le prostitute si importunano per strada se no arriva il pappone e vi accoltella.

Lavorare in televisione non è una missione finalizzata al fare diventare famoso qualcuno. È un mestiere. Come qualsiasi altro.
E dopo il Carosello, io vado a letto e non ci sono più per nessuno.


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domenica 4 ottobre 2015

Ma dove vai se il Bimby non ce l'hai?

Donne che tutte entusiaste dicono: "Mio marito mi ha regalato l'impastatrice", "Mio marito mi ha promesso il Folletto per Natale"...
Anni di lotte e stiamo ancora così, con il signore e nostro padrone che ci "concede" qualcosa che non serve a noi, ma all'intera famiglia, eventualmente. Il tutto confermando un ruolo che forse sarebbe ora di scrollarci di dosso.
La mia amica Alessandra è estremamente saggia, questo l'ho sempre saputo. Ma stavolta è stata un po' più saggia delle altre volte.
Anni di lotte, reggiseni bruciati e nel 2015, ebbene si, nella top ten della lista dei desideri nascosti ci sono il Bimby e il Folletto
Donne che lottano perché se non hai il Bimby non sei nessuno. E se dici che non ti serve, sei solo invidiosa.
Se non hai il Folletto, invece, sei sporca: casa tua puzza, è piena di polvere, acari, scarafaggi e c'è persino E.T. in persona.
Ora, ragioniamo: se Fidanzato mi regalasse il Bimby o il Folletto a Natale, chiederei per lui l'evirazione rapida. 
Io voglio le borse, le scarpe, le palette di ombretti, un week end in un centro benessere (da sola, senza di lui, perché io devo riposare la mente), una vacanza a Parigi (con annessa seduta di shopping ovviamente), una cena ad Ariccia a base di porchetta. 
Capisco che pure il Bimby, volendo, ti produce un mezzo chilo di porchetta solo se lo guardi, ma anche no, grazie.
Capisco anche che rende la vita facile perché se torno da lavoro stanca, con le occhiaie (perché la mattina mi sono alzata presto per passare il Folletto ovviamente), che non mi reggo in piedi, con il Bimby porto in tavola un menù per diciotto persone in venti minuti.
Io se torno stanca e con le occhiaie mi rifiuto di cucinare: si ordina una pizza, un sushi o, se ancora ho qualche forza, si va a mangiare fuori. Non muovo un dito. E nessuno mi chiede di muoverlo.
E a me cucinare piace, sia chiaro. Mi piace fare i dolci soprattutto. E anche la pizza qualche volta.
Ma l'impastatrice, al massimo, si va a comprarla in due, come regalo per la casa, mica per me.
I regali per me sono Louis Vitton o Urban Decay. E sono miei, solo miei, a meno che il cane non decide di mangiarli, ma quella è un'altra triste storia.

E io davvero capisco che le donne proprio non ce la fanno a non insultarsi l'una con l'altra: non hai rinunciato a tutto per stirare camicie? Pessima donna, non meriti un uomo accanto.
A parte che non certa che un uomo accanto sia sempre una benedizione ma eventualmente c'è sempre la tintoria che stira le camicie a 1,50€ cad. 
E comunque, io le stiro le camicie. Ogni tre o quattro mesi tiro fuori l'asse da stiro da tavolo di Ikea e il mio super ferro da stiro, mi accerto che non ci siano cani in giro se no alla prima spruzzata di vapore parte la lotta in cui alla fine a rimetterci è sempre e solo il povero ferro da stiro che giacerà morto sul pavimento e stiro due camicie e una polo. Le altre tra quattro mesi o, appunto, in tintoria.
Io capisco che non amo abbastanza Fidanzato se non lo servo, ma amen me ne farò una ragione. E anche lui pare essersene fatto una ragione e, udite udite, pare che voglia lo stesso passare il resto della sua vita con me. So che sembra incredibile, giuro di non averlo drogato.


Io capisco anche che la donna in quanto tale deve pulire, cucinare, stirare, faticare. E l'uomo no. Lui deve cacciare i soldi per il Bimby e il Folletto per farci risparmiare tempo per andare dall'estetista. Se avessimo solo la scopa, ci vorrebbe troppo per fare la pulizie e allora ciao estetista. Poveri reggiseni, bruciati in piazza invano. Spero almeno che non fossero di Victoria's Secret.


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