mercoledì 30 settembre 2015

Perché te ne sei andata da Palermo?

Sono passati anni da quando sono andata via dalla mia città natale, quasi dieci per essere precisi, che non sono tanti, ma non sono nemmeno pochi visto che corrispondono ad 1/3 della mia vita.
Sono andata via perché il corso di laurea che volevo fare a Palermo non c'era.
Non ho scelto la città dove andare, ho semplicemente scelto un corso di laurea che era, almeno in quel momento, solo in due città e tra le due, ha vinto Bologna.
A Bologna ho cominciato a lavorare, mi sono costruita un pezzettino di futuro con tanti sacrifici e con tanta nostalgia nel cuore per casa mia. A quei tempi, riuscivo a tornare a casa molto spesso perché non avevo degli impegni lavorativi tali da rimanere incastrata lì.
Sempre a quei tempi, i miei amici, quelli con cui ero cresciuta, erano in gran parte ancora a Palermo o, se avevano anche loro deciso di studiare fuori, tornavano spesso come me.
Poi ho finito l'università e ho cercato un lavoro stabile, mandando curriculum in ogni dove, senza crearmi troppi problemi sul luogo dove sarei andata a finire.
E, alla fine, a pochissimi mesi dalla laurea ho ricevuto la chiamata che mi avrebbe cambiato la vita. Anche lì mi trovai sul punto di dover scegliere tra due città e io scelsi Roma, un po' perchè l'altra opzione era un paesello toscano di cinque abitanti compresi i piccioni e un po' perchè con Roma c'era comunque un legame, visto che da bambina e adolescente ci avevo passato parecchio tempo con i miei genitori.
Da lì, ci sono stati una serie di eventi: Fidanzato romano di Roma e la casa che con tanta fatica abbiamo costruito da zero, con qualche aiuto da parte dei miei super genitori. Cinque anni per avere la casa che volevamo, nella zona che volevamo, arredata come volevamo. Casa nostra, insomma.
Piano piano, da Palermo mi sono portata via tutto, è rimasta la mia camera da ragazzina che è ancora praticamente identica, con la mia collezione di mucche che dico sempre che prima o poi mi porterò, ma che di fatto è ancora lì e probabilmente ci rimarrà. 
Un tempo, avevo ancora dei vestiti a Palermo, adesso il mio armadio è pieno di cose di mia madre e il mio spazio si è ridotto a un paio di ante e qualche cassetto dove, quando io e Fidanzato andiamo a Palermo, mettiamo il contenuto della valigia.
I miei genitori, nel frattempo, hanno preso una casa nuova, dove la mia cameretta è stata trasferita così com'era -mucche comprese- e che è diventata si la mia stanza, ma che di fatto, quando arrivo, viene presa d'assalto dai gatti dei miei genitori che mi guardano come a dire: "Tu cosa vuoi? Qui è tutto roba nostra" e attentano alla vita dei cani. Temiamo il giorno in cui porteremo Cane Gnappo da solo, visto che l'ultima volta che è venuto era ancora in compagnia di Cane Nero, perché sappiamo tutti che verrà aggredito dai quei due mostri coi baffi che hanno lo stesso senso di ospitalità di Salvini.

Io da Palermo sono andata via per tornare. Ero convinta che mi sarei costruita una professione, che avrei avuto un bel titolo di studio (che adesso ridarei indietro all'università se solo mi ridassero tutti i soldi che abbiamo speso), ne ero davvero convinta.
Poi il tempo è passato, io mi sono creata una vita, fatta di Fidanzato e di lavoro, ma anche di amici e di abitudini.
Un tempo andavo dal parrucchiere solo a Palermo, avevo l'estetista a Palermo, compravo vestiti solo a Palermo e aspettavo di tornare per le vacanze per fare tantissime cose. Adesso non è più così, se proprio non trovo un parrucchiere che mi aggrada, i capelli me li faccio da sola. E quello che mi serve lo compro un po' ovunque.
Un tempo tornavo a Palermo perchè c'erano un sacco di amici, adesso di amici a Palermo ne ho talmente pochi che si contano nelle dita di una mano, la maggior parte del mio tempo lì lo passo con i miei genitori dai quali non mi vorrei mai separare.
Dove sono finiti gli amici? Sono sparsi per l'Italia, se non addirittura per il mondo. Altri che sono rimasti sono lontani anni luce dal mio stile di vita e, piano piano, ci siamo persi. Così, senza preavviso.
Ho perso il mio accento per lasciare posto ad un accento romano di dubbio gusto, ma per il quale non posso fare niente: mi è venuto e non riesco a mandarlo via per quanto mi sforzi. Invidio mio padre che dopo più di cinquant'anni in Sicilia, ha ancora il suo accento e parla solo ed esclusivamente nel suo dialetto con le sue sorelle.
Uso sempre meno parole dialettali se non quando parlo con mia madre, non conosco più i locali, cerco negozi che hanno chiuso da tempo senza che io ne sapessi nulla, mi perdo a causa dei sensi unici che sono stati cambiati senza che gli omini che si occupano di viabilità mi facessero quanto meno una telefonata.
A Palermo non ci tornerò più. Adesso lo so.
Perché non c'è lavoro ed è vero. C'è il lavoro gratis, di quello ne è piena, ma io di lavorare gratis non ho voglia. Mi sentirei una nullità a farlo.
C'è il lavoro sottopagato che è vero che si trova ovunque, ma è altresì vero che dove non hai le grandi aziende difficilmente troverai altro.
Mi sono fatta il c**o per dieci anni, lontana dalla mia famiglia che ancora adesso mi manca in modo inimmaginabile e non ho voglia di buttare all'aria tutti i sacrifici che ho fatto.
Per un periodo, con Fidanzato, ci abbiamo provato. Avevamo deciso che bastava che solo uno di noi due trovasse un lavoro a Palermo e saremmo andati. Avremmo trovato una bella casa in Viale Strasburgo e avremmo preso quello che la vita ci offriva. É passato un anno e un lavoro non l'abbiamo mai trovato, né io né lui. Abbiamo una professione che fa dire uau alla gente per le mani, ma a Palermo non ci fila nessuno. Sapessi almeno fare le panelle e le crocchè, investirei in un camioncino e mi piazzerei davanti le scuole, come il Signor Umberto che per trent'anni ha fritto panelle e crocchè davanti la mia scuola. I miei figli andrebbero al Meli o al Galilei perchè il Cannizzaro e il Garibaldi sarebbero troppo lontani da casa nostra. Andrei da mia madre a pranzo ogni giorno, forse anche a cena. O forse no, ma avrei comunque i miei genitori vicini.
Fidanzato ama Palermo, ma non mi soprende: non conosco nessuno che l'abbia vissuta almeno un pochino che non la ami.
Perchè c'è sempre caldo, perchè c'è il mare che non è un mare qualsiasi. Ovunque guardi, lo vedi.
Perché ci sono Via Ruggero Settimo e Via Libertà che non saranno il Quadrilatero della Moda in quanto a negozi, ma lasciatemelo dire, sono delle vie bellissime. Perché c'è il Teatro Massimo che è il teatro più bello che io abbia mai visto e, altro che lavorare in televisione, qui c'è davvero da dire uau ogni volta che ci si passa davanti. Perché la vista da Monte Pellegrino mi fa sentire bene. 
Perché quando scendi dall'aereo si sente quell'odore di mare che da nessun'altra parte ho mai sentito. E anche perchè ho sempre un pò paura che l'aereo cada a mare o sbatta contro la montagna, anche se mi hanno spiegato che a Palermo ci mandano solo i piloti esperti perchè è un aeroporto dove è difficile atterrare.


Perché c'è il cibo più buono della terra. Ma davvero eh.
E io comunque ero magrissima quando vivevo a Palermo, quindi non è vero che si ingrassa solo a guardare le arancine. 
Perchè ci sono i miei genitori.
Solo che adesso non si può più tornare indietro, a meno che non vincessi alla lotteria. Se vincessi alla lotteria, farei le valigie, chiuderei baracca e burattini e me ne andrei subito a Palermo con Fidanzato e Cane Gnappo, prenderei una casa nello stesso pianerottolo di mia madre (sfrattando la vicina e il suo cane aggressivo che ha provato a mangiare Gnappo almeno dieci volte nell'ultimo anno) e odierei il mondo molto meno di quanto lo odio adesso.
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lunedì 28 settembre 2015

Backstage di una gara di ginnastica

I palazzetti vuoti hanno un certo fascino, quel silenzio che c'è quando si arriva e ancora non c'è nessuno mi è sempre piaciuto. 
Noi siamo arrivate al Pala Vela di Torino qualche ora prima dell'inizio della gara, quando ancora i ginnasti e le ginnaste non c'erano, quando il silenzio faceva da padrone. Poi, piano piano, il palazzetto si è riempito e il silenzio ha lasciato posto alle chiacchiere, alle risate, al rumore degli attrezzi.
No, questa non è la cronaca di una gara, ma una cronaca di tutto quello che c'è dietro.
Si lo so che magari potrebbe non interessare a nessuno, ma io ve lo racconto lo stesso.
Gli accreditati stampa e foto sono i primi ad arrivare, con pc e macchine fotografiche.
I fotografi, in realtà, sono persone strane che confabulano tra di loro di cose che, davvero, io non ho capito. E si che hanno provato a spiegarmi. Hanno davvero provato con tutte le loro energie a farmi capire quanto sia difficile scattare una foto a una ginnasta in movimento rischiando di tagliare mani e piedi e di quanto, a seconda dell'obiettivo, la distanza dal punto che si intende fotografare rischi di non far venire bene una foto. 


Hanno anche provato a mettermi in mano una macchina fotografica e io ho persino provato a scattare una foto, con il risultato che sono riuscita a fotografare il nulla. Io giuro che davanti a me c'era una ginnasta che stava eseguendo un'uscita a trave, ma niente: non l'ho beccata e alla fine ho fotografato..il palazzetto!
Loro camminano, si muovono, girano intorno al campo gara, non stanno mai fermi.
Da adesso, ogni volta che guarderò una foto, penserò a quanto sia complicato scattare, cogliere il momento. E momenti loro ne colgono tantissimi, ho sempre visto delle foto bellissime, direi perfette nella maggior parte dei casi e pensavo fosse molto più facile.
C'è la stampa che si guarda in giro e, come nel mio caso, pensa a cosa scrivere per tutta la durata della gara. E quando arriva l'ispirazione, si precipita in sala stampa e inizia a scrivere perchè sai mai che poi ti scordi quel pezzo interessantissimo che avevi partorito.
C'è la fly per la diretta. E secondo voi potevo resistere all'idea di curiosare sulle macchine che stavano utilizzando? No, ovviamente non potevo resistere. 
Ci sono i volontari e i bodyguard (questi ultimi, grandi e grossi, ma proprio grossi, che qualcuno mi faceva pure paura) che corrono a destra e a sinistra per prendere quello o quell'altro, che controllano gli accessi, che tengono a bada le bimbe che impazziscono quando vedono il loro idolo. No, nessuno lancia peluche in campo gara come ai concerti, ma molte, alla fine della gara, chiedono autografi e consegnano i cartelloni che hanno scritto per l'una o l'altra ginnasta.
C'erano i ragazzi dell'ufficio stampa dell'evento che si sono preoccupati di tante cose, persino di riempire la nostra pancia con pizza e focaccia.
Ci sono i genitori che seguono figli e figlie e a loro va tutta la mia stima perchè io sarei terrorizzata, lo ammetto. Ho sempre un pò paura quando sento il rumore degli attrezzi, mi viene il magone e non riesco a guardare quando qualcuno cade perchè tempo che possa essersi fatto male.
C'è una mamma con cui qualche volta ho avuto il piacere di parlare, si chiama Moira, ed è sempre gentile. SEMPRE. Ho fatto caso a come osserva la sua bimba (bimba per modo di dire, ma si sa che per le mamme, i propri figli sono sempre cuore di mamma) ed è una cosa bellissima.
Ci sono gli allenatori che vanno avanti e indietro, che guardano le loro ginnaste, le consigliano, a volte le consolano quando qualcosa va storto, altre volte gioiscono con loro per un traguardo raggiungo insieme. Perchè se è vero che sugli attrezzi salgono gli atleti, è vero anche che dietro quel duro lavoro ci sono anche loro. Ho notato l'affetto sincero tra loro e gli atleti che è qualcosa di bellissimo.
C'è tanta gente che lavora per la riuscita dell'evento, c'è chi si occupa della diretta televisiva, chi parla al microfono, ci sono i giudici. C'è vita. Tante persone che si muovo avanti e indietro senza mai fermarsi.
E poi ci sono i ginnasti che prima di essere atleti sono persone, con le loro paure e le loro emozioni. Ho visto ginnaste piangere per un esercizio andato male e tornare sorridenti subito dopo con tanta forza d'animo. Mi sono chiesta come sia possibile passare da un momento di sconforto alla massimo concentrazione in un secondo. 
E poi ci sono i sorrisi, quelli di quando un esercizio viene fatto bene, quelli della fine della gara quando la tensione è ormai un lontano ricordo.
Ci sono gli abbracci sinceri, le risate, le chiacchiere, i selfie.
Ci sono i ginnasti che non gareggiano a causa di un infortunio o di un qualsiasi altro problema che sono lì per sostenere i loro compagni di avventure.


Ci sono le cene alla fine della gara, quelle in cui si commenta quello che si è visto, in cui si ricorda un momento appena vissuto. 
Ci sono i saluti e i ci rivediamo alla prossima gara, finchè il palazzetto si svuota ed è come se non ci fosse mai stato nessuno. Tutto il resto è ben impresso nella mente. E non solo.




Il selfie fotografi è stato scattato da Silvia Vatteroni.
Nella foto: Valentina Ricci, Cristina Boggio, Silvia Vatteroni, Marco Mastracco, Alessandro Gamberi, Antonella Di Ciancia, Anna Papa, Ricciardi Nencini e la sottoscritta.
La foto -backstage di un selfie- è di Alessandro Gamberi.
La foto del palazzetto è dell'organizzazione dei Campionati Assoluti.
Un ringraziamento a Brescia Oggi per l'accredito stampa.
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venerdì 25 settembre 2015

La verità, vi dico, sugli uomini

Quando andavo alla scuola media, durante la ricreazione, i miei compagni andavano in comitiva in bagno portandosi dietro la riga da 60 cm che usavamo durante le ore di educazione tecnica.
Visto che io ero stupida, ci ho messo degli anni a capire a cosa serviva quella riga. Era una sfida, una gara, una tristezza infinita insomma.
Ecco, lavorare con i maschi è così. Una sfida, una gara, una tristezza. 


Una sfida con i nervi, una gara di sopravvivenza e una tristezza perché, come non mi sarei mai aspettata il vero motivo per cui i miei compagnetti brufolosi si portavano dietro la riga, non mi sarei mai nemmeno aspettata che anche gli uomini avessero il ciclo.
Uomini con le mestruazioni: potrei scrivere un libro e chiamarlo così, sai che roba.
E poi potrei proseguire con Uomini sull'orlo di una crisi di nervi, primiuomini e Ti prego:fulminali. Così, per dire.
Io amo tutti i colleghi che ho avuto, eh (e il naso si allungò come manco Pinocchio). Grazie a loro mi sono fatta una cultura sulle peculiarità della mente maschile così grande che un giorno mi daranno una laurea ad honorem in maschiologia.

Tre emissioni (qui per saperne di più) e direi, ad occhio e croce, una cinquantina di colleghi in totale. Forse di più se ci aggiungo i colleghi della regia, i supervisori e capi vari. Di tutte le età, sposati, single, cornificatori seriali, fedelissimi, padri amorevoli, belli, brutti. Tutti con la fissa di tette e culi che ormai ho una cultura che non avete idea.
Tutti profumati, pure troppo. E poi dicono che l' uomo deve puzzare. 
Litigiosi, tutti. Ma non litigiosi da cazzotti in faccia. Litigiosi da ti tiro i capelli non dalle punte, ma dall'attaccatura che fa più male, metodo infallibile che mi insegnò la picchiatrice ufficiale del mio liceo (ma che, grazie al cielo, non ho mai messo in atto).
Dispettosi, come manco le scimmie nei loro giorni migliori.
Pettegoli. Che in confronti quindici ventenni appena mollate dal fidanzato per un'altra sono delle principianti.
E chiacchierano, mamma mia quanto chiacchierano. Hanno sempre un sacco di cose da raccontare, tanto che a fine giornata sanguinano le orecchie.
Mestruati tutto l'anno (l'ho già detto, vero?). Almeno le donne hanno le mestruazioni cinque giorni al mese e poi passa la paura,
Loro no: 30 giorni di mestruazioni a Novembre con Aprile, Giugno e Settembre e tutti gli altri mesi 31 giorni di mestruo (ah, ovviamente a Febbraio, il flusso mestruale dura solo 28 giorni). MA mestruo di quello pesante, eh. 
E non sono scemi. Davvero, io non so chi è che ha messo in giro la voce che gli uomini sono scemi e te li puoi rigirare come vuoi. Sono degli strateghi, ragionano (a volte anche troppo) per i miei gusti).
E quando dicono che non hanno niente, occhio che non è vero. Quello vale solo per il proprio Fidanzato. 
E poi ti tengono il muso. Perché loro sono offesi per qualcosa di cui voi non avete idea e, state tranquille che non ve lo diranno. Non lo dicono mai.  Dovete immaginarlo e attenzione che se sbagliate si offendono ancora di più.
E poi chi è che ha detto che gli uomini non sono vanesi? Anni che lavoro solo con uomini e anni che sono quella vestita peggio: tute, abbinamenti a casaccio, strati di vestiti perché io ho freddo e chi se ne frega se non sono elegante come Audrey Hepburn in Colazione da Tiffany.
Loro no: loro sono sempre perfetti e si portano persino il cambio dietro. Metti una macchia? Una pioggia di meteoriti?
E non parliamo di quando devono andare da qualche parte dopo il lavoro: ho assistito a vere e proprie sfilate, roba che manco Versace. 
E notano tutto: quando mi trucco -quelle rare volte- mi guardano con occhi sgomenti:"Ma ti sei truccata?","Ma hai messo l'ombretto? O sono pigmenti?".
Scusa, ma tu che ne sai?
"Eh beh, mia moglie/fidanzata/sorella..."
Notano persino se ho fatto la manicure. E mi forniscono pareri accurati sullo smalto che porto.
E danno anche consigli che non li trovato nemmeno su Cosmopolitan.
E soprattutto: guardate che vi ascoltano. Loro sanno tutto quello che vi piace, che usate, che vi serve, che volete. Però fanno finta di niente. Perché loro sembrano disattenti, ma non lo sono.
Fingono. Sono degli attori.

E se volete sapere se guardano le altre, ve lo dico: si le guardano. E commentano anche. E si, ci vanno giù pesante.
Ma toglietegli tutto, ma non la donna che hanno accanto. Fidatevi.
E se non ce l'hanno, nel 90% dei casi la cercano. E si lagnano pure del fatto che trovano solo persone che non vogliono impegnarsi. 


Nb. Ogni riferimento a fatti e persone è puramente casuale (giuro che è vero).
Combatto con l'universo maschile da anni, di colleghi uomini ne ho avuti a decine e ho preso un pò da tutti loro per questo post.


La foto del posto è di Beata Lenkiewicz.


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giovedì 24 settembre 2015

Professione: uomo che non deve chiedere mai

Ormai è sistematico che dentro la casa dobe abito a Milano entri qualcuno, apra con le chiavi e si serva di quello che trova dentro. Così, manco fossimo al supemercato.
La cosa molto divertente è che chi entra è anche un pò tonto perchè un giorno, dopo essersi servito al supemercato, ha chiuso le tre serrature della porta, dimenticando forse che io ho le chiavi di solo due delle tre serrature. Un altro giorno, invece, si è proprio dimenticato di chiudere a chiave la porta.
Io avrò tanti difetti eh, ma sono un pò paranoica sulla chiusura della casa: do mandate alle serrature come se non esistesse un domani, ci manca poco che metto i lucchetti stile Ponte Milvio a Roma E, per non farmi mancare niente, ormai chiudo a chiave anche la porta della camera da letto dove nascondo tutti i miei tesori, ovvero quattro vestiti in croce, quattro paia di scarpe e quattro borse.
 Mi piace il numero quattro evidentemente. 


La questione mi mette un pò d'ansia, lo ammetto, stiamo lavorando per risolverla, anche perchè io dico: non è furbo entrare in casa di qualcuno che lavora in televisione. O forse sarebbe furbo se stessimo parlando di Barbara D'Urso che probabilmente ha difficoltà anche a chiudere a chiave una porta.
Nel mio caso, mettere una telecamerina piccina picciò che registra e ti sgama se entri in casa è un pò come preparare il caffè la mattina.
Ah no, preparare il caffè la mattina per me è un'agonia. Io sono abituata male: il caffè me lo porta a letto Fidanzato, da sempre (e sarà così per sempre) perchè io non ho nemmeno la forza di fare due passi in fila la mattina appena sveglia. Quindi, ecco, diciamo che mettere una telecamerina che riprende chi entra in casa passando per la porta è come fare la diretta di un tg di Mentana. O uno speciale di Mentana. Per tredici ore.
Un gioco da ragazzi, insomma.
Chi non ha come sogno segreto quello di mettere in onda Mentana?

Comunque, tornando a noi: la questione dell'uomo che non deve chiedere mai (o quanto meno, non deve chiedere mai di entrare)ed entra in casa a proprio piacimento mi ha messo una certa ansia, soprattutto quando una calda mattina di un paio di mesi fa dormivo beata, in mutande e ho sentito girare la chiave nella serratura. Panico. Chi c***o è? .E niente, pensava non ci fossi evidentemente.
In fondo, però, se l'uomo che non deve chiedere mai non ci fosse, forse la mia vita sarebbe vuota.
Tornare a casa a notte fonda con la paura di trovarselo faccia a faccia, che ve lo dico a fare? Magari sto per andare a letto, ho sonno e questo qui mi tiene sveglia per aiutarlo a caricare, che ne so, il tavolo da pranzo o una Louis Vitton (tzè, loro non sanno che io per la mia Gina, nome di battesimo della mia shopping bag LV, potrei uccidere) e no, a me il sonno non si deve mai negare. MAI. Uccido per Gina ed uccido anche per il sonno che mi viene tolto.
Oppure volete togliermi la gioia di rientrare a casa e dover controllare ogni singolo giorno cosa manca e cosa no? Alla fine, a fare la conta degli oggetti ci sto prendendo anche gusto.

Si lo so vi starete chiedendo se sono matta a sopportare e come faccio a vivere serena.
Premesso che serena non lo sono affatto, in realtà so chi è che entra. Non è gente pericolosa, è gente stupida, che crede di poter fare come vuole, prendere quello che vuole e tanti cari saluti. Ma io sono una brutta persona e mal tollero queste cose. Ho un senso di giustizia innato, io.
Ricordate la telecamerina? Avevo dei sospetti, in parte confermati dai diretti interessati, ma, si sa, la prova televisiva è sempre quella migliore. Un pò come nel calcio.
E ovviamente sono stati presi dei provvedimenti  e altri ne stanno seguendo, piano piano.
E poi, l'avventura milanese è agli sgoccioli, a breve (anzi, a brevissimo direi) si torna a casa, sperando di non tornare qui mai più.
No, non ho niente contro Milano, lascio tante cose belle, soprattutto alcune, ma ne lascio tante di brutte di cui, prometto, parlerò non appena sarò al sicuro all'ombra del Colosseo. E queste cose brutte voglio lasciarmele alle spalle. Per sempre.

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mercoledì 23 settembre 2015

Il segreto della felicità: un giorno alla Brixia

Metti che ti invitino ad andare ad una festa in onore di una ginnasta che ha appena vinto un oro e un argento mondiali e che si è qualificata, insieme alla squadra nazionale di ginnastica ritmica, per le Olimpiadi di Rio de Janeiro. Metti che sia una festa speciale perchè questa ginnasta, Sofia Lodi, è la prima atleta bresciana ad essersi qualificata, appunto, per le Olimpiadi (no, non la prima nella storia, ma la prima della prossima edizione dei Giochi Olimpici).
Metti che ci sia una tavola imbandita, una grande famiglia allargata che lavora per la riuscita di questa festa e tante piccolette che fanno caciara. Metti che le piccolette in questione (che poi non sono mica delle bambine eh, visto che l'età va dai dodici ai quattordici anni) provino con tutte le loro forze (e vi assicuro che ce ne vogliono tante) ad insegnarvi una coreografia che sembra tanto facile fatta da loro, ma che io proprio non riesco. E che vi facciano promettere di impararla di qua a sabato prossimo (tre giorni? almeno ce ne vorrebbero trecento!). E che una di queste piccolette, ad un certo punto vi guardi e vi dica:"Te parli un pò romano, però non come me".
Direi che va bene così. In fondo, basta questo per respirare aria buona e regalarmi un sorriso.












Le foto del post sono di Antonella Di Ciancia.
Le piccolette di cui si parla nel post, ritratte nella foto, sono le piccole promesse azzurre, in preparazione per i Giochi Olimpici di Tokyio 2020.
Nella prima foto Enrico Casella, DTN della Nazionale di Ginnastica Artistica; Sofia Lodi, medaglia d'oro e d'argento ai Mondiali di Stoccarda 2015 e Folco Donati, presidente della Brixia Brescia.
Il video dell'oro mondiale di ginnastica ritmica lo trovate qui.
Un ringraziamento alla Brixia Brescia per l'ospitalità.




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martedì 22 settembre 2015

Salva una pianta, mangia un vegano. Perché i vegani mi disturbano la digestione.

Io non ho niente contro i vegani, lo giuro sugli involtini di carne che ho appena mangiato.
Niente di personale, almeno.
Tu vuoi mangiare l'erbetta che cresce sui prati e il seitan che sa di cartone? Liberissimo di farlo. Ma non dire a me cosa devo mangiare io. O peggio, non dirmi che sono una mangia cadaveri perchè allora io potrei obiettare che tu mangi tutte le piante che servono per creare l'ossigeno -com'è che si chiamava? Fotosintesi clorofilliana?- e quindi stai cercando di uccidermi. E mangi anche il cartone aromatizzato, il che mi lascia delle perplessità sulla tua intelligenza.
E no, non ti stimerò solo perché io mangio il wurstel di maiale o di pollo e tu quello di tofu. O l'hamburger di soia. O la bistecca di seitan. La bistecca è di carne chianina, l'hamburger di manzo, non di seitan o di soia.
Con tutto il rispetto, mio amico vegano, io potrei rispettare la tua scelta qualora tu iniziassi a rispettare la mia di mangiare quello che ritengo opportuno mangiare o, nel mio caso, quello che posso mangiare di cui, purtroppo, gran parte del regno vegetale non fa parte.
E se anche volessi mangiare ogni giorno quindici panini del Mc Donald's, visto che tu non mi conosci e io non conosco te, dubito davvero sia un tuo problema. Anzi, se lo facessi, probabilmente morirei dopo una settimana, quindi ci sarebbe una mangia cadaveri in meno.

Io, amici vegani, non ce l'ho con voi, anzi mi piacerebbe tanto approfondire la questione sul perché siete diventati vegani, su cosa vi ha spinto e su quali sono le brillanti motivazioni che vi portano a fare questa scelta. Ma diciamoci la verità, la maggior parte di voi è vegana per moda, l'altra metà passa il proprio tempo a insultare il prossimo perché ha altre abitudini alimentari, giuste o sbagliate che siano.
E io, per principio, con chi non sa affrontare un dialogo senza insultare, difficilmente intavolo un discorso. Proprio non mi va, ho già tanti pensieri.
Poi, sapete, a me date particolarmente fastidio quando magari uno cucina la polenta con la salsiccia e fa per voi qualcosa di squisitamente vegano e vi lamentate. Io rimango digiuna ovunque, da sempre, e non insulto nessuno.
E mi date anche fastidio quando vi paragonate agli allergici perché, è evidente che non conoscente la differenza tra una scelta e una patologia. E mi urtate il sistema nervoso quando insistete perché io dovrei mangiare la vostra zucchina se no sono un mostro perché io la zucchina non la posso mangiare. Mi piacerebbe perché le zucchine sono tra i vegetali più buoni, ma non posso. E non per questo, odio il mondo.
E, vedete, il mondo ce l'ha con voi non perché non mangiate cadaveri, ma perché vi ergete a mostri sacri della sapienza, criticando e sbeffeggiando chi non è come voi, manco foste una setta.
Se aveste due argomenti buoni per spiegare le vostre scelte, magari  toglieste  le scarpe di pelle (perchè, ebbene si, le scarpe di pelle di che pelle pensate che siano? Umana? O pensate che il Seitan abbia la pelle con cui ci si fanno le scarpe?) ed evitaste di dire cose tipo:"il moscerino è un essere senziente", io starei ore a parlare con voi perchè sono una persona molto curiosa. Ma voi no, sapete solo dire mangia cadaveri al prossimo, così per hobby.
e poi, lo ammetto, probabilmente non vi prendo troppo sul serio perchè ho conosciuto vegani che mangiano le acciughe, vegani che mangiano il tonno, vegani che mangiano le uova di quaglia.



Nb. Ho conosciuto vegani assolutamente rispettosi nei confronti del prossimo, intelligenti e che non passano il loro tempo a insultare chi segue un'alimentazione diversa dalla loro. A loro, va tutta la mia stima perché è evidente che sono talmente convinti della loro scelta di vita che non sentono la necessità di sfogare le proprie frustrazioni sul prossimo.
A tutti gli altri invece, dedico questo post.

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lunedì 21 settembre 2015

Quello che i grandi non dicono

Avete tutti fretta di diventare grandi, di andare fuori casa, di andare a convivere e sposarvi.
E avete anche ragione, che poi ci chiamano bamboccioni ed è fastidioso, molto fastidioso.
Però dovete sapere delle cose.
Una casa costa (qui per saperne di più), c'è l'affitto o il mutuo, c'è sempre qualcosa che si rompe, qualcosa che manca o qualcosa da sostituire. Ci sono i mobili da scegliere -che lo so che è una cosa tanto bella- ma qui sono passati cinque anni e ancora non abbiamo finito. Quante cose ci vogliono in una casa? A casa dei miei genitori c'era tutto, forse a loro avevano dato una casa full optional e a me il modello base.
Bisogna andare a lavoro. E bisogna andarci puntuali, non si può uscire quando si vuole e poi si è stanchi, ma bisogna comunque rifare il letto, riordinare la casa, mettere avanti la lavatrice, cucinare, fare la spesa (possibilmente prima di cucinare, sapete com'è), lavare i piatti. E anche spolverare, stirare (ma io ancora non ho nemmeno l'asse da stiro e probabilmente non ce l'avrò mai che anche il tavolo va benissimo), lavare il pavimento, mettere in ordine i vestiti (e no, non li lascio sulla sedia se no che ci ho messo a fare un anno per scegliere la camera da letto con l'armadio quattro stagioni? E che me la sono fatta a fare la cabina armadio?).
E i vetri? Persino i vetri vanno puliti, a casa dei miei i vetri erano puliti di default, forse erano vetri speciali auto pulenti, chi lo sa.
E bisogna chiamare l'elettricista, il caldaista, l'omino delle serrande (tanto rispetto per questa professione, ma non so come si dice), il frigorista, l'idraulico (che non sarà mai figo come nei film, sappiatelo) e un sacco di altra gente che non sapevo nemmeno che esistessero tutte queste professioni. E non sapevo nemmeno che costassero così tanto tutte queste cose qui, che se rinasco, altro che lavorare in televisione.

E poi bisogna andare all'Inps, all'Agenzia delle Entrate, alla posta (che sarà pure tutto informatizzato ormai, ma i francobolli non li vendono da nessuna parte e per mandare una lettera -a volte succede- bisogna prendere quei maledetti numerini che iniziano con la P e che di solito funziona che se avete il P56, chiamano fino al P55 e poi passano a C26, E95, A37, colpito, affondato e voi siete ancora lì), in banca, dal medico, in Comune, all'Aci, alla Motorizzazione e non so quanti miliardi di uffici abbiamo girato negli ultimi cinque anni, ma so che con il tempo che ho passato in fila -perché sono tutti sempre in fila per uffici, c'è sicuramente gente che non sa dove andare la mattina e va a fare la fila per hobby- potevo tranquillamente fare sei mesi di vacanza l'anno e sarei molto più rilassata.

Quando vivevo con i miei genitori, nella cassetta delle lettere trovavo le cartoline, adesso trovo solo rotture di scatole che io davvero non capisco. Sembra che lo sappiano "Questa qui ha messo su casa, mandiamole tutte le grane possibili e inimmaginabili". Che poi le grane si risolvono perché nel 90% dei casi sappiate che sarà un errore, a me l'Inps ha persino detto, alla veneranda età di 27 anni che quel codice fiscale non poteva essere il mio e che no, io non potevo essere nata a Palermo. E quindi gira per uffici, prenditi arrabbiature, finchè non riesci a dimostrare la cosa più ovvia del mondo ovvero che sei nata dove dici di essere nata ed esistono decine di documenti che lo provano, oltre alla parola di tua madre che è comunque sempre più attendibile di quella di un qualsiasi ufficio pubblico.
E poi tira fuori i soldi per le bollette, per i lavori del condominio, per qualsiasi altra cosa che non è l'ultima borsa di Stella McCartney, ma tant'è.
Diventerete brutte persone: non vi verrà più l'angoscia se si stinge una maglietta, ma se vi si graffia il tavolo bianco laccato...oh, lì si che la vostra furia omicida travolgerà tutto e tutti. Però adesso capisco mia madre quando per anni mi ha impedito di mangiare sdraiata sui divani di velluto rosso del salotto (ma poi ci ha fatto dormire i cani perchè, poveri cani, devono stare comodi anche loro).


Questi i grandi non ve lo dicono eh, ma sappiate che è tutto vero.
Ed è bellissimo, io non lo nego, ma non pensate che quando avrete una casa vostra sarà tutto sotto controllo, che mangerete pasta con la scatoletta di tonno rovesciata sopra (che poi, ho avuto un coinquilino che ha cercato di convincermi che era il piatto forte di sua madre, ma non è che se tua madre svuota una scatoletta di tonno sulla pasta in automatico è nouvelle cousine) e che farete festini ogni sera. Anche perché poi i vicini di casa si lamentano. E i vicini di casa non sono mamma e papà, sappiatelo.

La foto del post è di Samira El Bouchtaoui.
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domenica 20 settembre 2015

Good Morning Mr. President

Quando ho chiesto a Folco Donati, presidente della Brixia Brescia, se potevo intervistarlo, si è messo subito a mia disposizione. "Vieni quando vuoi" mi ha detto.
Folco è fatto così. È sempre disponibile per qualsiasi cosa, apre le porte di casa sua, il PalAlgeco, senza nessun problema e mette le persone a proprio agio, come difficilmente ho visto fare.
Entrare al PalAlgeco è una cosa che a me fa sentire bene perchè c'è sempre un sacco di gente: ginnaste, allenatori, genitori. Tutti lì, con un obiettivo comune. 
Si respira una bella aria, sono tutti gentili, come se ti conoscessero da sempre e vi assicuro che non è una cosa così scontata.
Casa Iveco, la foresteria che ospita le piccole ginnaste della Brixia e le ginnaste della Nazionale in occasione di controlli tecnici e collegiali, é un posto curatissimo e pulito e, cosa che mi ha regalato più di un sorriso, le piccoline sono educatissime. Mentre eravamo io e Antonella, la mia spalla che credo proprio mi accompagnerebbe ovunque pur di vedere realizzati i miei progetti, Alice ed Elisa, due ginnastine infortunate che erano insieme a noi nella sala comune della Foresteria hanno fatto i salti mortali (in tutti i sensi, visto il tutore di una e il gesso fino a metà coscia dell'altra) pur di non fare rumore, saltellando a destra e sinistra e parlando a gesti per non disturbarci.
Abbiamo chiacchierato a lungo con Folco, circa quattro ore, e quando è dovuto andare via, ci ha detto con tutta la naturalezza del mondo:"Io vado, ma voi rimanete pure, state solo attente a non farvi chiudere dentro". Preciso che abbiamo davvero rischiato di farci chiudere dentro perché è un posto da quale né io né Antonella andremmo mai via, un pò per tutti i motivi che vi ho già detto, un pò perché in fondo siamo due impiccione e ci piace guardare cosa succede.
Abbiamo chiacchierato con Alessandro, il fisioterapista, e siamo state a lungo con la piccola Martina, una ginnastina bionda che è un tesoro.

-Ciao Folco, grazie per averci ricevuto.Tu sei il presidente della Brixia Brescia. Ci racconti un po' com'è nata , cosa hai fatto, da quanto tempo è nelle tue mani. Insomma, un po' tutta la storia di questa società.
-Allora, la Brixia nasce nel 1984 per opera di Enrico Casella, la moglie Daniela Leporati e di una terza persona che si chiama Paola Rietti che da tantissimi anni ormai non fa più parte di questo club. La Brixia nasce perché Casella, che era in un'altra gloriosa società che era la Forza e Costanza Brescia, società ultra centenaria, non trovando più spazio al suo interno per fare quello che realmente gli interessava ovvero fare ginnastica artistica ad alto livello, crea questa nuova società, improntata sul volersi migliorare per diventare qualcosa di importante nel campo della ginnastica artistica femminile che da sempre è il vero obiettivo della Brixia.
Io mi avvicino (fa una pausa)... La mia storia è per certi versi parallela a quella di Enrico e Daniela perché dal 1970/71/72, io e Enrico, entrambi ginnasti (lui ha qualche anno più di me) già ci frequentavamo, pur essendo in società differenti. La mia storia non si lega subito alla sua perché io smetto di fare ginnastica e decido di aprire una mia società che si chiamava Ginnastica Nave che poi è diventata Ginnastica Azzurra, una piccola realtà di paese, affiliata comunque alla Federazione Ginnastica d'Italia, anch'essa dal 1984, ma che aveva un target diverso rispetto a quello che avrebbe voluto Enrico. Fino al 1990 quando Enrico mi chiese se volevo entrare a far parte della sua società, non dal punto di vista tecnico, ma dal punto di vista dirigenziale. 
Per altro, a quel tempo avevo una storia in ballo con un'altra Federazione , ovvero la Federazione Pallacanestro, che ho cominciato a frequentare a partire dalla metà degli anni '80, anche lì non dal punto di vista tecnico, ma dal punto di vista dirigenziale, ma a me questa cosa di collaborare con la Brixia interessava  quindi nel 1990 ho accettato di far parte di quella che poi è diventata la mia società. Per qualche anno ho fatto il general manager e poi a metà anni '90 sono diventato il presidente e da lì nasce questa continua collaborazione con Enrico e quindi...

-Quanto tempo ti impegna, nell'arco della tua giornata, la gestione di questa società che adesso è diventata...bella grossa?
-Diciamo che va a periodi: in questo periodo e da tutto il 2015 direi quotidianamente, circa 7/8 ore al giorno; sono sempre qua e quindi.. Per alcune scelte, di natura professionale, ho deciso dal Primo Gennaio di dedicarmi interamente alla Brixia e quindi sono qui dalla mattina al pomeriggio inoltrato e, a volte, anche la sera.

-Questa società lega il suo nome a Vanessa Ferrari. Non ti chiedo di parlarmi della sua carriera sportiva perchè la conosciamo tutti, ma piuttosto del tuo rapporto con lei, sulla base di alcune immagini del 2006, che sono diventate famose, della tua esultanza alla fine del suo esercizio a corpo libero di Arhuus, ancora prima che uscisse il risultato. Ci dici qualcosa al riguardo?
-Innanzitutto faccio una piccola precisazione: è vero che la Brixia lega il suo nome a Vanessa Ferrari, però non va dimenticato un aspetto a cui teniamo: la Brixia, dal 1996, anno delle Olimpiadi di Atlanta, ha comunque sempre dato almeno una ginnasta alla Nazionale Italiana che partecipa ai Giochi Olimpici: Francesca Morotti nel 1996, nel 2000 a Sidney ci furono Bergamelli e Castelli, nel 2004 ad Atene ci fu Bergamelli, nel 2008 a Pechino ci furono Bergamelli e Vanessa Ferrari e nel 2012 ci furono Vanessa Ferrari ed Erika Fasana. Per noi questo è un vanto perché questa è davvero l'unica società in Italia in questo, secondo me anche delle altre discipline sportive e non solo della ginnastica artistica, quindi siamo davvero orgogliosi di questo curriculum. Ovvio che con la vittoria di Vanessa ad Aarhus, ci riconoscono di più per quello che abbiamo fatto con le sue gesta.


Vanessa Ferrari, ad Aarhus, è stata per certi versi una sorpresa perché Enrico Casella che è un tecnico di cui io mi fido moltissimo ovviamente, effettivamente mi disse prima di partire che se ci fossero state le condizioni ideali Vanessa poteva essere una da podio. Io che, anche se non sono un tecnico, un po' di ginnastica la mastico, vedendo i risultati mi sembrava abbastanza difficile e invece, come disse lui, un po' di cose si aggiustarono: la Memmel e la Liukin che all'ultimo non parteciparono alla finale a ventiquattro, beh, questo ovviamente è stato un vantaggio. Detto questo, Vanessa in quel periodo era una ginnasta in formissima che aveva un repertorio di primissima qualità; aveva dei valori di partenza altissimi e sta di fatto che pur cadendo in trave poi è riuscita a vincere.
Dietro a quelle immagini che ricordavi tu c'è un piccolo preambolo da fare. Ovviamente non era nulla di preparato: c'era un cameraman della televisione brasiliana che come puoi immaginare, beh i brasiliani sono persone che guardano molto all'esultanza piuttosto che al risultato come si nota in tante loro telecronache (qui sono scoppiata a ridere) e quando mi notò che ero un pochino esagitato, un po' così, su di giri, invece di riprendere Vanessa, mi riprese. 
Ho esultato prima che uscisse il punteggio di Vanessa perché mi ero reso conto che, in effetti, era sufficiente prendere poco più di 15,000 per vincere il Mondiale ed ero sicuro al 100% che si fosse meritata quel punteggio . Una gioia indescrivibile, ancora oggi faccio fatica a vedere quelle immagini senza emozionarmi (e qui, si sente la mia vocina lacrimosa dire un labile “anch'io” e Folco scoppia a ridere), quindi sicuramente è stata la gioia più grande che un dirigente di una società, secondo me, può avere. Hai una tua ginnasta che vince una medaglia ad un Mondiale! 
Poi credo che una medaglia ad un' Olimpiade sia una gioia inarrivabile e non è che ci tiriamo indietro se adesso andiamo a Rio e vinciamo qualcosa. Anche a Glasgow se vinciamo...

-Beh, le medaglie non sono mancate neanche negli anni successivi.
-No no, assolutamente, però la prima è quella che non ti dimentichi mai, almeno per me é così. 
Ho esultato per il titolo vinto a Volos, il titolo europeo, al di là che era già una gara a squadre e non individuale, però questa è stata veramente quella vittoria che ti ha cambiato anche un po': da lì, in casa Brixia sono cambiate tantissime cose.

-Per esempio cosa é cambiato? Ce lo puoi dire?
-Per esempio, il modo con cui la gente, con cui il mondo sportivo e non, ti guarda, ti considera.
Io ricordo che per diversi mesi dopo la vittoria siamo stati subissati da richieste. Allora, diciamo che da alcuni punti di vista la sua vittoria è stata fondamentale altrimenti questa palestra, questa foresteria dove siamo adesso e tante altre cose non le avremmo, mentre invece.. se vuoi ti racconto com'è nata l'idea di questa palestra...
Allora, faccio un inciso su cosa succede quando Vanessa vince il Mondiale. 
Noi ci allenavamo veramente in un buco, le Piscine Delfino. Tanto per dire, non c'era neanche la ricorsa corretta per il volteggio, era più corta di sei metri rispetto a quella che dovevano fare, quindi in quel periodo, quasi tutte le settimane, un giorno o due, dovevamo spostarci a Milano per fare le cose bene, ci siamo allenati davvero in condizioni....
Quindi, Vanessa vince e la prima idea che abbiamo è di dire a Vanessa:”Vanessa, mi raccomando, di che ci serve la palestra”. Detto fatto, non eravamo ancora tornati da Aarhus che nella nostra casella di posta abbiamo trovato una mail di una persona, un ingegnere, che ci dice che attraverso l'azienda di cui è dipendente, l'Algeco appunto, sarebbe stato in grado di aiutarvi per potere costruire la palestra.
Noi ovviamente ci siamo messi in contatto subito: loro volevano regalarci un garage, noi abbiamo fatto la palestra più bella che c'è in Italia. C'è stata un po' una trattativa e siamo riusciti a fargli fare due moduli diversi da quelli che loro generalmente fanno. Loro, per capirci, sono quelli che generalmente fanno i cessi sulle autostrade oppure i container dove ci sono dentro i muratori che servono per appoggiare le cose nei cantieri. Partendo dai loro moduli, noi gli abbiamo fatto fare una cosa diversa.
Tutto è nato dal fatto che Vanessa vince, Vanessa dice “ho bisogno di una palestra”,si mette in mezzo l'allora Ministra dello Sport, la Melandri, che dice vi aiuteremo, che viene a Brescia e facciamo questa cosa qui. Per inciso, si può anche dire, non è mai arrivato niente dal governo italiano, ci siamo dovuti arrangiare. L'interesse comunque c'era stato e questo è importante perché i giornali ne parlavamo e così via. 
Detto questo, i pro quindi sono stati questi ovvero qualche sponsor importante che si è avvicinato vedi Iveco, vedi Adidas, TechnoGym, però la gestione di Vanessa Ferrari in quel momento lì era una cosa difficilissima un po' perché non eravamo preparati perché questa società, checché se ne dica, è Enrico Casella, Folco Donati e Daniela Leporati; non c'è nessun altro. La società siamo noi e quindi ci siamo sempre dovuti dividere un po' i compiti: tutti volevano Vanessa, lei usa molto della sua ritrosia sia per la presenza sia per farsi voler bene, quindi in quel periodo lì siamo stati sottoposti ad uno stress incredibile. E' ovvio che non avremmo mai fatto cambio con nessun altro risultato, sono cose che sopporti (sorride), però ripeto che è stato un periodo molto molto difficile sulla gestione dell'atleta e della situazione relativa al fatto di aver vinto, di essere la prima ginnasta italiana della storia ad aver vinto (ride) e anche l'unica e rimarrà l'unica per tanto tempo purtroppo.

-Da quando sei dentro la Brixia il momento più difficile che avete dovuto sopportare e affrontare qual'è stato?
-Un momento durato qualche anno. Dopo le Olimpiadi del 2008, ovvero alla fine del 2009, Casella non accetta più quello che la Federazione gli offre per fare il responsabile della squadra nazionale e noi, in sostanza, andiamo in trincea perché abbiamo questo impianto da gestire e la Federazione non lo sfrutta più  per qualche anno e quindi andiamo in difficoltà dal punto di vista economico e della gestione perché questo è un posto che costa, questo è un posto che non ha delle entrate, le mie ginnaste non pagano le retta per fare ginnastica, sono tutte ginnaste di alta specializzazione e quindi i nostri introiti arrivano da altre cose, ovvero da sponsor, da sovvenzioni comunali e dalle sovvenzioni della Federazione perché ovviamente quando la Federazione ci manda qua le ginnaste per allenarsi paga quello che deve pagare. Quindi dal 2009 al 2012 abbiamo delle serie difficoltà. Nel frattempo Vanessa vive un suo momento particolare perché l'infortunio che ha patito nel 2007, ai Mondiali di Stoccarda, si rivela più grave del previsto e  per due anni abbondanti noi perdiamo anche Vanessa e quindi quello è stato il periodo peggiore sotto tutti i punti di vista, ma, nonostante questo, abbiamo vinto comunque qualche scudetto e qualche gara, non è che ci siamo mai tirati indietro. Diciamo che abbiamo avuto la forza in mezzo a tutte le difficoltà del momento di continuare a lavorare seguendo quello che è il nostro modus operandi, cioè quello di continuare a lavorare sulle ginnaste di punta di quel momento e sul settore giovanile.

-Ho letto il libro di Giulia Leni in cui lei parla di te un po' come di un secondo papà, lasciando trasparire che c'è un rapporto molto particolare. Ci racconti il tuo rapporto con lei e il rapporto che si instaura con queste bambine che arrivano qui e poi man mano vanno crescendo.
-Giulia Leni è una ginnasta e una ragazza del tutto particolare che esce un po' da quelli che sono i canoni che ci possono essere tra un presidente, come nel mio caso, e le proprie ginnaste. E' differente perché, come tutti ben sanno, ha vissuto a casa nostra per quasi tre anni in due tranche.
A casa nostra c'era stata in un primo momento, viveva tra Casa Iveco e casa nostra, ma quando doveva stare qua andava in crisi e allora veniva a casa, ma  l'idea, in quel periodo, era proprio quella di riempire la foresteria, però lei questa cosa qui non l'ha mai amata tanto, quindi appena poteva veniva a casa . C'è stata questa prima volta, poi è andata a Milano perché con noi , diciamo così, non c'era più feeling, quindi si è trasferita a Milano. O meglio, scappa da Brescia, va a casa e da casa la Federazione -era il periodo 2009/2012- la fa andare a Milano, dove rimane per poco più di un anno, finché, tra una cosa e l'altra, finalmente torna a Brescia dove otterrà i risultati migliori della sua carriera, secondo me anche qualcosa in meno di quello che avrebbe potuto. 
Tornando al rapporto, Giulia Leni è una ragazza fantastica sotto tutti i punti di vista, una ragazza educatissima, una ragazza a cui non si può ovviamente non voler bene. Ancora oggi che sono quasi due anni che manca, anzi due anni in questo periodo, noi ci sentiamo se non quotidianamente, quasi. Le mando un messaggio quando so che ha l'esame, lei studia medicina, per farle l'in bocca al lupo e poi, quando è possibile, ci vediamo: lei viene a Brescia o io passo da Siena per salutarla. Con la famiglia c'è un rapporto spettacolare.
Con tutte le altre é così, un po' di meno. Io voglio bene a tutte le ragazze che ci sono, qualcuno di più, per esempio Vanessa, ma solo perché la conosco da più anni, ormai ha 25 anni e sono 18 anni che ce l'abbiamo in palestra. Io personalmente credo di essere abbastanza amato dalle mie ginnaste, a parte qualche volta che le rimbrotto perché sporcano e non puliscono.
Io credo di avere un ottimo rapporto con tutte le ginnaste, anche perché sono il loro primo tifoso quando andiamo sui campi di gara.
(Si rivolge ad Alice ed Elisa, che sono ancora lì con noi e che, anche se un pò intimidite dal registratore, ci confermano quanto dice)

-Spesso sei stato criticato, adesso che la ginnastica artistica è così tanto presente sui social network, per delle reazioni definite eccessive in difesa delle tue ginnaste. Ci dici qualcosa al riguardo?
-Ne sono assolutamente orgoglioso, anzi penso e sono convinto di essermi trattenuto tantissimo, anzi se succederà State tranquille che farò il tifo nel modo più passionale possibile- Ognuno tifa come vuole, io non mi offendo per queste critiche, tifo solo per le mie ginnaste, anzi non sono contento quando le avversarie della mia squadra cadono, ma tifo per la mia squadra e ci mancherebbe altro. Sono orgoglioso di come tifo, anche perché è una cosa spontanea.
Sono contento quando loro eseguono bene un esercizio e mi arrabbio quando sbagliano.
Nella gara di sabato scorso (la Golden League 2015) mi sono arrabbiato perché non abbiamo vinto e siamo arrivati secondi: abbiamo sbagliato e siamo arrivati secondi , ha vinto la Gal ed era meglio, per me, se vincevamo noi. Poi con questo, bisogna dire che loro hanno vinto con merito perché noi abbiamo sbagliato, però c'era da arrabbiarsi e mi sono arrabbiato.

-Ma c'è una grande competizione con le altre società di ginnastica italiane?
-Io sono un agonista e quindi a me piace gareggiare e mi piace vincere, quindi è ovvio che ci sia un po' di rivalità, però il fatto di gestire questa Accademia Internazionale dove se non quotidianamente ma quasi sempre, ci sono qui ginnaste della Nazionale di altre società, mi induce ad essere un po' più tenero nei loro confronti . Però è ovvio che quando c'è una gara, soprattutto tra noi e la Gal Lissone, perché con le altre obiettivamente non c'è mai stata, soprattutto negli ultimi dieci/dodici anni, una rivalità perché siamo stati sempre noi e loro, soprattutto noi che loro, questo scrivilo che ci tengo a precisarlo. Quindi si c'è molta rivalità, assolutamente.
La rivalità nello sport deve esserci perché ti crea quella adrenalina per continuare, soprattutto più da parte mia che da parte delle ragazze. Quando c'è club contro club è ovvio che la rivalità ci sia, così come quando sei in gara con la Nazionale ci sia quella rivalità tra nazioni alla nostra portata: Cina, Stati Uniti... (ride e poi mi dice che scherza).

-So che segui anche il basket. Ci racconti qualcosa?
-La mia passione per il basket nasce all'inizio degli anni ottanta perché nella frazione di Brescia dove abitavo c'era una squadra di pallacanestro e anche lì inizio prima ad appassionarmi come semplice tifoso che fa a seguire la squadra e poi notano la mia propensione a rendermi utile nel fare qualcosa e nel giro di qualche anno divento direttore sportivo di questa squadra che è arrivata fino alla serie C. Nel frattempo, però, la mia professione mi porta ad occuparmi, per il il giornale per il quale scrivo, di pallacanestro ed entro sempre più in questo mondo, anche se non era stata la mia disciplina di gioventù e ,14 anni fa, sono eletto presidente provinciale della Federazione Italiana pallacanestro, una carica che ho tenuto fino a Marzo di quest'anno. Poi per “problemi politici” ho abbandonato e mi limito a scrivere di pallacanestro e a seguire mio figlio che gioca a pallacanestro.

-Lui il ginnasta no, eh?
-Assolutamente. Mio figlio e mia figlia assolutamente no, ma non approfondiamo (ride).

-Tu sei sempre in giro a seguire le tue ginnaste. Questa cosa toglie spazio e tempo alla tua famiglia?
-Assolutamente si, ma sono vaccinati. E' da sempre così. Sono in giro almeno da vent'anni, anche perché facendo il giornalista sportivo, il sabato e la domenica lavoro sempre e quindi sono assolutamente vaccinati. Certo, sentono la mancanza, ma non credo ne venga fatta una malattia. Fa parte del gioco!

-Per me va bene così, c'è qualcosa che ci vuoi dire?
-Un mese e mezzo fa, eravamo già tornati dalle vacanze, i primi di Agosto, c'era qui in ritiro la Nazionale e suona il campanello, noi apriamo e in palestra arriva un genitore con una ragazzina e ci dice:”Noi non volevamo disturbare, scusi, possiamo?”. Gli rispondo: ”Oggi non c'è problema, prego si accomodi". Questa ragazzina qui era ovviamente impazzita e quindi sta qui tutto il giorno, finché non escono le ragazze che fanno anche delle foto con lei.
Solo che il papà fa un grave errore: va a casa, dopo aver continuato a ringraziarci, e mi scrive una mail nella quale ci ringrazia per la nostra grande disponibilità, ci dice che non pensava che ci fossero delle persone così disponibili e ci dice che lui fa il falegname, quindi se ci serve qualcosa, è a nostra disposizione: grave errore con noi, con me e Casella questo è stato un gravissimo errore.
L'abbiamo convocato per dirgli che abbiamo appena costruito una casetta dove ci sono quattro posti letto che ha bisogno di una copertura esterna. E' venuto, ha preso le misure e adesso, in questi giorni, verrà a posare gratuitamente la pedana di copertura e noi li ospiteremo la prossima volta. Per questo che ti dico che ha fatto un grave errore!
Questo per farti capire che ogni tanto c'è qualcuno che viene qui, magari aspetta fuori perché non ha il coraggio di suonare, ma tanti invece entrano.
Spesso mi scrivono le ragazzine, ma spesso dico che non è possibile, però se capitano qui ed è possibile, li facciamo entrare.

-Folco ,tu lo sai che se scriviamo qualcosa del genere capiteranno qui per caso anche da Bitonto?
-Puoi scriverlo, tanto se non possiamo farle entrare non entrano, non siamo come Via Ovada che prendono gli appuntamenti per farli andare a vedere.




Questa intervista è stata trascritta esattamente com'è stata registrata. Quello che non è possibile trascrivere, sono gli sguardi, i toni, le risate, così come è impossibile trascrivere tutte le ore di chiacchiere tra e me e Folco, due chiacchieroni nati. 
Questo è un progetto, o, come preferisco dire io, un viaggio che comincia da qui, ma non finisce qui.
Un viaggio alla scoperta del mondo della ginnastica visto dai suoi protagonisti.
Grazie a Folco Donati e ad Antonella Di Ciancia per il loro assecondarmi nelle mie idee. Grazie davvero, di cuore. Io non devo dirvi nulla perché voi sapete già tutto.


La foto di Folco Donati sul podio é di Antonella Di Ciancia.
La foto di Folco Donati insieme alle ginnaste é di sua proprietà.
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giovedì 17 settembre 2015

Guardandomi indietro: amicizie che vanno e vengono

Stavo riguardando delle vecchie foto e inevitabilmente ho cominciato a pensare a tanti episodi della mia vita e mi sono resa conto che ad ogni episodio è legato il ricordo di una o più persone. 
Persone che non ci sono più.
No, non sono morte, sono tutte vive e vegete e immagino anche che stiano benone, grasse e in salute.


Non sono più nella mia vita, non necessariamente per un motivo. Semplicemente ci si è persi di vista, ci si è allontanati, vuoi gli impegni, il lavoro, la casa, i pensieri.
E poi ripenso a com'ero io, assolutamente diversa da adesso, forse persino più simpatica e un tantino più ben disposta verso il prossimo, forse troppo. Ed è stato lì che mi è venuta l'illuminazione: forse se non ci frequenta più è perché in fondo in fondo, ci stavamo sul cazzo.


Non si dice cazzo, lo so. So anche che mi telefonerà mia madre urlante:"Hai scritto cazzo, sei sboccata, non voglio che parli così". Poi mi telefonerà Fidanzato e mi dirà:"Ti ho già detto che le parolacce non devi dirle". Però, quando ci vuole ci vuole. E in questo caso, ci vuole eccome.
Perché si insomma, ci sono persone con cui, nonostante i chilometri, le abitudini diverse, i problemi quotidiani,  sono rimasta in contatto e quando si può -grazie soprattutto al mio continuo peregrinare in giro per l'Italia- ci si vede. E se non ci si vede, magari ci si sente per telefono, con un sms, con i segnali di fumo.
Si prende un aperitivo insieme quando si può, si mangia un sushi o un'anatra all'arancia, insomma qualsiasi cosa.

A volte capita che qualcuno che incontro per caso, dopo anni, mi dica:"Non ti sei fatta sentire". Nemmeno tu. E probabilmente non è un caso. E siamo sopravvissuti entrambi, ti vedo bello grasso e in forma, non sembri deperito a causa della disperazione per non avermi più visto.

Dai, in fondo è normale fare una selezione naturale, lo diceva il buon vecchio Darwin, no?
Ok, forse non lo diceva proprio in riferimento a queste cose, ma il succo non cambia.
Ci sono anche quei rarissimi casi in cui, davvero, non ci si è più sentiti per delle sfortunate coincidenze: la fame nel mondo, ad esempio. Perché, si sa, qualsiasi cosa succede è sempre colpa della fame nel mondo. O dell'invasione delle cavallette mutanti.
E allora ve lo dico: se mi incontrate per caso, mentre passeggio per Via del Corso con Fidanzato e Cane Gnappo (cosa che non succede praticamente mai, ma tant'è), non ditemi, vi prego, che stavate proprio pensando di chiamarmi, ma non l'avete fatto perché, negli ultimi dieci anni, eravate sempre lì lì per farlo e poi c'è stato sempre un imprevisto. Non vi ho chiamato nemmeno io d'altronde.
Ditemi che vi sto sul cazzo (scusa mamma). E passa la paura.


Le foto del post sono di Beata Leinkiewicz
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mercoledì 16 settembre 2015

Mi prendo cura di me. Per non mandarvi a quel paese.

Ormai è ufficiale che mi sento tanto Cinderella in questo momento e, si sa, Cinderella (che ai miei tempi si chiamava Cenerentola, ma questa è un'altra storia) è rinata quando topi e uccelli l'hanno conciata per le feste (maliziosi, lo so che state pensando a cose sconce, ma andate a rivedervi il film che Zio Walt ha partorito addirittura nel 1950, erano davvero degli uccelli quelli che l'hanno rimessa a nuovo).


Dicevamo, mi sono rimessa a nuovo: manicure fatta dalla mia amica cinesina che -so che non ci crederete mai- ma rilascia addirittura la ricevuta fiscale, capelli tinti di fresco (che poi, io odio tingere i capelli, ero socia onoraria del club io non tingerò mai i capelli, ma non è colpa mia se invece di notare quanto sono bella e simpatica, la gente intorno a me nota i capelli bianchi), una nuova borsa argentata che d'altronde è risaputo che una borsa argentata nel guardaroba di una donna non deve mai mancare (poi, non so se e quando la userò, ma anche questa è un'altra storia). E mi è passata l'arrabbiatura.
No, non so perché ero arrabbiata -e nemmeno con chi, se per questo- ma lo ero e quindi mi sono fatta bella. E, se per questo, a cena mi sono sfondata di sushi che tanto non fa ingrassare perché, diciamoci la verità, altro non è che riso e pesce crudo che, da sempre e per sempre, sono gli alimenti dietetici per eccellenza.
E così facendo, ho evitato di mandare a fanc**o una mezza dozzina di persone.

A fare queste cose quando la nevrastenia mi coglie me l'ha insegnato Fidanzato che, davvero, se rinascessi, sceglierei lui ancora mille volte (e mi auguro che ciò sia condiviso, anche se perché mai non dovrebbe farlo?) perché sempre così saggio, a differenza mia.
Sarà che ha quattro sorelle e quindi lui le donne le capisce, ma ha assecondato nell'ordine la mia fissa per l'hennè di Lush che doveva stare in posa quattro ore durante le quali non mi muovevo dal divano perché se cola in giro per casa è un casino, quella per gli ombretti nude che non si vedono, ma io li voglio perché mi fanno sentire bella (memorabile quando, con le stampelle, l'ho portato fino a Piazza di Spagna, in metropolitana, per assistere alla presentazione di una nuova palette di ombretti di Urban Decay), la fissa per gli smalti che siccome poi prendono polvere, lui con tanto amore me li spolvera ogni mattina (o almeno così dice).
Quindi si, insomma, prendetevi cura di voi e vi sentirete meglio. Io domani avrò già lo smalto rosso corallo scuro scheggiato, mi accorgerò che il colore è stato steso male e i capelli bianchi si continuano a vedere, mi pentirò di avere comprato una borsa argentata e mi verrà di nuovo la gastroenterite a causa del sushi, ma intanto oggi sono felice così.


Illustrazione di Jeffrey Thomas.
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martedì 15 settembre 2015

Cosa non voglio fare

Mettiamo il caso che ci sia una donna ragazza in età da marito (fa molto Cinderella's story dire in età da marito) e, di conseguenza, in età da riproduzione. Nel senso, stando a quanto dice la biologia, in età da riproduzione lo ero anche a dieci anni e mezzo, ma mettiamo il caso che per età da riproduzione io intenda quell'età in cui ti sfrantano le gonadi chiedendoti: "Ma figli? Non ne fate? Non ne volete?"
Mettiamo il caso che persino un venditore alla bancarella del mercato sotto casa chieda:"ma tu non hai figli?" e alla risposta:"no" chieda:"hai fatto il controllo per la fertilità?", prendendosi una libertà che vi assicuro io non gli avevo dato.
Mettiamo infine il caso che siate circondate da colleghi con figli tutti bellissimi e non sto scherzando, almeno fin tanto che se li tengono a casa loro e si limitano a mostrarmi le foto. O al massimo, potrebbero portarli a lavoro un giorno -o meglio diciamo un'ora- per giocare un po' a tiriamo tutti i cavi che ci sono qui dentro e vediamo che succede, tanto poi ci pensa il papà a risolvere il problema.
Ok, adesso che abbiamo stabilito tutte queste cose, mettiamo infine il caso che mentre alla giovane Cinderella sfrantano le gonadi ogni santissimo giorno sul perché e per come non si è ancora riprodotta, al buon caro Fidanzato nessuno lo chieda mai, dando per scontato che lui è ancora giovane e in età da compra pure i vestiti da Abercrombie che è risaputo che a trent'anni passati da un pezzo sono adatti.
Ecco, mettiamo tutti questi casi.
Mi chiedo perché io, giovane Cinderella, con un lavoro da maschio  e anche un pò maschia (come direbbe la cara Costanza che è l'esponente capo del club delle maschie), sempre fuori casa, con turni H24 che mi piacciono pure così la mattina posso dormire posso organizzare al meglio le mie giornate, debba essere avvilita perché ebbene si, non ho ancora figliato. E francamente, non ho nemmeno pensato a farlo.
A me piacciono i figli altrui, tantissimo, sono bellissimi, profumati e coccolosi. Basta che poi ve li riportate a casa vostra. I bambini mi amano, probabilmente mi vedono come un clown (o forse no, visto che i bambini hanno paura di clown), ma ecco, io di badare a un bambino non ho proprio voglia. Non adesso almeno, ma vi assicuro che, casomai mi venisse, sarete i primi a saperlo. Vi mando una raccomandata con ricevuta di ritorno per essere certa che la novella vi sia giunta.
"Dovresti pensare di cambiare lavoro, sai per quando avrete un bambino"
Chi ti ha detto che io voglio cambiare lavoro? Che lo cambi Fidanzato, nel caso. E comunque, Fidanzato non lo cambia il suo lavoro perché, ebbene si, gli piace, tanto quanto a me piace il mio (che poi, è lo stesso).
"Dovresti pensare di lasciare il lavoro"
Chi ti ha detto che voglio lasciare il lavoro e non lavorare per badare ad un bambino (che, per altro, ma pare sia una cosa ininfluente, non ho)= Io voglio lavorare, mi piace. 
"Meglio un solo stipendio che un figlio abbandonato al nido o con la tata"
I miei genitori lavoravano entrambi e sono venuta su benissimo. E comunque, qualora dovessi avere un figlio, lavorerò per comprargli le tutine Alviero Martini e per avere una bellissima borsa porta pannolini, cambio e tutta quella roba che serve per un infante Louis Vitton (mia madre ce l'aveva davvero, da qualcuno devo pure avere preso).
"Dovresti fare una vita più regolare, sai in vista di un figlio"
Io dovrei fare una vita più regolare? E Fidanzato no? Lui potrà continuare in eterno a mangiare Pringles alla paprika svaccato sul divano bianco che io ho scelto perché mi sembrava fighissimo e poi ho scoperto che no, non siamo in grado nemmeno di gestire un divano bianco?
"Dovresti sottoporti a degli esami per capire come mai, dopo tanti anni che stai con Fidanzato, non sei rimasta incinta"
Ti do una dritta: esistono i contraccettivi. Li butto giù a pacchi, come se non esistesse un domani. Sai mai che faccio un figlio e mi viene scemo come te che dai per scontato che, essendo io donna, debba fare tante, troppe cose in un momento in cui non sono pronta a/non mi va di/non credo sia il caso di fare, quanto meno non adesso. Così, per dire.


Le foto del post sono di Beata Lenkiewicz.
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lunedì 14 settembre 2015

Dal buio alla luce: di quando mi sono operata per correggere la miopia

Quante persone miopi ci sono al mondo
Ammetto che non ne ho idea, non conosco le statistiche, ma so che conosco tantissime persone che hanno bisogno degli occhiali da vista perchè sono miopi. Io sono -o meglio ero- una di loro: a otto anni non vedevo la lavagna, dovevo alzarmi continuamente dal mio banco per leggere quello che la maestra scriveva, quindi mia madre mi portò dall'oculista e il risultato di questa visita fu che dovetti mettere gli occhiali. I miei primi occhiali me li ricordo ancora: erano blu elettrico.
La mia miopia è aumentata nel corso degli anni, ma avevo un obiettivo che mi avrebbe resa libera: le lenti a contatto. E difatti, a quattordici anni, cominciai a portarle, facendo addirittura un piccolo corso per metterle e toglierle dal nostro ottico di fiducia. 
A vent'anni il mio obiettivo era cambiato: io volevo operarmi perchè se è vero che le lenti a contatto sono un gran bella invenzione e altrettanto vero che sono comunque una schiavitù. A parte il fatto che non si possono portare per troppe ore (e io lo facevo), bisogna comunque avere sempre dietro liquido, portalenti e occhiali da vista soprattutto nel caso in cui, per un qualsiasi imprevisto, può capitare di non dormire a casa. Inoltre, quando si portano gli occhiali -in caso di miopie elevate come la mia- è fastidioso il contrasto che c'è tra quello che si vede attraverso la lente e quello che si vede quando si spostano gli occhi. Insomma, nemmeno le lenti a contatto mi bastavano più.
Poi la svolta: dopo circa un anno di lavoro in televisione, ho cominciato a lamentarmi (strano per una che non si lamenta mai) perché non ci vedevo più e quel sant'uomo di Fidanzato mi ha portata -letteralmente, visto che io non ci vedevo- dall'oculista. -10,5 e -9,5, praticamente una talpa.

E quindi rifai gli occhiali, compra un nuovo tipo di lenti a contatto (e, vi assicuro, che quando si è delle talpe, si fa fatica a trovarle e spesso bisogna ordinarle con largo anticipo), vedi se vanno bene, cambia marca perchè possibilmente quella gradazione non esiste della marca che usavi prima, fai un salto, fanne un altro, fai la giravolta, falla un'altra volta.
A questo punto era chiaro che io non solo volevo operarmi, ma dovevo farlo perchè vedevo solo ombre. E non sto scherzando.
La cosa sorprendente è che, pur essendo cecata, sono sempre riuscita a muovermi in ambienti che conoscevo bene senza bisogno di occhiali o lenti a contatto. No, non sono matta e non sono mai andata in giro senza vederci, ma basti pensare a quando la notte ci alziamo dal letto per fare la pipì (nel mio caso, continuamente) o per bere (nel mio caso mai perchè sono talmente pigra che mi sposto per casa con la bottiglia d'acqua al seguito).


Solo che, per operarsi, bisogna essere grandi e io ancora non lo ero abbastanza.
A 26 anni e mezzo sono stata inserita nella lista d'attesa dell'Ospedale Oftalmico di Roma e a 26 anni, 9 mesi e 5 giorni sono stata chiamata per fissare la data della visita ovvero il 4 Febbraio 2013.
Alla visita mi ha accompagnata mia madre, hanno rivoltato i miei occhi come dei calzini e alla fine mi hanno detto che l'operazione si poteva fare. Non è così scontato perchè ci sono determinati presupposti per ottenere il via libera all'operazione che, però, non ricordo più quali siano. A me interessava soltanto potermi operare e avevo ottenuto l' idoneità a farlo.
Ho però deciso di non fare l'operazione all'Ospedale Oftalmico e non perchè siano incompetenti, ma perchè la lista d'attesa era abbastanza lunga e avrei dovuto attendere fino a Maggio, per cui sono andata privatamente e il 16 Febbraio 2013 alle ore 19.00 sono stata operata. Perchè a quest' orario? Perchè è preferibile che quando si esce all' esterno -e bisogna farlo per forza per tornare a casa- sia buio.

L'operazione è durata quasi un'ora, ma di solito dura molto meno: nel mio caso, essendo così tanto miope è stato necessario un po' di tempo in più. 
Ho sentito dolore? No.
Ho avuto paura? Si, ma io ho sempre paura, sono una fifona e penso sempre che morirò. Anche quando faccio un prelievo del sangue.
Mi ero informata prima di eventuali rischi? Si, l'ho fatto per anni. Molti hanno criticato la mia scelta, sostenendo che questo tipo di operazione causa malattie gravissime, cecità e roba simile. È vero, esistono dei rischi e bisogna tenerli in considerazione, ma questo non significa che se vi operate automaticamente contrarrete tutte le malattie possibili dell'occhio e diventerete ciechi. Significa piuttosto che c'è un rischio, come d'altronde per qualsiasi altro intervento chirurgico perchè questo è: un intervento chirurgico. Niente di più, niente di meno.
Conosco due persone che si sono sottoposte all'intervento anni e anni fa e non hanno mai avuto problemi e conosco una ragazza che è tornata miope, anche se ha usato una tecnica diversa da quella che è stata usata per me.
Dicevamo? Ah si, il post operatorio è una delle cose peggiori che io abbia mai subito.
Mia madre e Fidanzato, ovviamente, sostenevano che, essendo io Miss Lamento Continuo, stavo esagerando. Probabilmente è vero che io ho una soglia del dolore molto bassa e amo lamentarmi, ma vi assicuro che tutte le persone che ho incontrato nella sala d'attesa del medico che mi ha operato hanno confermato di aver patito le pene dell'inferno.
Per tre giorni, poi passa.
I dolori sono stati fortissimi e nemmeno il Toradol, che notoriamente stende anche una mucca, mi ha aiutata (io avevo chiesto la morfina -no, non sto scherzando- ma sono stata tacciata di essere esagerata). Senza contare che per diversi giorni, sono rimasta al buio, a letto, con un mal di testa feroce (e i dolori di cui sopra).
È assolutamente necessaria la presenza di una persona che si prenda cura del moribondo, nel mio caso c'era mia madre visto che Fidanzato, in quel periodo, lavorava orario d'ufficio (cosa che ha fatto per due mesi in tutta la sua vita: che tempismo!) e a casa non c'era mai (e no, non poteva nemmeno prendersi dei giorni di ferie). 
Dopo qualche giorno, i dolori sono passati, ma non ci vedevo comunque, gli occhi mi lacrimavano sempre e non riuscivo a tenerli aperti a lungo. Mi hanno spiegato poi che è a causa dell'epitelio che deve riformarsi, di più non so.
Io sono stata operata contemporaneamente ad entrambi gli occhi e, a posteriori, ho capito che mi avevano caldamente consigliato di fare così perchè, se avessi fatto un occhio per volta, dopo i dolori per il primo, non sarei mai tornata a fare il secondo.
Dopo circa un mese avevo ripreso parecchi decimi, circa sette, ma non riuscivo a guidare soprattutto la sera a causa delle luci e comunque ovviamente non vedevo ancora bene. 
Ho ripreso 11/10 da entrambi gli occhi dopo circa sei mesi, anche se ero stata avvisata che, essendo io molto miope, probabilmente avrei potuto perdere qualcosa con il tempo e difatti adesso ho un -0,25 di miopia di cui onestamente non me ne frega un tubo, visto che ci vedo benissimo.
Il costo dell'operazione è stato di circa 1000 €: 150 per la visita e 800 per l'intervento in se. Questi 800€ erano comprensivi di tutte le visite post operatorie che ho fatto: la prima dopo otto giorni, per togliere le lenti a contatto neutre che vengono inserite nell'occhio subito dopo l'intervento, una dopo un mese, una dopo tre mesi, una dopo sei mesi, una dopo un anno e una dopo un anno e mezzo.
A questi soldi, si aggiungono le gocce che costano uno sproposito e si usano per tantissimo tempo: nel primo periodo utilizzavo due tipi diversi di gocce alla modica circa di 15€ le prime (una confezione durava circa una settimana) e 20€ (una confezione durava circa quattro giorni). Le prime le ho utilizzate per due mesi e le seconde per oltre un anno, anche se avevo bisogno di un quantitativo sempre minore man mano che passava il tempo. Costo totale: non ne ho idea, ma di sicuro ho speso più per le gocce che per l'intervento in se.
Io sono una persona paranoica quindi ho osservato alla lettera tutti gli accorgimenti che mi era stato detto di seguire: non ho lavato i capelli dal giorno dell'intervento a quando mi hanno tolto le lenti neutre (nel frattempo, forme di vita si erano sviluppate all'interno dei 12 kg di lana merinos che ho in testa), non ho assolutamente lavato il viso -o meglio, la parte del viso vicina agli occhi- per due settimane (non chiedetemi come ho fatto, ho rimosso questa brutta esperienza dalla mia mente) e soprattutto non mi sono truccata per mesi. Sono assolutamente bandite le polveri, quindi niente ombretti (si lo so che esistono in crema, ma a me piacciono le polveri e ho un debole per i pigmenti), niente fard, niente cipria, niente di niente e, ovviamente, non si possono truccare gli occhi: la matita kajal all'interno dell'occhio ho ricominciato a metterla dopo circa sei mesi e chi mi conosce sa che io il kajal nero lo metto anche per andare dalla camera da letto alla cucina. Il giorno che ho potuto usare di nuovo la matita all'interno dell'occhio -sotto forma di un'automatica Chanel, visto che mi sembrava il minimo coccolare il mio interno occhi- sono quasi scoppiata a piangere per la gioia. Ed è stato lì che mi è venuta la fissa e ho iniziato a comprare matite kajal di tutti i colori.
Sono indispensabili gli occhiali da sole: per i primi giorni li ho portati anche in casa, sotto forma di un paio di orrendi occhiali nerissimi con delle lenti particolari che mi aveva fornito il medico, poi mi sono addormentata sopra gli occhiali, li ho rotti e ciao. Siccome sono una persona previdente, tre giorni prima dell'operazione mi ero regalata un paio di Baroque che ancora oggi non mi lasciano mai perchè i Baroque sono per sempre, come i diamanti.

Lo rifarei? Si, lo rifarei. Anche se è una cosa lunga (quanto meno utilizzando il metodo PRK, so che c'è un altro metodo in cui la guarigione è indolore e molto rapida), anche se la prima volta che sono uscita da sola sembravo un imbecille visto che non vedevo nulla, anche se ci è voluto tempo per vederci bene.
Perchè svegliarsi la mattina, aprire e gli occhi e vederci, non ha prezzo.

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